Kafka ognuno di noi

dscf1773.JPG di Franco Arminio

Ormai sono abituato: quando scrivi qualcosa chiedendo una risposta, la risposta non arriva, non arriva mai. C’è una legge che domina il mondo, una sola: si chiama indifferenza. La parola di ognuno nasce e muore da sola, senza intrecciarsi con nessun altra. Io sento fortissimo il dolore per questa situazione, per questo tradimento che si estende a tutto e tutti, perfino al nostro dolore, alla nostra morte. Siamo soli, ogni uomo è sempre stato solo e non ha mai veramente condiviso qualcosa con qualcuno, ma forse ci sono stati momenti in cui esistevano delle cerimonie in cui questa solitudine era come occultata, attutita. Oggi la nostra solitudine galleggia, emerge impietosa ai nostri occhi, è una solitudine che non si addormenta mai.

Io quando vado a letto dopo certe giornate so già che mi sveglierò nel cuore della notte. Sono i risvegli che seguono le giornate in cui ho cercato qualcosa e non ho trovato niente. Giornate in cui ho dimenticato il segreto per vivere senza lacerarsi in continuazione. Questo segreto ci dice che gli altri non solo non ci sono, come sempre è stato, ma non hanno neppure voglia di esserci. Questa è la novità dell’epoca che io chiamo dell’autismo corale. Gli altri ci dicono in continuazione che non ci vogliono essere. Non ce lo dicono neppure, è come se mettessero un disco. Mi è capitato proprio di recente: da una persona a cui cercavo di avvicinarmi usciva una voce registrata. Non avevo davanti a me un corpo, ma la sua segreteria telefonica. La nostra solitudine non viene accolta come tale da un’altra solitudine, realizzando così l’unica comunione possibile. La nostra solitudine viene respinta, come se fosse un modulo non riempito correttamente, come se la scorrettezza consistesse proprio in questa richiesta d’accoglienza. Oggi le relazioni tra gli uomini sembrano svolgersi all’insegna di questi moduli incompleti che vagano da un ufficio all’altro. Non c’è modo di completarli. Ogni integrazione si rivela insufficiente. Kafka è diventato ognuno di noi. Siamo detenuti da un potere ignoto che ci fa perdere il senso della vita e della morte, il senso di noi stessi e degli altri. La condanna consiste proprio nel cercare chi non c’è, nel chiedere a chi non risponde. Più alziamo la posta del nostro gioco e più il gioco diventa solo nostro. Più ci aspettiamo qualcosa più diventiamo prigionieri di questa attesa dentro il castello vuoto dell’autismo corale.

Nel passato la morte svolgeva il ruolo prezioso di liberarci. La morte era la chiave di tutto, perché tutto poteva essere chiuso in ogni momento e per sempre dalla morte. Adesso gli uomini si comportano come se pure la morte fosse impotente e non potesse chiudere un bel niente. Gli uomini si comportano come se fosse morta anche la morte. È una situazione che mette fuori gioco la poesia e la religione e ogni forma sacerdotale dell’esistenza. La morte succede ma è accolta come un evento interlocutorio. Non è più qualcosa che differisce radicalmente dalla vita, non è più il divino che ci viene a prendere, ma è un’insolenza che non ci voleva, un incidente da chiudere in fretta per passare ad altro.

Tutto questo che ho appena scritto mi è stato suggerito dal funerale di ieri. Eravamo in molti davanti al morto, tutti insieme, amici, parenti, conoscenti, ma ognuno che rideva o parlava per fuggire il sacro della sua faccia muta. Il lampo fermo della morte non fa più impressione. Ieri era annegato nei mulinelli della conversazione: uno si lamentava di una multa, un altro parla di De Mita, un altro baciava la vedova come se fosse un quadro alla parete. Fuori pioveva, la strada era nera, il tempo passava nell’eterno gioco del chi va e chi viene.

(Foto A Inglese)

219 COMMENTS

  1. il capitalismo è una fogna che disumanizza gli uomini e uccide il mondo.
    ci vuole un altro sistema sociale.

  2. siamo indifferenti e smorti da tempo. gli accaloramenti mediatici mettono un pò di aria nei cadaveri e li fanno movere e li fanno parlottare. arminio dice questo, mi pare.

  3. ” La nostra solitudine viene respinta, come se fosse un modulo non riempito correttamente, come se la scorrettezza consistesse proprio in questa richiesta d’accoglienza.”
    Sottoscrivo in pieno.

  4. ogni volta che compare un mio pezzo qui mi sento come uno che apre una bancarella al mercato. metto la mia bancarella a fianco a quelle già presenti e poi arrivano altri e mettono la loro bancarella a fianco alla mia. vendiamo gratis e questo fa sorgere il sospetto che la nostra merce non vale niente.

  5. Mi ha commossa questo pezzo. Scrivere sull’indifferenza non è facile, chiede un arte delicato dei cuori. C’è una tristezza vera: essere solo nel mondo, come inesistente. Ma l’indifferenza se ne va, come una foglia quando tu incontri un amico vero. L’amico vero non ti lascia nel silenzio, ti fai senno nell’ assenza, ti dai una risposta benché non sia sempre come quella che tu aspettavi: un amico non ti lascia alla disperazione.
    Per me, quando qualcuno non mi risponde: è una marca di disprezzo: sono come morta. Certo accade che un amico non dice niente, perché ha perduto il gusto della vita ( la dépression spiega il silenzio), l’ho fatto anche quando mi sentivo male, o quando sono arrabiata (perché non voglio litigare) Ma altrimenti, è uno sdegno: non rispondere: è il peggio dello sgarbo.
    E’ come un regalo che tu fai, e che non è sballato.

  6. – Queste sono chiacchiere. Chi lavora mangia e chi mangia vive. Impara la mia saggezza. Io sono vecchio e non mi lagno. Da ragazzo non ne parliamo; avevo persino da pagarmi le donne che volevo. Il lavoro serve per tutto e ancor di più per i bisogni del corpo. Quel che succede è che sei scemo. E non dirmi che te l’ho insegnato io.
    – Ma da lei sono nato. E lei doveva avermi avviato, e non lasciarmi andare così come un cane sciolto.
    – Eri già grandicello quando te ne andasti. O volevi forse che ti mantenessi per sempre? Soltanto le lucertole cercano lo stesso covo, anche quando muoiono. Puoi dire che ti è andata bene e che hai saputo cos’è una donna e che hai avuto figli. Altri non hanno avuto nemmeno questo nella loro vita, sono passati come le acque dei fiumi, senza avere niente dal mondo.

    J.Rulfo, “Paso del Norte”.

    [libera associazione]

  7. Tanti anni fa, forse per averlo visto in un qualche episodo di “Ai confini della realtà” o per via di Lovecraft, avevo paura che le persone che mi circondavano fossero degli enormi scarafaggi marziani col potere di schermare la loro effettiva sembianza agli occhi di noi sparuti umani rimasti sulla terra. A volte mi chiedevo se non fossi anch’io come loro, ormai immemore del processo di ri-visualizazzione. A volte anche oggi mi chiedo: come si fa a riconoscere un nostro ‘simile’? persone affini? persone con cui condividere? dove sono? come si fa? Recentemente mi dico che non è forse tanto importante capire, capirsi, non tanto la comprensione, ma la carità. Avere pietà non tanto del morto, quanto dei presenti che non riescono a sostenerne la misura.
    Bello bello, Arminio.

  8. Ho girato questo pezzo al mio amico più caro, il quale da un pezzo non ritiene di dovermi manifestare alcunché: godo cioè del particolare privilegio per cui la mia affezione e il mio intento di codivisione sono talmente dati per scontati che non ritiene, egli – molto preso dalle sue cure alcune delle quali sommamente pubbliche essendo egli scrittore, di dover intrrattenerne con me. Arminio, hai colto profondamente la paradossale innocenza con cui ci permettiamo d’essere indifferenti e poco umani.

  9. trovo le tue parole sempre indovinate, scaturite da quel che non è il mestiere di chi scrive. le trovo condivisibili e anche belle.
    tuttavia, io sono uno di quelli che si faano compagnia da sé; che forse ho paura degli altri, oppure ne ho noia e mi stufano i limiti e le maschere.
    dovessi riuscire a modificare questo, mi segno la mail.
    ciao

  10. Io non vi insegno il prossimo, bensì l’amico. L’amico sia per voi la festa della terra e un presentimento del superuomo.
    Io vi insegno l’amico e il suo cuore riboccante. Ma bisogna essere spugna, se si vuol essere amati da cuori riboccanti.
    Io vi insegno l’amico, nel quale il mondo si trova compiuto, una coppa del bene – l’amico che crea, che ha sempre da donare un mondo compiuto.
    E come il mondo ruotando si è dispiegato per lui ruotando tornerà ad avvolgersi in anelli per lui, in quanto divenire del bene mediante il male, divenire degli scopi dalla casualità.
    Il futuro e ciò che sta in remota lontananza sia la causa del tuo oggi: nel tuo amico devi amare la causa di te.
    Amici, non l’amore del prossimo vi consiglio: io vi consiglio l’amore del remoto.

  11. “Credere che l’amicizia esista è come credere che i mobili abbiano un’anima”

    Marcel Proust

  12. eggià; questo frammento ha la deliziosa sfocatura dell’emozione diretta, della partecipazione intima alle parole.
    caro arminio, un caro saluto

  13. Cosa ci volete fare, dentro la nostra pelle ci stiamo uno alla volta, non di più e, come diceva De André, ‘quando si muore si muore soli’.

    Detto ciò non sono così sicuro che cercando, cercando bene, cercando davvero, avendo voglia di cercare, essendo disposti a cercare, non si trovari qualcuno che anche lui cerca, che cerca davvero, che abbia voglia di cercare.

    Qualcuno che abbia voglia risponderci.

    Ovviamente questo se abbiamo detto qualcosa non solo per noi, per noi stessi; di questo dobbiamo essere consapevoli. Lo sappiamo, no?

    I primi non-narcisi dobbiamo essere noi.
    Lo sappiamo o non lo sappiamo?!

    All’autismo corale si contrappone allora il coro, il canto corale.

    Gregoriano,
    polifonico,
    o per soli, coro e orchestra.

    Senza contare che se non si crede in Dio, la solitudine esistenziale a cui Dio stesso ci ha condannato non può che essere accettata.

    Ma proprio a partire da tale accettazione (non rassegnazione, non rabbia) si trova facile il piacere del discorso, del dialogo.

    E sinceramente, che una volta la morte svolgesse una funzione preziosa (e ora invece no), mi sembra a dir poco un’affermazione discutibile.

    Direi e ribadirei che oggi si ha una percezione più autentica della morte, più secca. Senza fronzoli e che per questo fa paura di più.
    (Sì certo forse è l’onnipotenza a cui ci illude la vita di oggi).

    Quel che è condivisibile però è la dolcezza che lenisce la sofferenza del pensare di dover morire, fino a che magari non rimane solo la dolcezza e basta, fino alla fine (che pure purtroppo rimane, la fine).

    Quindi, riassumento: è vero, siamo soli. Diciamo che oggi ne siamo consapevoli. E forse questa consapevolezza ci fa pensare che tutto sia inutile; dico che è possibile condividere questa solitudine.

    Non per dissimularla.

    Credo che ciò sia possibile già ora.

    Oltre il nihilismo.

    La gioia nonostante tutto.

    Non da eroi, non da stoici, ma semplicemente con un sorriso che non chiede.
    E che per il semplice fatto di essere un sorriso riceve e dà.

    Scusate, ma oggi sono stato ad Assisi.

  14. a quelli che hanno commentato il testo o lo commenteranno chiedo la mail, così rispondo in privato. mi pare di trovarmi di fronte a persone che meritano una dialogo intimo e attento.

  15. caro arminio
    io l’ho sentita parlare una volta a treviso
    in un convegno sul paesaggio.
    da allora vado nei luoghi con molta attenzione.
    per me questo è il suo insegnamento fondamentale e unico.
    il resto lo sanno dire anche gli altri.

  16. a volersi soffermare solo su uno dei temi toccati da arminio, direi che il problema è che non c’è niente di divino nella morte.
    l’indifferenza che lui percepisce non scaturisce da una sottrazione di sacralità all’evento morte – che pure esiste ed è salutare: dire perché è salutare richiederebbe un trattato di trecento pagine scritto da uno bravo – ma è solo normale indifferenza inter-umana, implementata dal fondamentale sentimento che tutti proviamo quando qualcuno se ne va: meglio a te che a me.
    aggiungo che se si trattasse solo di un aumento del tasso di indifferenza mi starebbe anche bene: è la ratificazione ormai collettiva dei processi di sopraffazione, quella che mi preoccupa e mi da la nausea, l’instaurarsi di nuovi paradigmi dell’inter-relazione umana, che prevedono il soccombere come fenomeno inevitabile, di cui è responsabile primo il soccombente.

  17. -Ormai sono abituato: quando scrivi qualcosa chiedendo una risposta, la risposta non arriva, non arriva mai-

    è vero, è verissimo!

    ma forse bisogna chiedere senza aspettarsi una risposta.
    Baci
    C.

  18. @ Tashtego

    Io penso che la “sacralità” di cui parla Arminio non abbia assolutamente niente di “divino”. Restituire la morte alla sua sacralità, per quello che percepisco nel suo testo, non è altro che un tentativo di ricondurla nella vicenda di una vita non reificata, i.e. tornare a considerarla parte integrante del circuito della finitudine dell’esistenza.

    Perdere il senso della morte, come chiramente scrive, è perdere il senso della vita, “il senso di noi stessi e degli altri”.

    fm

  19. Tash, stavo pescando non tanto, e non solo, nel patrimonio di studi e di testimonianze che ci ha consegnato, ad esempio, (il troppo in fretta dimenticato e rimosso) Ernesto De Martino, quanto piuttosto nella memoria delle mie radici contadine, senza peraltro ritenerla esclusivo, se non possibile, paradigma di qualsivoglia esperienza in materia.

    Lì il “senso della morte” si manifestava, concretamente, al di là dei vari rituali, “immutabili” solo perché profondamente radicati nella coscienza popolare, nella ricomposizione di un tessuto e di una identità comunitaria, che non significava affatto rivendicazione di appartenenza a un “gruppo” più o meno folcloristicamente connotato, ma era vera e propria “condivisione”: di memorie, di valori, di comunicazione, di storia: il tutto con il ricorso alla “parola”, a un racconto nel quale sprofondavi sentendoti parte di una sola vicenda (anche ideale, anche sociale, anche politica).

    Ti faccio un esempio.
    Mio nonno, già malato, molto probabilmente deve essere morto in ospedale, dove era stato portato contro la sua volontà. Sono andati in molti a riprendersi il corpo, lo ricordo benissimo, anche se allora avevo solo nove anni e c’ero anch’io, pur non sapendo perché. I familiari, tra l’altro, erano due o tre: segno evidente che quel corpo inerte, col suo carico di memorie, apparteneva sì alla famiglia d’origine, ma era “patrimonio” dell’intera comunità nella quale aveva speso la sua esistenza. Lo tennero tre giorni, per permettere a tutti di “salutarlo”: l’occasione per ripercorrere, soprattutto per i più giovani, non tanto vicende estemporanee o legate ai ricordi di cui ognuno era personalmente depositario, quanto per rinsaldare il legame con i valori nei quali tutti (ovverosia “quella” comunità) si riconoscevano: e, soprattutto, per trasmetterli. Fu allora, ad esempio, che mi/ci fu spiegato il vero significato del numero che mio nonno aveva impresso sul braccio: lo stesso marchio che aveva anche mio padre e un’altra decina di persone del luogo. Un rito di iniziazione in cui la storia, da favola, diventava scelta (irreversibile) di vita: coscienza di appartenenza, a prescindere dal luogo e da qualsiasi altro luogo, sempre.

    Sto parlandoti di poco più di quarant’anni fa, due generazioni.
    Oggi il “viaggio” di mio nonno dall’ospedale a casa (quella di un suo compagno d’infanzia e di prigionia, tra l’altro, molto più grande e, quindi, capace di accogliere molte più persone) – quel viaggio, dicevo, avverrebbe al contrario: da casa all’ospedale: per togliersi dai piedi l’ingombro (qualcuno, anche, parole testuali, udite appena un mese fa, “per non far vedere il morto ai bambini”!), consegnandolo all’obitorio e alla piccola grande mafia delle pompe funebri. O, forse, solo alla nostra estrema solitudine, all’incapacità di esistere con una radice in più, ben salda nel terreno dei giorni, e una comodità in meno: a partire dalla casa e dai rituali assurdi che vi si consumano: mobili e suppellettili al loro posto, ben puliti. E un’ipocrita foto appesa alla parete, del nulla.

    Ecco, Tash, qualcosa del genere. Più o meno.

    Grazie a te.

    fm

  20. miracoli di arminio.
    parla sempre di morte ma è scrittore vitalissimo.
    sono daccordo con chi pensa che il meglio lo dà quando parla di paesi.

  21. Io amo la solitudine, Alcor: lì parlavo del vuoto di essere e di parola a cui, in mancanza d’altro, si dà lo stesso nome: la differenza è che questa, l’autismo corale di Arminio, se vogliamo, più che creare legami, li recide: proprio perché quel vuoto ammantato di luci e di rumori esiste solo a partire da quel “taglio infetto”.

    Ti saluto, col piacere di rileggerti di nuovo qui in rete.

    fm

  22. arminio si mette in gioco.

    questo è il punto.
    perché gli altri scrittori lo fanno così poco.
    per mancanza di forze o di coraggio?

  23. Continuo a trovare poco più di riferimenti vaghi e mai approfonditi (stavolta Kafka), autobiografismo e luoghi comuni nei brevi scritti di Arminio postati su NI. Francamente, a me non ispirano mai alcuna riflessione questi scritti.
    Lorenz

  24. ….e solitudine è anche questo dire,mentre le mani accarezzano vento…….

    la solitudine ha mille volti,uno per ciascuno di noi.
    la non solitudine è stringere forte la mano a un moribondo.
    la solitudine è il deserto che ti fanno gli altri.
    la non solitudine è continuare a sperare che qualcuno ti ascolti.

    il tema o problema della solitudine è così vasto che necessiterebbe di
    più ampi spazi d’approfondimento .

    cari saluti
    jolanda

  25. da qualche tempo penso che l’idea della solitudine vista come richezza vada temperata da un’osservazione:entro i limiti.La morte ha senso in quanto è istigazione alla vita(verità solo apparentemente in contraddizione con l’affermazione di Popi Perani:”prima di passare alla storia è meglio passare alla cassa”)

    p.s. sulla “piccola grande mafia delle pompe funebri” mi piacerebbe tornarci.Coi ferri di campagna e il libro delle preghiere

  26. mi pare che i commenti delle donne siano più intensi.
    mi pare che arminio parli agli animi femminili, negli uomini e nelle donne

  27. L’uomo che sa riconoscere il lato femminile del suo essere,senza ombra
    d’ironia,è davvero grande.Ma quanti sono se ce ne sono?

    jc

  28. il lato femminile del momdo è dentro il mondo quindi dentro l’umanità
    tutta che fa parte del mondo.semplice.

    jc

  29. tanti spunti. direi nessuna cattiveria gratuita. la cosa importante è che la scrittura crei dei rapporti o almeno il fervore di poter avere e dare un pò di compagnia. rimetto ma mia mail: vediamo se ci ritroviamo. siamo naufraghi e forse non smetteremo mai di asciugarci. ma io ho bisogno di mano sulla fronte. senza questo bisogno trovo abbastanza inutile la scrittura letteraria. si può scrivere da filosofi, da sociologi, da giornalisti, ma è un’altra storia.

  30. non so se richiedevi anche la mia. ho ridotto il mio commento al minimo di parole possibili. spesso commento su N I per grande interesse sugli argomenti trattati, ma con poche parole. penso dipenda dal bisogno di testimoniarmi presente, seppur a lato.
    non riesco più ad avere le idee chiare su tutto. ho eliminato il più possibile il tasso di idealità in favore di quello dell’instabilità, e non so se ci ho guadagnato.
    ciao
    swprakash@libero.it

  31. Cari Tash e Fm,
    L’attaccamento alla vita di mio padre, fumatore incallito, era prodigioso. Fu il quarto tumore a stroncarlo (non smise mai di fumare). Si fece il più bello dei regali, morì nel suo letto, dopo una serata passata al bar con gli amici.
    Il giorno dopo, straziato di lacrime, portai le mie bambine a salutarlo, nella camera da letto della piccola casa dove sono cresciuto. Lo baciai e feci fare lo stesso alle bimbe.
    Quando arrivò, due giorni appresso (c’era la domenica di mezzo) la cassa da morto, fu vestito di tutto punto con l’abito che lui stesso scelse da vivo (quello che usò al mio matrimonio). Nella tasca interna della giacca, come promessogli per mesi, gli lasciai un pacchetto da 10 di marlboro.
    La morte continua a non avere senso, ma tutta quella ritualità mi aiutò a superare la perdita. E a ricordare la sua morte sempre con un sorriso sulle labbra.

  32. all’isola greca dove vado in vacanza c’è un’intensa, collettiva e drammatica partecipazione alla morte di ogni membro della comunità.
    lì davvero nessuno è solo, tutti sono seguiti da tutti e osservati e considerati e giudicati, ovviamente, in ogni loro azione, giorno dopo giorno, inesorabilmente.
    non parliamo poi dell’osservazione/giudizio sul comportamento sessuale dei singoli.
    ogni cosa che fai interferisce con l’azione/intenzione, ma soprattutto con gli interessi, di qualcuno.
    quando giri per il paese conosci tutti e tutti devi salutare e tutti ti salutano.
    in quel luogo di non-soli, gli odi sono furibondi e si manifestano in liti terrificanti in mezzo alla strada.
    il gioco delle alleanze e delle inimicizie è costante.
    forse è questo di cui ha nostalgia arminio?
    a me sembra una specie di incubo cui forse è preferibile la solitudine e l’anaffettività della metropoli, che ti nasconde e ti protegge.

  33. Franco Arminio scrive giustamente:

    “La nostra solitudine viene respinta, come se fosse un modulo non riempito correttamente, come se la scorrettezza consistesse proprio in questa richiesta d’accoglienza… Ogni integrazione si rivela insufficiente. Kafka è diventato ognuno di noi. Siamo detenuti da un potere ignoto che ci fa perdere il senso della vita e della morte, il senso di noi stessi e degli altri. La condanna consiste proprio nel cercare chi non c’è, nel chiedere a chi non risponde…”

    Se non che Kafka, come ogni vero artista, non cerca né chiede più, ma rinuncia definitivamente, e cerca in sé la compagnia e il calore che fuori di sé non può trovare.

    Un carissimo saluto.

  34. Siamo come “addormentati”…Prima o poi qualcosa o qualcuno di molto imprevisto, ci sveglierà e avrà lo stesso effetto della sveglia sulla radio col volume esageratamente alto. Bel pezzo

  35. non mi pare che siamo molto gli interventi che contengano domande.
    rispondo a t. che una domanda la fa.
    il tuo paese greco effettivamente somiglia molto al mio paese, a come era il mio paese fino a poco tempo fa.
    per raccontarne il cambiamento in effetti ho scritto molto (viaggio nel cratere, in primo luogo). non ho nostalgia di quel luogo e neppure ho desiderio della metropoli. direi che si deve cercare un’altra via. uno spazio in cui il senso della comunità non si muti in insolenza.
    sto costruendo in irpinia un’interessante esperimento che si chiama “comunità provvisoria”. facciamo delle cose insieme. domenica prossima andremo in un paese. siamo un centinaio di persone e altri verranno e alcuni se ne andranno.
    in fondo anche nazione indiana è un tentativo di costruire una comunità provvisoria.
    ultima, osservazione caro t:
    come mai se quell’isola è un incubo ci vai in vacanza?

  36. a dell’orco.
    è nota a tutti la frase di kafka sul “rimani a casa, stai fermo… il mondo ti verrà a cercare…
    inutile citarla per filo e per segno.
    quella frase come molte frasi degli scrittori esprime un desiderio, è un sogno.
    nella realtà le cose funzionano diversamente, almeno fino a quando si è vivi, almeno nella letteratura.
    dentro di noi non c’è niente.
    c’è una tragica illusione di tutto lo psicologismo occidentale.
    noi siamo qualcosa solo quando siamo protesi verso qualcos’altro.

  37. non mi parlate di metropoli, per favore.
    lec ittà andrebbero chiuse.
    gli uomini respirano ventiquattro ore al giorno
    e sono ventiquattro ore di veleno.
    non c’è proprio altro da dire.
    non andrebbero tolte le baracche da roma,
    ma almeno due milioni di persone e due milioni di macchine.
    senza questo sgombero non ha senso parlare di vita in città.
    in città c’è solo morte, e non la grande morte di cui parla arminio….

  38. @ARMINIO

    “dentro di noi non c’è niente.
    c’è una tragica illusione di tutto lo psicologismo occidentale.”

    calma, franco arminio, un’affermazione simile non può essere giustificata né dall’animosità, né dalla concisione.

  39. @Arminio

    Se dentro di noi non c’è niente,perchè non ci spariamo tutti ?
    io non la conosco,Arminio,ma parlare di solitudine è una cosa,
    affermare che siamo soltanto una tragica illusione è un’altra.
    se guardo dentro di me scopro e so infiniti mondi e non solo
    quando sono protesa verso gli altri.
    certe affermazioni se hanno l’intento di provocare al limite possono
    essere discusse,ma se sono o sembrano per lei una verità,mi spiace,
    ma sarà solo la “sua” verità.

  40. preciso, ma non ritratto, come fanno i politicanti.

    …non c’è niente nel senso che noi siamo un tubo vuoto, attraversato dal mondo.
    nel senso che non c’è niente di nostro. è proprio da questo attacamento a una cosa che non abbiamo la radice del nostro male.
    la letteratura in fondo è un educazione all’assenza,
    all’assenza che già c’è, che già siamo…

    l’aria nei polmoni non è nostra.
    la donna che pensiamo non è nostra.
    la lingua che parliamo non è nostra.
    quello che chiamiamo la nosra interiorità
    non è un luogo, non è una cosa
    come può esserlo una nuvola
    una rosa.

  41. io invece credo che il tubo è talmente colmo che ci permette di
    attraversare il mondo.punti di vista.
    e mi permette di parlare con il mio pensiero e non con quello di altri.

  42. @Arminio, hai scritto: dentro di noi non c’è niente.
    se così fosse, nulla ha più senso.
    è da dentro che parte la scintilla, il fuori alimenta…

  43. di una cosa sono certa
    non sono assente.
    il pessimismo fa bene ma
    attenzione
    se ci si ostina a -non vedere- al di là dei propri limiti
    nulla è concesso.

  44. Reintervengo su questo discorso di noi che siamo tubi vuoti.

    E’ molto bella questa immagine:

    tubi vuoti attraversati dal mondo.

    Questo significa jolanda che noi, in certo modo, siamo il mondo!

    E il mondo è in noi.

    Un soggetto leggero affinché il mondo possa lavorare dentro.

    Non crediate poi che le ultime scoperte e teorie scientifiche non stiano per dimostrare concretamente questa assoluta interdipendenza:

    stiamo per dimostrare scientificamente l’esistenza di Dio.

    Il fatto è che Noi ci identifichiamo con il saperlo, il mondo.

    E il Noi e l’Io in questo senso li vogliamo scrivere con la maiuscola.
    La consapevolezza del mondo che ci attraversa fa scrivere con letizia noi e io con la minuscola: che sollievo!

    La vita con un soggetto meno timoroso e ingombrante è di più non di meno: è il mondo stesso.

    Tanta solitudine in meno dunque.

    E se quando moriremo non sapremo più d’esistere nel mondo,
    lo saremo il mondo.

    Il problema della soggettività e del suo sapersi soggetto
    è il problema della solitudine e della morte.

    Un essere più leggero nella soggettività che si sente, come appunto un tubo vuoto, o un incrocio aperto al farsi del mondo,
    deve sollevarci dalla responsabilità pesantissima di opporci continuamente a quello che è fuori da noi (non franintendete non parlo di remissività).
    Quando dicevo che deve risolversi tutto in un semplice sorriso che dà e riceve, intendevo proprio questo e sono d’accordissimo con Arminio.
    Il sorriso è l’apertura del nostro corpo al mondo che deve attraversarci e di ciò che noi restituiamo ad esso per il solo fatto di sorridere.

    E nel mondo se ci site anche Voi, mi attraversate.
    E così io in Voi.

    Allora la solitudine del soggetto diventa lieta condivisione dell’essere.

  45. grazie Beppe per avermi SPIEGATO che il mondo siamo noi col punto
    esclamativo. noi siamo parte del mondo e in quanto pensanti lo attraversiamo e quando lo desideriamo forse ci facciamo attraversare.
    la rimando ai miei precedenti commenti. ma lei,Arminio,cosa intendete
    per mondo? tanto per interderci e non fare la figura di ignorantoni.

  46. e poi,Beppe è un nome come tanti altri.chi sei veramente?
    ma forse non ami i punti interrogativi.

  47. se uno quando intervenie dicesse anche dove vive e quanti anni ha e cosa fa nella vita
    credo che sarebbe meglio.
    per esempio pure io vorrei sapere qualcosa di più su beppe.
    io per esempio vi dico che faccio anche il maestro elementare
    e vi dico che oggi i bambini mi hanno chiesto l’autografo. me lo hanno chiesto perché ieri mi hanno visto a rai uno.
    c’è tutto un mondo per il qualche quello che facciamo non significa niente, ma se poi appariamo a rai uno la faccenda cambia.
    tra scrittori o aspiranti tali tira sempre un’aria in cui sembra il fiato degli altri voglia rubare il nostro.
    così non si viene a capo di niente e il tubo non è vuoto
    ma è pieno di niente.

  48. informazione pubblicitaria:
    su un sito gemello di questo “primo amore”
    oggi è comparso un mio testo sulla “questione rumena”.
    trovo vergognoso il comportamento dell’italia istituzionale e anche di moltissimi italiani, vergognoso e anche pericoloso…
    dovremmo ricordarci quello che abbiamo subito
    non molti decenni fa quando andavamo all’estero….
    questo discorso non è poi così lontano da quelli che si vanno facendo qui.
    dobbiamo proprio avere la forza di tenere insieme i discorsi. è un lavoro che sembra inutile, ma piano piano farà maturare i suoi frutti.

  49. all’inizio mi sono detta:diamo un commento,qui si parla di solitudine,
    l’argomento è vario e vasto,vediamo un po’ come si sviluppa.
    come un compito in classe.e invece lei Arminio poco ha tenuto conto
    degli interventi e ha tirato dritto per la sua strada fino agli ultimi due
    che proprio non si fanno leggere.gira e rigira è riuscito a tirare in ballo
    ciò che le premeva.cosa vuole che mi interessi dell’invidia tra scrittori
    o presunti tali o degli altri argomenti scritti affinchè la conoscessimo
    meglio nei particolari. sono alquanto delusa e sa perchè? perchè noi
    che rispondiamo a un vostro post,vi onoriamo con la nostra presenza
    senza la quale il post stesso scorrerebbe a vuoto.
    se poi le sue intenzioni erano tese a un che di umanitario,mi creda,alla
    fine tutto si è risolto in una bolla di sapone.o almeno è ciò che io ho
    percepito andando oltre le righe.

    cordiali saluti
    jc

  50. @arminio
    è un incubo sociale per chi ci vive.
    credo abbia anche lati positivi, soprattutto per le persone anziane che non vengono mai abbandonate.
    sono società in transito da una paleo-cultura tipologica all’incertezza della contemporaneità, dove niente è codificato e tutto cambia velocemente.
    io ci vado solo per le spiagge deserte e per molte altre cose.
    ci tengo poi a non sapere che qualche parola della lingua, così al caffè posso leggere senza dover capire e di conseguenza ascoltare quello che si dice attorno a me.
    anche lì tengo molto ad uno stato di indifferenza ed estraneità, come unica condizione decente per coesistere con l’umano dell’oggi e le sue atrocità culturali.

  51. @ARMINIO

    “dentro di noi non c’è niente.
    c’è una tragica illusione di tutto lo psicologismo occidentale…non c’è niente nel senso che noi siamo un tubo vuoto, attraversato dal mondo.”

    Allora, terra terra. Non è vero che dentro di noi non c’è niente. Ci sono le impressioni dei sensi, i ricordi, i desideri, le speranze, i sentimenti, i sogni, l’immaginazione, c’è il dolore e il piacere, fisici e spirituali, c’è il nostro autonomo pensiero, la nostra libera volontà. E, dato che ci sono tutte queste cose, noi non siamo quel “tubo vuoto” che l’ipocondria fa vedere ad Arminio, ma siamo innanzitutto un corpo – connesso a un mondo -, e una mente, uniti indissolubilmente.
    Ma già sento la risposta di Arminio. Ingenuo, mi dice, l’Io non è tutte queste cose reali varie e variopinte, ma l’entità che le ospita in sé, è la mente, la coscienza, un nulla appunto, “un tubo vuoto attraverso cui passa il mondo.”
    Ma la sua è l’ingenuità della non ingenuità, perché arriva a questo “tubo vuoto” dopo aver svuotato l’Io delle cose del mondo. Cosa priva di senso, perché non è pensabile un Io senza Mondo, né un Mondo senza Io. Questi due termini infatti non sono autonomi, esistono e sono pensabili solo insieme, simultaneamente, reciprocamente, poiché l’uno è la condizione di possibilità dell’altro e viceversa. Insomma, il Pensiero è sempre pensiero di Qualcosa, e il Qualcosa necessita del Pensiero per venire a coscienza. Non esistono e non sono mai esistiti l’Io da una parte e il Mondo dall’altra.

  52. mi permetto di scrivere quel che ho capito circa il “dentro di noi non c’è niente”;
    forse si capisce meglio dicendola così” dentro noi c’è il nulla”.
    mi pare molto vicino a un certo modo di origine buddista, che sostiene inoltre che tutto è un illusione della mente, che non è verità ma solo identificazione.
    43 anni, educatore – ambito “sociale”- veneziano.
    ci sono molti esempi scritti molto bene che argomentano quanto appena citato.
    certamente molto meglio argomentato di quanto on sappia fare io.

  53. segnalare un articolo non è un gesto brutto.
    commentare tutti i commenti è impossbile.
    ma io sono qui. l’ho detto più volte.
    preferisco avviare comunicazioni a tu e per tu.
    farminio@libero.it

  54. @sandro dell’orco
    dentro di noi “c’è il nostro autonomo pensiero, la nostra libera volontà”.
    autonomia di pensiero?
    libertà di volere?
    dissento: questa è pura immaginazione, il nostro pensare è prevalentemente tipologico, il nostro è un agire prevalentemente coatto e soprattutto etero diretto, cioè frutto di convincimenti indotti.
    il concetto di individuo è una chimera indotta, appunto, da chi ci vuole illusi di libertà.

  55. @ARMINIO

    Insomma, per esprimere in due parole la mia critica ad Arminio: l’Io e il Mondo non sono come la pentola e l’acqua che si possono separare. Se si separano svaniscono entrambi.

    Ma al di là della nostra differenza di vedute su temi di filosofia e critica letteraria, debbo esprimere anche qui la mia grande stima e ammirazione per la sua opera poetica e di artista “paesologo”.

  56. vuole dirci lo scrittore Armino perchè si fa postare un articolo su NI e poi
    cerca il rapporto a tu per tu nella privacy di una mail?
    troppo faticoso rispondere pubblicamente ai vari commentatori?
    qual’è lo scopo recondito ?

    sempre con cordialità
    jc

  57. Sembra che questa storia sia vera, e che le lettere siano effettivamente andate perdute. La storia riguarda Kafka. Le metto qui, senza nessun intento polemico. Il Kafka dentro ognuno di noi non è solo ciò che di Kafka comunemente è inteso come ‘fuori’ (nell’interpretazione mediamente diffusa): ciò che comunemente si è creduto di noi prima ancora degli altri è sicuramente ‘altro’. La morte, come la parola, è un dolore insopportabile. Ciao, Lorenzo

    Furono mesi felici. Kafka, che aveva sempre provato orrore per qualsiasi impegno sentimentale, stavolta vi si abbandona senza riserve. Tutte le sere esce a passeggiare con Dora in un parco vicino casa. Un giorno si imbatte in una bambina che piange. Kafka le chiede cosa è successo, e lei risponde che ha perso la sua bambola. Allora, per consolarla, lui inventa una storia. Le dice che la bambola è andata in viaggio.

    “Come lo sai?”, dice la bambina. “Perché mi ha scritto una lettera”, risponde Kafka. “Ce l’hai qui?”, vuole sapere lei. “No, mi dispiace”, risponde lo scrittore. “L’ho lasciata a casa, ma domani te la porto”. La sera stessa Kafka si mette a scrivere la lettera della bambola, con la stessa serietà che riservava alle sue opere. Vuole rimpiazzare l’oggetto perduto con una realtà che, d’accordo con le leggi della finzione, sia persuasiva e vera. Il giorno dopo legge alla bambina la lettera inventata.

    La bambola dice di essere dispiaciuta, ma si è stancata di vivere sempre con le stesse persone. Ha bisogno – dice – di cambiare aria, di farsi nuovi amici. Dopo questa prima lettera, Kafka scrive altre lettere immaginarie per tre settimane, finché non trova un finale appropriato: la bambola si sposa, è felice, e dice addio alla bambina.

  58. il problema di questa colonna è che non si sta vicini al fuoco con due o tre persone e si fanno girare le parole. siamo in mezzo alla strada. mentre si parla di una cosa arriva un’altra persona è dice tutt’altra cosa.
    comunque questo che una volta ho definito “bordello blog” a me interessa, mi aiuta a capire meglio l’autismo corale.
    invitare a una mail personale mi sembra non sia una cosa scandalosa. se la letteratura non serve almeno a dare l’illusione di essere meno soli , veramente è cosa ca cui si può rinunciare.
    riassumendo: chi scrive i pezzi è in cerca di amore.
    e chi li commenta anche.
    il problema, forse, è che cerchiamo le stesse e facciamo finta di cercare cose diverse.
    la mia l’ho già data.
    mi piacerebbe avere la mail di quelli che hanno commentato il pezzo e sono ancora qui a leggere.

  59. forse chi scrive i post e chi li commenta cercano la stessa cosa: amare ed essere amati.
    non mi piacciono gli intellettualismi fini a se stesso. io voglio trovare amici, pur nella nicciana conivnzione che non ci sono amici.

  60. forse chi scrive i post e chi li commenta cercano la stessa cosa: amare ed essere amati.
    non mi piacciono gli intellettualismi fini a se stessi. io voglio trovare amici, pur nella nicciana conivnzione che non ci sono amici.

  61. forse chi scrive i post e chi li commenta cercano la stessa cosa: amare ed essere amati.
    non mi piacciono gli intellettualismi fini a se stessi. io voglio trovare amici, pur nella nicciana conivnzione che non ci sono amici.
    grazie a lorenzo per il suo kafka

  62. Beppe, Beppe, Beppe e basta!

    cristiano prakash ha ragione jolanda, non io o pochi altri, ma la cultura orientale tutta e in special modo quella buddista hanno fondato la loro filosofia sul vuoto (Sunyata). Il concetto del bicchiere vuoto (o tubo vuoto) per farsi continuamente riempire non è un concetto soltanto ‘arminiano’ ma, come vedi, di un’intera civiltà là in Tibet.

    Poi, anche la recente filosofia occidentale, inutile che lo ricordi, ha parlato lungamente della crisi del soggetto e negli ultimi anni non in senso esclusivamente ‘nicciano’.

    Ma davvero si pensa che la volontà riesca perfino a fondare se stessa? Concordo in questo senso con tashtego.

    CONCLUSIONE:
    quello in sostanza che volevo dire che sarebbe interessante e ‘migliore’ anche in senso funzionale ripensare se stessi. Un atto creativo che avrebbe come oggetto se stessi.
    Ripensare la propria identità a partire da un mistero. Noi stessi non siamo prettamente noi ma un’appendice del tutto.
    Qualcuno lo chiama Dio, io lo chiamo Mondo (oppure cosmo). La scienza sta dimostrando l’estrema interdipendenza della materia e dell’energia in ogni parte dell’universo. L’estremo ‘tutto’ del così detto bulk della teoria delle stringhe.
    E’ per questo che ho detto tra il serio e il faceto che proveremo scientificamente l’esistenza di Dio.

    Credere che siamo così come la cultura occidentale ci ha trasmesso da secoli è soltanto un’opinione.

    Meglio cambiare, no?

  63. Errata corrige:

    non ‘ma la cultura orientale tutta e in special modo quella buddista hanno fondato’
    ma ‘ma la cultura orientale tutta e in special modo quella buddista ha fondato’

    non: ‘quello in sostanza che volevo dire che sarebbe interessante e ‘migliore’… ‘
    ma: ‘quello in sostanza che volevo dire è che sarebbe interessante e ‘migliore’…’

    Scusate…, la foga.

  64. Insomma, riassumendo, da quello che ho capito leggendo qui fino ad ora, Arminio scrive i post qui perchè è depresso, si piange un po’ addosso, fa la vittima del mondo crudele tirando in balla Kafka, ma in realtà vuole essere amato e cerca amici, anche se è comunque convinto che niccianamente l’amicizia non esista, disperatamente parlando “dentro di noi non c’è niente”, e neppure la morte è più liberatoria perchè uno che si uccide a fare se poi chi viene al funerale parla di multe e di politica e non si dispera per la sua scomparsa? E in più non gli interessa nulla di tutti gli intellettualismi fin qui espressi. Arminio cerca amici! Amiciiii!! Ecchecavolo! E noi qui tutti a disquisire di letteratura e filosofia e dei massimi sistemi!
    Arminio, io non la conosco nè personalmente nè per quello che lei ha scritto altrove, ma solo per quello che ho letto qui da ieri, quindi forse mi sbaglierò, ma parlando da essere umano ad essere umano come lei auspica, credo che forse con altri mezzi, in altri luoghi e soprattutto forse modificando qualcuna (molte)delle sue opinioni riguardo ai modi di avere amore ed amicizia, lei potrebbe ottenere qualcosa di più.
    La saluto cordialmente.

  65. Perchè Kafka? Non capisco davvero cosa c’entri Kafka con il resto del pezzo. Mi sembra molto psicologistica questa citazione di Kafka. Molto idiosincratica, parto di un’idea privata di Arminio su Kafka che ha poco a che vedere con il Kafka oggetto di studio e di analisi critica.

    Il pezzo non mi pare neanchè un po’ kafkiano. E poi si compie il banale errore di scambiare l’autore per i suoi personaggi e i suoi scritti. Ma questo è perdonabile.

    Tuttavia il pezzo di Arminio mi sembra una lamentela, per fortuna breve, che contiene un incredibile inventario di luoghi comuni letterari e non. Quello del funerale poi l’ho già sentito un migliaio di volte, forse una volta anche a un funerale…

    Mah…

  66. sono qui. ovviamente, autisticamente, non risponderò a nessuno.
    andando avanti i commenti perdono aderenza al testo iniziale.
    i pezzi che vado scrivendo su nazione indiana fanno parte di un libro che vado scrivendo che si chiamerà
    autismo corale.
    adesso è notte inoltrata e io sono sveglio almeno da trent’anni.
    come fa a parlare tranquillamente uno che non dorme da trent’anni?
    il senso della faccenda è tutto qui. in questo mio affanno che più cerca ristoro e più si dilata.
    la colpa, è chiaro, è solo mia.

  67. Essere amato è un’imposta e una invadenza ke proprio nn sopporto!
    Ma xkè nn si fanno, gli altri, gli affari loro?

  68. @ Max Brod

    Sono d’accordo con te. Quello che hai detto il 6 Novembre 2007 at 01:48 è quello che ho detto io, con altre parole, il 5 Novembre 2007 at 08:59.

  69. Arminio, avanzerei qualche dubbio su un tuo generale desiderio di mail, la mia per esempio ce l’hai, perché un anno o due fa ti ho spedito, se non ricordo male, una fotocopia di qualcosa che riguardava Burton, forse un pezzo di Starobinsky. Tu hai detto grazie, ma non mi sembravi tanto desideroso di comunicare, sei selettivo, come tutti, e cerchi le anime affini.

  70. Alcor avrei lo stesso dubbio.
    Inoltre degli amici di penna così prolissi e noiosi non la tirerebbero su di morale caro Arminio: è una causa persa in partenza, sarebbe come portare un aspirante suicida in gita sul ponte della ferrovia. Qui son tutti scrittori che grufolano nelle disgrazie, girano con un drappello di spettri sulle spalle, aspiranti poeti che a furia di aspirare hanno raggiunto lo stesso effetto della candela accesa sotto un bicchiere, poetesse con il peplo viola della sfiga cosmica. Lei ha bisogno di carezze, torte di mele, farsi delle belle risate al sole d’inverno, o anche nella nebbia. Con nuuvolette di vapore che escono dalla bocca. Nelle parole, massimamente scritte, non c’è briciola e sospiro di tutto questo. Spesso ci sono anche interessi non molto onorevoli. Pillole di piaggeria. Favori da chiedere o ottenere.
    Che curiosa cosa, poi, stimarla come poeta non le basta. E ha ragione. E ha il coraggio di dirlo.
    Abbia la mia umana tenerezza e stima.

  71. alcor rimandi la tu mail che ti scrivo.
    intanto mi è piaciuto molto il post della zia.
    veramente ben scritto.
    anche in questo caso urge mail.
    per il resto anche questo giro si avvia malinconicamente alla fine.
    poco fa mi sono goduto mezz’ora di sole.
    anche la disperazione ha le sue debolezze.
    f.a.

  72. PRIMA COSA:
    SECONDO ME ARMINIO RIESCE A METTERE INSIEME NELLA SUA PAGINA DUE SCRITTORI DIVERSISSIMI, CELATI E PASOLINI.
    SECONDA COSA:
    QUESTI ARTICOLI CHE ARMINIO PUBBLICA SU NAZIONE INDIANA NON SONO IL MEGLIO DELLA SUA STERMINATA PRODUZIONE. LI SCRIVE NEI SUOI MOMENTI DI DEBOLEZZA. L’ARMINIO GRANDE è QUELLO PAESOLOGICO.

  73. tutti gli uomini per esistere hanno bisogno di essere incoraggiati.
    incaraggiate i primi e gli ultimi.

  74. mentre arminio si affanna
    i politiici diventano sempre più ignoranti e avidi
    la televisione fa schifo
    e i giornali altrettanto.

  75. Ciao Chapuce! quando ci facciamo vivi noi di solito il post lo chiudono. kissà xkè poi. :-)

  76. E’ vero che c’è solitudine. Dopotutto che ognuno è solo non è neppure una grande scoperta. Mi sembra persino un’ovvietà. Ciò che (pur essendoci già noto) tuttavia ci sorprende SEMPRE è tutto questo ‘guardarsi in cagnesco’. Che è poi il tratto kafkiano (e ancorché dantesco) del discorso di Franco Arminio. Questo permettersi quasi solo rapporti ostili e falsi, salvo poche clamorose eccezioni. E scoprire effettivamente che anche l’amicizia è una chimera, una forzatura di interpretazione di relazioni in genere di convenienza, perseguiti in virtù dell’utile. Questo autorizza quasi sempre ai tradimenti, quelli tra amici (non c’è spazio qui per i tradimenti coniugali che sono di tutt’altro segno e senso) – decisamente la porcheria più immonda, tradire un amico, farne ostaggio di manovre e cure proprie, rimescolarlo in gruppi più larghi e lì lasciarlo a dar di bracciate per non affogare mentre tutti gli estranei nelle cui fauci lo si è abbandonato non fanno che provare a dargli botte in testa. Ci sono sedicenti amici che si comportano esattamente come i noti scafisti – ti mollano ben al di qua della riva sapendo non tanto che non sai nuotare ma che tutto ti sarà avverso e il tuo saper nuotare non ti basterà. A chi non vedeva il ‘kafkianesimo’ oggettivo del pezzo di Franco Arminio vorrei suggerire appunto questo punto di vista.

  77. La solitudine può aggredirti all’improvviso, può stritolarti silenziosamente, puoi accettarla o andartela a cercare, alle volte si accentua, alle volte si attenua, puoi subirla e puoi regalarla, può essere una scelta consapevole o inconsapevole, ma non puoi condividerla con nessuno. E’ unica e tutta per te.
    Disse qualcuno, e chi si ricorda chi, qualcuno mi aiuti: il consiglio richiesto di solito non è ben accetto, quello non richiesto è senza dubbio un’insolenza.
    Prova Arminio, ad intraprendere un processo di autoanalisi. La sera, quando ti stendi a letto, pensa a chi hai incontrato o potuto incontrare, a ciò che hai detto o avresti potuto dire, a ciò che hai fatto o avresti potuto fare. Scova degli errori o omissioni nei tuoi gesti, nelle parole dette, nell’espressione della faccia e nel tono di voce. Analizzali e ipotizza una soluzione diversa, adattandola alla situazione presa in esame, e domandati: funziona meglio così? Tutte le sere con ostinazione, fino all’una, alle due, alle tre del mattino, fino a che non scivoli nel sonno pensa alle cazzate che hai fatto. E se avresti potuto senza grossi sforzi eliminarne qualcuna. La mente ringrazierà dell’allenamento, memorizzerà il lavoro fatto e la tua persona lentamente ne trarrà benefici. Provare per credere.
    Hai 118 (azz! me ne accorgo ora, niente ambulanza non è necessaria!)commenti, quasi tutti interpretabili o evidentemente a tuo sostegno, dai che ce la fai.
    Pensa solo a 15 anni fa. Niente internet, niente blog, niente mail. Ora hai sempre una possibilità.
    Perdonerai l’insolenza, spero.

  78. io per la scrittura ho trascurato molte cose.
    ho quarantasette anni. ne ho passati trenta a leggere e scrivere. adesso, purtroppo, più a scrivere che a leggere.
    spero di tornare, se sono ancora in tempo, a una postura più pacata.
    forse così è più facile accogliere ed essere accolti.

  79. caro farminio
    “esistere è un’inclinazione ( anche tentazione dai ) che non dispero di fare mia” (sempre cioran :)
    se anche io avverto, come te, quest’autismo corale, non posso che prendere atto di essere andata un po’ oltre e andare un po’ oltre è fonte di grande pace, a volte, ma anche di grande dolore, un dolore che diventa autistico nel mentre il mondo non mi parla più ed io non parlo più a lui.
    di chi la colpa? del mondo?
    mia?
    siamo poveri esseri farmì, io sono il mondo perchè lo guardo con i miei di occhi, che non sono i tuoi.
    possiamo incontrarci solo in un atto di fede, di fiducia che poi altro non è che amore.
    sono un’autistica consapevole di esserlo e faccio pochi danni, anzi a volte
    faccio proprio bene alle persone.
    la morte spaventa più chi non la pensa di chi la pensa spesso.
    portarsi dentro la morte dà significato profondo, “sacro”, alla vita.
    le tue sono parole accorate e mi fanno tenerezza, sono le parole di tutti ed è per questo che turbano.
    beh, dopo sto filippone ti abbraccio e mi congratulo per la tua forma perfetta. insomma, ti trovo bene :)
    baci teneri
    la funambola

    p.s. la MAIL PERO’, NON TE LA DO’! :))))

  80. …però farminio, sei ancora lontano dal pensiero rotondo, quello che puoi leggere partendo dalla fine, di più, da un punto a caso.
    così, è una pensata che mi è venuta… d’acchito :)
    sempre baci e abbracci
    la fu

  81. Ciao Franco, un saluto affettuoso, ti scrivo appena posso. Franco scatena sempre come un catalizzatore un pensiero connettivo, un sentimento

  82. arminio dovrebbe togliersi di lì.
    andarsene da un’altra parte.
    un posto di mare, metti.
    sabaudia.
    praia a mare.
    linosa.
    roccella ionica.
    tor san lorenzo, i due pini.
    sono solo esempi.
    al mare non servono amisci.
    solo, eventualmente, soldi per una barca, per un fritto misto in un ristorante con vetrate di anodino alluminio anodizzato.
    al mare ai funerali non ci vai, perché il mare la vince su tutto.

  83. t.
    hai profondamente ragione.
    fino a quando starò in questo paese potrò solo scrivere
    e quindi se resto qui vuole dire che in fondo io voglio solo scrivere.
    vivo nel luogo in cui il vento spira da cinque lati.
    il quinto è quello del thanatos e viene da sotto, dalle crepe di una terra aspra e rotta.
    io sono uno scrittore crepato, sono il cratere di un terremoto senza fine.

  84. Avevo scritto un commento e non ha preso.

    Ricopio almeno la citazione di Blanchot:

    “Uno scrittore che scrive “Sono solo”, o come Rimbaud: “Sono veramente d’oltre tomba”, può venir giudicato quasi grotesco. E’ grottesco prender coscienza della propria solitudine rivolgendosi a un lettore, e con mezzi che impediscono all’uomo di essere solo. La parola “solo” è diffusa come la parola “pane”. Non appena la si pronuncia, si evoca la presenza di tutto ciò che essa esclude. Tali aporie del linguaggio sono prese raramente sul serio. Basta che le parole svolgano il loro compito e che la letteratura continui ad apparire possibile. Il “sono solo” dello scrittore ha un senso semplice (nessuno accanto a me) che l’uso del linguaggio contraddice solo in apparenza.”

    Come vedi, caro Max Brod (che per l’appunto non è Kafka) sarà anche roba vecchia, ma sempre vera e materia di scrittura.

    E adesso spero che non esca due volte, nel caso, mi scuso.

  85. caro Arminio, di cui sempre apprezzo la scrittura al di là dei dettagli autobiografici, l’ultimo suggerimento di Tashtego non è male, ma non trascurerei le torte di mele della zia Zoraide, dammi retta che so quel che dico. Davvero talvolta la vita è formata e informata da cose che sembra superficiale considerare importanti.

  86. cara alcor
    sono stato un lettore di blanchot.
    forse letto a bisaccia non è la stessa cosa che leggerlo altrove.
    mandami qualche tuo consiglio di lettura

  87. @Alcor @Arminio

    Che uno dica ” sono solo” o “sono uno scrittore crepato, sono il cratere di un terremoto senza fine” interessa o meno a seconda da dove lo dica. Se lo dice nella realtà è una banalità. Se lo dice nella rappresentazione può non esserlo.

  88. torno da un piccolo giro nella parte nuova del paese, quella dove abito. mi ero stancato di stare davanti al cmputer. per strada lieve sensazione di disagio intorno al cuore. i medici dicono che è il reflusso, io penso alla morte, penso con pena al mio cuore che batte per me senza che sappia fare niente per lui. ho fatto alcune fotografie. una stanca cattura du muri e finestre. il cielo era bello, senza il cuore, mi sono detto, potrei anche vivere in questo paese. mi ha salutato una donna che ha un negozio di alimentari: mi dice che con certe persone non si vede da anni. ognuno si sente chiuso dentro la sua casa. tutti fermi, bloccati. qui gira solo il vento, qui girano solo le nuvole. sono tornato qui. ho aperto questa casa provvisoria che questa colonna di commenti. tengo le chiavi e le avete anche voi. sieti ospiti liberi di fare quello che volete, entrare e uscire, parlare a me o tra di voi. fra poco in questa casa il piccolo fuoco della conversazione sarà spento. tuttofinità in un’invisibile urna elettronica. io continuerò a pensare al mio cuore, continuerò a immaginare la mia morte, ormai è il mio modo di andare avanti. io parlo da qui. raramente, e lo dico con tutta la sincerità possibile, riesco a sentire da dove parlano gli altri.

  89. Arminio scrive con una naturalezza IMPRESSIONANTE, ma si trova a scrivere in un mare in cui tutti scrivono. la sua sofferenza non c’entra niente e neppure i temi che tratta. quello che conta è solo la scrittura. Arminio non può aiutare nessuno e non può essere aiutato da nessuno, ma la sua scrittura è ENORME

  90. “io parlo da qui. raramente, e lo dico con tutta la sincerità possibile, riesco a sentire da dove parlano gli altri.”
    eh sì, è questa la virtù non esportabile…
    un abbraccio alla zia Zoraide dalle dolci mele

  91. Autismo corale? … mi interessa.
    Parlare con i nastri registrati degli altri? … Ce l’ho.
    Non è la sensazione di freddo che mi trapassa quando mi pare di aver detto qualcosa e invece ricevo indietro solo ancora lo stesso nastro? Non è quando non riesco ad arrivare al punto (in senso ortografico) senza essere interrotta? Non sono gli occhi di vetro che non guardano nulla? A pensarci,qualche persona che considerai speciale mi colpì in primis per la trasparenza e la naturalezza del guardarmi proprio negli occhi! Quasi nessuno mi guarda negli occhi.

    Quanto alla letteratura che serve a dare l’illusione di essere meno soli: sì. Lamento da anni la solitudine del lettore che non può condividere le sue letture: può non sembrar tragico, ma fa male anche quello. Parecchio, a me.

    La solitudine del non essere ascoltata mi dilania; la solitudine della stanza con il cielo e i libri mi salva la vita in continuazione, da anni.

    “talvolta la vita è formata e informata da cose che sembra superficiale considerare importanti”. Questa è una perla. E poi la zia Zoraide è saggia: c’è molta saggezza in una torta di mele.

  92. @ dell’orco

    beh, è ovvio che lo dice in quanto scrittore, perciò …

    @Arminio

    Passi falsi, Garzanti 1976.

    Avevo copiato un altro frammento, ma evidentemente se ci metto un po’ il commento si autodistrugge.

  93. Sempre Blanchot:

    “Lo scrittore non è libero di essere solo senza esprimere che lo è”

    Questo per @dell’orco, perciò inutile invitarlo a far altro, lo dice nella realtà, certo, nella realtà della scrittura, che è la realtà che gli è propria. Lo scrittore meno degli altri dismette la proprio natura di scrittore quando passeggia o dorme o mangia, può farlo forse in parte il vasaio, lo scrittore mai.

  94. C’è solitudine e solitudine. Quando è destino è carattere, cioè con-forma l’ontologia dell’osservatore

    Un pensiero puro e cristallino si forma vivendo rigorosamente isolati, immersi in una profonda solitudine. E’ la fatica, il piacere e la gioia di attendere l’arrivo di un pensiero non macerato dai condizionamenti psichici. Nulla però esclude il rapporto con gli altri, l’osservazione del mondo delle cose e degli uomini, il gusto della conversazione senza spirito di discussione, accompagnato da sequele di risate o stupefazioni, mai lezioni.

    Ci sono quei pochi, come diceva Holderlein, che sono costretti ad afferrare il fulmine a mani nude.

    In uno dei tre casi abita Arminio.

  95. cara alcor
    è vero
    io non dismetto mai la mia natura. è come se facessi lo scrittore anche quando faccio sesso.
    caro luminamenti
    certe volte quando parlo agli altri è come se dicessi loro: andiamo, andiamo insieme a prendere
    il fulmine a mani nude.
    è naturale che non viene nessuno.

  96. è vero
    io non dismetto mai la mia natura. è come se facessi lo scrittore anche quando faccio sesso.
    caro luminamenti
    certe volte quando parlo agli altri è come se dicessi loro: andiamo, andiamo insieme a prendere
    il fulmine a mani nude.
    è naturale che non viene nessuno.

  97. Arminio sono quattro giorni che leggo e rileggo qui e penso a cosa dirti. Tu pensi che le altre persone non ti abbiano a cuore e sei così concentrato su te stesso, sul tuo cuore a disagio e i tuoi pensieri di morte che non riesci a sentire non solo da dove parlano gli altri, ma neanche cosa ti dicono, e già sei pronto a seppellire questa urna elettronica con tutti i suoi commenti in fondo al nulla. Come non ci fosse stata.
    E allora parole semplici: vai via di là: torte di mele, fritto misto, sole in faccia, mare da guardare, aria da respirare, quattro risate, due parole con qualcuno ma ascoltandolo davvero. Altro che autismo corale. Tutte palle. L’autismo c’è se tu sei il primo autistico.
    Cazzo Arminio ma che ci fai in un paese di due anime a sentire il vento che ti soffia attraverso e a coccolarti pensieri di morte. Il mondo è grande. Altri paesi, altra gente, altre cose da osservare. Paesaggi, piante, odori, colori. C’è molto altro da vedere e da fare. E da scriverci sopra pure.

  98. Cara Zoraide, prendo il coraggio a due mani e mi permetto di scriverle qui. Spero Arminio mi scuserà se approfitto del colonnino. Avrei bisogno di un quattro-cinque torte di mele per il mio imminente compleanno. Sa, sono 47. Morto che parla, sì. Come? Sì, me le può pure spedire. Le do la mail krauspenhaar@fastwebnet.it

    Grazie infinite, che Dio la protegga!

  99. anch’io ne vorrei un paio di torte ma se la zia mia vuol dare la sua di ricetta io le sarei ancor più grata
    che a me, le torte, di mele, vengono che è una meraviglia.
    però la mail non la dò via così :)
    baci
    la fu

    p.s. farmì, “guarda” quante entità ti vogliono bene, dai, non fare così :)

  100. …e poi, prendere il fulmine a mani nude, beh, in effetti non è proposta molto allettante, il fulmine è pericoloso nè, insomma, mica tutti sono elettricisti.
    vabbè si fa così, per dire due paroline.
    baci
    la fu

  101. ieri sera mi sono letta tutti gli interventi!
    caro Arminio, godiamo della nostra terra
    finchè lei ci trattiene!
    L’amore arriverà, abbi fede….
    io ho ritrovato un’amica ieri, ed è stato un fulmine sì, mi ha scombussolato il corpo dei ricordi, ed ora mi sento viva più che mai,
    viva di quel sentimento che credevo smarrito per sempre.

    ciao
    Chapuce

  102. Aggiungerei, caro Arminio, collegandomi al commento di straelena: altri paesi, altra gente, altre cose da osservare. Paesaggi, piante, odori, colori. Non solo: concerti, teatri, sport, recitazione, passeggiate in mezzo alla gente, partite allo stadio, ristoranti affollati. Un pò di pressione di corpi, percepire di esserne un pò in balia, bagnarsi di folla. Faticare correndo o ripetendo un esercizio ginnico. Riprendere contatti con i rumori, con i sapori, con i sudori, con le vaste distese di gente. Ehi, siamo sei miliardi, e anche tu nei fai parte!

  103. (fk proverò a spedirle le torte via mail, ma temo che via cavo arriveranno sotto forma di onde elettromagnetiche, però può chiedere allo Sparz Gordon, che tutto può, di ricostituirgliele nella forma originale. Che Dio protegga anche lei, ammesso che non se la sia presa troppo dopo tutti quegli improperi che ha incautamente messo giù, là sopra, con quel Lucignolo di effeffe. Io in quel thread lì non mi azzardo nemmeno ad entrare. Per arrivare sano e salvo al suo 47° genetliaco, cammini lontano dai cornicioni e stia attento ad attraversare la strada. Intercederò per lei con Giove&Jahvè.)

    (Funambola io la ricetta non la do via così… ;) e poi vado a occhio, come in tutte le cose: un tot di burro, un mucchietto di farina, un pugnetto di zucchero, alcune uova, impastare per non so quanto, qualche mela, un po’ di cannella, tagliare le mele a fettine spesse un quid, mettere in forno per quanto ci vuole…)

    Arminio guardi che conosco un vecchietto che dopo essere stato attraversato da un fulmine, prevede il futuro, dà un mucchio di consigli per le semine e i matrimoni e cura il mal di testa imponendo le mani.

    Volevo dire a Dell’Orco che a volte, in parecchi casi, la solitudine racconatat dagli scrittori è molto ma molto più banale di quella dei “normali”. Gli scrittori non sono tutti dei Re Mida che quel che toccano trasformano in oro, ci sono anche quelli che di quel Re hanno la prerogativa di trasfomazione del finale della storia.

    Dirò di più: uno è scrittore anchè prima di esserlo, a volte, e anche senza esserlo. E quando scrive, e l’urgenza si manifesta nei momenti più impensati, riconosce negli anni, magari molti, in cui non ha scritto, le stesse stigmati.

    Infine, Alcor, la abbraccio, lei che ha questo pensiero magico applicato al computer. Si autodistruggono cose così spesso.

  104. chi mi consiglia di andare via
    ignora che forse io qui rappresento qualcosa per alcune persone. lo so, nessuno è indispensabile. ma io non vivo solo in rete.
    svolgo un’intensa attività poliitca, in forme anche inedite.
    vi siete fatti un pò l’idea dello scrittore inconpreso. io sono in questo momento forse l’unico scrittore comunitario che c’è in italia.
    nel senso che sono molto presente nella vita della mia provincia.
    questo non lo dico per vantarmi, ma perché è la verità.
    quindi andare via sarebbe la vera scelta autistica.
    che ci faccio davanti al mare.
    io non ho mai pensato alla vita come una cosa da godere.
    mio padre e mia madre mi hanno insegnato in ogni modo a non godermela la vita e sono entrato nell’età in cui si somiglia in modo irreversibile ai propri genitori.
    f.a.

  105. armì. a sto punto che ti devo dire? stai lì a soffrire se vuoi vivere ancora degli insegnamenti e dei condizionamenti di mamma e papà, se hai deciso che sei troppo vecchio per cambiare e se vuoi continuare a svolgere il ruolo che ti sei assegnato e nel quale ti senti sicuro.
    Ma non avevo dubbi fin dall’inizio del tuo pezzo: tu non cercavi risposte, suggerimenti, comprensione, amore e amicizia.
    Tutte queste cose implicano scambio e cambiamento, tu invece chiedi e chiedi e chiedi e chiedi, ma non hai alcuna intenzione nè di scambiare nè di cambiare. Ognuno sceglie la sua strada.
    Un saluto, comunque.

  106. La solitudine di questo tipo non si cura mica andando a San Remo a svernare con il plaid sulle ginocchia.
    Per “l’inverno del nostro scontento” non c’è sole che tenga.
    Con tempo e fortuna ci si attrezza per una sensazione di sole dentro.

  107. cara zia
    bella l’immagine di san remo.
    non vero straelena che non voglio scambiare, non è vero, credimi.
    e non sono un figlio di papà.
    le parole, tutte le parole, sono travisabili.
    oguno sceglie la sua strada , dici
    ma si potrebbbe anche dire
    nessuno sceglie la sua strada
    e la frase sarebbe ugualmente vera

  108. Quattro uccelli giocano a poker. Il cartaro chiede al primo di mano: “E tu che fai?” E quello: “Cip.”

  109. Cosa vuol dire “non mi esce niente”? Non deve uscire niente infatti, è solo un indirizzo, se vuoi scrivermi a quest’indirizzo le tue mail mi arriveranno e io le leggerò. Se invece clicchi sul mio nome in blu dovrebbe uscire il mio blog, credo, anzi adesso provo.

  110. oggi pensavo che ho la sensazione che ci siano pochi meridionali su questa colonna di commenti.
    e pensavo anche che a parte l’irpinia a sud io conosco pochissime persone.

  111. “”io non ho mai pensato alla vita come una cosa da godere.”” Credo che questo sia il problema fondamentale: mai? Proprio mai? Non dico ogni momento, ma – cioè – come si diceva una volta – qualche volta ci si potrebbe spericolare a farlo.
    (Guardate la zia Zoraide col suo fare da nulla come si tiene stretta la sua ricetta………)

  112. Arminio,forse volevi dire: pochi italiani nati nel meridione.
    tutto questo tuo dire impastato di negatività,di pessimismo,di VOLERE a
    tutti i costi trovare amicizia,lo trovo quantomeno fuori luogo e per nulla
    credibile.per me,o ci sei,o ci fai.ma il succo non cambia.
    forse stai incubando qualche scritto e cominci a calarti nel personaggio.chi è veramente solo triste e disperato,ha ben altri atteggiamenti col prossimo.
    jc

  113. “Gli altri ci dicono in continuazione che non ci vogliono essere…”

    Questo continuo accusare gli altri. Questo continuo ripetere e sottolineare che sono gli altri a non esserci. Urlare al mondo la propria mano tesa e contemporaneamente ignorare quella degli altri. Questo mi sembra Arminio.
    Pretendere una pacca sulla spalla senza vedere le lacrime di chi sta al fianco. Arminio parla di solitudine, io parlerei di egoismo…o di egocentrismo. Io dico basta allo staticismo e alla passività di certe denunce. Il mondo non è solitudine ma è condivisione nei modi e nei tempi più disparati ma che esiste, basta solo andarle incontro e non aspettare sempre che venga essa a noi

  114. caro franco,
    io sogno ancora il giorno in cui asciugherai tutte le parole e non avrai paura di farle morire. e le lascerai oltre il cerchio in attesa della primavera.
    qui sempre bici e tante foglie.

  115. cara claudia
    ma qui c’è un equivoco grande.
    io faccio molte cose insieme alla gente: la prossima sarà domenica
    e per vedere di cosa si tratta potete cliccare qui
    http://altairpinia.blogspot.com/
    credo di avere fatto anche del bene a tante persone nella mia vita e di non aver mai deliberatamente fatto il male di nessuno: sono un egocentrico corale, non un egoista…

    cara i.c
    si, in un certo senso queste cose mi servono per il libro sull’autismo.
    un’oretta fa ho avuto per un attimo l’idea di buttarmi dalla finestra della scuola. disperazione assoluta. adesso già sto meglio.
    posso arrivare sul fondale e risalire asciutto in superficie
    questo è un mistero anche per me

    cara e
    riconosco il tuo stile, avrei gradito una tua lettera privata ma va bene anche così, mi basta questo cenno.

  116. ke delusione :-(
    Qualche riga + in su ho citato un estratto d’una lirica di un premio Nobel x la letteratura (Dario Fo), e manco di striscio.

  117. ciao Sergente!
    Oggi ammiravo i colori dell’autunno,
    la tristezza si dilegua
    di fronte a tale bellezza!
    C.
    :-)

  118. Froid invece di fare l’avvocato del diavolo perchè non ti fai un mucchio di
    affari tuoi? se la mia scrittura non ti piace non la leggere.
    Non tutti sono maghi del web e non tutti hanno il senso estetico che hai tu.io sono rozza antiestetica e anti stupidi.alla larga.

  119. “Froid invece di fare l’avvocato del diavolo perchè non ti fai un mucchio di
    affari tuoi? se la mia scrittura non ti piace non la leggere.
    Non tutti sono maghi del web e non tutti hanno il senso estetico che hai tu.io sono rozza antiestetica e anti stupidi.alla larga.”
    Se ne leggono tante di cose rozze, questa qui è un esempio perfetto di rozzezza.

  120. così va bene?
    gerasimPosted8Novembre2007at20:12|Permalink“Froidinvecedifarel’avvocatodeldiavoloperchènontifaiunmucchiodiaffarituoi?selamiascritturanontipiacenonlaleggere.Nontuttisonomaghidelwebenontuttihannoilsensoesteticochehaitu.iosonorozzaantiesteticaeantistupidi.allalarga.”Seneleggonotantedicoserozze,questaquièunesempioperfettodirozzezza.

  121. caro sgt pepper mi dispiace per la mail delle 20:12, ma quando ho letto “alla larga” mi è scappata
    io credo che dietro questi nomignoli – o nick name che siano – ci stanno delle persone che vogliono scambiarsi delle parole
    è qualcosa di assai straordinario una cosa come questa
    persone lontanissime che si scambiano delle parole
    ecco, era questa qui, di nuovo scusa dunque

  122. come omaggio a chi è rimasto…..
    una poesia del 1981

    in mezzo alle rovine c’è un pallore
    aperto, disperato.
    tutta la famiglia si stringe
    intorno ai vetri
    della cristalliera dentro
    le tazze tra le ceramiche
    e le bomboniere.

  123. Arminio, ho capito niente della tua poesia. Mi sembra + un indovinello. Spiega.
    Gerasim, il blog lo prendi troppo sul serio; pure jolanda nn scherza.

  124. Sgt. Pepper ha ragione da vendere… metta su un banchetto e faccia prezzi modici.

    (per inciso a me la poesia ha fatto venire in mente quando dopo un terremoto o un crollo, bombe irakene comprese, ma anche un lutto, una casa vuota dopo un lutto, e restano oggetti o intatte certe parti di un edificio fra le macerie, cose consuete e scampate, che mantengono un loro ordine e senso nel caos e nel dolore, malgrado tutto, fra polvere, lacrime anche, e ad essi sta ancora attaccata tutta la vita di prima con tutte le sue cose banali, di cattivo gusto anche, brutte, ma che assurgono ad una specie di altare laico)

    Arminio

    “un’oretta fa ho avuto per un attimo l’idea di buttarmi dalla finestra della scuola. disperazione assoluta. adesso già sto meglio.”

    Angeli con ali spettinate dicono che con tutto quel vento irpino per trattenerla occorsero evoluzioni di volo da salto mortale carpiato, cabrature da Frecce Tricolori.

    Si butti in nidi di poesia, l’atterragio è sempre morbido.

  125. achcz Zoriade, son sicuro ke riesci a trovarci poesia anke nella lettura della bolletta dell’ENEL.

  126. caro sgt. Pepper forse prendere sul serio un blog è una strada… una sorta di strada parallela – un’azione parallela – a questi incredibili e appestanti intasamenti in cui ci tocca di mettere il muso appena usciamo di casa… ma da casa bisogna pur uscire… non dico atterrare, ma uscire, semplicemente uscire, sì… forse i nomignoli ci aiutano… raccontano ciò che amiamo di più… tu dovresti amare i Beatles per esempio… io sono del ’54… la prima volta che li ascoltai fu da una finestra aperta della via… Gianfranco a tutto volume aveva messo niente po po di meno che “I love her”… ne fui incantanto… come può esserlo un adolescente… ho tutti gli lp… naturalmente…

    la poesia di Franco è di grande purezza… racconta un dopo terremoto… lui stava lì… era giovanissimo… i giradischi si spensero immediatamente… continuavano tuttavia a tintinnare le cristalliere…

    per quanto a questo nomignolo mio gerasim è il servo di Ivan Ilic… l’unico che riesce a consolarlo verso la fine… gli tiene i piedi alzati in alto, e a Ilic gli passa un poco del maledetto dolore che lo sta conducendo alla fine… tutti scappano… tutti pensano a come dividersi il rimasto quando Ilic se ne andrà, e Gerasim perfetto badante si prende cura di lui…

    etc etc etc etc

  127. Beh, Sgt, in quella è normale, mi fa pensare all’incessante danza egli elettroni lungo i fili… ho cominciato a preoccuparmi davvero quando mi sono commossa leggendo la prosa poetica dell’Assitente del Traffico che mi inflisse un multa di ben 39 euri perche ” l’apposito scontrino del parchimetro risultava completamente occultato da un pupazzetto di peluche a forma di orsetto bianco e nero”.
    Quello della poesia è un fastidioso assedio.

    Gerasim putroppo o per fortuna il blog si ferma in quello che si vuole vedere negli altri e si arena in quello che gli altri voglio far vedere di sè.
    Se surfando fre le finzioni qualcosa di vero traspare è un lapsus di fortuna. Inoltre, ironia, delicatezza buon gusto ed educazione sono un quid in più che non si può pretendere.

  128. Un lapsus di fortuna. Zoraide cara, lei, per essere una casalinga, ha il bernoccolo!
    Ah senta, le torte non sono ancora arrivate (scusa Arminio, e non buttarti dalla finestra della scuola per questo neh?), non è che magari lì alle poste c’è qualche “buongustaio” che se le è fregate?
    Il 12 è vicino – e gli invitati son gente esigente. Mi fa sapere qualcosa?

  129. Xpepper,froid e quanti altri hanno avuto,hanno,avranno l’irrefrenabile
    voglia di fare battute battutine ironiche o cattive nei miei confronti :
    la cosa non mi tange più di tanto,mi fate pena tronfi come siete delle vostre continue citazioni,supposizioni e saccenteria.
    Un blog è un blog,appunto,ma perchè vi scaldate tanto per una che non
    potrà giammai intaccare il vostro sapere,che non potrà mai farvi scendere dal trono fatuo dal quale sparate sentenze.
    Un blog è un blog,appunto. La vita è la vita,appunto.
    Voi non vi sapete,io mi so.

    un sereno giorno a tutti voi
    jc

  130. fk caro, io i bernoccoli, nel caso serva, li procuro a colpi di mattarello. La mia scrittura accarezza, ma se occorre picchia peggio di Petronilla Arcibaldo. Di Flo Andy Capp.
    Le torte e le mele gliele porto io più avanti. Forse.
    Ma non disperi qualcosa arriverà per il 12.
    Io ormai qui sono un’istituzione benefica, una Caritas di buone vibrazioni, l’Amnesty International del cuore in mano.
    Però alle poste fregano eccome, pensi che una volta mio zio mi spedì un incudine e non arrivò mai a destinazione. A un caro comune amico mandai dei libri ed arrivò la busta vuota accuratamente richiusa. Gli impiegati hanno gusti eclettici.

  131. “un sereno giorno a tutti voi”

    brrrrrrrr…. io installerei parafulmini sul tetto e metterei il ferro di cavallo sopra la porta…

    X jc Soluzione Schoum a go go
    anche Callifugo Ceccarelli

  132. X zoraide
    per una dolce come te che sa fare le torte dolci,la cannella non ci va,
    certe battute all’acido solforico non si addicono.
    conta fino a mille prima di aprire bocca,anzi riempitela con la tua stucchevole torta di mele. non mi conosci e se mi conosci è anche peggio.
    ti mando tutti i fulmini richiesti.
    jc

  133. uhà… una fatwa in piena regola!

    Un titanico scontro di civiltà fra i malocchi delle streghe di Benevento e le formule elfiche della Foresta Nera?
    O forse un esorcista?

    Non ho tempo.

  134. finche si scherza si scherza
    ma questo è da vergognarsi davvero
    urla maiuscolate e risse da blog nel thread di un poeta

    (capita ai parcheggi, alle file delle poste, al supermercato di provare questo imbarazzo, questa umana pena per chi si arabbia e grida così per nulla)

  135. Signore mie, calma e gesso, vi prego, o Arminio si butta.

    Zoraide, abbia pazienza, il callifugo è Ciccarelli, non Ceccarelli. “Poveretto! Come soffre! Non ha usato il Callifugo Ciccarelli, in vendita in tutte le farmacie”.

    Questa sì che è poesia.

  136. Gerasim, devi avere l’animo della Nightingale; grazie della spiega della poesia. Vista così, apprezzo.
    Zia Zoriade, i tuoi interventi han sempre la dolcezza ed il profumo della torta di mele, se dentro nn ci metti l’incudine.
    Jolanda, via, non è da signore azzuffarsi così. Però vedere due signore ke s’azzuffano è sempre appagante. Kissà xkè.

  137. Inutile parlare con i sordi,inutile parlare con la tracotanza di chi alla fine
    dimentica il suo detto,inutile. Solo una gran pena.
    E adesso basta,chiudo.Fate quello che vi pare.

  138. Proporrei una lotta nel fango…

    Aggiungo a chiosa e non a caso

    “…se il Callifugo Ciccarelli usar non vuoi, perdi i denari e i calli restan tuoi!”.

  139. La metto pure io una poesia arminiana.
    Amorosa…

    pallida ai margini la pelle e schiva.
    non potevo immaginare all’interno
    la sala degli affreschi così viva.

  140. [io anche ne metto un’altra, non amorosa ma di morte stagion]

    mele marce, ragnatele
    sull’anima tombale del paese.
    urlano i cani
    le faine passano sui cavi
    sui tetti delle case.

  141. adesso qui non passa più nessuno.
    adesso ho pensato che io non ho forma, sono una creatura senza forma. prendo la forma delle cose che di volta in volta scrivo.
    non parlo della forma e dei confini del corpo, quelli ci sono sempre.
    parlo del fatto che alcuni esseri, forse gli scrittori, non hanno forma interiore. anima d’acqua. non credo sia una condizione comune a tutti quelli che scrivono.

  142. Basta col dire a chi sta male che c’è chi soffre di più! Perché aspettare una mano sulla spalla se non si è disposti ad asciugare le lacrime altrui??????? Magari perché non si ha la forza neanche di asciugare le proprie!! Mi ricorda quando dovevo mangiare per forza perché, diceva mia madre, i bambini dell’Africa non avevano nulla: non aveva senso allora, e ha ancor meno senso oggi. Ma c’è chi ancora lo sostiene.
    Dire a chi sta male che c’è chi sta peggio è solo l’ennesimo modo per non farsi carico dell’altro, non prendersene cura, e passare oltre con in più la coscienza lavata per aver elargito un buon consiglio. Di gran lunga più vere e curatrici le torte di mele..
    Anche questa storia che non sono gli altri a non ascoltare ma io a non farmi capire! È una palla bella e buona! Un altro modo per dire non me ne frega niente, il problema è solo tuo!
    Scusate i toni alti.
    Anzi, no.

  143. e chi l’ha detto che quì non passa più nessuno!
    non vi si può lasciare un attimo che
    guarda che bordello!

  144. message in a bottle

    anima acqua – i liquidi non hanno forma ma si adattano implacabilmente al recipiente che li contiene

    oggi malincolia assoluta

  145. FAINE NELLA PIOGGIA

    che succede Zoraide? ieri qui una tempesta tempestosa che ha lavato tutto…; io penso che Franco Arminio nella sua penultima mail abbia voluto dare una sterzata, come quando si scende o si sale una strada di montagna e arriva il tornante…; la sua mail iniziava con:

    “adesso qui non passa più nessuno.”

    è un endacasillabo di grande forza…; credo che volesse dire:bene, arriviamo in coda a quanto si sta dicendo… bene… di cosa stiamo dicendo?…; anche nella poesia poco prima trascritta da te ci stava un verso assai esemplare:

    “le faine passano sui cavi”

    penso che è esemplare per molti motivi, provo a dirne alcuni: per come è fatto: soggetto, predicato, complemento; perchè ci dice di un animale notturno, la faina, che uno non è che ci pensa tanto spesso; ma fin qui ancora accade poco, fatto sta che le faine dalle aguzze unghie e dalle corte zampe “saltano e si arrimpicano”…; ma nel verso invece (e non potrebbe essere che così) “pa ss ano sui cavi” con il raddoppio centrale della s che rende bene l’idea di questo passaggio velocissimo e notturno…; e forse quella notte pioveva anche…; la poesia trascritta chiude con “sui tetti della case”; dopo tanto passare di nuovo a casa, in una parola, sui tetti; tutto ciò serve a qualcosa? difficile dire; di sicuro questa storia delle faine trapeziste – velocissime sui fili – io non la scorderò

    trascrivo allora come buona domenica agli amici di “Kafka ognuno di noi” un inciso di Bataille in “Kafka” (Gallimard, 1957), poi postfazione alla “Lettera al padre” (SE Studio Editoriale, Milano, 1987): “Non seguì mai vie traverse, domandando il privilegio della serietà per ciò che è sovrano soltanto senza diritto.”

  146. povera jolanda. lasciatela bollire nel suo brodo, prima o poi avrà il suo risveglio. ma sarà tardi, perché è già tardi. la cosa che più mi fa sorridere è che lei è convita di essere nella verità, mentre è nell’ombra. ed è questo che lei non sa accettare: essere ignorata, ridicolizzata per i suoi (vistosi) limiti o trovarsi, comunque, dalla parte sbagliata. è vero che tutti noi abbiamo (vistosi) limiti ma devo dirvi che seguo blog letterari da mesi e sono stanca di leggere insulti, maiuscolate isteriche e assurdità varie che la boriosa poetessa in caduta libera si sente autorizzata a vomitare addosso al ‘malcapitato’ di turno. rivolgiti ad un medico, jolanda ma per essere curata, non con la presunzione di chi, senza competenze e titoli, vorrebbe sanare il mondo da veri o presunti morbi.

  147. “Da quando ho l’uso della ragione, mi sono a tal punto preoccupato della sopravvivenza spirituale, che tutto il resto mi riusciva indifferente.”

    Mi avete fatto ripensare alla l”ettera al padre”. Grazie.

  148. farmì
    quanti fiori decadono nel bosco
    o periscono dalla collina,
    che non ebbero in sorte di conoscere
    il loro splendore!

    e quanti affidano un seme senza nome
    a una brezza vicina,
    ignari del dono scarlatto
    che recherà ad altri occhi!

    zia cara, ho seguito la tua ricetta impreziosita da una cimettina
    piccoli trucchi di mani rubate all’agricoltura
    non male per circoscrivere pene.
    e a te questa:
    è poco cosa il pianto,
    sono brevi i sospiri:
    pure , per fatti di questa misura
    uomini e donne muoiono!
    baci
    la funambola

  149. funambolica :)
    what is “cimettina”?

    oh ero triste di niente

    gerasim mi è molto ma molto piaciuto ciò che hai scritto

  150. gerasim
    si faccia conoscere.
    se mi da la sua mail le scrivo.
    io comunque le do la mia
    farminio@libero.it
    adesso vado a cairano dove oggi si riunisce la “mia” comunità provvisoria.
    è un esperimento di nuova socialità.
    forse qualcuno un giorno ci copierà.

  151. 2:58

    circa trentacinque anni fa comprai “a naso” un disco; si chiamava “Mudlark”; suonava e cantava Leo Kottke; un disco fantastico, e dentro quel disco c’è una canzone bellissima, si chiama ” Hear the wind howl”; non so cosa dice il testo di quella canzone; ma quella canzone è piena di libertà; dura due minuti e 58 secondi;

    in trentacinque anni l’avrò sentita chissà quante volte; l’ho rimessa adesso; dura due minuti e 58 secondi; non ho altri dischi di Kottke, ma domani magari corro a ordinare l’ultimo per vedere che fa adesso

    ebbene non mi è passato mai per la testa di conoscere Kottke; che cosa gli dovrei dire; mi dovrei far firmare quell’antichissimo LP? a che servirebbe? mi dovrei far firmare quanto mi ha fatto contento quel modo suo di suonare?

    questa è una cosa notevole secondo me

    c’è una poesia di Jorge Luids Borges che amo immensamente; si chiama “Nostalgia presente”:

    Nostalgia del presente

    In quel preciso momento l’uomo si disse
    che cosa non darei per la gioia
    di stare al tuo fianco in Islanda
    sotto il gran giorno immobile
    e condividerlo adesso
    come insieme si gusta la musica
    o il sapore di un frutto.
    In quel preciso momento
    l’uomo le stava accanto in Islanda.

    L’ha tradotta Domenico Porzio. Sta in un libro del 1981 che si chiama “La cifra”.

    Ti giunga un abbraccio Zoraide
    Ti giunga un abbraccio Franco

  152. per zia
    cimetta: piccola infiorescenza posta alla sommità di un rametto di maria…insomma, actrrrrroga :))))
    baci
    la fu

  153. X gerasim,
    contraccambio l’estemporaneo l’abbraccio; dicon sia terapeutico. Volevo omaggiarti delle lyrics di quella strana canzone ke citi e dell’ancor + strano artista, ma guardanpo’ ke mi risponde:

    We’re sorry but the artist has decided not to disclose the lyrics for this song.

    Probabilmente è una boiata pazzesca. Caso x caso, nn ti poteva capitare Obladì Obladà?

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andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.