Sono un uomo di mondo
di Sergio Garufi
Parto per Cuneo. La manifestazione è Scrittori in città, un festival letterario giunto alla nona edizione. Il primo dei tre incontri cui sono stato invitato è un dibattito sulla critica. Vi partecipano Andrea Cortellessa, Stefano Salis e il sottoscritto (come a dire: Churchill, Roosevelt e Pecoraro Scanio). Piero Sorrentino modera il tutto. La sala è piena, l’età media è 70 anni. Dopo una breve introduzione di Piero (che avevo supplicato in precedenza di non interpellarmi subito), in cui si ribadisce lo stato comatoso della critica sulla scorta delle riflessioni di Lavagetto, Cortellessa parte con una dissertazione dottissima volta a difendere il mainstream, a suo dire trascurato dai critici dei media più diffusi a favore della letteratura di genere. Gianni Biondillo in disparte medita la vendetta che consumerà di lì a poco. Salis obietta che compito dei curatori dei supplementi letterari dei quotidiani come il suo (Il Sole 24 ore) è innanzitutto parlare dei libri più venduti, quelli che interessano maggiormente il pubblico. A questo proposito cita il Codice da Vinci, e a Cortellessa scoppia un’eruzione cutanea sul viso.
E’ il mio turno. Considerate le esigenze dei canuti vegliardi che seguono il dibattito, alcuni dei quali si sono portati appresso flebo e catetere, provo a difendere la categoria con una ruffiana metafora farmacologica. Salis aveva tacciato i lit-blog di “chiacchiericcio insulso”, e io replico parafrasando l’effetto alka-seltzer di Enzensberger, che declino nella variante dell’ermeneutica diffusa. Una vecchina fresca reduce di una colonscopia mi sorride complice. Sento che il pubblico, pur sospettando che il lit-blog sia un nuovo modello di cellulare e l’ermeneutica un piatto tipico abruzzese, ora è dalla mia parte. Aggiungo che sì, forse a volte la discussione sui libri in rete sembra l’hard discount della critica, ma esistono pure delle piccole bancarelle del web in cui le recensioni si fanno ancora come una volta, a mano e senza conservanti o additivi. L’immagine del Mulino bianco critico fa presa, una coppia di anziani armati di taccuino e penna medita di adottarmi. Quando termino il mio intervento, ammettendo di essermi perso nella digressione e non ricordando più il punto da cui ero partito, un nonnetto con l’alzheimer decide di includermi nel testamento, peccato che se lo dimentichi subito dopo. Finito l’incontro si avvicina un’ottuagenaria in carrozzina per farmi i complimenti. Mi dice: “bravo, lei sì che parla chiaro, mica come quello lì”, indicando Cortellessa. In pratica, è come andare a una mostra in cui sono esposti un paesaggio acquerellato da pizzeria e un taglio di Fontana, e poi applaudire la bravura dell’autore del primo di contro al vandalismo del secondo.
Nell’incontro successivo qualcosa mi dice che sarà un disastro. Mi avvio alla sala con la netta sensazione che stia per compiersi un suicidio preterintenzionale. Confido nell’ora tarda e nel fatto che l’entrata sia a pagamento, ma dimentico che gli autori non pagano. E difatti il pubblico è selezionatissimo: solo addetti ai lavori; anzi, peggio ancora: tutti i nomi che stimo nell’ambiente. Fare scena muta davanti a sconosciuti è un conto, farla di fronte a Cortellessa, Pascale, Desiati, Lipperini e diversi indiani è un altro. L’ansia si gonfia come una flittena. Mi guardo intorno e valuto le possibili vie di fuga. Decido che al peggio fingerò uno svenimento, basterà trattenere il respiro fino a diventare cianotico. Arriva Giorgio Vasta, l’organizzatore, il responsabile del mio invito, colui al quale verrà sicuramente rinfacciata la scelta di avermi chiamato come moderatore.
Il tema dell’incontro è “maschile presente”, una riflessione sulle diverse rappresentazioni della figura maschile nella narrativa attuale. Forse hanno pensato a me in quanto maschio abituale e recidivo. Partecipano Leonardo Colombati, Veronica Raimo, Antonio Leotti e Francesco Pecoraro. Veronica non arriva, pare irreperibile. Io contavo su di lei, speravo che la sua avvenenza inquieta distogliesse l’attenzione dalle mie parole. Lo scelto pubblico rumoreggia, pretende che s’inizi lo stesso. Sono in apnea, mi appare la Madonna di Alias che mi offre l’estrema unzione a patto che mi converta subito. Ho un sussulto di orgoglio e rifiuto. Parto con un’introduzione insensata nella speranza che l’uditorio presuma che la stia prendendo larga, ma gli sguardi costernati che scorgo mi fanno capire che il trucco non ha funzionato. Do la parola a Colombati cercando un minimo appiglio che leghi il tema dell’incontro al suo ultimo romanzo, ma l’incipit del suo intervento conferma le mie più pessimistiche previsioni, affermando in sostanza che sulla questione non si sente di intervenire, perché sarebbe come chiedergli cosa ne pensa dell’essere castano. In quel momento entra Veronica. Provo con Pecoraro, che si avventura in una lunga disquisizione biologica su molluschi ed esseri unicellulari. Sembra una puntata di Superquark con Piero Angela. In platea nel frattempo c’è chi gioca a briscola, chi manda messaggini e chi ride apertamente della mia inettitudine. Mi chedo se esiste una Convenzione di Ginevra per i moderatori improvvisati. Sono un vigile urbano seduto in mezzo a un incrocio ingorgato, con la gente che suona il clacson e si manda affanculo. Pecoraro è inarrestabile nel suo viaggio a ritroso verso il Big Bang. Tento di farlo parlare dei personaggi dei suoi racconti, della loro virilità rassegnata e fuori tempo, ma canno la professione di uno di questi e lui ricomincia col brodo primordiale. Ormai è ora di cena e propongo di continuare la discussione demenziale al ristorante. La proposta viene sadicamente cassata. Leotti è avvilito, Veronica prova a riprendere in mano le fila del discorso e suscita qualche intervento del pubblico. Io guardo ossessivamente l’orologio, ignorando il fatto che non c’è nessuno dopo di noi, per cui l’ingorgo potrebbe durare molto a lungo. Loredana Lipperini si impietosisce e innalza un cartello con scritto “Save Garufi”. Un tale dice una cosa che avevo letto in un libro di Francesco Piccolo e lo faccio notare, peccato che quel tale sia Francesco Piccolo. La gaffe perlomeno è liberatoria, nel senso che libera la sala e chiude l’incontro. Sprofondo in uno stato di catatonia ilare, con Loredana che cerca invano di ridestarmi.
Il terzo incontro è simmetrico e speculare al secondo. Si deve parlare di “femminile presente”. Il forfait di Laura Pugno, unica donna in mezzo a tre uomini (io, Giampaolo Simi e Giancarlo Pastore) a parlare di donne, mi evoca immagini apocalittiche, un’apocalisse tragicomica. Mi convinco che sono un incompreso, vagheggio l’incontro con lo spirito affine che saprà capirmi al volo, vedermi dentro per come sono veramente, quasi avessi da guadagnarci. Mi viene comunicato che Laura Pugno verrà sostituita da Michela Murgia, che non conosco. La nuvoletta del Fantozzi letterario ora è una depressione ciclonica che preannuncia la tempesta perfetta. Entro in sala e fortunatamente tra il pubblico non c’è nessuno che conosco. Michela si rivela un oratore formidabile. Il suo libro (Il mondo deve sapere, ISBN) è perfetto per il tema in questione. Racconta la sua esperienza in un call center in cui tutte le telefoniste erano donne giovani e i venditori solo uomini, perché così si sfruttavano gli sterotipi di genere (la donna che ti fissa un appuntamento al telefono con voce dolce e rassicurante e l’uomo in giacca e cravatta che ti entra in casa con fare molto professionale) a fini bassamente commerciali. Anche Gianpaolo Simi e Giancarlo Pastore illustrano bene le figure femminili protagoniste dei loro romanzi (Rosa elettrica, edito da Einaudi, e Regina, pubblicato da Bompiani). Il pubblico sembra gradire, ascolta interessato. Quando già intravedevo la luce in fondo al tunnel e pensavo di rinunciare ai propositi di farmi hare krishna o giapster una vecchina malefica, che in seguito ho saputo essere una nota disturbatrice di tutti gli incontri, si alza in piedi protestando perché esige un’analisi storica della condizione femminile a partire dalla sua generazione, ossia dal XIX sec. Ho un impulso sacrificale, voglio sbottonarmi la camicia e ostentare il petto glabro e slavato per dire “Prendete, questo è il mio corpo”, ma ci pensa Michela ad evitarmi il melodramma similcristologico. Il dibattito riprende il suo corso e un applauso finale sancisce che la mia quaresima è finita. Ora posso dirlo: sono un uomo di mondo, ho fatto tre volte il relatore a Cuneo.
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Il pezzo è molto simpatico.
Il convegno, ne desumo, inessenziale.
Cortellessa è quello che ha usato toni apocalittici per recensire il librino “Sirene” di Laura Pugno, che io ho comprato (per colpa sua) e lasciato a metà (credevo poesia pura e post-romanzo ed era fantascienza di seconda scelta)? E disprezza la letteratura di genere?
Condannatelo a impararsi a memoria l’opera omnia di Philip Dick.
Valter, nessuno tocchi Cortellessa. Solo io ci posso litigare! ;-)))
in effetti ero quasi riuscito a risalire fino all’Evento Iniziale, alla prima cellula che si sdoppia.
Save Garufi! L’ho detto al signore in borghese col cappello in divisa e lo ripeto pure adesso. :)
visto che tutti se la prendevano con Biondillo, quel giorno, Desiati e io avevamo fatto partire la sottoscrizione di firme all’affermazione: “Biondillo ce l’ha piccolo” :)
Anche tu però, scambiare un sociologo dello spazio per un architetto…
Voglio il numero del parrucchiere di Leotti.
L’immagine di Cortellessa come novello Churchill è esilarante (e hai fatto bene a non dire Goering, che Andrea l’avrebbe presa male), spero che Salis sia più agile di Roosevelt, tu come Pecoraro Scanio… mah
Questo pezzo divertentissimo mi ricorda un fantastico articolo di Manganelli in cui si racconta un episodio simile – vero peraltro – : il Malinconico Tapiro, invitato a una conferenza su Jung e la letteratura, al solo sentirsi presentato come “professore”, ebbe una crisi d’ansia o di rifiuto violentissima, e concentrandosi ossessivamente su un piccolo dettaglio della scrivania (un ragno, se non sbaglio) si estraniò del tutto dalla situazione, fino ad alzarsi e andarsene nel mezzo della relazione, con grande stupore e scandalo dei presenti.
Ne deduco che talora anche gli stati emotivi più apparentemente improduttivi e irredimibili possono condurre a esiti di inatteso valore.
Che begli amici che mi ritrovo…
Modestamente non sono ivi convenuto perché ero privo di dentiera,
e poi l’amico Francesco Pecos mi ha detto che non mi avrebbe più baciato, ecco
MarioB.
Invio un’annotazione di imminente uscita su ,mensile cunneese.Mi pare a dir poco piuttosto contestuale riguardo alle sottili intuizioni espresse da Garufi.Fa parte di una rubrica a puntate il cui titolo è
Sazi alla nausea di quel folklore globalizzato che si spaccia per cultura visiva e non,oltrechè, ovvio, delle narcisate degli artisti “glocali”(da glocally,globale e lacale insieme,traduzione:come romper le scatole a tutto il mondo restandosene nel proprio discutibilissimo angolo di provincia) si può addirittura decidere di passare ad argomenti più seri,chiamali se vuoi letterari,e qui cascano gli asini,a miriadi.Quanto a recensioni nulla da dichiarare,spiacentissimi,per la pubblicità in buca rivolgersi altrove,esempio eventi in cui si contendono il passo barzellettieri e politici a suon di fondi europei., ed è difficilissimo,anzi impossibile del tutto distinguer l’un dall’altro,l’ingresso può costare tre euro od essere gratuito con uscita a pagamento,ve la diamo noi la cultura,in questi termini,per non più di tre o quattro giorni l’anno;.Sono accomunati dal fatto di far libri e tentare pure di venderli,un po’ tutti:scrittori per antonomasia,in una città giustamente posta come polo di eccellenza della cultura planetaria,stiamo parlando di Cuneo,come si sarà ben capito,città d’arte,letteratura,teatro.Cuneo,dove si collauda il futuro in versione di trapassato remoto,e dove,va da sé,l’innovazione impazza.Tanto da tralasciare invitati illustri di un ideale consesso a favore di questo o quello(o questa o quella)intellettuale alla moda(confondibilissimi con il boeuf à la mode,ma meno interessanti).Ma ascoltiamo i primi due di questi emarginati.Goethe a Merck(un suo amico):”…perché lo stimato pubblico fa conoscenza di tuto ciò che è fuori dall’ordinario solo tramite il romanzo.”.Già:il romanzo.Quel romanzo sull’universo che Goethe desiderava,e che ancora non c’è.Che condurrà per vie misteriose al’idea flaubertiana di un libro sul nulla.Ne siamo sicuri?Non del tutto:secoli prima il trovatore Guglielmo IX d’Aquitania scrisse una canzone de dreit nien-di puro nulla appunto.Nerval celebrerà il principe d’Aquitania dalla torre abolita.Esempi se ne potrebbero fare un sacco,e costruirci sopra ben più di un feuilleton,solo ad avere tempo e dotti affabulatorie:C’è o c’è stato in giro qualcosa del genere:No.Ed è infinitamente più distensivo ed appagante leggerli i romanzi e non solo,che scriverli.Ma si tratta di roba fuori moda,dunque superata dunque praticata da minoranze di riprovevole perversità.E la poesia:vedere alla voce scriverne e pubblicarne moltissime,leggerne mai.Una regola ferrea che riguarda un po’ tutti,dal tipografo annidato nelle frazioni alle collane mondadoriane ed einaudiane.E poiché la poesia è universale e salverà il mondo etc. va da sé che la soluzione perfetta consista nel non leggerla affatto,pur proclamandone a gran voce la necessità.Si sospetta che qualcuno arbitrariamente né dedurrà che la vita è fatta di contraddizioni e che è tutta teoria,sono ben altre le cose che contano.
il titolo del mensile cuneese è saltato.sitraa die cantiere
di demolizione è il titolo della rubrica in cui comparirà il testo.Capricci della macchina gli hanno sostituiti con una virgola fuori posto,mi scuso con i lettori,ma disguidi e svarioni eteroindotti sembrano far parte del gioco
Sì, dai, volemosebbéne! Siamo la nuova “società letteraria”, noi, mica pizza e fichi.
su un muro, oggi, ho trovato questa scritta: “biondillo ce l’ha piccolo ma rende”.
e quest’altra, poco più avanti: “pecoraro quark quark beeh beeh”.
pezzo ottimo. bello non esserci stati.
saluti,
rs
Un misto tra Totò, Fantozzi e Mr Bean. Complimenti! (rido)
parere pro veritate:
devo osservare che garufi in realtà se l’è cavata benissimo, che ambedue le discussioni cui ho assistito, partecipando alla seconda, mi sono sembrate interessanti (quella del mattino di più), che tutta questa terza età cateterizzata non c’era, a meno di non considerare spacciati i sessantenni (come chi scrive).
insomma garufi non dice esattamente il vero, ma fa un pezzo che un tempo si diceva “di colore”, sacrificando un po’ qui e un po’ lì: per esempio cortellessa è stato molto acuto, ha tenuto la sua posizione in favore dell’uso del concetto di qualità letteraria a fronte di quello di appetibilità (semplifico) e non ha affatto cambiato colore a sentir nominare il codice da vinci di cui a lui, come a noi, non frega nulla.
quando, nell’incontro del pomeriggio, parlavo di molluschi lo facevo in un contesto (di cui tralascio qui il contenuto) e non a cazzo come sembra riferire lui.
(devo manifestare, da sessantenne, il fastidio che provo quando vedo esercitarsi un’ironia denigratoria gratuita, come quella di sergio nel pezzo qui sopra, nei confronti delle persone d’età e degli eventuali problemi fisici che possano avere: non ho visto nessuno in sedia a rotelle, nessuno ha detto di portare il pannolone, dunque il “divertente” del garufi mi suona un po’ facile e un po’ di cattivo gusto: invece di interrogarsi sull’assenza di giovani, che è il vero tema sul quale si potrebbe eventualmente riflettere, si prendono per il culo i vecchi, che pure erano venuti, ma solo in quanto vecchi… non so).
Trovo sto pezzo brillante e divertente, anhe se non apprezzo per nulla tutte quelle battutacce sugli anziani. Un po’ di rispetto perdio, lasciamo a storace le battute laide sulla montalcini per piacere.
lì a cuneo mi picerebbe sentire taibo II che parla del suo libro su pancho villa. mi interessa, anche se ho un poco paura che ne faccia l’agiografia. taibo però è un grande, magari è un gran libro- qlcn lo conosce?
garufi ha dimenticato di dire che pecoraro ha gravi problemi di vista.
saluti,
rs
Mi associo a chi ha citato Manganelli! Bel pezzo – sul fatto di prendere per i fondelli a sproposito – personalmente ritengo che non ci sia nulla, ma proprio nulla su cui non si possa scherzare (e lo dico pur avendo lavorato per molti anni con situazioni reali di disagio umano e averne conosciuto altro a vari livelli- tanto per mettere le mani avanti). Alla fine dei conti tutto è infimo, tutto svanisce, anche l’uomo vecchio o giovane che sia. Quindi meglio vedere il lato comico di se stessi!
Spiritoso pezzo, adesso capisco il pregresso che ti rendeva tanto teso. Ho accettato di sostituire Laura in corsa, perchè senza nemmeno una donna un tema come “femminile presente” suonava tristemente ironico. Invece è andata bene, non tanto per l’attimo esilarante della vecchina indignata, quando perchè c’erano… degli adolescenti. E hanno persino fatto domande. Mai successo, questo è il successo.
mi sto tenendo la pancia dal ridere, alla mia età è dura leggere certi post.
Visto che con il “chiacchiericcio insulso” mi si chiama irrimediabilmente in campo, eccomi qui con the question: a posto su ermeneutica come piatto tipico abruzzese (se è diffusa c’entra la musica di sottofondo? Ma non è questa the question) ci siamo, però sull’effetto alka-seltzer di Enzensberger no. Brindando io alquanto con la suddetta bevanda e leggendo io alquando – con la d – il poeta dal nome difficile da scrivere due volte, mi interessa the fact.
Ach che brutto non capire le battute e ancora più brutto farsele spiegare.
Forse che volevi dire che Enzens-ecc. è digestivo? sig..
La parte che mi ha fatto più ridere è quella su tash e so io perché (mi cadrà un asteroide sulla testa, o yeah!)
fem
(si ride per non piagne, of course)
letto con molto divertimento, complimenti come sempre
Francesco Pecoraro/tashtego scrive: “devo manifestare, da sessantenne, il fastidio che provo quando vedo esercitarsi un’ironia denigratoria gratuita, come quella di sergio nel pezzo qui sopra, nei confronti delle persone d’età e degli eventuali problemi fisici che possano avere”, ecc.
Da quarantasettenne con qualche problema fisico, mi associo.
C’è qualcosa di intrinsecamente folle e azzardato nelle conferenze: l’idea che qualcuno, catafratto da un tavolo e da una bottiglia d’acqua minerale, possa arrogarsi il diritto di concionare su qualsiasi argomento, sperando che il pubblico non ‘rompa il giocattolo’, mi pare davvero spericolata. Tutte le volte mi sembra un miracolo quando si giunge al termine e ci si alza in piedi, di qua o di là dal tavolo, senza gran trambusto e scombussolamento. Le conferenze, come ci insegna Coetzee, attirano pazzi e squilibrati come un cadavere attira le mosche. Le ultime conferenze di baudelaire in Belgio furono spettacolari: nella prima, su Delacroix, Baudelaire insistette, con petulanza ossessiva, sulla perdita della propria verginità: ed il pubblico femminile, prude ed ipocrita, abbandonò scandalizzato la sala; nella seconda, su Gautier, Baudelaire legge un foglio attaccato al viso, sprezzante e lontano dall’uditorio, una sorta di empirica dimostrazione che”la misantropia non nasce dal cattivo carattere, ma da una sensibilità troppo viva” ; la terza, sui paradisi artificiali, finisce col Poeta che, dopo pochi minuti, si mette a bere, ridere e mangiare con i pochi spettatori rimasti.
Secondo me vi siete persi di vista – lo dico senza polemica, anzi spero con leggerezza – il fatto che è dal disagio, dal senso di inadeguatezza, dall’atrabile accumulata, vera o enfatizzata che sia da Sergio nell’atto della scrittura, che nasce tanta aggressività verbale, tanto – come direbbe un critico letterario – “espressionismo”.
Così ogni sessantenne diventa un ottuagenario cateterizzato, ogni intervento una velenosa e importuna polemica, ogni dibattito una Waterloo, ogni performance un’antologia di gaffe e di scene mute alternate. Mi pare strano che nessuno se ne sia avveduto, e abbia piuttosto tirato in ballo le battute laide di storace.
Se dovessimo censurare ogni pagina non politicamente ed eticamente corretta della letteratura, nonché ciascuna di quelle che danno lievito all’immaginazione, al ritmo della frase, alla scelta dell’aggettivazione, alla raccolta degli aggettivi, attingendo dal malanimo, dalla nevrosi, dalle ossessioni, dalle perversioni, dai pensieri fissi e via patologizzando, cosa ci resterebbe? Cosa resterebbe di Gadda, di Palazzeschi, di Svevo, di Leopardi, di Manzoni, per non dire di Dostoevskij o di Céline?
Anche io non sono giovane né sano, ma che significa? L’autore del libro “Cuore” nella vita privata era un sadico spregevole. Dai libri non dobbiamo farci blandire né consolare né narcotizzare, ci pensa tanto bene già la tv…
Vivi nascosto.
Non diventerai famoso, ma resterai in salute.
(tu generico)
Bravo, Luigi. Ché qui si utilizza la classica figura retorica dell’iperbole.
Anche perché, io, mica ce l’ho piccolo!!!
Scusate se torno per cose banali,
ma forse vitali, forse animali:
ma a Cuneo,
che non sta molto lontana da qui, vi siete almeno sollazzati con vini e cibarie degne di quella abbondanziosa provincia,
visto che il tutto letterario sembrerebbe esser stato deludente?
Però anch’io me la sono un po’ presa, o Garufi,
per la tua inclemenza sarcastica sul pubblico di anziani,
avendo io anni 66 e non essendo, per ora, in poltrona a rotelle.
Poi me la sono fatta passare, per dire.
MarioB.
Ciao Sergio, meno male è passata!
p.s.,
la discrezione è sempre un pregio!
;-)
il massimo esito di questa stele commentizia è il paragone tra garufi e manganelli: davvero un’iperbole inarrivabile, come paragonare la motagnola qui fuori all’everest. ma ormai chi ha più orecchio per gli stili, per i veri stili!
Lo sapevo che non dovevo partecipare a un dibattito sul “femminile presente”. Lo sapevo anche che non dovevo scrivere un noir in prima persona femminile. Così mi è toccata la giusta pena del contrappasso: essere interrotto da una specie di ex-groupie mancata di Timothy Leary. Che lì per lì uno pensa: non si deve mai asfaltare un possibile dibattito, forse sto effettivamente dicendo delle idiozie e quella gentile signora fa bene a correggermi o smentirmi. Magari. Quella neppure mi ha filato. Sono rimasto come un pesce lesso a sentir rievocare i fasti di una seduta di autocoscienza in salsa al pejote, mentre una gentile volontaria del festival, invece di chiedere se fra i presenti ci fosse per caso un medico, le dava pure un microfono.
Non credo di aver più spiccicato parola. Purtroppo so per esperienza familiare che una scarsa propensione all’ascolto si manifesta già con i prodromi dell’Alzheimer. Le ho fatto notare più tardi quanto fosse stata inutilmente maleducata, ma più o meno è stato come rimproverare aspramente a un attaccappanni di non avere una posizione chiara sul proporzionale alla tedesca con sbarramento.
E comunque, quando il rutilante mondo dell’editoria mi avrà spremuto, masticato ben bene ed espulso, anch’io voglio fare il guastatore di presentazioni. Credo che sia triste, e però anche divertente. Magari vestendosi un po’ meglio.
un saluto all’intrepido moderatore e a tutti quanti
Qual compito è più arduo
dell’essere un uomo di mondo?
Essere un uomo fuori dal mondo.
Hic sunt leones?
Mah… A me veramente, pare perfino scontato, altro che iperbolico, il paragone tra Garufi e Manganelli, essendo ovvio che in questo pezzo Garufi stia ironizzando, oltre che iperbolizzando. Questioni che Manganelli amava molto condurre.
C’è Totò: “sono un uomo di mondo, ho fatto tre volte il relatore a Cuneo”, scrive Garufi. (Totò aveva fatto tre anni di militare a Cuneo…). C’è Fantozzi, la sua “crudeltà”, ironica, sarcastica e iperbolica, diretta preferibilmente contro gli anziani (non cito a memoria Fantozzi perché non lo ricordo a memoria, ma questo tratto della sua “cattiveria” reattiva era così ricorrente da diventare quasi ridondante…). E poi c’è Manganelli, eccome se c’è. Manganelli, colui che diceva che bisognava coltivare un sano schifo di sé : e mi pare di intravedere copioso “schifo” nel momento in cui Garufi trasformi Cortellessa in Churchill, Salis in Roosevelt e se stesso in Pecoraro Scanio!
A volte penso che l’unica maniera di evitare il fraintendimento sia non scrivere… Ma poi ritrovo un ottimismo, c’è chi leggendo capisce…
Occhio, comunque (Tashtego, Mozzi) alla deriva censoria: anche gli afflitti da alitosi penano di una patologia, e che facciamo? “Febbre da cavallo” lo censuriamo perché stigmatizza la pesante alitosi della sorella der Pomata, detta “Tornado”? E daie, su…
Tutto, ahimé, ma di certo non una risata, vi e ci seppellirà.
(Sergio, mi ha fatto tanto ridere questo pezzo).
Ma che cazzo di alitosi, Gemma!
Te ti sei letta solo un branuzzo, mi sa.
qui si riprende l’abitudine tutta italiana di ridere dei difetti fisici, di chi è grasso, o gobbo, o vecchio con le stampelle (vedi storace appunto). è semplicemente una forma di razzismo. siete tutti bravi e buoni a firmare i manifesti contro il razzismo sui rom, grandi parole, ma vuote, poi nella realtà il razzismo striscia, altrochè.
gemma di sicuro non si è mai letta manganelli
Le battute sugli anziani con problemi fisici non sono un’abitudine tutta italiana, ma il topos di molta comicità non solo nostra e non necessariamente crassa. Penso a Woody Allen, per es., che in una scena di “Crimini e misfatti”, mentre attende in coda il taxi con la nipotina, vedendo davanti a sé un’anziana in stampelle dice: “se diamo un calcio alla gruccia di quella vecchia riusciamo a pigliarlo”. Poi Luigi e Gemma hanno giustamente sottolineato il mio debito nei confronti di Manganelli, e difatti il pezzo è una goffa imitazione di quello in cui il tapiro racconta la sua partecipazione a un programma televisivo in compagnia di Arbasino (a pag.44 di “Improvvisi per macchina da scrivere”). Per la verità anche i suoi scritti sono pieni di battute di quel genere (“il vegliardo canuto, si sa, è la quintessenza di ogni nequizia”, in “Lunario dell’orfano sannita”). Ad ogni modo, tranne l’inettitudine del relatore tutto il resto era un’esagerazione. Il pubblico dei tre incontri era anagraficamente ben distribuito, e gli anziani presenti erano molto più lucidi e sani del sottoscritto. Grazie a tutti dell’attenzione.
e io non ce l’ho piccolo!
;-)
E’ agghiacciante che si debba spiegare un pezzo come questo, è agghiacciante che si debba essere costretti a spiegarlo. E’ agghiacciante la mancanza di ironia di certuni. La mancanza di ironia dovrebbe essere punita con la detenzione da uno a tre anni.
Il bello del pezzo non è solo lo sfoggio d’ironia (auto e etero), ma l’amabilità, gli ossequi a destra e a manca, che crea quella simpatica indulgenza corporativa tanto tipica delle Patrie lettere. Si vorrebbe un po’ di sale, ma si trova sempre una nuvola di zucchero. Garufi ha passato degnamente la sua prova mondana. A divertito marchesi e marchese. A spese di qualche comparsa minore. Clap clap
Il pezzo HA divertito anche altri. Non presenti, ignobili, e poco plaudenti.
Ma divertiti, semplicemente, dalla lettura.
Cirkoletts.
@franz
“E’ agghiacciante che si debba spiegare un pezzo come questo…”.
C’è sempre qualcuno che pensa che tu non hai capito lo spirito, che allora gadda dove lo mettiamo se escludiamo il rosicamento dalla letteratura, eccetera.
Ma a me il pezzo di Garufi semplicemente non è piaciuto, non mi ha divertito, proprio perché insiste, ancora e ancora, sul tema della vecchiezza in modo corrivo, anzi, perché è globalmente corrivo e perché le situazioni da lui raccontate in chiave comica, richiedevano altra penna, e se mi si consente, altra mente, per divertire davvero.
Signori, questo pezzo è evidentemente ironico e iperbolico. Si capisce che è tutto finemente inventato. Garufi ha inscenato questa narrazione, questo convegno improbabile (ahah grande Sergio!), per farci percepire la prossima desertificazione del mestiere intellettuale. Egli in realtà sta dicendoci: raga’ se non ci diamo una mossa, convegni simili si faranno per davvero!
E quando questo capiterà, allora sì che dovremo preoccuparci, perché vuol dire che i nuovi scrittori italiani, i nuovi critici italiani amano i giochi di ruolo, il salotto esibito, piuttosto che dire qualcosa di utile sul mondo, quello di tutti, disgraziati compresi.
@ tashtego
chiedo scusa se puntualizzo, ma qui ci sono due questioni differenti in ballo. Che il pezzo di Garufi, così come qualunque altro pezzo, foss’anche di Dante, possa non piacere, va da sé che è perfettamente comprensibile. E non mi permettevo certo di negare questa possibilità. Ho detto che io lo trovo molto divertente, ma chissenefrega dei miei gusti, volevo mica imporli. Né stavo esattamente paragonando Sergio a Manganelli, a chicchessia, come qualcun altro ha pensato. Ho detto che la situazione rappresentata me lo aveva richiamato alla mente.
Ho, piuttosto, reagito all’equazione “si parla male dei vecchi = razzismo / fascismo ecc. ecc.” e ho detto che esiste una montagna di letteratura che non dà voce a sentimenti nobili, ma è pur sempre letteratura. Ridimensionarla sul letto di Procuste dei buoni sentimenti mi pare un po’ miope, perché l’etica non è uno strumento conoscitivo sempre valido nello specifico artistico.
Trovo non molto coerente dire in prima istanza che il pezzo è censurabile perché ironizza su vecchi e malati, poi, di fronte all’obiezione che la strade percorse dall’invenzione letteraria (in special modo del comico!) sono talvolta anche quella dello sgradevole, dell’antigrazioso, del provocatorio, del rovesciamento dei tabù, ritirare dietro il giudizio di valore estetico “il pezzo è brutto, è debole, ecc.”, O è immorale, o è brutto. Certo può essere entrambe le cose, ma insomma, il cambio di binario mi suona come una soluzione comoda.
Alberto Coppi, manco te rispondo…
@ Franz
Ci vuole tolleranza zero con gli intolleranti lamentosi. Se stili un manifesto con questa proposta sono la prima a firmarlo. Io non ho paura di dichiarare il mio razzismo nei confronti di chi non usa il cervello per ragionare. Anzi, ne vado fiera. La cosa, sai, che mi fa imbestialire è che davvero si scrive, e solo chi scrive davvero sa cosa vuol dire scrivere, rischiando poi di essere letti, ovvero quasi sempre fraintesi. E tra tutte le cose che uno che scriva seriamente, oggi, deve sopportare, questa è la peggiore. Se stili il manifesto, Franz, io proporrei come primo punto l’esame di idoneità alla lettura: a giudizio insindacabile e unico dell’autore, l’aspirante lettore sarà autorizzato o meno dall’autore stesso a leggere quanto da questo scritto, se ne è degno, o a non farlo, se non lo è.
@ Luigi Weber
Con mestizia mi permetto di consigliarti di non sgolarti a spiegare. Per molti, qui, Céline è un Nazista, non uno Scrittore… La metafora, l’iperbole, l’ironia, il sarcasmo, il libero arbitrio di chi scrive non sono permessi da questi Grandi Censori. Questi badano ai Temi. E i Temi, come si sa, o sono bianchi o sono neri. Questi sarebbero tutti comunistoni, ovvero di mente e mentalità apertissime come una colletta o una comune, sarebbero tutti grandi e candidi sognatori, ovvero sognati un mondo nuovo e buono… Questi amerebbero la letteratura più di se stessi. Non capiscono LE PAROLE e sostengono di essere accusati di non aver apprezzato lo spirito, che ovviamente hanno inteso, oppure sostengono a fucile puntato di avere tutto il diritto di esercitare un gusto, mentre l’autore del pezzo, però, non può. Quando sono loro, però, a scrivere, se allora tu dissenti, sei tu che non hai apprezzato lo spirito perché non l’hai capito… Personalmente, ho il vomito. Oggi l’unica cosa che si dovrebbe scrivere, da scrittori veri, è il silenzio totale. Il web, poi, andrebbe eliminato per decreto-legge. Permette a gente che sarebbe cacciata a pedate dalla carta stampata o dall’editoria di credersi un intellettuale o uno scrittore perché “posta un commento”… Pasolini, Gadda, Manganelli, Céline, secondo me se avessero modo di leggere commenti come questi in cui vengono così sviliti, si rivolterebbero nella tomba. E non credo proprio che avrebbero un blog, se fossero vivi oggi.
“sognaNti un mondo nuovo e buono…”
:-)
Sergio è veramente un grande!!!
‘tutti chiusi in una palestra, a far ginnastica fino alla tortura’, diceva per i critici-circoletti il mio professorone di letteratura italiana all’università. altro che mancanza di ironia.
Gemma, propongo la fucilazione.
O no?…
@Tashtego; Andrea Barbieri; Ecc.
Ero ironico.
Franz, io non ero ironica… Sono razzista con chi non ragiona e crede di ragionare più degli altri, invece, e fa pure il gran censore e il grande opinionista di ‘sta… Vabbè, mi censuro da sola… Fucilare no, il sangue mi fa paura e non sopporto la vista delle armi, ma sai, un paio di “dialoghetti” alla Fight Club… Ci vorrebbero… A forza di cazzotti le teste si aprono, a volte… E i cervelli prendono aria… Come diceva Cèline, “perché nel cervello d’un coglione il pensiero faccia un giro, bisogna che gli capitino un sacco di cose e di molto crudeli”. Io ho meno speranza di Luis-Ferdinand. So che nemmeno questo, a volte, de-coglionizza un coglione… Anzi…
Cmq nell’umano c’è l’animale. Censurarlo è controproducente. E la lagna non ha mai portato da nessuna parte. Non aiuta. E te lo dice una che sa di averne viste e visti, di cose e di luoghi non belli, nella vita non lunga che ha vissuto finora, più di tanti che campeggiano qui a commentare e si permettono pure di attaccarla. Fra un po’, andando avanti di questo passo, si denuncerà anche l’aria che si respira perché osa TOCCARCI le nari… Tsz…
Un bacino, Franz,
Gemma
mamma mia quanta violenza
nella vostra professione d’impazienza
“Ho visto cose che voi umani non potete neppure immaginare.
Navi in fiamme al largo dei bastioni di Orione.
I raggi beta balenare nel buio alle porte di Tanhauser…
tutti questi momenti andranno perduti
come lacrime nella pioggia”
Ho conosciuto uomini e donne che si sono sposati ad un convegno dedicato ad un autore; altri hanno semplicemente e frettolosamente fornicato; qualcuno ha commesso omicidio, e molti, nutriti in modo sconveniente, hanno incontrato prematura morte. Altri sono stati derubati, uccisi, rapiti, torturati, complimentati, applauditi, mormorati, deplorati.
Tuttavia, a mio avviso, tutto ciò non prova con sicurezza che l’autore esista. (…) Esso non è che un indizio, una macchia di sangue, un giornale strappato, un urlo nella notte che nessuno ha sentito, eccetto un signore anziano che l’ha scambiato con il fischio di un treno.
(…) Non solo l’esistenza dell’autore è improbabile, ma positivamente dannosa, teoricamente un impaccio, un puro e semplice residuo tolemaico. Le parole non sono antropocentriche, nessuno le “scrive”, non “vogliono dire” nulla, non hanno nulla da dire.
(G.Manganelli, Pinocchio: un libro parallelo, Einaudi 1977, pag. 30-32)
spero almeno che il roast beef fosse buono(meglio mantenersi sul vago)
vabbe’, ma quanti anni ha ‘sto garufi?
Ecco, sarebbe stato favoloso che Sergio, in questo convegno immaginario, avesse piazzato anche il personaggio di Alcor come relatrice, non so, magari con qualcuno dal pubblico che la apostrofava Al Gore, chiedendole del rapporto letteratura/ambiente.
Però già così, quest’atmosfera cuneese – che non so da dove gli è venuta l’idea! -, questa letteratura quasi da cioccolatino alla castagna e liquore, è decisamente notevole.
gemma gaetani, tu non mi rispondi perché non PUOI rispondermi, non avendo mai letto il manga, e producendo quindi solo fumo, tanto inutile fumo…
Cioè, forse o no,
uno dovrebbe darsi una ripassatina al gargantuesco elenco di cibi onde per cui, laggiù nella città tra i due fiumi, Gesso e Stura,
Cuneo dico, (come dice il lemma stesso),
magari ha mangiato benissimo,
di cui interrogò il qui presente e de supra, diamonds,
il quale alluse al roastbeef,
cioè,
era per venire al dunque:
Magari uno che era insoddisfatto di relazioni, prolusioni, discorsi, riflessioni, cincischiamenti assortiti,
si consolava con cibi e sane bevande ristoratrici dello spirto ormai, cheneso, esulcerato, mettiamo.
Ovvero se l’insieme fu cosa poco gradita e interessante,
metteteci, qui, mettici, o Sergio,
almeno un bel menu,
affinchè con la lettura di esso,
ce facessimo na scurpacciata,
ed infatti, ecco, alfin, la narrativa consolatoria.
Genere inesausto.
Boiafaus.
è davvero agghiacciante! :))))
mi conforta però la smentita del biondillo! :))))
tanti baci
la fu
ecco, alla fine del menu suggerisco post (scriptum) su spiegazione di alka-sltzer enzesbergheriano (che, avendo io quasi l’età del pubblico cuneense continuo a non comprendere)
Gemma: no, no, lunga vita ai blog. Magari Breton ne avesse avuto uno o Cervantes, vuoi mettere?????
OT: funambola mia adorata ti sovvien l’eterno se ti dico che quando il blog di tash era ancora accessibile a noi mortali addetti alle partitelle di calcio, tu mi dedicasti una poesia?? Ebbene, io la salvai perché mi piacque molto, ma ora nel mio disordine di files e cartelle, non la rintraccio più. Spero che tu ce l’abbia. Me la rimanderesti??? Grazie e baci
fem
Ciao Francesca, eccoti il post-scriptum. In una conferenza del 1974 intitolata “La letteratura come istituzione ovvero l’effetto alka-seltzer” H.M. Enzensberger sostenne che mentre un tempo l’arte (cioè la pillola) era separata dalla vita (ossia il bicchiere d’acqua), svolgendosi solo nei luoghi tradizionalmente deputati (il museo, la galleria d’arte, il teatro, le biblioteche), oggi assistiamo a un “estetico diffuso”. In sintesi la pillola è venuta a contatto con l’acqua e si è sciolta rendendola frizzante, per cui la si trova anche fuori dalle sue cornici istituzionali: nella moda, nella pubblicità ecc. Io declinavo questa idea applicandola alla critica. Il residuo che persiste in fondo al bicchiere è la critica tradizionale delle accademie e delle terze pagine, ma l’acqua frizzante (l’ermeneutica diffusa) sono le discussioni letterarie in rete, lo spazio commenti dei lit-blog.
questo nonnulla fu amato dall’ape
desiderato da farfalle
da una celeste, disperata distanza
ebbe l’approvazione degli uccelli,
ed abbellì di se stesso il meriggio
e fu l’estate per un gruppo d’esseri
per cui la sua esistenza era la sola
prova che avessero dell’Universo
VIVAAAAAAAAAAAA LAMMOOOORRREEEEEEEEEEE ANCHE SOLO PER ORE BREVISSSIMEEEEEEEE, VIVAAAAAAAAAAAAAAAAA LAMMORRREEEE POI FINISCE CON LE SUE ONDE LUNGHISSIMEEE…
p.s l’approvazione degli uccellli è una metafora nè, ma neanche tanto :)))
baci francesca
la funambola
delle due l’una.
o gemma esagera nell’imbufalirsi a fronte di un’opinione diversa dalla sua.
oppure appartiene alla specie dei bufali e allora pazienza.
questo pezzo è orribile.
Qui il vero Pecoraro Scanio è Pecoraro Tashtego,braccia rubate alla pastorizia.Però su una cosa ha ragione,le categorie svantaggiate come i vecchi e i malatoi non si prendono in giro,o perlomeno si usa nei loro confronti una terminologia meno offensiva.Per esempio di Pecoraro Tashtego non direi mai che è un idiota,direi invece che è un diversamente intelligente.
infunambularsi per digerire una realtà disagevole è un’ottima soluzione(per riciclarsi come front-man c’è sempre tempo)
Non mi inchino perché temo l’apparire del solmi, ma che dire, di essere bi-esaudita così subito non me l’aspettavo! Grazie Sergio, ora sono più edotta e dotta! Grazie la fu, ti amo anche se femmina!
fem
ah: brindo al post e ai postali con bevanda effervescente
Su Manganelli ci ho sostenuto anche un esame all’università, oltre ad averlo letto. Potrei darti il numero del professore, Coppi. Ma mi procuri pena, e quindi di convincerti di quanto so esser vero, non m’importa. Ho altro da fare. Ma intervengo a scrivere queste parole perché ciò che è per me vomitevolmente insopportabile è la vostra saccenza che proviene dal nulla. Il vostro, anche, misero, impotente, maschilismo. Perché basta essere una donna per essere massacrata a sprangate di parole e presunzione, in questi luoghi in cui, certi uomini sostengono che si dovrebbero eliminare anche i pronomi maschili e quelli femminili, dalla lingua, per non urtare gli omosessuali… A me fate pietà. E non ti sto dando del “voi”, Alberto Coppi, sto parlando a più d’uno, qui. Non per amore del confronto, cosa nella quale da tempo ho perso le speranze, ma per odio, estremo sentimento d’insopportazione nei confronti dell’idiozia umana. Tu, per dire, chi sei? E che sapresti di me? In faccia, mi ci hai visto mai? E allora che cosa sai? In base a quali notizie ti PERMETTI di sostenere, di scrivere pubblicamente, cosa io avrei o non avrei letto? Vi riempite la bocca di letteratura e poi nella vita vi comportate come sciacalli. Oppure, forse, vivete vite da vittime e venite qui a sfogare gli istintucoli: dimmela di persona una cosa del genere, provaci, Coppi. State zitti, i libri veri, che davvero vengono scritti da persone che sacrificano la propria vita e il proprio tempo per cercare di capire il mondo e raccontarlo a gente come voi, non leggeteli proprio. Non sporcateli con le vostre mani. I nomi di quegli “autori” lasciateli in pace.
Non ti crucciare, Coppi. Non vi crucciate voi che dissentite con quanto io penso e sostengo. Perché vedete, io non sto veramente parlando con voi che non riconoscete legittimità a quanto io dichiaro. Della vostra legittimazione, e di quella generale, io me frego. Sto parlando con quei modi di fare che non sopporto e che voi credete e spacciate per opinioni o per convinzioni, incapaci di vedervi da fuori, per dichiarare il mio disprezzo più totale. E null’altro.
Fine.
gaetani, guarda, lungi da me, davvero, l’intenzione di irritrati al punto da farti straparlare come qui sopra – non ce n’è bisogno, credimi. io volevo solo farti notare che è esagerato paragonare garufi a manganelli, non fosse altro perché manganelli è tra quelli inarrivabili per tantissimi: garufi e me e te inclusi, s’intende. tutto qui. cosa c’entri in tutto ciò il femminismo, lo sai solo tu, cosa c’entrino i pronomi, lo sa forse qualche altro tuo interlocutore, non io. infine non so nemmeno cosa c’entri la tua faccia, della quale, se permetti, non mi cale un bel niente. quello che c’entra, invece, è il fatto di pensare che aver fatto un esame su manganelli serva a qualcosa, quando è arcinoto che gli esami universitari servono proprio a occultare la conoscenza e la letteratura, cosa – l’ccultamento della letteratura – la quale appunto io notavo nelle tue iperboliche affermazioni. un saluto senza alcun rancore.
@paolo
dopo il punto e dopo la virgola devi ricordarti di metterci uno spazio.
non è un mio capriccio, è proprio una regola.
Vedi, Coppi, io non sopporto chi non si sa controllare perché anche nell’incontrollo dell’aggressione che io mi concedo c’è controllo e consapevolezza.
Tu, straparli. Tu, sei incapace di rileggere perfino quello che tu stesso hai scritto.
Nessuno ha detto: “Garufi è Manganelli”. Come tu millanti che sia stato fatto.
E’ stato detto che C’E’ Manganelli, come ispiratore e nemmeno tanto sotteso nel pezzo che Garufi ha scritto.
Ma tu non hai capito niente e hai velenosamente replicato: “il massimo esito di questa stele commentizia è il paragone tra garufi e manganelli: davvero un’iperbole inarrivabile, come paragonare la motagnola qui fuori all’everest. ma ormai chi ha più orecchio per gli stili, per i veri stili!”.
Manco fosse Céline risuscitato, tu, Coppi.
E a me, Coppi, scegliendomi non so perché, hai ancora velenosamente replicato: “gemma di sicuro non si è mai letta manganelli”. Come se tu mi conoscessi, ovvero avessi visto mai la faccia e conoscessi la mia biografia, e sapessi perciò cosa ho letto e cosa no con tanta sicurezza da poterlo affermare in un luogo in cui altri possono leggere e io devo portarmi attaccate al mio nome le tue supposizioni.
E quando ti ho risposto dicendoti che evitavo perfino di risponderti tu hai ancora velenosamente replicato: “gemma gaetani, tu non mi rispondi perché non PUOI rispondermi, non avendo mai letto il manga, e producendo quindi solo fumo, tanto inutile fumo…”. Hai addirittura enfatizzato con la maiuscola, mi pare di vederlo il dito puntato.
Ora sostieni che sia lungi da te l’intenzione di irritarmi. Infatti i commenti tuoi che ho riportato li ha scritti San Francesco.
Tirando le somme mi pare che tu, Coppi, stia straparlando, e non poco.
Ora sostieni che nemmeno studiarli, gli scrittori, ci avvicinerebbe a capirli: no, tutto l’armamentario tecnico che ti fornisce l’università è una sciocchezza, usarlo per studiarli serve ad occultarceli, in realtà, Coppi, gli scrittori, perché avrebbero solo un ermeneuta, gli scrittori, e sarebbe chi decide di autoeleggersi tale… Preferibilmente sul web, perché il web, si sa, è democrazia…
Non sei l’unico che non-ragiona così, perciò ti appaiavo ad altri deliri che ho letto su queste colonne dei commenti, e ad una maniera di non-ragionare che con ciò che è la letteratura non ha niente a che fare.
Io non ti saluto e mi porto dietro il rancore e il tedio e il disgusto che mi hai procurato definitivamente con questo commento. Almeno, se attacchi, continua a farlo e difendi le ragioni del tuo attacco, giuste o sbagliate che siano…
Ma me li porto dietro per un secondo soltanto rancore e tedio e disgusto, il tempo necessario perché tu, Coppi, che non so nemmeno chi sei, ridiventi niente, nemmeno uno che mi ha aggredito e non so perché: no, niente.
Ma un consiglio: la prossima volta scrivi “il Manga”, altrimenti Manganelli si confonde col fumetto giapponese.
E sono tornata a scrivere tutto questo perché poco sopportabile è, e non solo per me, ne sono certa, chi parla e scrive a vanvera ma per davvero e poi fa pure il Grande Giudicatore. Non per altro.
a me la signora gaetani incute timore!
Ma no, Gemma a modo suo è carina, con una sua fragilità, anche se sbotta. E poi quando dice … i libri veri… scritti da persone che sacrificano la propria vita e il proprio tempo per cercare di capire il mondo e raccontarlo…, direi che ha ragione no?
visto che cominciamo a farci le pulci filologiche, pur non amando io particolarmente una tale arte, gaetani, mi vedo egualmente costretto a citarti:
“…A me veramente, pare perfino scontato, altro che iperbolico, il paragone tra Garufi e Manganelli, essendo ovvio che in questo pezzo Garufi stia ironizzando, oltre che iperbolizzando. Questioni che Manganelli amava molto condurre”.
come tutti possono vedere, tu non dici che in garufi c’è il manga ma fai proprio il paragone tra i due, basandolo su un principio critico-letterario di altissimo livello o acume, e cioè su “questioni” di ironia e di iperboli (sono “questioni” l’ironia e l’iperbole? boh…), come per dire il massimo del luogo comune per parlare del manga – come dire il non sense per carroll o il realsimo per verga – cioè come dire un bel niente. ma, come dicevo, gaetani, a me di tutto il fumo che evapora dal tuo eloquio, poco cale in fondo. c’è soltanto una cosa che mi piace di tutto quello che hai detto, ed è una cosa profondamete vera, secondo me: è quando parli della tua faccia che io non conosco. qui dici qualcosa di emozionante quasi, perché è proprio così: noi qui dentro parliamo e ci azzuffiamo e discutiamo (quelle poche volte che capita) lasciando fuori dallo scambio la faccia, che in fondo, se ci pensi, è il primo veicolo di rapporto tra le persone. qui dentro siamo tutti senza faccia, quindi ci sentiamo in diritto di dire quello che ci pare a chiunque – quando magari, voglio dire, tu sei una vecchina gobba e simpatica, e io non sarei mai capace, davanti alla tua faccia, di dirti che sei una vaporosa elucubrante, anche se poi lo sei davvero. e viceversa, magari – che ne sai – io sono un malato terminale dalla faccia rassegnata che trova un po’ di vita e brio ormai soltanto a ticchettare sui tasti. che ne sai, gaetani. che ne sappiamo, delle nostre facce. davanti alle facce sicuramente saremmo costretti a metter da aprte un po’ di boria, sono convinto e sono d’accordo con te, se è questo che vuoi dire. poi, se vuoi che continui a contartele, non hai che da fare un segno: io stacco per qualche altro minuto la flebo, raccolgo le ultime energie e ti do soddisfazione. un nuovo saluto.
Mi è piaciuto questo commento del Coppi.
Il punto è che la prima acredine fortissima era la tua, Alberto, e ti chiamo Alberto perché sono stanca di lottare, pur non avendo flebo attaccate, e perché non siamo a scuola, non è il caso di chiamarsi coi cognomi: l’acredine fortissima originaria è stata la tua, e contro l’autore del pezzo, ovvero Sergio. E non l’ho capito il senso di tanta acredine, non l’ho capito in te e non lo capisco quando ne leggo nei commenti altrui, qui, su queste colonne. Questo voleva dire il mio primo commento, piuttosto pacifico, mi pare: “riuscito o no, questo pezzo si rifà a X, Y e Z, è evidente…”. Ma tu hai preso la tua acredine, l’hai riappallottolata, e l’hai scagliata, stavolta, in faccia a me.
Se sei un malato terminale me ne dispiace.
Ma purtroppo non possiamo comportarci con gli altri in ragione dei nostri patimenti. E te lo dice una che, in confidenza, l’ha imparato patendo.
Avrei tante cose da dire su cosa comporta questo “dialogo” in assenza di corpo, più che di faccia, riflessioni e sociologiche e comunicative e perfino di natura psicologica, e avrei anche aneddoti da raccontare, alcuni davvero squisiti e ilari, altri meno, ma purtroppo non ho tempo di farlo.
Comunque, non sono una vecchina ingobbita, e nemmeno una vaporosa elucubrante. Poco capace di sintesi sì, ma vaporosa o elucubrante a vanvera, credimi, no.
Garufi e’ sprecato qui dentro.
molto divertente questo pezzo.