Post (moderno):la monnezza spiegata ai bambini -1
Modern/Postmodern, 1980 Mark Tansey
Dialettica dei rifiuti
di
Fabio Matteo
Consigliere di Amministrazione della ASìA Napoli s.p.a.
www.Asianapoli.it
Nel 1878 F. Engels avvertiva in Dialettica della natura: “Non aduliamoci troppo per la nostra vittoria umana sulla natura; la natura si vendica di ogni nostra vittoria” . La previsione di un futuro di cieche violenze esponenziali inflitte al suolo, all’acqua e all’aria del nostro pianeta, si basava allora sugli effetti della timida quanto feroce rivoluzione industriale ottocentesca, mentre la minaccia di una vendetta, di una ritorsione possibile sul nuovo sistema imposto dall’era tecnologica avanzata, era un monito chiaroveggente ad imporre regole di protezione sociali e naturali. Nell’avvicendarsi degli eventi storici, scarse sono state l’attenzione e la lungimiranza posta sull’accordo di quelle regole che a seconda delle fasi di sviluppo industriale ed economico avrebbero dovuto salvaguardarci. I rifiuti sono solo l’ultimo male da scontare, un cancro della natura, tanto più simbolico della nostra cecità in quanto ci lascia brancolare nel buio (e nel tanfo) delle nostre stesse “vittorie umane”, dei nostri consumi così deteriorabili eppure tanto difficili da smaltire.
Dal secondo dopoguerra, in questo folle e devastante conflitto intrapreso dall’uomo contro la natura e contro se stesso, nella disarmonia e nello squilibrio delle scelte attuate, lo smaltimento dei nostri rifiuti appare come una sorta di auto punizione. Esso ha difatti il potere di inquinare contemporaneamente la terra (discariche), l’acqua (le infiltrazioni nelle falde acquifere, nei fiumi e laghi del percolato prodotto dalla discarica) e l’aria (i fumi emessi dagli impianti di incenerimento). Eppure l’invenzione della plastica, l’uso della carta e dell’alluminio per realizzare o imballare merci e beni di consumo, il principio dell’usa e getta, sottendono senza dubbio ad un nuovo modello di sviluppo, meglio conosciuto sotto lo slogan del consumo di massa e della crescita del profitto capitalistico.
Modello di sviluppo che ci porta a rompere quel patto implicito di sopravvivenza e di convivenza istituito con il nostro pianeta, cioè quando ogni sostanza usata dagli uomini ritornava disponibile per il consumo senza produzione di rifiuti, o quando la discarica, unico sistema di smaltimento per millenni, digeriva i nostri rifiuti organici per restituirli alla terra in un sistema di compensazione. Partendo da questi presupposti e dai sintomi di un’indigestione, vorrei soffermarmi sul concetto di discarica; da quando ai rifiuti organici si sono aggiunti quelli inorganici (plastica, alluminio, poli-accoppiati), l’immissione incontrollata nell’ecosistema di oggetti creati dalla tecnica ma rifiutati dai processi naturali di biodegradazione ha mostrato il volto inquinante e implosivo delle discariche, sottraendo gradualmente ettari di territorio alla flora e alla fauna o ad altro uso umano più consono al mantenimento dell’habitat.
I segnali d’allarme dell’inquinamento per troppo tempo trascurati e l’esaurimento dei corpi recettori, hanno posto la politica e la società civile davanti ad una scelta: ridurre a monte la produzione dei rifiuti inorganici o costruire inceneritori capaci di sostituire la tecnologia delle discariche? Si è optato per la scelta seconda nell’intento di preservare e potenziare i livelli di consumo dei beni senza intaccare il profitto capitalistico. Solo negli anni ‘70, con l’incidente di Seveso, si è intuito che l’incenerimento della materia inorganica può essere dannoso per l’uomo almeno quanto l’inquinamento delle falde acquifere, e ci si è trovati ancora una volta di fronte a nuove scelte: costruire sistemi di incenerimento che fossero più sicuri e che al contempo recuperassero energia oppure ridurre la produzione dei rifiuti e adoperarsi per il recupero della materia prima-seconda attraverso la pratica della raccolta differenziata?
Possiamo ricavare una possibile risposta al dilemma dall’analisi dei dati che riguardano la gestione dei rifiuti urbani nell’Unione Europea, aggiornati al 2005, dai quali si evince che circa il 45% dei rifiuti urbani prodotti quotidianamente è ancora smaltito in discarica, il 19% è incenerito e il 37% è recuperato attraverso la raccolta differenziata. In Italia le cifre sono più sconfortanti, circa il 55% dei rifiuti urbani è digerito in discarica, il 12% è cremato e il 24% è differenziato. Eppure nessuno osa parlare di riduzione della produzione dei rifiuti, anzi la produzione giornaliera procapite aumenta costantemente: se agli inizi degli anni ‘90 ogni cittadino ne produceva in media meno di un Kg al giorno nel 2005 ci avviciniamo inquietantemente ai due Kg. E’ importante evidenziare che la pratica dell’incenerimento ha prodotto un aumento vertiginoso della produzione dei rifiuti, in questo senso è fondamentale analizzare il caso Brescia , che possiede l’inceneritore più grande di Europa.
Nondimeno, quella macchina produce discariche all’infinito per tutti quei residui che non è possibile incenerire, ridicolizzando gli sforzi tesi a ridurre la produzione dei rifiuti a monte e rendendo accessoria la raccolta differenziata finalizzata al recupero di materia. Senza dubbio un business c’è, ed è attivato da quella tassa chiamata Cip 6 che grava sulle bollette Enel dei cittadini permettendo l’erogazione dei contributi statali agli impianti di termovalorizzazione. Dunque incentivi statali per il sostegno degli inceneritori e non per la raccolta differenziata: uno scandalo che sembra sia stato abolito per i futuri impianti.
Queste riflessioni possono dare qualche spunto sulla vicenda della Campania, dove l’illusione di sostituire rapidamente al “tutto in discarica” il “tutto incenerito” ha determinato un disastroso stato di emergenza permanente, un’esperienza a dir poco tragica. Per una rapida cronistoria, ricordiamo che nel febbraio del 1994 veniva istituito il Commissariato di Governo per l’emergenza rifiuti che promuoveva l’allestimento di dieci enormi discariche regionali, dove dovevano essere smaltiti più del 90% dei rifiuti urbani prodotti quotidianamente dai cittadini campani. Fra il 1996 e il 2000, quando le suddette discariche erano già in via di esaurimento, venne approvato il piano di smaltimento regionale che prevedeva la costruzione di due mega inceneritori ad Acerra (NA) ed a Santa Maria La Fossa (CE) che avrebbero dovuto bruciare circa il 35% dei rifiuti urbani prodotti quotidianamente, dopo essere stati trasformati in Combustibile Derivato dai Rifiuti (CDR) da sette impianti di selezione dislocati sul territorio delle cinque province campane. Il 35% doveva essere differenziato e il restante 30% smaltito in discarica. Questi i progetti.
A più di dieci anni dall’approvazione del piano sopracitato la situazione è la seguente: il 58% dei rifiuti urbani prodotti è ancora smaltito in discarica, il 35%, il cosiddetto CDR è parcheggiato, imballato, presso piazzole di stoccaggio provvisorio a Villa Literno (CE) e Giugliano (NA), e solo il 7% è differenziato. Nel dicembre 2005 la magistratura rinviò a giudizio i responsabili della società affidataria che gestiva i sette impianti di CDR, insieme all’ex Commissario Bassolino e stabilì, con apposita sentenza, che il CDR stoccato provvisoriamente a Villa Literno e Giugliano non fosse più considerato CDR bensì l’equivalente della frazione di scarto che può essere smaltita solo in discarica. Contestualmente il Governo Italiano rescisse il contratto con la società affidataria Fibe s.p.a. del Gruppo Impregilo (lo stesso che ha vinto la gara per costruire il ponte sullo stretto di Messina).
Allo stato attuale, la Regione Campania avrebbe bisogno di impianti di discarica per interrare il 93% dei rifiuti urbani prodotti quotidianamente! Forse qualche spiraglio di “luce” si aprirà quando “dovrebbe”, senza il consenso dei cittadini acerrani, entrare in funzione l’unico impianto di termovalorizzazione costruito, quello di Acerra (NA), nel quale però sarà possibile incenerire appena il 10% dei rifiuti urbani campani, pari a quelli trasformati in CDR dall’unico impianto di selezione regionale abilitato finalmente a produrre il CDR a Tufino dei sette in funzione.
Per come è stato strutturato il sistema di gestione dei rifiuti urbani in Campania, appare evidente che oggi siano necessarie discariche e piazzole di stoccaggio capaci di intercettare più del 90% della spazzatura prodotta e trattata quotidianamente, e a nulla servono le proteste dei sindaci campani che si oppongono alla realizzazione di siti di discarica per adesso ancora indispensabili. Per di più, il disastro campano è aggravato dal fatto che praticamente non esiste impiantistica per la raccolta differenziata, ciò spiega perché la RD non supera la quota del 10%.
Esistono solo due impianti di compostaggio capaci di intercettare appena il 3% di tutto il rifiuto organico che è possibile recuperare a Polla (SA) e Teora (AV) ma sono da tempo saturi. La politica ha fallito: Rastrelli (AN) Losco (Udeur-PD), Bassolino (DS-PD).
Il territorio regionale è stato ed è da più di trent’anni meta dei traffici e degli scarichi di rifiuti tossici ed industriali del ricco nord padano che, per risparmiare, ha arricchito e arricchisce le tasche dei camorristi del Casertano e del Napoletano avvelenando l’acqua, il suolo agricolo e l’aria di cui si nutrono milioni di cittadini. Forse in Campania, più che in altre regioni italiane, era necessario scommettere sulla Raccolta Differenziata ed in particolare sulla riduzione della produzione dei rifiuti. La trasformazione del contestato Decreto Legge n° 61 dell’11 maggio 2007, dal 05 luglio 2007 Legge n° 87, ha individuato solo siti di discarica idonei a smaltire le frazioni di scarto prodotti dagli impianti di selezione (ex-CDR) regionali, sono, invece, necessari almeno dieci siti dove realizzare, entro un anno, impianti di compostaggio per la frazione organica da raccolta differenziata ed è basilare imporre ad ogni comune campano la realizzazione di un’isola ecologica.
E’ indispensabile costruire al più presto un’impiantistica regionale atta a ricevere e trattare le frazioni di rifiuto mono e multi-materiale raccolte separatamente, così come è fondamentale il fattore tempo, poiché ogni soluzione tampone, palliativa, ha una durata limitata. Poi sarà emergenza, di nuovo, come sempre. Certo, se i comuni e gli ATO campani (ex Consorzi) sfruttassero i fondi Por 2007-2013 (300 milioni di euro sono stanziabili per opere finalizzate all’incremento della Raccolta differenziata), molti di questi impianti a gestione pubblica verrebbero realizzati quasi a costo zero, ma serve programmazione, spirito di iniziativa e disponibilità delle amministrazioni locali, fino ad oggi troppo refrattarie.
Una volta realizzati impianti alternativi, sarà possibile misurare quanti rifiuti urbani si possono sottrarre al destino della discarica e degli inceneritori. Si può però affermare, con ragionevole certezza, che almeno il 70% dei rifiuti prodotti potrà essere recuperata. Infatti, circa il 30% di questi sono frazione organica che potrebbe essere quasi tutta intercettata dagli impianti di compostaggio, il 40% sono frazioni di imballaggio, carta, cartone, plastica, alluminio, vetro e legno. Sulla gestione di queste frazioni si può intervenire in due modi: 1) potenziando la raccolta differenziata, privilegiando il sistema di raccolta mono-materiale porta a porta ed utilizzando al meglio i lavoratori dei consorzi di bacino interregionali che fino ad oggi vengono stipendiati senza avere la possibilità di lavorare; 2) adottando politiche di riduzione a monte della produzione dei rifiuti. In questo senso è utile sottolineare che nei principi stabiliti nell’ultima Direttiva Europea sui rifiuti n° 2006/12/CE del 5 aprile 2006 si ribadisce quanto affermato nelle precedenti Direttive europee in materia e cioè che è compito degli “stati membri adottare le misure appropriate per promuovere in primo luogo la prevenzione e la riduzione dei rifiuti, in secondo luogo il riciclaggio ed in ultima analisi l’uso dei rifiuti come fonte di energia”. Tuttavia, non si è fatto praticamente nulla per contenere o ridurre la produzione dei rifiuti.
Abbiamo mostrato in precedenza che l’indice di crescita della produzione dei rifiuti è purtroppo in costante aumento(+3% l’anno). Diventa quindi obbligatorio iniziare ad individuare quali provvedimenti occorre applicare per dare sostanza ai principi sopra enunciati, che rischiano altrimenti di restare solo su carta. Per ridurre i rifiuti è necessario innanzitutto intervenire sull’industria della distribuzione dei prodotti. L’annunciata riscrittura del Decreto Legislativo n° 152 emesso un anno fa dal governo Berlusconi, può permetterci di recuperare terreno sul fronte della riduzione. E’ necessario attivare circuiti virtuosi che promuovano la restituzione dei prodotti usati al distributore grande o piccolo che sia; progettare ed immettere nel ciclo produttivo articoli concepiti per essere riutilizzabili più volte; sostituire gradualmente l’economia dell’usa e getta con un’economia incentrata sulla vendita dei servizi di catering, consegna a domicilio, lavaggio, sterilizzazione e rigenerazione di articoli pluriuso nel caso di feste o manifestazioni pubbliche e private; promuovere accordi di programma fra gli enti locali e le associazioni dei ristoratori, dei commercianti, della grande e piccola distribuzione, dei gestori di pubblici esercizi per sostituire gli imballaggi a perdere con imballaggi a rendere; promuovere ed incentivare il compostaggio domestico; creare e sostenere il mercato del riuso.
Naturalmente sono solo alcune delle misure urgenti che le amministrazioni comunali, provinciali e regionali dovrebbero adottare, perché il cittadino non senta di affondare, oltre che nella spazzatura, nei Decreti, nelle indecisioni amministrative, nelle lentezze burocratiche, sotto l’occhio perplesso dell’Unione Europea, che comincia giustamente a ipotizzare un attentato alla sanità pubblica.
Le idee, le proposte per tentare di risolvere l’emergenza rifiuti in Campania, in Italia e in Europa, non mancano. La Sinistra deve prendere una posizione chiara, trasformando i molteplici NO alle Discariche e agli Inceneritori in proposte e strategie alternative, nella consapevolezza che le problematiche ambientali prodotte dal modello di sviluppo dominante possono essere superate definitivamente solo se si individua un sistema economico e sociale diverso da quello attuale, poiché, per dirla con le parole di Giorgio Nebbia: “le società capitalistiche, per le proprie regole intrinseche, possono sopravvivere soltanto con una continua crescita della produzione e del «consumo» delle merci a spese di una crescente sottrazione e contaminazione delle risorse naturali del pianeta” .
La risposta di Antonio Bassolino a Eugenio Scalfari:
http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/cronaca/rifiuti-2/lettera-bassolino/lettera-bassolino.html
per quanto il passaggio alla raccolta differenziata e alla riduzione dei rifiuti a monte sia di gran lunga la soluzione ideale, mi chiedo se, di fronte alla situazione attuale, la scelta degli incerneritori non possa considerarsi davvero un “second best”. Una soluzione non ideale ma comunque preferibile alle discariche (e alla monnezza per strada).
citando alcuni dati riportati ieri da Rizzo-Stella sul Corriere, i 65 cassonetti bruciati sabato (sulle cifre vado a memoria) a Napoli, avrebbero rilasciato in poche ore nell’aria una quantità di diossina pari a quella esalata da Porto Marghera in 450 giorni e una quantità di polveri sottili pari a quella rilasciata dal termovalorizzatore di Brescia in 500 giorni (ancora, sulle cifre vado a memoria).
Come dire: l’inceneritore non risolve i problemi campani ma ne ritarda le nefaste conseguenze di un anno e mezzo.
sono d’accordo con l’articolo postato sopra. ma pensando a una soluzione concreta ed immediata….
ah, due cose per concludere:
a) il link del sito di asia è scritto sbagliato, con una virgola, quindi andrebbe corretto altrimenti non si riesce a entrare.
b) la cosa surreale è che, nonostante al liceo mi abbiano sempre insegnato che sono le leggi della fisica e della chimica a determinare un cambiamento nello stato naturale delle cose (da acqua a vapore, da magma a roccia, da vegetale a carbone) nel caso dei rifiuti campani sono le leggi della politica a farlo: “Nel dicembre 2005 la magistratura […], con apposita sentenza, (stabilì) che il CDR […] non fosse più considerato CDR bensì l’equivalente della frazione di scarto che può essere smaltita solo in discarica”.
Miracoli della scienza: da combustibile a scarto inorganico con una sentenza del TAR. Evviva l’alchimista di partito.
E’ un articolo ricco che propone un supplemento al post d’ieri.
Certo, preferirei vedere la vita in rosa. Ma è la realtà: la pianeta va male.
Ciascuno puo fare uno sforzo: evitare sacchetti, non utilisare la macchina per niente, scegliere la simplicità: è molto difficile a vivere, perché siamo in una società di consumo veloce.
Ma penso che la mentalità cambia, lo spero.
grazie a Beccalossi per la segnalazione.
in serata la suite
effeffe