parole sconce
di Gloria Caccia Redig
Questo dolore fermo immobile sfocato
Quasi altro da me sconcio solo mio
Indirizzo subacqueo di male attraversato
Che m’attraversa parte a parte
Rimbalza chiodato e non esce da me
Che sto fuori di me e osservo covo tremo
Ferma sui nidi del passato che non muore.
Osservo, sì, questo cupo sciogliersi di giorni
E lo spreco dei miei occhi che non posano
Che non sanno aver riposo così chiusi turbinanti
Pieni di paura e strilli non emessi
Ma ingoiati stretti intorno al collo a cappio.
Questo stagno di vita galleggiante
Di vita mai abbastanza vita mai abbastanza.
Non so dove esistere stretta a questo figlio
Non respiro non nuoto è lui che salva
Questa sua madre sciocca subacquea madre
Che ride triste una volta al giorno contro tutto
Il resto del tempo in cui tiene la faccia
All’ombra del respiro che la soffoca.
Intorno sono tutti leggeri volano insipienti
Non sentono il germe di queste rughe di malanno
Antico non crescono non vogliono altro bene
Che questo altro male in cui esistere.
***
Tutto il dolore in un nocciolo duro
Sottolingua. Tutto il dolore compresso
Incompreso nelle parole poche, negli oggetti
Della casa, nel povero letto sempre rifatto.
E questo bambino splendente che non ha sole
Che piange del nostro niente.
Non sapevo di questo dolore, della guerra fredda
del convivere. Queste manine mie, e il bocciolo
della bocca, i capelli di piuma, il nasino raffreddato.
Questo è il regno.
***
Ogni giorno un uomo su cui camminare lenta
Ogni giorno un bacio, tassello d’amore falso e necessario
Ho perduto l’amore, resto io.
Mi annienta non essere
Non avere specchi alle mie brame
Sono qui per essere odiata, lo ricordo
Per rovesciare e uccidere, scintillare
Piena di magie
E di nessuna religione.
***
Ho solo scaglie di gloria e di pensiero
Fiato corto nel dovere del respiro
Astuzie dolorose e spreco di forze cattive
Cibo insano, vomito pensato, corrosione d’intenti
Pochi raggi da bere sbrodolati
Nell’arsura immobile di questo tempo desolato
Non ho balsamo capace, non ho dolcezza, non so più niente
Di niente dell’immagine di me.
***
Sul molo nel vento hai bestemmiato
Carnefice mentivi di innocenza
Innocente ti bevevo a sorsate d’aceto.
I nostri anelli di nozze in fumo
Le bugie bugie bugie dette piano
Sussurrate nel letto stanco dell’amore
Che male saperti in vita. Ti vorrei
morto, suicida, devastato. Che cosa hai preso
di me, che cosa sono adesso.
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parole che vorrebbero essere sconce. sarà possibile parlare di corpo senza autoindulgenze sentimentali, con attitudine più scabra e essenziale?
ma dove sono le parole sconce?
a parte tutto, non raggiungono il cuore, i sensi, il corpo.
Io trovo invece che la parola qui sia carne densa, e vissuta. Nessuno di questi versi indulge a qualcosa di estraneo a se stesso. Sì, forse c’è troppa ragione, talvolta. Ma è una ragione pulsante sangue che ne riempie la visione. Questa, secondo me, è la sconcezza, rappresentare una verità irrappresentabile.
la visione non somiglia alla ragione, mai.
l’oracolo non si contraddice, si riserva
C., non ho assimilato ragione e visione. La sintassi non è un’opinione.
soavi schiocchi di marlowe
Sono d’accordo col primo commento di Marlowe.
Aggiungerei solo qualche piccola notazione “critica”. Magari domani.
Versi vissuti, sì, che si sentono nettamente veri, e questo secondo me è molto importante. Un “brava” sincero.