E’ morto Dante/Leonardo,.
Il 99% dei viventi QUESTO NON LO SA e, invece, va a vedere la Cappella Sistina: I MORTI.
finisce la generazione dei padri
Mi confondeva il pervicace attaccamento di Rauschenberg alla pittura-pittura, al gesto di pittura, al colore e alla manualità della pittura, con sbavature e gocciolamenti, pittura che faceva convivere con materiali estranei, provenienti dall’iconosfera contemporanea, del tutto stridenti e mal amalgamati, spesso contaminati di pittura, come se si rendesse conto della fine di un’autonomia e di una specificità disciplinare, ormai totalmente minoritaria e sommersa dalla potenza figurale dei media di massa.
È stato sempre annoverato nella Pop Art, ma in lui mancava l’adesione fredda & acritica di Warhol, la sottigliezza concettuale di Lichtenstein, la capacità critica di Tom Wesselmann.
Lo percepivo vicino a Jasper Jones, così attaccato anche lui alla pittura, al gusto di integre e impastare e mescolare e dosare colori, di stenderli su una superficie.
Mi piaceva per questo.
@tash
se vuoi sapere dove nasce Rauschenberg, devi guardare al PADRE DI TUTTI: JOSEPH CORNELL.
@monom
sono contrario a genealogizzare troppo.
c’è cornell, certo, ma c’è anche l’action painting, per dire.
e non solo.
rauschenberg mi diceva.
@scusa Tash,
ma io non esprimevo un’opinione personale, a meno che non abbia male interpretato io il lavoro di Lynda Roscoe Hartigan, Richard Vine and Robert Lehrman with commentary of Walter Hopps, “Joseph Cornell. Shadowplay Eterniday, Thames & Hudson, 2005.
Un’opera che contiene in DVD tutta l’opera di Cornell, attraverso la quale,
mi era parso, The Voyager Foundation (Joseph Cornell), volesse rivendicare proprio questa paternità.
E’ stato quindi facile, confrontando il tutto con: Robert Rauchenberg. Combines, con saggi di Thomas Crow, Branden W. Joseph, Paul Schimmel e Charles Stukey, The Museum of Contemporary Art, Los Angeles, 2005, rendersi conto che la loro tesi non era tanto peregrina.
D’altronde, se questo conta qualcosa, ho anche visto le loro mostre a Firenze, negli anni ’80: Rauchenberg a Forte Belvedere con Dante, e Cornell a Palazzo Vecchio, dove le slot machine conobbero, almeno una volta, il loro luogo naturale.
IL FATTO E’ CHE IN CORNELL C’E’ GIA’ TUTTO.
E lo stesso discorso di Rauschenberg vale anche per Warhol.
UN UNICO PADRE.
Opinione personale: visto uno, visti tutti.
grazie monom per tutte le citazioni.
ne hai altre?
prendo appunti.
@Tashtego,
no, purtroppo, non ho altre citazioni che me stesso.
Ho infatti un *documentario* di 4.10 giga, ricavato dai file del DVD che accompagna il libro di Cornell – opere varie e film -, con montaggio e musiche scelte da me, in cui sostengo, trovando un comune sostrato nel concetto di *mnemosyne* e nella *nimpha*, un parallelo tra Cornell e Warbug, che considero, personalmente, le due personalità *decisive* nell’evoluzione dell’arte contemporanea.
Il tutto finisce con alcuni slow side musicali, miei, in cui faccio vedere come l’opera dei due influenzi in modo tale che, se non avvisata, passa del tutto inosservata. Come avviene in tutta l’arte attuale.
Se mi fai avere il tuo indirizzo, posso inviarti il mio DVD.
@elio
Visto un Fontana visti tutti? Nella serialità del gesto è la sua distruzione, la sua revoca?
@ Domenico
Sospeso
tra fontana e burri
sono un suono scordato
che scorda le parole
In burri pane trovi per i denti
in un fiorir d’aut
unno che rimastica la peste
Fontana, malato d’agonia
gola profonda taglia
: le parole
Per Fontana direi piuttosto “visto un taglio, visti tutti”: captata l’idea (alquanto elementare, anche se d’indubbio effetto) sarei di certo in grado di rimodularmela in autonomia, se intravedessi in questo qualche fecondità. Preciso soltanto che sono a “sufficiente” conoscenza dei contesti e delle logiche entro cui tali mosse acquistano significato (la mia non è indignazione da neofita) tuttavia non credo (nego fede) alla traduzione di tali significati (in sé complessi, ma umili) nelle roboanti “universalità” formulate dalla propaganda, chiamata a giustificare il gioco delle quotazioni. Così quando una figura peraltro simpatica ma evidentemente “ordinaria” come Rauschenberg viene chiamato “un gigante” mi viene da sorridere, ma non più di questo, perché i veri problemi sono indubbiamente altri.
R.I.P.
grande
tashtego, dal momento che tu sei uno dei commentatori che ho più in simpatia, ho deciso di farti un regalo…sicuramente tra poco mi odierai
;-))))
chiedo scusa soprattutto a Domenico Pinto, che ha piena facoltà di censurarmi dato lo sproloquio…
“La posizione di Rauschenberg oscilla intenzionalmente tra arte e vita. Lui stesso ha dichiarato che “un’opera d’arte assomiglia maggiormente al mondo reale se è realizzata con gli elementi del mondo reale”. […]Nei suoi assemblage, definiti combine – paintings, l’arte coinvolge la realtà e viceversa, in una dimensione aperta e fluida di interrelazione tra pittura, oggetti e immagini dell’universo urbano, fra spazio virtuale e ambiente fisico. Jasper Johns, invece, più freddamente analitico, tende piuttosto a riassorbire la realtà e i suoi oggetti all’interno del processo di autoriflessione del linguaggio artistico[…]
Rauschenberg, nel 1961, rispondendo alle domande del critico André Perinaud dalle colonne della rivista Arts: “I pittori impiegano dei colori che sono anche essi cose fabbricate. Desidero integrare nella mia tela qualsiasi oggetto legato alla vita”. […]in “Pilgrim”, (1960, Amburgo) una vecchia sedia dipinta di giallo, marrone e bianco campeggia davanti a un dipinto dalle pennellate simili a quelle dell’Espressionismo astratto. La sedia è a disposizione dello spettatore: mentre nel Dadaismo, l’oggetto, creato per un determinato uso, diventa opera d’arte, nel New Dada riconquista la propria identità.[…] la serie dei Black Paintings, dei Red Paintings e dei White Paintings, monocromi neri, rossi e bianchi concepiti dal 1951 come pagine vuote sulle quali potevano imprimersi i segni di tutto ciò che accadeva intorno a loro: dall’azione della luce nel tempo alle impronte dei trasportatori. Queste opere riflettevano la casualità nella creazione e l’importanza per l’artista di agire nell’intercapedine che separa arte e vita. Come scrisse John Cage, musicista a lui molto legato, le opere di Rauschenberg erano una dimostrazione che “la Bellezza sta ora nascosta ovunque ci prendiamo la briga di guardare”.
Poco dopo l’artista mette a punto la tecnica che definisce combine – paintings: assembla disegni, ritagli di giornale, fotografie, pagine stampate, colate di pittura, oggetti di ogni tipo che vanno a formare la sostanza dell’opera d’arte, senza gerarchie di nessun genere. “I pittori che mi hanno influenzato non fanno paesaggio. Leonardo Da Vinci, per esempio, la sua pittura era la vita. Una delle opere essenziali che ha lasciato in me una traccia è l’Annunciazione a Firenze. In questa tela, l’albero, la roccia, la Vergine hanno tutti la stessa importanza, nello stesso tempo, Non c’è gerarchia. E’ questo ciò che mi interessa.” […] Così è “Bed”, uno dei suoi più importanti lavori, un vero e proprio letto singolo corredato di cuscino,lenzuola e coperta, incorniciato e appeso verticalmente come un quadro, sul quale segni di colore, molto simili alle pennellate dell’Action Painting, si accalcano come su una tela. Le lenzuola disfatte raccontano dell’uomo e dell’azione che vi si è svolta, quasi come un memoriale che porta in sé le tracce del tempo e la storia di chi lo ha vissuto.”
(da Arte Contemporanea, La Biblioteca di repubblica, L’Espresso)
“ […] conciliare due diverse coppie di termini dialettici:la coppia valori –primari, valori – secondari; e l’altra alternativa se stare dentro il quadro o fuoriuscirne, alla ricerca di una spazialità concreta[…]Circa la prima coppia,per valori primari si devono intendere quelli di derivazione informale (o espressionista astratta), volti cioè a suggerire la presenza di forza telluriche e primordiali difficilmente controllabili, anzi deliberatamente abbandonate alla casualità (della colata, dello spruzzo, dell’imprevisto effetto materico).[…] mentre i valori secondari, sono quelli che tengono conto del “principio di realtà”, vale a dire dell’intervento della civiltà, del lavoro e dell’industria. Visto sotto quest’ultimo aspetto, il mondo ci appare come ormai interamente fatto, congelato, raggrumato; necessariamente articolato in un panorama urbano – merceologico di oggetti e beni di consumo, ognuno dei quali si dà una forma ben definita e riconoscibile, ovvero chiusa entro nozioni precise, laddove le istanze confuse e germinali della fase primaria si potranno dire aperte […]
[…] questo il modo di R. di portare entro l’opera le forze secondarie: non tanto rifarle con mezzi artistici, ma citarle ritagliandole e incollandole…nell’ambito dadaista ci furono almeno 2 vie principali di usare il collage: quella relativamente moderata di Schwitters, ove i singoli elementi ritagliati, benché ricavati con procedimento non artistico, entravano però in un contesto artistico, venendo armonizzati tra loro (anche se attraverso accostamenti arditi) e sfruttati nel loro potenziale estetico. L’altra via è quella di Duchamp, con caratteristiche concettuali. Il neodadaismo guarda senza dubbio al versante di Schwitters […] moltiplicata per dieci per cento: aumento delle dimensioni fisiche del quadro, e un più vasto repertorio di materiali secondari e anche gli elementi sensuosi – primari appaiono più violenti (c’è stato di mezzo l’Informale e l’Action Painting). […]ma più interessante la questione di aggetto materiale dei vari elementi incollati: già che in Schwitters questi sporgevano fuori dal piano della tela, distaccandosi dal collage cubista e dando luogo ad un assemblage. […] gli aggetti di R.mettono in crisi il prevalere della bidimensionalità dell’opera intesa come pagina gutenberghiana […] in “Senza titolo”, del 1955, sopravvivono sì le pagine gutenbeghiane (ottenute incollando molti ritagli di rotocalco), ma queste poi vengono montate nello spazio, in una fragile e molto provvisoria edicola: la spazialità azzerata nei suoi aspetti virtuali, rinasce in quelli reali come invasione, abbraccio concreto, costituzione di vani e facce interne- estrene. E realmente spaziale è anche il gallo cedrone imbalsamato posto al centro con ripresa esplicita della tecnica duchampiana del ready – made, ma dirottata su un tipo di oggetto che non sarebbe entrato nei gusti del suo inventore; si tratta di oggetto pittoresco, attraente e sensuoso, estetico, perfino libidico […] ma si tratta di oggetto povero, ai margini di una civiltà urbana artificiale entro cui Duchamp si sentiva prigioniero, potendosene liberare solo a forza di dirottamenti consumati con l’immaginazione) In R. c’è invece un sapore di nuova frontiera, non del tutto pianificata dalle forze del secondario, di esuberanza whitmaniana a vivere, a provare esperienze mistiche sul tipo di quelle descritte negli stessi anni da Kerouac e dalla beat generation […]
(da Renato Barilli, L’arte contemporanea, feltrinelli)
Ringrazio maria v.
Vorrei, a questo, aggiungere soltanto alcune notizie:
Schwitters è il solo artista che viene preso in considerazione per un confronto *diretto* con Cornell, dai critici che ho prima citato. Ma lui operava in Europa.
Duchamp fu il primo vero artista che *si accorse* di Cornell. Dopo la Guggenheim. La cosa avvenne così: Cornell telefonò alla Guggenheim, rispose Duchamp. I due concordarono una visita al garage di Cornell, da cui il fortunato Duchamp se ne andò con non so più quante *scatole*
La mostra *surrealismo* alla Julien Levy Gallery, aperta il 29 gennaio 1932, vede la partecipazione di tutti, ma proprio TUTTI i maggiori artisti europei del tempo. Unico americano – che non si riteneva un surrealista – Joseph Cornell.
In un’altra occasione, alla presentazione dei *collages filmici* di Cornell, Salvador Dalì uscì imprecando dalla sala, perché, diceva, anche lui aveva avuto quell’idea, ma non aveva fatto in tempo a realizzarla.
monom, se ti interessa, al MADRE (Museo d’Arte contemporanea Donna REgina) di Napoli, che già include Rauschenberg tra le esposizioni permanenti, ho letto che ci sarà una mostra a lui dedicata dal 18 Ottobre 2008 al 19 Gennaio 2009
@maria v
chissà che non ci possa essere per davvero!
per festeggiare, così, il 19 gennaio 2009
il mio 40* anniversario di matrimonio
spero, maria v, che tu non te lo sia copiato tutto.
grz, cmq.
le letture troppo ragionate di solito mi lasciano freddo.
prendono gli artisti e li incastonano troppo solidamente nella storia.
nella critica c’è quasi sempre un eccesso di determinazione.
un’iper-identificazione.
eccetera.
ra.
tash, hai ragione, ho il vizio maniacale di trascrivere, ritagliare, copincollare tutto ciò che la mia mente non riuscirà a ricordare, che avrei voluto scrivere io, o che mi sembra degno di nota…sfioro il feticismo, il fatto è che la tecnica “rauschenberg” è un po’ la tecnica che attualmente utilizzo per le mie composizioni poetiche, sulle impronte di altri illustri predecessori dai quali non riesco ancora a svincolarmi….prima di farlo però mi sono imposta di trovare anch’io il mio bel gallo cedrone in 3d da appiccicare al centro della pagina bucata, accetto suggerimenti ;-)))
piuttosto non denigrerei così il mestiere del critico, la scientificità, il rigore, la disciplina… non può permettersi il lusso di disfarsene se non chi le ha prima fatte proprie, incorporate…
accusare di freddezza non mi sembra corretto, è freddo uno che dedica alla disamina di un oggetto di suo interesse una buona fetta della propria vita? nessuno esente da difetti, ma la freddezza per me non ha nulla a che vedere con un libro che si apre con una dedica alla Alinovi.
Anch’io posso sembrare fredda citazionista, collagista, assemblatrice di materiali spuri, ma è un amore incolmabile, squilibrato… la matrice, tanto è vero che una testimonianza spontanea come quella di monom a tal punto mi commuove che con tutto il cuore gli dedico un omaggio, alla mia maniera di taglio e cucito ;-)
(monom a te e alla tua signora, con i migliori auguri, perché la vostra esistenza smentisce il mio cinismo, le mie disillusioni e io sono felicissima di ricredermi e di credervi…
-la poesia, troppo lunga, è un mio libero “arrangiamento” è dedicata ai 30 anni di matrimonio, ma si adatta splendidamente anche ai 40,
Nozze di Perle
Dopo tutto quanto è complicato l’amore breve
mentre invece è così semplice l’amore lungo
diciamo che questo non ha bisogno di barricate
contro il tempo né contro ciò che fuori tempo
né s’impiglia in fervori con date di scadenza
l’amore breve perfino in quelle tappe
in cui ignora la proverbiale urgenza
nasconde sempre dissimula o trattiene
mezzi addii che annunziano l’arrivo dell’oblio
invece l’amore lungo non conosce scismi
né soluzioni di continuità
piuttosto continuità di soluzioni
tutto questo è legato ad una storia, la nostra
[…]
storia che ha fatto scalo in trenta marzi
che a questo punto sono trenta ponti
trenta province della stessa memoria
[…]
di vita in comune e fuori dal comune
[…]
adesso il nostro amore come avviene a tutti
contiene inevitabili zone di tristezza e di premonizioni
parentesi di panico lontananze insolubili
colpe che vorremmo inventare d’un tratto
per annientarle definitivamente
[…]
eravamo siamo e saremo sempre insieme
a pezzi a tratti a palpebre a sogni
solitudine nord più solitudine sud
per prenderti nient’altro che la mano
quel gesto primigenio della coppia
ho dovuto stendere il mio braccio attraverso
un continente vastissimo e intricato
[…]
non c’è da lamentarsi
in trent’anni la vita
ci ha portati lontano e riportati vicino
ci ha mantenuto tanto proprio tanto occupati
che qualcosa di noi ancora ha preservato
a volte ci separa […]
allora ci avvicina[…]
ma resta sempre un delicato pianto un piacere
qualche volta perfino senza lacrime
parabola di questa storia mista
la vita a quattro mani la premura
la gioia su cui poggia
[…]
come due equilibristi sulla corda
[…]
(Mario Benedetti, Inventario)
Il dono di Maria mi ha talmente commosso – vivamente – che sento la necessità di ricambiare, correndo il rischio di annoiare gli altri.
Ma è ancora Rauschenberg, che dopo LEONARDO, rivisita il NOVECENTO italiano.
[da “L’assioma di Maria”, 1986]
Nautifile blandizie di sirene
scutrettola la trina dello strascico
che scivola con passo pornografico
, s’immela alle pelurie delle ascelle
gli ingeroglifica la rena il grembiale
( Sull’erba della darsena intrecciammo
le nostre polverose biciclette
come in gelosa lotta due caprette
sul loro esempio, muti, ci avvinghiammo )
Deprava i gigli fa
, ma l’altra era ammorsata
in un’atroce gonna
Pertutto
potesse entrare di straforo
in strozza come una secchezza e inghiotte
in còfani d’ovatta
in bìlico, già crolla
trèmolano le foglie nelle fratte
di sopra dune in branco pavoncelle
in Sardegna svernato, l’altro giorno
*
fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t’inciampi
il viluppo dell’alghe
anche la forza
che nella sua tenace ganga aggrega
i vivi e i morti, gli alberi e gli scogli
e si svolge da te, per te
[Gian Pietro Lucini, Corrado Govoni, Ardengo Soffici, Farfa, Camillo
Camillo Sbarbaro, Clemente Rebora, Arturo Onofri, Giuseppe Ungaretti
e, dulcis in fundo, Eugenio Montale].
Vorrei sottolineare dove si va parare, con quest’ultimo Montale.
Come il POETA-VATE preceda e indichi strade che verranno intuite anche da altri. In questo caso da Rauschenberg.
Ci spiega tutto James Hillman: con un estratto da *Il mito dell’analisi* [che ho usato come epigrafe, nel 1985, ad una sezione, intitolata *Contaminazioni*, in un mio libretto di poesie intitolato, a sua volta,
*I tabù dell’incerto*].
*
Quando lo psicologo [*l’artista*] trascura le chiacchiere, può darsi che stia navigando troppo in alto, là tra le cose superiori dello spirito.
Le chiacchiere forniscono la zavorra psichica della sozzura umana che ci trattiene giù nel viluppo delle faccende terrene.
Sembrerebbe che il fare anima abbia un foro dionisiaco attraverso il quale l’anima individuale è attirata in una sorta di *pazzia* comunitaria, chiamata impropriamente *infezione psichica*.
Questa breccia, o contaminazione, tra le anime dissolve l’isolamento paranoico e sembra essere una necessità per l’anima, al contrario che per lo spirito, il quale procede, come disse Plotino, da solo al solo*.
@ monom :-)
grazie assaje
@monom
Sai per caso da dove Hillman abbia tolto la citazione plotiniana?
no, mi spiace
? plotino
: a volo d’uccello
veloce mente
@domenico
scusa se ho liquidato così in fretta la faccenda Hillman/Plotino, ma l’ho fatto d’impulso confondendo il mio interesse per l’argomento [poco], con il tuo.
Scusa ancora.
Quel passo non ha rimandi in nota, ma Hillman, più avanti, cita direttamente:
*Enneadi*, III, 5, 1 (inglese), *Enneadi*, vol. II, Laterza, pag. 66 (la traduzione).
La frase di Hillman, citata sopra, continua così:
*Coloro che praticano le discipline spirituali escludono la vita personale, limitandosi a parlare della natura oggettiva delle loro esperienze: visioni, testi, diete ed esercizi.
L’alchimia ci parla di sostanze e di operazioni, non di emozioni biografiche; il misticismo, di preghiere, rituali e dottrine, non dei rapporti con gli altri […]
@monom
Grazie per la ricerca! Si trattava di questo: vi è in *Schwarze Spiegel, di Schmidt, un passo che parla di archi che scagliano dal nulla al nulla, *from the Alone to the Alone (*da solo al solo, dunque). Dovrebbe essere, scrive il commentatore, una citazione da Somerset Maugham:
And then at night, when he’d got a couple of
litres of white wine inside him, Kosti would talk in a
morbid way of the flight from the Alone to the Alone, of
the Dark Night of the Soul and of the final ecstasy in
which the creature becomes one with the Beloved
[Somerset Maugham, The Razor’s Edge, heinemann : london p. 107.]
Poi ho trovato in Rete Auden, che presenta una data di composizione precedente:
Others have tried it, all delight
Sustained in that ecstatic flight
Could not console
When through exhausting hours they’d flown From the alone to the Alone,
Nothing remained but the dry-as-bone
Night of the soul.
[August 1932]
‘Brothers who when the sirens roar …’ from The English Auden by WH Auden
Infine qualcosa in italiano:
Esychia, dunque, implica una separazione dal mondo – separazione esteriore oppure interiore, e talvolta entrambe: esteriore per mezzo della fuga nel deserto; interiore attraverso il “ritorno in sé” e il “mettere da parte i pensieri”. Per cirare i “Detti dei Padri del deserto”: “A meno che uno non dica nel suo cuore: io solo e Dio siamo nel mondo, non troverà riposo”. “Da solo al Solo“. Ma non è forse ciò egoistico, un rifiutare il valore spirituale della creazione materiale ed un evadere le proprie responsabilità verso i propri simili? Quando l’esicasta chiude gli occhi e le orecchie al mondo esterno, come faceva Silvano nella sua cella al monte Athos, quale servizio positivo e pratico sta egli rendendo al suo prossimo?
“Enter Hinduism’s myths, her magnificent symbols, her several hundred images of God, her rituals that keep turning night and day like never-ending prayer wheels. It is obtuse to confuse Hinduism’s images with idolatry, and their multiplicity with polytheism. They are ‘runways’ from which the sense-laden human spirit can rise for its “flight of the alone to the Alone”. Even village priest will frequently open their temple ceremonies with the following beloved invocation:
O Lord, forgive three sins that are due to my human limitations:
Thou art everywhere, but I worship you here;
Thou art without form, but I worship you in these forms;
Thou needest no praise, yet I offer you these prayers and salutations,
Lord, forgive three sins that are due to my human limitations.
(The World’s Religions – By Huston Smith p. 34).
,\\’
La cosa curiosa, in tutto questo, è che proprio qualche giorno fa ho comprato – non solamente portato a casa per poi riportarlo in libreria, dopo averlo letto, come faccio di solito – un libretto: Lucio Saviani, Sull’Athos. Tracce di una via filosofica. Edizioni Saletta dell’Uva, 2003.
Non ricordo nemmeno più dove avevo letto qualcosa su questo libro: vedevo Marco Polo sfilare davanti a quel promontorio, lasciandosi dietro gli ultimi gimnosofisti, per recarsi verso paesi dove questi conservavano ancora piena coscienza di sé, senza essere turbati o deviati da alcuna idolatria.
@domenico pinto
non dovresti impunemente dare indicazioni di questo tipo :
io ci sono andato e sono rimasto *contaminato* immediatamente: quella è gente che ci crede
così ho dovuto passare un’ora per ritrovare, faticosamente, quelle parole
che, ero sicuro di ricordare, sole avrebbe potuto bonificare la mia anima, inquinata quasi come una discarica:
***
Ti dirò una cosa, Franny. Una cosa che *so*. E non agitarti, non c’è niente di male. Ma se è la vita religiosa che ti interessa, dovresti sapere fin d’ora che ti lasci scappare uno per uno tutti gli atti religiosi che si compiono in questa casa. Non hai nemmeno il buon senso di *bere* una tazza di pollo consacrato quando te la portano. Eppure è l’unico tipo di brodo di pollo che Bessie sia capace di portare a qualcuno, in questo manicomio. E adesso *avanti*, sorellina, dimmi un po’. Se anche ti mettessi a girare il mondo intero in cerca di un maestro, qualche guru, qualche santone, che t’insegnasse a recitare bene la preghiera a Gesù, cosa ne ricaveresti? Come *diavolo* puoi pretendere di riconoscere un autentico santo quando lo vedi, se non sai riconoscere una tazza di brodo consacrato quando ce l’hai proprio sotto il naso. Sai darmi una risposta?
J. D. SALINGER, Franny e Zooey. Enaudi, 1979.
E meno male che c’è gente come Salinger, che riesce a rimettere le radici degli alberi rovesciati nella buca per terra a loro appropriata [oppure spara con la doppietta contro chi, ancora, va in cerca di santoni, di guru]:
Una volta, qualcuno, chiese a C.G. Jung se “credeva in dio”, lui rispose:
“Io non *credo*, io *so*”.
Naturalmente Dawkins, come sempre, [il gene egoista, un escamotage e non una teoria] non ci ha capito un cazzo, e nel suo *illusione di dio* [un libro che ho riportato in libreria, dopo averlo, faticosamente, letto, mentre il numero di Micromega sulla “riscossa laica” l’ho dovuto tenere, perché sottolineato, ma ben presto ha trovato la giusta strada della pattumiera differenziata, letteralmente: lo giuro] mette Jung al primo posto tra i suoi [i nostri!] avversari *credenti*.
Sarebbe meglio che Dawkins si ritirasse in una quiescenza esichazzica,
invece di dire tante cazzate, e, sopra tutto, prima diventare il chierico parlante e proselitano dell’ateismo. Che non ha alcun bisogno di sacerdoti proselitisti, ma di libri bellissimi, magnifici, come : PIERGIORGIO ODIFREDDI, Il Vangelo secondo la Scienza. Le religioni alla prova del nove. Einaudi, 1999.
Il quale Odifreddi malefece a concedere a Dawkins la sua prefazione per “L’illusione di Dio”, perché, quello, non gli arriva nemmeno alla tomaia.
@ Domenico
Soltanto ora posso ri-leggere gli interventi di questa intressantissima discussione su *pop americano* e sull’ideologia dei suoi Padri.
E soltanto ora la mia attenzione si appunta su una tua frase che diviene importantissima, per me, nell’analisi comparata della evoluzione di ciò che viene, semplicisticamente, definita * mentalità occidentale*.
Il fatto è che, a parer mio, esistono *mentalità* e *assenze di mente*, *ANIMAlità pure*.
Mi riferisco a questa tua frase: *Schmid parla di archi che scagliano dal nulla al nulla*, e la metto in relazione con un intervento – in un’altra parte di questo blog – sicuramente frutto di una frustrazione che, impercepita, si trasforma in maligna malevolenza – che NON E’ SANA CATTIVERIA – a proposito dell’annunciato *Meridiano* dell’opera poetica di Maria Luisa Spaziani.
Secondo me la più grande poetessa del nostro secondo Novecento.
La mia mentalità, infatti, in contrasto con personaggi che denutrono parere diverso, mi porterà, pur possedendo gran parte dell’opera di questo poeta, ad acquistarne l’opera completa.
Sarò così felice di omaggiare, attraverso la Volpe, la Nera Pantera del nostro redattore, e con lui l’Orso tedesco da lui tradotto: nella sua forma più bella (di cui purtroppo non conosco la grafia tedesca *bash…ker) l’Assassino.
da: La stella del libero arbitrio.
ARCHI
Squillano le medaglie delle foglie
sciabola autunno il mare.
Terra, urna di odori in cui germoglia
il seme del futuro.
La mia vita, incompiuta cattedrale,
aspetta l’arco ovest.
Lo sogna, oscuramente lo campisce,
sa che è il pilone-mastro del passato.
Angeli muratori a notte sfiorano
il porticato da finire: frusciano
come memorie nella tramontana,
oltre un sudario di palpebre e zero.
Sangue patito, lacrime e pensiero
cemenano le pietre. Adesso posso
assolvere e ingloblare l’arco est
che ridendo si è eretto da solo.
Quattro poeti italiani leggono quattro grandi artisti.
Inaugurazione
29 aprile Aula Magna dell’Università di Bergamo, ore 18.00
introduce Philippe Daverio, critico d’arte...
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
E’ morto Dante/Leonardo,.
Il 99% dei viventi QUESTO NON LO SA e, invece, va a vedere la Cappella Sistina: I MORTI.
finisce la generazione dei padri
Mi confondeva il pervicace attaccamento di Rauschenberg alla pittura-pittura, al gesto di pittura, al colore e alla manualità della pittura, con sbavature e gocciolamenti, pittura che faceva convivere con materiali estranei, provenienti dall’iconosfera contemporanea, del tutto stridenti e mal amalgamati, spesso contaminati di pittura, come se si rendesse conto della fine di un’autonomia e di una specificità disciplinare, ormai totalmente minoritaria e sommersa dalla potenza figurale dei media di massa.
È stato sempre annoverato nella Pop Art, ma in lui mancava l’adesione fredda & acritica di Warhol, la sottigliezza concettuale di Lichtenstein, la capacità critica di Tom Wesselmann.
Lo percepivo vicino a Jasper Jones, così attaccato anche lui alla pittura, al gusto di integre e impastare e mescolare e dosare colori, di stenderli su una superficie.
Mi piaceva per questo.
@tash
se vuoi sapere dove nasce Rauschenberg, devi guardare al PADRE DI TUTTI: JOSEPH CORNELL.
@monom
sono contrario a genealogizzare troppo.
c’è cornell, certo, ma c’è anche l’action painting, per dire.
e non solo.
rauschenberg mi diceva.
@scusa Tash,
ma io non esprimevo un’opinione personale, a meno che non abbia male interpretato io il lavoro di Lynda Roscoe Hartigan, Richard Vine and Robert Lehrman with commentary of Walter Hopps, “Joseph Cornell. Shadowplay Eterniday, Thames & Hudson, 2005.
Un’opera che contiene in DVD tutta l’opera di Cornell, attraverso la quale,
mi era parso, The Voyager Foundation (Joseph Cornell), volesse rivendicare proprio questa paternità.
E’ stato quindi facile, confrontando il tutto con: Robert Rauchenberg. Combines, con saggi di Thomas Crow, Branden W. Joseph, Paul Schimmel e Charles Stukey, The Museum of Contemporary Art, Los Angeles, 2005, rendersi conto che la loro tesi non era tanto peregrina.
D’altronde, se questo conta qualcosa, ho anche visto le loro mostre a Firenze, negli anni ’80: Rauchenberg a Forte Belvedere con Dante, e Cornell a Palazzo Vecchio, dove le slot machine conobbero, almeno una volta, il loro luogo naturale.
IL FATTO E’ CHE IN CORNELL C’E’ GIA’ TUTTO.
E lo stesso discorso di Rauschenberg vale anche per Warhol.
UN UNICO PADRE.
Opinione personale: visto uno, visti tutti.
grazie monom per tutte le citazioni.
ne hai altre?
prendo appunti.
@Tashtego,
no, purtroppo, non ho altre citazioni che me stesso.
Ho infatti un *documentario* di 4.10 giga, ricavato dai file del DVD che accompagna il libro di Cornell – opere varie e film -, con montaggio e musiche scelte da me, in cui sostengo, trovando un comune sostrato nel concetto di *mnemosyne* e nella *nimpha*, un parallelo tra Cornell e Warbug, che considero, personalmente, le due personalità *decisive* nell’evoluzione dell’arte contemporanea.
Il tutto finisce con alcuni slow side musicali, miei, in cui faccio vedere come l’opera dei due influenzi in modo tale che, se non avvisata, passa del tutto inosservata. Come avviene in tutta l’arte attuale.
Se mi fai avere il tuo indirizzo, posso inviarti il mio DVD.
@elio
Visto un Fontana visti tutti? Nella serialità del gesto è la sua distruzione, la sua revoca?
@ Domenico
Sospeso
tra fontana e burri
sono un suono scordato
che scorda le parole
In burri pane trovi per i denti
in un fiorir d’aut
unno che rimastica la peste
Fontana, malato d’agonia
gola profonda taglia
: le parole
Per Fontana direi piuttosto “visto un taglio, visti tutti”: captata l’idea (alquanto elementare, anche se d’indubbio effetto) sarei di certo in grado di rimodularmela in autonomia, se intravedessi in questo qualche fecondità. Preciso soltanto che sono a “sufficiente” conoscenza dei contesti e delle logiche entro cui tali mosse acquistano significato (la mia non è indignazione da neofita) tuttavia non credo (nego fede) alla traduzione di tali significati (in sé complessi, ma umili) nelle roboanti “universalità” formulate dalla propaganda, chiamata a giustificare il gioco delle quotazioni. Così quando una figura peraltro simpatica ma evidentemente “ordinaria” come Rauschenberg viene chiamato “un gigante” mi viene da sorridere, ma non più di questo, perché i veri problemi sono indubbiamente altri.
R.I.P.
grande
tashtego, dal momento che tu sei uno dei commentatori che ho più in simpatia, ho deciso di farti un regalo…sicuramente tra poco mi odierai
;-))))
chiedo scusa soprattutto a Domenico Pinto, che ha piena facoltà di censurarmi dato lo sproloquio…
“La posizione di Rauschenberg oscilla intenzionalmente tra arte e vita. Lui stesso ha dichiarato che “un’opera d’arte assomiglia maggiormente al mondo reale se è realizzata con gli elementi del mondo reale”. […]Nei suoi assemblage, definiti combine – paintings, l’arte coinvolge la realtà e viceversa, in una dimensione aperta e fluida di interrelazione tra pittura, oggetti e immagini dell’universo urbano, fra spazio virtuale e ambiente fisico. Jasper Johns, invece, più freddamente analitico, tende piuttosto a riassorbire la realtà e i suoi oggetti all’interno del processo di autoriflessione del linguaggio artistico[…]
Rauschenberg, nel 1961, rispondendo alle domande del critico André Perinaud dalle colonne della rivista Arts: “I pittori impiegano dei colori che sono anche essi cose fabbricate. Desidero integrare nella mia tela qualsiasi oggetto legato alla vita”. […]in “Pilgrim”, (1960, Amburgo) una vecchia sedia dipinta di giallo, marrone e bianco campeggia davanti a un dipinto dalle pennellate simili a quelle dell’Espressionismo astratto. La sedia è a disposizione dello spettatore: mentre nel Dadaismo, l’oggetto, creato per un determinato uso, diventa opera d’arte, nel New Dada riconquista la propria identità.[…] la serie dei Black Paintings, dei Red Paintings e dei White Paintings, monocromi neri, rossi e bianchi concepiti dal 1951 come pagine vuote sulle quali potevano imprimersi i segni di tutto ciò che accadeva intorno a loro: dall’azione della luce nel tempo alle impronte dei trasportatori. Queste opere riflettevano la casualità nella creazione e l’importanza per l’artista di agire nell’intercapedine che separa arte e vita. Come scrisse John Cage, musicista a lui molto legato, le opere di Rauschenberg erano una dimostrazione che “la Bellezza sta ora nascosta ovunque ci prendiamo la briga di guardare”.
Poco dopo l’artista mette a punto la tecnica che definisce combine – paintings: assembla disegni, ritagli di giornale, fotografie, pagine stampate, colate di pittura, oggetti di ogni tipo che vanno a formare la sostanza dell’opera d’arte, senza gerarchie di nessun genere. “I pittori che mi hanno influenzato non fanno paesaggio. Leonardo Da Vinci, per esempio, la sua pittura era la vita. Una delle opere essenziali che ha lasciato in me una traccia è l’Annunciazione a Firenze. In questa tela, l’albero, la roccia, la Vergine hanno tutti la stessa importanza, nello stesso tempo, Non c’è gerarchia. E’ questo ciò che mi interessa.” […] Così è “Bed”, uno dei suoi più importanti lavori, un vero e proprio letto singolo corredato di cuscino,lenzuola e coperta, incorniciato e appeso verticalmente come un quadro, sul quale segni di colore, molto simili alle pennellate dell’Action Painting, si accalcano come su una tela. Le lenzuola disfatte raccontano dell’uomo e dell’azione che vi si è svolta, quasi come un memoriale che porta in sé le tracce del tempo e la storia di chi lo ha vissuto.”
(da Arte Contemporanea, La Biblioteca di repubblica, L’Espresso)
“ […] conciliare due diverse coppie di termini dialettici:la coppia valori –primari, valori – secondari; e l’altra alternativa se stare dentro il quadro o fuoriuscirne, alla ricerca di una spazialità concreta[…]Circa la prima coppia,per valori primari si devono intendere quelli di derivazione informale (o espressionista astratta), volti cioè a suggerire la presenza di forza telluriche e primordiali difficilmente controllabili, anzi deliberatamente abbandonate alla casualità (della colata, dello spruzzo, dell’imprevisto effetto materico).[…] mentre i valori secondari, sono quelli che tengono conto del “principio di realtà”, vale a dire dell’intervento della civiltà, del lavoro e dell’industria. Visto sotto quest’ultimo aspetto, il mondo ci appare come ormai interamente fatto, congelato, raggrumato; necessariamente articolato in un panorama urbano – merceologico di oggetti e beni di consumo, ognuno dei quali si dà una forma ben definita e riconoscibile, ovvero chiusa entro nozioni precise, laddove le istanze confuse e germinali della fase primaria si potranno dire aperte […]
[…] questo il modo di R. di portare entro l’opera le forze secondarie: non tanto rifarle con mezzi artistici, ma citarle ritagliandole e incollandole…nell’ambito dadaista ci furono almeno 2 vie principali di usare il collage: quella relativamente moderata di Schwitters, ove i singoli elementi ritagliati, benché ricavati con procedimento non artistico, entravano però in un contesto artistico, venendo armonizzati tra loro (anche se attraverso accostamenti arditi) e sfruttati nel loro potenziale estetico. L’altra via è quella di Duchamp, con caratteristiche concettuali. Il neodadaismo guarda senza dubbio al versante di Schwitters […] moltiplicata per dieci per cento: aumento delle dimensioni fisiche del quadro, e un più vasto repertorio di materiali secondari e anche gli elementi sensuosi – primari appaiono più violenti (c’è stato di mezzo l’Informale e l’Action Painting). […]ma più interessante la questione di aggetto materiale dei vari elementi incollati: già che in Schwitters questi sporgevano fuori dal piano della tela, distaccandosi dal collage cubista e dando luogo ad un assemblage. […] gli aggetti di R.mettono in crisi il prevalere della bidimensionalità dell’opera intesa come pagina gutenberghiana […] in “Senza titolo”, del 1955, sopravvivono sì le pagine gutenbeghiane (ottenute incollando molti ritagli di rotocalco), ma queste poi vengono montate nello spazio, in una fragile e molto provvisoria edicola: la spazialità azzerata nei suoi aspetti virtuali, rinasce in quelli reali come invasione, abbraccio concreto, costituzione di vani e facce interne- estrene. E realmente spaziale è anche il gallo cedrone imbalsamato posto al centro con ripresa esplicita della tecnica duchampiana del ready – made, ma dirottata su un tipo di oggetto che non sarebbe entrato nei gusti del suo inventore; si tratta di oggetto pittoresco, attraente e sensuoso, estetico, perfino libidico […] ma si tratta di oggetto povero, ai margini di una civiltà urbana artificiale entro cui Duchamp si sentiva prigioniero, potendosene liberare solo a forza di dirottamenti consumati con l’immaginazione) In R. c’è invece un sapore di nuova frontiera, non del tutto pianificata dalle forze del secondario, di esuberanza whitmaniana a vivere, a provare esperienze mistiche sul tipo di quelle descritte negli stessi anni da Kerouac e dalla beat generation […]
(da Renato Barilli, L’arte contemporanea, feltrinelli)
Ringrazio maria v.
Vorrei, a questo, aggiungere soltanto alcune notizie:
Schwitters è il solo artista che viene preso in considerazione per un confronto *diretto* con Cornell, dai critici che ho prima citato. Ma lui operava in Europa.
Duchamp fu il primo vero artista che *si accorse* di Cornell. Dopo la Guggenheim. La cosa avvenne così: Cornell telefonò alla Guggenheim, rispose Duchamp. I due concordarono una visita al garage di Cornell, da cui il fortunato Duchamp se ne andò con non so più quante *scatole*
La mostra *surrealismo* alla Julien Levy Gallery, aperta il 29 gennaio 1932, vede la partecipazione di tutti, ma proprio TUTTI i maggiori artisti europei del tempo. Unico americano – che non si riteneva un surrealista – Joseph Cornell.
In un’altra occasione, alla presentazione dei *collages filmici* di Cornell, Salvador Dalì uscì imprecando dalla sala, perché, diceva, anche lui aveva avuto quell’idea, ma non aveva fatto in tempo a realizzarla.
monom, se ti interessa, al MADRE (Museo d’Arte contemporanea Donna REgina) di Napoli, che già include Rauschenberg tra le esposizioni permanenti, ho letto che ci sarà una mostra a lui dedicata dal 18 Ottobre 2008 al 19 Gennaio 2009
@maria v
chissà che non ci possa essere per davvero!
per festeggiare, così, il 19 gennaio 2009
il mio 40* anniversario di matrimonio
spero, maria v, che tu non te lo sia copiato tutto.
grz, cmq.
le letture troppo ragionate di solito mi lasciano freddo.
prendono gli artisti e li incastonano troppo solidamente nella storia.
nella critica c’è quasi sempre un eccesso di determinazione.
un’iper-identificazione.
eccetera.
ra.
tash, hai ragione, ho il vizio maniacale di trascrivere, ritagliare, copincollare tutto ciò che la mia mente non riuscirà a ricordare, che avrei voluto scrivere io, o che mi sembra degno di nota…sfioro il feticismo, il fatto è che la tecnica “rauschenberg” è un po’ la tecnica che attualmente utilizzo per le mie composizioni poetiche, sulle impronte di altri illustri predecessori dai quali non riesco ancora a svincolarmi….prima di farlo però mi sono imposta di trovare anch’io il mio bel gallo cedrone in 3d da appiccicare al centro della pagina bucata, accetto suggerimenti ;-)))
piuttosto non denigrerei così il mestiere del critico, la scientificità, il rigore, la disciplina… non può permettersi il lusso di disfarsene se non chi le ha prima fatte proprie, incorporate…
accusare di freddezza non mi sembra corretto, è freddo uno che dedica alla disamina di un oggetto di suo interesse una buona fetta della propria vita? nessuno esente da difetti, ma la freddezza per me non ha nulla a che vedere con un libro che si apre con una dedica alla Alinovi.
Anch’io posso sembrare fredda citazionista, collagista, assemblatrice di materiali spuri, ma è un amore incolmabile, squilibrato… la matrice, tanto è vero che una testimonianza spontanea come quella di monom a tal punto mi commuove che con tutto il cuore gli dedico un omaggio, alla mia maniera di taglio e cucito ;-)
(monom a te e alla tua signora, con i migliori auguri, perché la vostra esistenza smentisce il mio cinismo, le mie disillusioni e io sono felicissima di ricredermi e di credervi…
-la poesia, troppo lunga, è un mio libero “arrangiamento” è dedicata ai 30 anni di matrimonio, ma si adatta splendidamente anche ai 40,
Nozze di Perle
Dopo tutto quanto è complicato l’amore breve
mentre invece è così semplice l’amore lungo
diciamo che questo non ha bisogno di barricate
contro il tempo né contro ciò che fuori tempo
né s’impiglia in fervori con date di scadenza
l’amore breve perfino in quelle tappe
in cui ignora la proverbiale urgenza
nasconde sempre dissimula o trattiene
mezzi addii che annunziano l’arrivo dell’oblio
invece l’amore lungo non conosce scismi
né soluzioni di continuità
piuttosto continuità di soluzioni
tutto questo è legato ad una storia, la nostra
[…]
storia che ha fatto scalo in trenta marzi
che a questo punto sono trenta ponti
trenta province della stessa memoria
[…]
di vita in comune e fuori dal comune
[…]
adesso il nostro amore come avviene a tutti
contiene inevitabili zone di tristezza e di premonizioni
parentesi di panico lontananze insolubili
colpe che vorremmo inventare d’un tratto
per annientarle definitivamente
[…]
eravamo siamo e saremo sempre insieme
a pezzi a tratti a palpebre a sogni
solitudine nord più solitudine sud
per prenderti nient’altro che la mano
quel gesto primigenio della coppia
ho dovuto stendere il mio braccio attraverso
un continente vastissimo e intricato
[…]
non c’è da lamentarsi
in trent’anni la vita
ci ha portati lontano e riportati vicino
ci ha mantenuto tanto proprio tanto occupati
che qualcosa di noi ancora ha preservato
a volte ci separa […]
allora ci avvicina[…]
ma resta sempre un delicato pianto un piacere
qualche volta perfino senza lacrime
parabola di questa storia mista
la vita a quattro mani la premura
la gioia su cui poggia
[…]
come due equilibristi sulla corda
[…]
(Mario Benedetti, Inventario)
Il dono di Maria mi ha talmente commosso – vivamente – che sento la necessità di ricambiare, correndo il rischio di annoiare gli altri.
Ma è ancora Rauschenberg, che dopo LEONARDO, rivisita il NOVECENTO italiano.
[da “L’assioma di Maria”, 1986]
Nautifile blandizie di sirene
scutrettola la trina dello strascico
che scivola con passo pornografico
, s’immela alle pelurie delle ascelle
gli ingeroglifica la rena il grembiale
( Sull’erba della darsena intrecciammo
le nostre polverose biciclette
come in gelosa lotta due caprette
sul loro esempio, muti, ci avvinghiammo )
Deprava i gigli fa
, ma l’altra era ammorsata
in un’atroce gonna
Pertutto
potesse entrare di straforo
in strozza come una secchezza e inghiotte
in còfani d’ovatta
in bìlico, già crolla
trèmolano le foglie nelle fratte
di sopra dune in branco pavoncelle
in Sardegna svernato, l’altro giorno
*
fa che il passo
su la ghiaia ti scricchioli e t’inciampi
il viluppo dell’alghe
anche la forza
che nella sua tenace ganga aggrega
i vivi e i morti, gli alberi e gli scogli
e si svolge da te, per te
[Gian Pietro Lucini, Corrado Govoni, Ardengo Soffici, Farfa, Camillo
Camillo Sbarbaro, Clemente Rebora, Arturo Onofri, Giuseppe Ungaretti
e, dulcis in fundo, Eugenio Montale].
Vorrei sottolineare dove si va parare, con quest’ultimo Montale.
Come il POETA-VATE preceda e indichi strade che verranno intuite anche da altri. In questo caso da Rauschenberg.
Ci spiega tutto James Hillman: con un estratto da *Il mito dell’analisi* [che ho usato come epigrafe, nel 1985, ad una sezione, intitolata *Contaminazioni*, in un mio libretto di poesie intitolato, a sua volta,
*I tabù dell’incerto*].
*
Quando lo psicologo [*l’artista*] trascura le chiacchiere, può darsi che stia navigando troppo in alto, là tra le cose superiori dello spirito.
Le chiacchiere forniscono la zavorra psichica della sozzura umana che ci trattiene giù nel viluppo delle faccende terrene.
Sembrerebbe che il fare anima abbia un foro dionisiaco attraverso il quale l’anima individuale è attirata in una sorta di *pazzia* comunitaria, chiamata impropriamente *infezione psichica*.
Questa breccia, o contaminazione, tra le anime dissolve l’isolamento paranoico e sembra essere una necessità per l’anima, al contrario che per lo spirito, il quale procede, come disse Plotino, da solo al solo*.
@ monom :-)
grazie assaje
@monom
Sai per caso da dove Hillman abbia tolto la citazione plotiniana?
no, mi spiace
? plotino
: a volo d’uccello
veloce mente
@domenico
scusa se ho liquidato così in fretta la faccenda Hillman/Plotino, ma l’ho fatto d’impulso confondendo il mio interesse per l’argomento [poco], con il tuo.
Scusa ancora.
Quel passo non ha rimandi in nota, ma Hillman, più avanti, cita direttamente:
*Enneadi*, III, 5, 1 (inglese), *Enneadi*, vol. II, Laterza, pag. 66 (la traduzione).
La frase di Hillman, citata sopra, continua così:
*Coloro che praticano le discipline spirituali escludono la vita personale, limitandosi a parlare della natura oggettiva delle loro esperienze: visioni, testi, diete ed esercizi.
L’alchimia ci parla di sostanze e di operazioni, non di emozioni biografiche; il misticismo, di preghiere, rituali e dottrine, non dei rapporti con gli altri […]
@monom
Grazie per la ricerca! Si trattava di questo: vi è in *Schwarze Spiegel, di Schmidt, un passo che parla di archi che scagliano dal nulla al nulla, *from the Alone to the Alone (*da solo al solo, dunque). Dovrebbe essere, scrive il commentatore, una citazione da Somerset Maugham:
And then at night, when he’d got a couple of
litres of white wine inside him, Kosti would talk in a
morbid way of the flight from the Alone to the Alone, of
the Dark Night of the Soul and of the final ecstasy in
which the creature becomes one with the Beloved
[Somerset Maugham, The Razor’s Edge, heinemann : london p. 107.]
Poi ho trovato in Rete Auden, che presenta una data di composizione precedente:
Others have tried it, all delight
Sustained in that ecstatic flight
Could not console
When through exhausting hours they’d flown
From the alone to the Alone,
Nothing remained but the dry-as-bone
Night of the soul.
[August 1932]
‘Brothers who when the sirens roar …’ from The English Auden by WH Auden
Infine qualcosa in italiano:
Esychia, dunque, implica una separazione dal mondo – separazione esteriore oppure interiore, e talvolta entrambe: esteriore per mezzo della fuga nel deserto; interiore attraverso il “ritorno in sé” e il “mettere da parte i pensieri”. Per cirare i “Detti dei Padri del deserto”: “A meno che uno non dica nel suo cuore: io solo e Dio siamo nel mondo, non troverà riposo”. “Da solo al Solo“. Ma non è forse ciò egoistico, un rifiutare il valore spirituale della creazione materiale ed un evadere le proprie responsabilità verso i propri simili? Quando l’esicasta chiude gli occhi e le orecchie al mondo esterno, come faceva Silvano nella sua cella al monte Athos, quale servizio positivo e pratico sta egli rendendo al suo prossimo?
http://digilander.libero.it/ortodossia/esychia.htm
“Enter Hinduism’s myths, her magnificent symbols, her several hundred images of God, her rituals that keep turning night and day like never-ending prayer wheels. It is obtuse to confuse Hinduism’s images with idolatry, and their multiplicity with polytheism. They are ‘runways’ from which the sense-laden human spirit can rise for its “flight of the alone to the Alone”. Even village priest will frequently open their temple ceremonies with the following beloved invocation:
O Lord, forgive three sins that are due to my human limitations:
Thou art everywhere, but I worship you here;
Thou art without form, but I worship you in these forms;
Thou needest no praise, yet I offer you these prayers and salutations,
Lord, forgive three sins that are due to my human limitations.
(The World’s Religions – By Huston Smith p. 34).
,\\’
La cosa curiosa, in tutto questo, è che proprio qualche giorno fa ho comprato – non solamente portato a casa per poi riportarlo in libreria, dopo averlo letto, come faccio di solito – un libretto: Lucio Saviani, Sull’Athos. Tracce di una via filosofica. Edizioni Saletta dell’Uva, 2003.
Non ricordo nemmeno più dove avevo letto qualcosa su questo libro: vedevo Marco Polo sfilare davanti a quel promontorio, lasciandosi dietro gli ultimi gimnosofisti, per recarsi verso paesi dove questi conservavano ancora piena coscienza di sé, senza essere turbati o deviati da alcuna idolatria.
@domenico pinto
non dovresti impunemente dare indicazioni di questo tipo :
http://digilander.libero.it/ortodossia/esychia.htm
io ci sono andato e sono rimasto *contaminato* immediatamente: quella è gente che ci crede
così ho dovuto passare un’ora per ritrovare, faticosamente, quelle parole
che, ero sicuro di ricordare, sole avrebbe potuto bonificare la mia anima, inquinata quasi come una discarica:
***
Ti dirò una cosa, Franny. Una cosa che *so*. E non agitarti, non c’è niente di male. Ma se è la vita religiosa che ti interessa, dovresti sapere fin d’ora che ti lasci scappare uno per uno tutti gli atti religiosi che si compiono in questa casa. Non hai nemmeno il buon senso di *bere* una tazza di pollo consacrato quando te la portano. Eppure è l’unico tipo di brodo di pollo che Bessie sia capace di portare a qualcuno, in questo manicomio. E adesso *avanti*, sorellina, dimmi un po’. Se anche ti mettessi a girare il mondo intero in cerca di un maestro, qualche guru, qualche santone, che t’insegnasse a recitare bene la preghiera a Gesù, cosa ne ricaveresti? Come *diavolo* puoi pretendere di riconoscere un autentico santo quando lo vedi, se non sai riconoscere una tazza di brodo consacrato quando ce l’hai proprio sotto il naso. Sai darmi una risposta?
J. D. SALINGER, Franny e Zooey. Enaudi, 1979.
E meno male che c’è gente come Salinger, che riesce a rimettere le radici degli alberi rovesciati nella buca per terra a loro appropriata [oppure spara con la doppietta contro chi, ancora, va in cerca di santoni, di guru]:
Una volta, qualcuno, chiese a C.G. Jung se “credeva in dio”, lui rispose:
“Io non *credo*, io *so*”.
Naturalmente Dawkins, come sempre, [il gene egoista, un escamotage e non una teoria] non ci ha capito un cazzo, e nel suo *illusione di dio* [un libro che ho riportato in libreria, dopo averlo, faticosamente, letto, mentre il numero di Micromega sulla “riscossa laica” l’ho dovuto tenere, perché sottolineato, ma ben presto ha trovato la giusta strada della pattumiera differenziata, letteralmente: lo giuro] mette Jung al primo posto tra i suoi [i nostri!] avversari *credenti*.
Sarebbe meglio che Dawkins si ritirasse in una quiescenza esichazzica,
invece di dire tante cazzate, e, sopra tutto, prima diventare il chierico parlante e proselitano dell’ateismo. Che non ha alcun bisogno di sacerdoti proselitisti, ma di libri bellissimi, magnifici, come : PIERGIORGIO ODIFREDDI, Il Vangelo secondo la Scienza. Le religioni alla prova del nove. Einaudi, 1999.
Il quale Odifreddi malefece a concedere a Dawkins la sua prefazione per “L’illusione di Dio”, perché, quello, non gli arriva nemmeno alla tomaia.
@ Domenico
Soltanto ora posso ri-leggere gli interventi di questa intressantissima discussione su *pop americano* e sull’ideologia dei suoi Padri.
E soltanto ora la mia attenzione si appunta su una tua frase che diviene importantissima, per me, nell’analisi comparata della evoluzione di ciò che viene, semplicisticamente, definita * mentalità occidentale*.
Il fatto è che, a parer mio, esistono *mentalità* e *assenze di mente*, *ANIMAlità pure*.
Mi riferisco a questa tua frase: *Schmid parla di archi che scagliano dal nulla al nulla*, e la metto in relazione con un intervento – in un’altra parte di questo blog – sicuramente frutto di una frustrazione che, impercepita, si trasforma in maligna malevolenza – che NON E’ SANA CATTIVERIA – a proposito dell’annunciato *Meridiano* dell’opera poetica di Maria Luisa Spaziani.
Secondo me la più grande poetessa del nostro secondo Novecento.
La mia mentalità, infatti, in contrasto con personaggi che denutrono parere diverso, mi porterà, pur possedendo gran parte dell’opera di questo poeta, ad acquistarne l’opera completa.
Sarò così felice di omaggiare, attraverso la Volpe, la Nera Pantera del nostro redattore, e con lui l’Orso tedesco da lui tradotto: nella sua forma più bella (di cui purtroppo non conosco la grafia tedesca *bash…ker) l’Assassino.
da: La stella del libero arbitrio.
ARCHI
Squillano le medaglie delle foglie
sciabola autunno il mare.
Terra, urna di odori in cui germoglia
il seme del futuro.
La mia vita, incompiuta cattedrale,
aspetta l’arco ovest.
Lo sogna, oscuramente lo campisce,
sa che è il pilone-mastro del passato.
Angeli muratori a notte sfiorano
il porticato da finire: frusciano
come memorie nella tramontana,
oltre un sudario di palpebre e zero.
Sangue patito, lacrime e pensiero
cemenano le pietre. Adesso posso
assolvere e ingloblare l’arco est
che ridendo si è eretto da solo.