Blu Organico
di Maria Valente
(Questo è un testo audiovisivo: pregasi ascoltare.)
per urti oculari si trasmette l’aggressività degli specchi
tra il muro e lo specchio: il corpo sottratto
so che non è avvenuto altro che un gioco
e mi tengo a questa coscienza e la osservo
che si sviluppa più rapida di un geranio
tutta piena di finte e rapine
tanto guardano sempre da un’altra parte
con la fragilità di una pellicola
l’occhio è un’apprensione della luce
le più vicine di quelle voci formavano una mappa
a ritroso lungo viali di solitudini e notti
d’alluminio ma i senzatetto non amano
gli arcobaleni riflessi nelle pozze d’olio
e di benzina perché tengono gli occhi chiusi
e i cappelli calati sugli occhi, le teste ciondoloni
e un silenzio di grucce, come nel fango foglie
sbavate da lumache, non tutti però sono già morti
anche se è preferibile morire prima di decomporsi,
diventando un cadavere socievole bere il sole fino
a farne una scorpacciata e mettersi a digerire coi piedi
in aria e i pensieri rachitici, vagabondando
da un bidone all’altro spingendosi in
avanti come sforzandosi seduti al gabinetto
un fossile che scoraggia lo sguardo sfocato
davanti allo spettacolo di notte senza senso
le persone pulite sono le più
morte – essere un’anima ad alto grado di
entropia con due sistemi costantemente in
equilibrio, reciprocamente ostili, aprire il
rubinetto che li separa
e non volerne sapere di espandersi
ma l’energia cinetica che chiamiamo calore?
con i bambini che mi saltavano sulla pancia
e quanto vomito anch’io sulla strada
a volte ricordava un’alba grigio-azzurra, vista
con occhi che non gli appartenevano, dentro
un lavandino o un orinatoio.
con l’arte di nuotare come meduse da un portone
all’altro, coprendo distanze audaci, malgrado
l’inerzia dei corpi nel blu di quale voragine
ruzzolavano, nel blu di quale cielo precipitavano
urlando,
la spregevole condizione
che impedisce di sottrarsi al turbine per
quella rotazione diabolicamente regolare
oscenamente consapevoli della tortura inflitta
cercare un punto fermo, il bordo freddo e
umido del marciapiede su cui poggiar la testa
magari un po’ distrarsi dalla spirale,
seguitando a precipitare, porzioni di buio
cilindrico
un embolo di buio
in posizione d’innesto
bisogni fotosintetici d’aria compressa
per migrazioni stagne fiati a raggiera
coltivare zone d’intensità come fughe rafferme
di macchie sui soffitti condensa,
(
e si solleva l’uomo ad altezza merce,
coi tessuti ulcerati in odor di vernice.
se seguito la pesantezza è che mi ostino a © cadere
in bozzoli onirici di memorie porose pasta granulare
per stringermi dappresso prossimità gelose
come lasciare tracce, graffiti, murales
come lasciarti i segni o solo spazi bianchi
tra le parole
per abitare zone di confine i passages
che sono strade e case e sono coste
una città
proibita, sotterranea
dove unica
percezione è di alterare
mettersi accovacciati seduti ad aspettare
ed ubbidire con zelo alle tappezzerie che la visione
scuce e farti schermo di schiena e difenderti dalla
luce.
se te ne do una parte mi comprendi?
il massimo di buio, il massimo di blu ad ondate
mi fanno cenno i fuochi di aderire
ma se concilio i profili è per rarefazione
sentirsi come i trapezi gonfi di angoli a mezz’aria
di voli soppressi sospenderne i discorsi a centinaia di fili
ramati puntellati di nervi convessi
ma che ne è stato di tutto quell’ammasso sbriciolare
di dati enucleati e reazioni a catena nel punto ridotto
a cifra e non ha senso spiegare ha senso ritrovarsi
figure dappertutto, un movimento laterale
a margine dei sistemi centrali come credenze e biscotti
come farebambini o defecare,
la tête… sur la table de nuit, comme une renoncule, repose.
je crois… à mon âme: la Chose e invece… respirare
o essere nell’aria come un’altra maniera di circolare
una confidenza con i luoghi carnale, scatenando materia organica
d’aggressione, compattezza a scopo difensivo
cercando confini di ciò che avevo intorno e addosso
a me
perimetro le gabbie i soffitti
m’ interrogo secondo il volo degli uccelli
un corridoio lungo tutto un divenire
pensavo raso terra te ne do cento di questi paesaggi
che non ricorderai e allora da che parte, da che parte
fra tutto il rumore il vacillare delle lastre
anche la pelle si raduna l’usura
ma da che parte?
cercarti coricato sguardo senza nome
per quali forme nascoste nelle macchie
ogni strada si porta dietro la sua fine e la dispiega con astuzia
Je voyage pour connaître ma géographie,
*
(Citazioni tratte da:
Volponi Corporale, W. T. Vollmann Nel blu profondo da I racconti dell’arcobaleno, W. Benjamin I Passages di Parigi, V. Reta Visas e altre poesie.)
*
(file audio da http://lellovoce.altervista.org/spip.php?article1094)
*
“Prima di ogni altro organo gli dei fabbricarono gli occhi che portano la luce e li disposero in siffato modo: di tutto quel fuoco che non può bruciare, ma produce la mite luce d’ogni giorno, fecero in modo che esistesse un corpo.
Il fuoco puro, che sta dentro di noi ed è della stessa natura di questo fuoco del giorno, lo fecero scorrere liscio e denso attraverso gli occhi, costringendo tutte le parti, ma specialmente quelle di mezzo, degli occhi, in modo che trattenessero tutto quello ch’era più grasso e lasciassero passare solo quello puro.”
PLATONE, Timeo, cit. in “S.I. Vavilov, L’occhio e il sole”, Feltrinelli, 1959.
bello scoprire una poesia di Maria Valente: è entrare in un mondo bruciante, in rivoluzione dello sguardo, è sfiorare una verità nuova, affrontare il suo corpo nella sua nudità squallida, in una lingua strana che avvolge l’anima di luce e di avventura disperata.
La sensibilità aspetta tra la margine, in un lampo “con una fragilità di pellicola”, nello sforzo del corpo:” e quanto vomita sulla strada”.
Energia della lingua che fa corpo con la decomposizione del blu.
Il blu accompagna l’ombra del brano, colora i versi di luce orrizontale blu.
Amo ascoltare la musica dei versi, nuotare verso l’interiore blu del corpo.
Complimenti a Maria!
polifonicamente straordinaria. altissima e dolorosa, come l’immagine dell’arcobaleno (riflesso) per i senzatetto
effeffe
ringrazio tutti, uno ad uno: Véronique, Effeffe, Monom, di cuore, per le parole, l’affetto sincero…
troppo buoni, tutti, il testo l’ho lasciato così, pieno di difetti, perché ci sono oramai troppo legata emotivamente, il lavoro del poeta è un lavoro così solitario che una collaborazione come questa risulta un’occasione più unica che rara, per me indimenticabile.
e così, anche adesso, la cosa più bella di tutte, che le coincidenze hanno voluto, è che questo mio testo sia partecipe di un altro flusso, un discorso che unisce la mia voce alle vostre, a modo mio, per come posso, un discorso che preme, un filo rosso che ci accomuna tutti, presenti e assenti, su un argomento e una realtà così prossima, a tratti così distante, e che poi, in fondo in fondo, non lo è, perché non è che un piccolissimo scarto che separa una faccia e l’altra, un aspetto dall’altro di questo stesso mondo.
“sentirsi come i trapezi gonfi di angoli a mezz’aria
di voli soppressi sospenderne i discorsi a centinaia di fili
ramati puntellati di nervi convessi”
Grazie Maria,
Il filo unisce le voce e i cuori nell’assenza. Scintilla.
mi unisco al filo di cuori e scintille e VivaVoce
grazie Maria
,\\’
se dovessi rigraziare Maria, per quello che dà, come vorrei, dovrei percorrere questo paese, tutto: da nord a sud
@ The O.C.
lusingata! tra tanti cut-up e détournement, hai beccato uno dei pochi blocchi genuini su cui si concentrano maggiormente le mie ansie ;-) grazie per il sollievo: fuori un pezzo da rimpiangere di avere scritto a quel modo ;-)
@giovannicossu:
uh ggesù, ma sei un vero maratoneta! si dispensa il pellegrinaggio ;-)))ma quando passi da queste parti, basta un fischio: sei il benvenuto. onorata della tua stima.
@orsola:
mi associo: Viva Voce, che è anche il nome del mio più caro, più grande maestro ;-)
@ tutti: grazie, in particolare, ad andrea inglese.
Finalmente sono riuscito a sentire l’audio, e sono senza parole, bellissimo, commovente e strappabudelle, ancora dei vivavoce così. Grazie.
“il blu é l’oscurità divenuta visibile”
(Claudel, Bachelard, Yves Klein)