Manifestazione antirazzista per pochi intimi, senza società civile e intellettuali

di Andrea Inglese

Manifestazione antirazzista a Roma dell’8 giugno, promossa dal popolo rom: tra le 8.000 e 10.000 persone. Manifestazione antirazzista a Milano del 14 giugno, promossa dal popolo rom e dal comitato antirazzista milanese: tra le 500 e 600 persone. La Lombardia, assieme a Campania e Lazio, fa parte delle regioni interessate dalla Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio. E in virtù di questo “stato d’emergenza” è stato avviato dal Commissario Straordinario e Prefetto di Milano un censimento di tutte le comunità rom e sinte presenti a Milano e nella Provincia.

Se solo considero alcuni blog letterari, che mantengono uno sguardo anche politico sulla realtà (Nazioneindiana, Carmilla, il primo amore, Loredana Lipperini, ecc.), vedo che, tra gli scrittori almeno – che una volta si tendeva a far rientrare nella categoria degli intellettuali –, la consapevolezza e l’inquietudine per un orientamento globalmente antidemocratico della nostra società appare manifesta già da parecchio tempo. Un segno evidente di questa consapevolezza è stata la meritoria iniziativa del “Triangolo nero”, un appello apparso trasversalmente su vari blog e firmato da molte persone, tra cui il sottoscritto.

La vicenda di questo appello è particolarmente interessante per due motivi: prima di tutto, perché esso nasce non da gruppi politici radicati sul territorio, ma da membri di una comunità letteraria sparsa tra la rete e il territorio; in secondo luogo, l’appello è proposto nella forma di un messaggio che circola in rete, nell’attesa che dalla rete l’iniziativa si sposti rafforzata sul territorio. Tutto ciò avveniva nel novembre 2007, sotto il governo Prodi. Da allora i segni di un razzismo che tende a farsi istituzionale, legittimato da procedure ordinarie, decreti, e leggi, si sono moltiplicati. E l’acceleratore sul piano delle politiche discriminatorie è stato il neoletto governo Berlusconi. Ma nel frattempo quell’inquietudine che sembrava ormai diffusa almeno in una larga fetta della società civile, che forme ha trovato per manifestarsi? Al di là, dico, degli appelli. Al di là delle denunce estremamente esplicite, e non più eufemistiche, che appaiono anche su quotidiani come Repubblica, assai poco sbilanciati in difesa delle minoranze più deboli?

Io non parlo ovviamente dei militanti, delle associazioni, dei gruppi che lavorano sul territorio, magari da anni, e che conoscono molto da vicino le situazioni di emarginazione e discriminazione in “tempi normali”. Non parlo neppure di coloro che sostengono che le nostre democrazie sono il peggiore dei mondi possibili, e che quindi difficilmente possono percepire segni di degenerazione, regressione, gradi di disfacimento morale e culturale. In quest’ottica, infatti, il corpo intero della società e del suo regime politico è da sempre corrotto, irrimediabilmente guasto, e qualsiasi intervento locale, parziale, è percepito come un inutile accanimento terapeutico. Parlo di quelli come me, cittadini qualsiasi, ma consapevoli di come la democrazia non sia un dato “naturale” né naturalmente garantito, e che cercano di tenere aperto, nella loro vita, un minimo spazio di azione e pensiero collettivi. Che cosa è successo, a Milano, di questi cittadini “democratici”, nel senso forte del termine? Scendere in piazza coi rom e il comitato antirazzista era un gesto di elementare difesa dei “diritti civili”, non di dissenso radicale per un mondo anticapitalista. Insomma, era un’azione che poteva essere largamente condivisa, al di là delle convinzioni politiche personali.

Le molotov napoletane sui campi, la brama di linciaggio, la rom di sedici anni presa a calci a Rimini, questi ed altri episodi disgustosi sono resi ben più gravi dall’intervento politico esplicito, che promuove sgomberi ingiustificati, picchetti intimidatori, e schedature su base etnica. Manifestare il nostro dissenso nei confronti di tutto ciò, significa soltanto cercare un legame coerente tra quel fiume di discorsi che commemora la Shoa e la resistenza, celebra le difesa dei diritti umani nel mondo e la democrazia come regime preferibile alle dittature militari, e delle azioni quotidiane semplici come sostenere il popolo rom, in questo momento, in Lombardia. Si può anche smettere del tutto di parlare di diritti umani e di dovere della memoria. Per altro, ho il sospetto che tra i seicento manifestanti presenti a Milano il pomeriggio di sabato 14 giugno, una buona parte ritenga che il discorso sui diritti umani sia ormai una retorica del tutto vuota se non uno strumento di propaganda mondiale per le forme di oppressione tipicamente occidentali. Ciò nonostante loro c’erano. Mancavano tutti coloro che a questi discorsi sono ancora sensibili, la maggioranza che – almeno all’interno della fantomatica sinistra – dovrebbe condividerli. Ma questa apologia della memoria non doveva servire ad essere vigili nel presente? Così si continuava a dire… Forse questa inquietudine nei confronti del destino dei rom in Italia è il solito “al lupo! al lupo!” delle frange apocalittiche della sinistra… E però anche la ponderata Repubblica – lo ripeto – si spreca in editoriali su questo tema (vedi oggi quello di Adriano Prosperi, “I nostri indiani si chiamano zingari”). E sul razzismo Repubblica è stata per anni pochissimo apocalittica e molto complice della peggiore stampa xenofoba.

La manifestazione del 14 giugno a Milano, preceduta da una giornata di incontro il 13 presso il campo rom di via Barzaghi, è stata pochissimo pubblicizzata. Radiopopolare, per quante ne so, non ne ha parlato o ne ha parlato pochissimo. Il manifesto di domenica 15 non ne dà neppure notizia. E tra i manifestanti presenti, oltre a una delegazione di rom, ai collettivi anarchici, alla gente di alcuni centri sociali come il Torchiera, c’era una varia costellazione di gruppuscoli di ascendenza comunista: socialismo rivoluzionario, partito marxista-leninista, sinistra critica, il partito dei CARC (Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo), i lavoratori per il comunismo, ecc. Appena giunto sul piazzale del Cimitero Maggiore dove era fissato l’appuntamento, ho avuto una bizzarra sensazione: sulle panchine alcuni signori anziani con bandiere zeppe di falci e martello, sul prato di fronte un gruppo di giovani, con cani, tatuaggi e piercing. Ho guardato l’amico che era con me e mi sono detto: che ci fanno due dissenzienti cani sciolti di quarant’anni tra i geronto-comunisti e la juventus libertaria? Meno male, comunque, che in assenza di società civile e intellettuali, ci sono presenti almeno i geronto-comunisti e la juventus libertaria. Nessuna traccia di Rifondazione (ma non dovevano ricominciare dal basso?). Inutile dirlo, nessun sentore di PD. Zero cattolici. Pochissimo rappresentata, almeno in proporzione, la fascia tra i trenta e i cinquanta anni. Tutta gente che probabilmente aveva cose più serie da fare. (Io stesso ho spedito una decina di mail ad amici vari, segnalando la manifestazione. Ho ricevuto due risposte appena.)

È probabile che una partecipazione così limitata sia dipesa anche dai modi e dai toni con cui è stata promossa l’iniziativa. In un primo tempo la mobilitazione era stata pensata come forma di difesa nei confronti dei rom di via Barzaghi, in quanto si era avuta notizia di un possibile raduno fascista nella zona. Ma una tale motivazione dovrebbe semmai incitare la gente a partecipare, in quanto solo un gran numero di persone, in tali circostanze, garantisce uno svolgimento pacifico della manifestazione.

In ogni caso il corteo antirazzista c’è stato. I fascisti non c’erano. C’era, come ovvio, parecchia polizia. Pochissima possibilità, a mio parere, di sensibilizzare il quartiere. Ma si è mostrato, almeno, alle cosiddette autorità, che oltre alle solite associazioni c’è qualcuno che si cura di quello che sta accadendo ai rom. E non solo nella forma cartacea o digitale degli appelli.

In conclusione, cito almeno un episodio, per fare capire meglio il clima che si respira oggi. Finito il corteo, era prevista una festa-incontro tra manifestanti e rom, nel campo di quest’ultimi. Ormai i non-rom si erano ridotti a poco più di duecento. Ebbene ci è stato proibito dalla polizia di entrare nel campo rom. I signori rom, a casa loro, in un campo “regolare”, non hanno potuto invitare i loro amici a casa. Sempre per via dell’emergenza, immagino. Ma di quale concreta, tangibile emergenza mi è invece difficile immaginare.

9 COMMENTS

  1. Direi che l’allarme rom & sicurezza, insomma il razzismo isterico degli ultimi mesi trova in quest’ultima settimana il suo esito (politicamente) logico nell’incredibile decisione di blindare il territorio delle città con l’esercito.
    La democrazia già malata e compromessa nelle sue premesse fondamentali dal berlusconismo (di cui è ormai palesemente complice il PD), viene direttamente messa in discussione nell’apertura, col consenso generale, di una fase apertamente e sfacciatamente pre-fascista.
    Dopo un anno di controllo del territorio l’esercito avrà fatto sufficiente esperienza per prenderselo in poche mosse.
    In parlamento l’opposizione tace.
    Adesso si vede bene a cosa servivano i rom.
    Nel frattempo il consenso che raccoglie il governo razzista & para-fascista di Berlusconi aumenta a livelli mai visti prima.
    La prossima volta in piazza non andrà nessuno, Inglès.

  2. Non mi sembra che il problema sia la cosidetta involuzione autoritaria, lo spettro del regime in senso, appunto, militare. Nonostante la messa a passeggio delle forze armate. Il vero problema è la democrazia a macchia di leopardo, e questa è già qui. E siccome è a macchia, tutti quelli che non sono in una zona palese di non-diritto, se ne sbattono. Tutti quelli che non sono bersaglio di leggi speciali, dell’emergenza, ecc., non percepiscono nessun rischio. Il mare si riempie di cadaveri, i cpt di disgraziati, i vari schiavi e servi, feroci e terrorizzati dalla miseria, si spingono sempre più nell’ombra, puttane, clandestini, senza lavoro, senza dimora. Per essi la nostra democrazia non prevede nulla, se non l’intervento puramente repressivo.
    L’importante è stare nelle macchie garantite della società. E va bene. Finchè non si produrranno polarizzazioni sudamericane tra ricchi e poveri.
    Però a questo punto bisognerebbe anche mettere in sordina tanta retorica dei diritti umani, del dovere della memoria, della vigilanza democratica. Imballare in solaio per tempi migliori.

  3. Milano è disaggregata, più di altre città, e da un pezzo.
    Non ne conosco le ragioni, ce ne sono molte, ma è una cosa che sento dire da più parti, oltre ad averla vissuta di persona.
    Del resto è una città che ne ha patite tante, dalle stragi alla milano da bere, e si è chiusa. Da un lato nel lavoro, dall’altro nella mancanza di fiducia.
    Il fatto che sia una città che si svuota quasi completamente il finesettimana, la dice lunga.

  4. una volta avevate gli onorevoli Ciancimino e Salvo Lima, adesso avete gli onorevoli Schifani e Dell’ utri. Una volta ve la prendevate con i meridionali che emigravano al nord, adesso con gli stranieri che emigrano un pò dappertutto.
    non mi sembra che siate peggiorati o migliorati nel corso degli anni. Forse avete qualche spicciolo in più in tasca e vi sentite superiori ai “Bingo Bongo” (Calderoli dixit) che emigrano nel vostro paese. Tutto qua.
    SPer il resto sete un pò come Andreotti o Pippo baudo, immutabili nel corso dei decenni.
    non prendela come un’ offesa, è una semplice constatazione.
    Siete italiani.

  5. strano che inglès non sia preoccupato.
    forse anche inglès ha questo difetto di percezione del presente che sembra ormai una cosa epidemica.
    in più scambia tra loro causa ed effetto: devono esistere le aree dei non garantiti perché si possa appellarsi di continuo all’emergenza sicurezza.
    è l’emergenza sicurezza il grimaldello per far fuori la democrazia italiana così come la vediamo.
    è vero che oggi si può parlare di democrazia a macchia di leopardo.
    ma anche di una generale e grave attenuazione della democrazia per tutti.
    insomma le due cose vanno assieme, politicamente vanno saldate.

  6. riprendendo quello che dice andrea sulla democrazia a macchia di leopardo, vorrei solo aggiungere che uno dei problemi che si porta dietro è il concetto di parità. Ci trinceriamo dietro lo slogan dell’uguaglianza di diritto, ma è svuotato di senso, perché da pari a pari non ci sappiamo stare. In questo caso in città come Milano i rom diventano bersaglio e capro espiatorio in altre circostanze che forse sono meno pericolose, ma per come la vedo io ugualmente meschine, diventano solo lo strumento ideologico di un potere. E’ la dimensione viva e umana degli altri e di noi stessi che ci sfugge. Abbiamo sempre bisogno di simboli, maestri o allievi ipotetici. Quando una di queste tre varianti non c’ è, quando non è la nostra stessa pelle esplicitamente in causa, cala l’interesse. Sarà un pensiero vecchio e scontato, ma ogni volta che lo si sperimenta in concreto fa piuttosto male.

  7. a tash:
    “è vero che oggi si può parlare di democrazia a macchia di leopardo.
    ma anche di una generale e grave attenuazione della democrazia per tutti.
    insomma le due cose vanno assieme, politicamente vanno saldate.”
    Sono ben d’accordo Tash, su questo. Anche perchè – e questo lo stanno dicendo in tanti, ma in forma di cassandre – nella democrazia a macchia di leopardo non solo i più deboli, ma anche i meno forti possono cadere prima o poi in una zona di non diritto, i lavoratori per primi. Ma qui non incombe il colpo di stato, ma lo stillicidio quotidiano, il cedimento graduale della reciprocità, dell’ordine morale minimo e necessario per non considerare l’altro sempre come merce o nemico.

    Guardare in faccia questo non piace a nessuno. Anche perchè il tempo sfila tra le dita, e ognuno vuole strappare il suo massimo di godimento (o il suo minimo di dolore) prima di crepare. E alla prima distrazione ti becchi una pugnalata alla schiena, non dal rumeno, ma dal vicino di pianerottolo, dal collega, dal capo, dall’istituzione, dal medico…

  8. Non credo né al colpo di stato palese né a quello strisciante.
    Ma cautelativamente non li escludo.
    Credo che il paese stia entrando nella fase iniziale di un fascismo mediatico inedito, dove informazione e fiction giocano un ruolo decisivo.
    Insomma il razzismo palese di questi anni, la demonizzazione del rom/rumeno/albanese/eccetera, fanno sistema con leggi sempre più dure in fatto di integrazione e di emigrazione: il clandestino serve a riprova che occorrono provvedimenti speciali.
    Ma soprattutto serve a tenere basso il costo della forza lavoro in un paese con un capitalismo che va progressivamente fuori mercato.
    Dunque il razzismo è un fenomeno di Stato, indotto dalla politica di Stato, implementato dall’informazione e dalla fiction di Stato, sostenuto apertamente da un partito al governo, funzionale al consolidarsi di un sistema di potere di destra destinato a durare dieci, vent’anni e a compiere il processo di ristrutturazione tatcheriano, opportunamente aggiornato, voluto dalla confindustria, eccetera.
    I regimi autoritari si instaurano nel consenso, i rom servono al consenso e così l’immigrazione clandestina allo stesso modo dell’abolizione dell’ICI sulla prima casa.
    Sono fenomeni provocati ad arte che chiedono una reazione che puntualmente arriva ed è contro tutti.
    L’Italia Berlusconiana consolidata e autoritaria avrà il compito, affidatole in passato dagli USA (per ora di Bush, in seguito di altro presidente), di ostacolare il processo di Unione Europea che gli USA assolutamente non vogliono.
    Spezzare la schiena di qualsiasi movimento oppositivo interno per conto dei padroni, contrastare l’Europa, salvare il culo a Berlusconi, accrescere la sua potenza personale e quella dei suoi amici.
    Sembra strano ma per fare tutto questo servono anche i rom.

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andrea inglese
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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.