Il principio di supremazia
di Pino Tripodi
Premessa
Quando Malevic espose per la prima volta il suo Quadrato nero su fondo bianco, siamo nel 1915, inaugurò una corrente artistica che ha avuto un solo esponente: lui. Quella corrente nella storia dell’arte è conosciuta come Suprematismo. Diversamente da altre correnti il cui nome è derivato da attribuzioni posteriori o da intuizioni dei critici del tempo, il nome suprematismo la corrente di Malevic la deve a se stesso che ha scritto, in estemporanea compagnia con Majakovskj, il Manifesto del suprematismo. In esso si legge che il compito degli artisti non è quello di riprodurre o di rappresentare mondi, ma quello d’inventarsene altri. Il suprematismo di Malevic bandisce la rappresentazione e punta sull’espressione artistica, sull’esplosione delle sensibilità sommerse nel mare delle similitudini, delle identità, delle metafore, delle analogie, delle caricature, delle rappresentazioni, delle allegorie. Il quadrato punta dritto contro tutte le pretese che il mondo sia come appare e le distrugge in un nero denso che ha la potenza del fuoco purificatore. È come se Malevic ci invitasse a esprimere con l’arte il mondo della volontà (della sensibilità) contrapposto a quello della rappresentazione.
L’idea del suprematismo in Malevic inerisce a un principio di priorità che la sensibilità deve avere sulla rappresentazione. Ciò che è va oltre ciò che appare. Ciò che viene rappresentato è un puro simulacro della realtà. Malevic e tanti altri artisti del Novecento sono arrivati dove la politica e l’economia neanche osano puntare i propri potenti radar forse perché incapaci nelle forme contemporanee forse perché impossibilitati dalla loro forma strutturale. Diversamente dall’arte, infatti, che può essere rappresentazione, la politica e l’economia sono rappresentazione. Di là dal loro essere, tuttavia, appaiono come realtà vere, fatte di numeri, di dati incontrovertibili, di ragioni perfettamente razionali, di materia viva. L’idea del suprematismo, invece, permette di non riconoscere come vera questa prosopopea al fare economico e politico e individua come fatto economico fondamentale ( cioè in grado di determinare i flussi e le movenze di tutta l’economia) un fattore extraeconomico.
Caratteri della supremazia
Ogni epoca ha il suo modello di supremazia che si fonda su un principio (la scrittura, la lavorazione dei metalli, l’agricoltura, la moneta, il controllo delle acque, dell’energia….) e che fonda un sistema di regole e di simboli da cui derivano molteplici effetti. Tutto il sistema che si dirama dal principio di supremazia è ciò che comunemente viene inteso come modello di civilizzazione. Le civiltà altro non sono che gli effetti in tempi e spazi storici definiti del principio di supremazia. Per ogni modello di civilizzazione può essere regolarmente studiato il tempo in cui il relativo principio di supremazia si afferma, culmina e declina.
Il principio di supremazia impone i canoni sui quali vengono di volta in volta fondate le regole del dominio e della subordinazione, scelte le aree geografiche che emergono, che rimangono a galla e quelle che vengono sommerse, individuate le popolazioni a cui viene offerta una chance e quelle a cui viene persino negata la vita. Ogni epoca esprime la propria forma di supremazia con rapporti di produzione, relazioni gerarchiche, sistemi politici, istituzioni economiche, monete, simboli ed effetti diversificati di potere, ma la supremazia inizia, si consolida e termina con un codice fondamentale, un principio, un bene, ciò attraverso cui tale supremazia risalta incontrastata.
La supremazia implica un distacco incolmabile e crescente tra la potenza che detiene il primato le altre potenze comprimarie o vassalle. Ogni suprematismo richiede l’accondiscendenza e il beneplacito dei secondi.
La potenza suprematica indica la strada e i modelli da seguire, ma chiunque segua quei modelli si condanna al ruolo di comprimario; gode certo di molti vantaggi ma deve riconoscere in ogni occasione il potere del supremo di cui obtorto collo deve accettare le regole e a cui deve fornire i propri servigi.
Nella contemporaneità, tramontata la supremazia Usa, tutte le maggiori potenze, Usa compresi, sono in lotta per la supremazia, si afferma la supremazia cinese, ma la corsa verso il potere suprematico non è più essenzialmente contro altre potenze esterne; essa si sviluppa maggiormente su base intensiva.
Generalmente la supremazia di un modello viene affermata in un Paese. Il medesimo paese acquisisce il primato, ma occorre considerare che quel Paese dà il nome al primato che afferma. Il modello suprematico fonda gerarchie intensive ed estensive che si sviluppano in tutte le aree geografiche del mondo. Se il modello suprematico di quest’epoca è, poniamo, quello della Cina, occorre pensare che accanto alla supremazia che la Cina conquista nel mondo, si formano tante grandi, medie e piccole Cina in ogni luogo del pianeta, spazi nei quali il modello cinese si applica in maniera più o meno originale, più o meno inerziale.
Un modello suprematico si fonda sulla forza, ma la forza non va pensata nel suo aspetto meramente militare, la forza che conta – e che può riguardare anche l’aspetto militare – riguarda la capacità di diffusione planetaria di quel modello che si fonda su paradigmi e su prassi concrete. La supremazia non prescinde dalla forza della deterrenza manu militari ma si ottiene soprattutto con la forza del denaro e dell’economia.
Differentemente da altri periodi storici, nei quali in ogni spazio poteva vigere un diverso principio di supremazia, nella contemporaneità il principio di supremazia avviene in ogni campo dell’agire globale, riguarda ogni area geografica del globo e ogni sfera della produzione e del potere. Ciò che comunemente viene definita globalizzazione non è altro che l’affermarsi su scala planetaria del principio di supremazia.
Il principio di supremazia è più importante della potenza che lo detiene.
Il principio di supremazia può avere il nome di un paese o di una forma dominante di potere.
La supremazia appartiene a chi per primo ha scelto nettamente una strada risolutiva dei problemi dell’epoca ed è in grado di perseguirla fino in fondo.
Il principio di supremazia contemporaneo è anzitutto un principio energetico.
Il principio di supremazia come moneta-massa-energia ( MME )
Su che cosa si fonda la supremazia nel mondo contemporaneo? Su una particolare moneta che potremmo definire energia-massa-moneta e che fonda a sua volta particolari modelli economici,. L’energia e le materie prime sono moneta. La moneta è prima di ogni altra cosa energia e materie prime.
La materia che sembrava declinare d’importanza negli anni del postmoderno ora va riacquistando la sua centralità. Ci hanno pensato gli alti prezzi a ricordarcelo. Il nuovo corso della materia comporta che anche altri aspetti della realtà che sembravano destinati a una perdita progressiva di importanza vivano o debbano vivere in futuro una nuova forma di valorizzazione. Questi altri aspetti della materia sono la terra, i corpi, il lavoro vivo.
La moneta svolge anche la funzione di equivalente per le altre merci. Generalmente la moneta era affiancata da una merce facente da regolatore generale del sua valore e dunque del valore delle merci in generale. Per tanto tempo questa funzione l’ha svolta l’oro. L’eliminazione del golden standard ha liberato la moneta dai vincoli materici producendo una moneta ibrida di base – metà carta, metà materia –come equivalente generale, il petroldollaro. Il basso costo del petrolio prima e il declino del dollaro poi hanno ridotto l’importanza della moneta ibrida. L’economia contemporanea va cercando altri riferimenti di base. È difficile che l’euro si sostituisca sic et simpliciter al dollaro; certo coprirà parte importante degli scambi internazionali, ma un cambiamento di uno stato di cose non riproduce mai le stesse forme date in precedenza. Dunque, l’euro certo, ma anche altre monete copriranno il vuoto del dollaro negli scambi internazionali. Ma il problema più importante che si pone è: quale altro prodotto affiancherà la moneta imprimendo una regolazione generale del valore delle merci, cosa sostituirà la quantità di lavoro, l’oro, i petroldollari? Sarà probabilmente un equivalente generale determinato dall’energia e dalla massa. Un quantum d’energia, prodotto in qualsiasi forma, con il suo relativo costo. Il principio di supremazia aiuta ad affrontare anche questo problema.
Il principio suprematico della contemporaneità infatti potremmo definirlo come il possesso dell’energia moltiplicata per la velocità della luce al quadrato. (S=EC²). Possedere illimitate quantità d’energia e di materie prime è fondamentale per aspirare alla supremazia. Gli Usa, per ottenere energia a basso prezzo, ci hanno tentato con la guerra, fallendo. La Russia riproponendosi sulla scia della ritrovata potenza energetica come potenza imperiale e così arrestando il suo declino. La Cina utilizzando le sue immense riserve valutarie per accaparrarsi quanta più energia e materie prime a qualsiasi prezzo le altre potenze potessero tollerare. La corsa ai prezzi del petrolio può essere vista in questa luce suprematica. La Cina ha bisogno di immense quantità d’energia e di materie prime per sostenere la sua crescita. È disponibile ad acquistarle a qualsiasi prezzo. Il prezzo dell’energia e delle materie prime salgono fino a quando gli altri principali acquirenti arrivano alla soglia di tolleranza. Quando quella soglia viene raggiunta, gli alti prezzi delle materie prime e dell’energia non scalfiscono la Cina ma mettono a dura prova le altre potenze. Quando i prezzi delle materie prime e dell’energia saranno così alti che tutti gli altri paesi saranno in crisi i prezzi tenderanno a scendere per la diminuzione della loro domanda ma nel frattempo la Cina avrà fatto crescere il divario tra sé e il resto del mondo. Per questa volta la Cina ha sostenuto i prezzi, la prossima sarà lei a determinarli poiché sta provvedendo ad accaparrarsi enormi quantità di riserve strategiche a fare investimenti ciclopici con l’obiettivo di conquistare il primato energetico nel più breve tempo possibile.
Durante la corsa dei prezzi delle materie prime e dell’energia degli ultimi anni, la Cina ha dimostrato di possedere già il suo modello di supremazia. Non si fonda più su una moneta-scambio equivalente, ma su una moneta-massa-energia in grado di sviluppare non il primato indiscusso su una cosa ( che legittima tutto, es. il dollaro), ma il primato su ogni cosa.
La leva energetica è fondamentale per sviluppare il primato sulla produzione, sugli scambi, sui suoli, sull’acqua, sulla demografia.
La Cina, dunque, marcia a passo spedito verso la conquista della propria supremazia nel mondo contemporaneo. Come in altre occasioni, dai Sumeri ai Fenici, dai Greci ai Romani fino agli Inglesi e agli Americani, il problema centrale è: che tipo di supremazia avviene? Quali sono i caratteri salienti di questa supremazia? Essa riguarda un paese o da quel paese si diffonde nel resto del mondo anche indipendentemente dalla volontà di detto paese? La scrittura per i sumeri, il mare e la stella per i fenici: c’è sempre qualcosa che nel sistema delle supremazie eccede l’economia. L’economia fonda le proprie ragioni su interessi e fattori extra economici, su idee-forza che possono anche prescindere dall’economia, ma che a un certo punto la influenzano in modo determinante.
La forza suprematica della Cina si attua con i mezzi del gigantismo. Cresciuto nell’ambito dell’impresa multinazionale, il gigantismo industriale ha teso ad affermare il primato assoluto di un’azienda o di un gruppo di aziende protette dagli Stati sul proprio settore di mercato (vedi per ultimo microsoft). Il gigantismo della Cina approfondisce quello delle multinazionali e si sostituisce (anche comprando, asservendo, con accordi) ad esso cercando e affermando il primato assoluto in ogni campo.
Con la supremazia cinese si passa dall’epoca del gigantismo a quella del gigante. Da quando il gigantismo industriale si è affermato nell’economia del secondo Novecento non si è fatto che attendere l’emergere del Paese che più di ogni altro possiede le sembianze di un gigante ed è in grado di rapportarsi in ogni campo con le medesime facce del gigantismo industriale. Ciò che le singole multinazionali hanno fatto in un settore, la Cina può farlo in ogni campo. Possiede i numeri, le conoscenze, le possibilità per primeggiare in ogni campo.
Ma il campo su cui deve primeggiare anzitutto e quello massa-energetico. Con l’alto corso dei prezzi delle materie prime e dei combustibili, con la nuova corsa al nucleare, con la ricerca affannosa di ogni altra energia alternativa e sostitutiva al petrolio si va esprimendo la nuova forza suprematica.
L’effimero potere del Dio petrolio.
La potenza del dio petrolio si è manifestata con la forza terribile dei suoi prezzi, ma mentre tutti cantano in sua gloria in pochi si avvedono che la crescita di quei prezzi non è determinata dalla potenza infinita del dio ma dal suo carattere effimero. Il picco dei prezzi del petrolio (150 dollari al barile) indicava infatti il suo canto del cigno, il manifestarsi violento della sua forza proprio mentre essa andava scemando e si preparava inevitabilmente a oscurarsi. Nei prossimi anni il prezzo del petrolio sarà destinato a crollare perché un’economia di scambi pacifici non è compatibili con prezzi unidirezionati all’infinito, poiché con quei prezzi si tenderebbe inevitabilmente a trovare soluzioni militari di approviggionamento. La guerra potrebbe risultare l’unica prospettiva, ma si rivelerebbe presto nella sua impotenza. La guerra, carta tentata da Bush, non solo si è già rilevata inefficace a diminuire i prezzi ma ne ha scatenato la rincorsa. Essendosi rivelata la guerra una risposta inefficace, non c’è che un’altra strada da percorrere: sostituire i combustibili fossili con altri sistemi energetici. I prossimi decenni saranno segnati da questo sforzo di sostituire il petrolio che ne abbatterà i prezzi abbattendo ( certo con le altalene del caso, ad ogni sensibile diminuzione dei prezzi combacerà una ripresa della domanda di petrolio) la percentuale d’uso dei combustibili fossili sul totale dell’energia consumata. Ciò andava già succedendo, ma con un aumento comunque costante della domanda degli stessi combustibili. Nei prossimi anni invece assisteremo alla diminuzione della domanda e del consumo totale del petrolio ( quando ciò comincerà ad accadere il processo di irreversibilità sarà segnato). Allora il petrolio potrà arrivare a costare anche meno di 7 dollari al barile.
Pensare che il petrolio possa in un futuro non troppo lontano costare 7 dollari quando il petrolio ha sfiorato i 150 dollari al barile può sembrare un’idea balzana eppure che ciò accada è nell’ordine delle cose. L’attuale sarà ricordato come il periodo del massimo potere del petrolio e contemporaneamente della sua rapida e definitiva discesa come importanza.
Dopo il secondo choc
Stiamo attraversando il periodo del secondo choc petrolifero. Il primo, nel 73, fu affrontato attraverso a) un grande programma di austerità; b) la ricerca di un nuovo quadro di alleanze che rafforzasse il controllo politico e militare sulle aree dell’approviggionamento petrolifero. Ciò permise di superare congiunturalmente la crisi. Il primo choc petrolifero fu dunque superato col petrolio medesimo e coi suoi derivati, i petroldollari. L’attuale secondo choc petrolifero non è più possibile affrontarlo e risolverlo con il petrolio. Nonostante i tentativi ancora in atto in tal senso, l’epoca attuale dovrà fornire una risposta strategica riguardo all’energia. Al di là della disputa intorno ai tempi residui della civiltà del petrolio, l’epoca attuale dovrà fornire una risposta strategica alla questione dei combustibili fossili. Il controllo delle fonti residue è soltanto la faccia congiunturale del problema ( quella per la quale il petrolio è arrivato alla soglia dei 150 dollari per barile), la faccia strutturale riguarda il modello energetico che sostituirà definitivamente i combustibili fossili. Il pianeta del prossimo futuro, se un futuro potrà esserci per l’umanità, sarà un futuro senza petrolio. L’economia e la società del pianeta dovranno riuscire a vivere e a prosperare senza combustibili fossili. Le possibilità di questo futuro dipendono dai tempi necessari per dissociare le sorti dell’economia e della società mondiale da quelle del petrolio e degli altri combustibili fossili.
Con che cosa sarà sostituito il petrolio. Con il nucleare, il solare, l’eolico, il geotermico o con l’idrogeno? Da uno di essi o da più fattori?
Il nucleare buono e la guerra giusta
Per analizzare secondo il principio di supremazia le scelte che gli stati stanno compiendo a favore del nucleare come sostitutivo del petrolio si potrebbe utilizzare una analogia tra energia e medicina. Così come in campo medico si è sempre alla ricerca della pillola, del farmaco, del vaccino, del gene in grado di risolvere i problemi della salute, identicamente la discussione sull’energia è puntata alla risoluzione del problema tramite una risposta unica e definitiva. Qual è la forza del farmaco? È importante capirlo senza essere saccenti o presuntuosi. La forza del farmaco sta nella convinzione che per via farmacologica sia possibile dare una risposta a ogni problema senza mutare gli stili di vita e i comportamenti che generano quel problema. Inoltre, alla ricerca di quel farmaco vengono indirizzati la gran parte degli investimenti di settore. Gli stati e i grandi apparati economici hanno la massima convenienza di puntare sul farmaco. Così è per l’energia. Se si trovasse un sostitutivo unico, generale e senza rischi di scarsità al petrolio potremmo continuare indefessamente a sostenere gli stili di vita attuali senza preoccuparci dei danni che così produciamo a noi stessi e all’ambiente che ci circonda. Inoltre, l’insistenza su uno dei possibili sostitutivi del petrolio, il nucleare, deriva dal bisogno suprematico degli stati, della loro volontà di controllo politico centralizzato, dalla sponsorizzazione dei grandi apparati del gigantismo industriale e del suo possibile uso anche in chiave militare. Così, dopo il fatuo primato del petrolio si va alla corsa verso il nucleare di nuova generazione, un ulteriore, vano tentativo di trovare il nucleare buono.
La ricerca del nucleare buono, senza rischi e in grado di produrre una quantità infinita di energia a costi vicini allo zero, è teorizzata a ogni minima novità tecnologica, sembra debba essere la dimostrazione definitiva della capacità salvifica della scienza, ed è analoga all’idea, condannata già in partenza ad essere niente più che una giustificazione ideologica, della guerra giusta. Ma così come non esiste guerra giusta non esiste nucleare buono. Anche dovesse comparire una forma di sfruttamento dell’energia nucleare effettivamente e permanentemente priva di rischi, è l’idea del controllo centralizzato delle fonti d’energia, della inevitabile commistione tra controllo delle fonti d’energia e potenza militare che è nociva.
Dopo Chernobyl, l’eclissi del nucleare sembrava definitiva, invece attualmente la via nucleare è ritornata ad essere la strada principale percorsa dagli stati di tutto il mondo compresi quelli che l’avevano esclusa dal proprio orizzonte. Con il nucleare tornano sulla piazza delle ragion di stato interessi politici e militari di supremazia interni e internazionali e nuovi modelli di colonialismo. Anche in questo caso vi è una certa analogia con la medicina. ( Gli uteri in affitto come le centrali nucleari in affitto da costruire in Albania). Sul piano interno il nucleare necessita della messa a tacere delle opposizioni sociali, sul piano internazionale la sfida nucleare è espressione della sfida militare ( vedasi i casi dell’Iran e della Cina). Credere al nucleare civile è come credere ai cannoni che sparano zucchero filato. Ci credono gli stati, ci credono i baroni della scienza, ci credono i giganti dell’industria; tutti buoni motivi per diffidare. Ma neanche l’idrogeno sarà l’alternativa buona al nucleare cattivo. Anche il ricavo dell’energia dall’idrogeno richiede grandi investimenti, potentissime lobby, controlli diretti e centralizzati.
L’energia da fonti rinnovabili diverse dal nucleare e dall’idrogeno rimane la prospettiva più certa e più sicura, ma è quella meno interessante dal punto di vista suprematico. Per il principio di supremazia, gli stati finanziano le energie rinnovabili solo quel tanto che basta per mettere a tacere i movimenti e le opposizioni interne, come diversivo nell’attesa che un modello energetico di controllo diretto, centralizzato, utilizzabile anche in chiave militare si affermi in via definitiva. Le fonti rinnovabili a basso costo, richiedenti pochi investimenti, che non necessitano del controllo diretto, centrale e militare degli stati potranno affermarsi solo in questo interstizio di tempo tra l’insostenibilità dei combustibili fossili e la fatuità del nucleare.
Principio di supremazia e nuove gerarchie globali
Con il principio di supremazia contemporaneo tramonta definitivamente l’epoca colonialista, ovvero l’imposizione di modelli sociali, economici e politici derivanti dall’esperienza di civiltà europea. Nei prossimi anni si rimescoleranno le carte del potere globale senza che i mazzieri debbano essere per forza di cose l’Europa e gli Usa. Non ci sarà un vero e proprio declino assoluto, ma un semplice e naturale declino della supremazia di entrambi. Agli Usa tocca accettare di perdere il primato, come nel Novecento era già toccato all’Inghilterra, di cederlo secondo una staffetta semplice e naturale. È l’unico modo per tentare di condividerlo con altri. Usa ed Europa dovranno accettare ciò senza eccessive resistenze; è ciò che si può prevedere con più approssimazione. Solo così potranno collocarsi in condizioni di comprimari nella nuova geografia mondiale, altrimenti saranno destinate a un ruolo totalmente gregario rispetto a quello che avranno la Cina, L’india, la Russia, il Sudafrica, l’Iran. Ciò che sta avvenendo comporta una modificazione profonda e duratura delle gerarchie economiche e politiche planetarie. Interi continenti, fino a ieri puro mercato per materie prime e forza lavoro a basso costo, aree dimenticate o impermeabili financo ai mercati, oggi si presentano da protagonisti sulla scena mondiale e lo rimarranno a lungo. Se escludiamo parte importante dell’Africa sub sahariana, area del continente abbandonata alla deriva, il resto del mondo si sta finalmente emancipando dal colonialismo di derivazione europea. La lunga storia iniziata con la conquista dell’America va a terminare. L’eurocentrismo e l’occidentalizzazione non sono più i fari del mondo, ma lampadine in grado di fare la medesima luce degli altri o una luce ancor più fioca di essi. Il pianeta si trova già a fare i conti con la nuova geografia del potere. All’ultimo G8 hanno deciso di non accogliere Cina e India, ma il G8 è come un club di nobili orgogliosi e impoveriti che rifiuta l’ingresso ai nuovi borghesi acculturati e arricchiti. Presto i Paesi del G8 potrebbero fare la questua per partecipare alle riunioni dei nuovi padroni del mondo. Ma è molto probabile che non sia così. L’ingresso di nuovi paesi nel club dei ricchi non rende poveri gli ex paesi ricchi, ma li rende meno potenti. Vecchi e nuovi potenti dovranno condividere il potere a meno di non disputarselo a suon di guerre. Non sembra questa la realtà attuale. Le guerre non si fanno più per decidere quali potenze di pari forza abbiano l’egemonia. Dopo la seconda guerra mondiale, le guerre si svolgono solo tra potenze di imparagonabile forza, intentate dai potenti contro i deboli spesso a fini interni e non a fini di strategie politiche internazionali. Dopo la seconda guerra mondiale nessuna guerra è stata in bilico tra i contendenti, ve ne era sempre uno enormemente più forte. Le debolezza degli stati forti non è mai coincisa con la possibilità di perdere la guerra, ma semmai con quella di non vincerla ( vedi Vietnam, Afghanistan ecc.)
I paese ricchi non diventeranno poveri. La ricchezza è una forma consustanziale della disuguaglianza. Succederà che le differenze e le sperequazioni anziché avere un carattere estensivo avranno carattere intensivo. Non ci sarà più un continente ricco e uno povero ma in ciascuna area geografica ( continente per continente, paese per paese, città per città, quartiere per quartiere) vi saranno aree d’estrema opulenza e aree di desolante povertà.
Il welfare infatti, oltre che del protagonismo del movimento operaio, è stato effetto del colonialismo e del neocolonialismo. Più bassi sono gli squilibri sul piano interno maggiori lo sono sul piano internazionale. Viceversa, se si abbassano gli squilibri sul piano internazionale diventano più alti sul piano nazionale. Tutto ciò vuol dire che le nuove ricchezze si formano senza welfare e in barba alla democrazia. Al posto del welfare si insinua un modello straccione fatto di tessere dei poveri, elemosine e carità dispensate a caro prezzo per opera di ong ultragovernative. Al posto della democrazia diretta o rappresentativa si insinua un modello autocratico-mediocratico nel quale il consenso che basta è quello dei sondaggi e la partecipazione o il protagonismo dei cittadini viene simulato in tv e sul web.
Il modello suprematico cinese dal punto di vista politico implicherà tanti imperi e tante colonie
La supremazia danza col collasso
Dall’occhio del ciclone di ogni crisi è normale che si veda tutto nero. L’economia va male, i consumi si riducono, aumentano le preoccupazioni per il futuro. Occorre prendere atto che questa situazione da altre parti del mondo si vede in ben altre prospettive. Ciò che qui significa crisi altrove è il segno della crescita. Per la prima volta dall’affermarsi delle potenze colonialiste, in Occidente le prospettive sono meno rosee che nel resto del mondo. Le responsabilità di questa crisi vengono spesso attribuite alla finanza internazionale, ma la dimensione finanziaria della crisi ne è stato solo l’aspetto fenomenicamente visibile. La finanza internazionale semmai ha avuto la funzione di occultare la crisi per anni, di non farla percepire, di tentare l’impossibile alchimia di risolverla.
La finanza internazionale e i nuovi strumenti della finanza hanno prima differito la crisi facendo balenare la possibilità di una crescita infinita grazie alle alchimie del denaro, dei derivati e della leva dei tassi, poi l’ha fatto esplodere.
Durante ogni crisi tutto sembra volgere al peggio fino a quando uno squarcio di luce non fa intravedere situazioni di nuovo promettenti, possibilità inespresse. Ciò determina nuovo entusiasmo; è il segno che il ciclo ricomincia. Sarà così anche questa volta ma con effetti ed esiti differenti dalle altre crisi. Ogni crisi ha fattori congiunturali e fattori sistemici, elementi endogeni ed elementi esogeni. L’attuale crisi è determinata dal modificarsi delle gerarchie mondiali di potere, dalla presenza di un altro modello suprematico e dall’impossibilità di sostenere la crescita senza energie sostitutive ai combustibili fossili. Con ogni crisi aumentano le possibilità di crescita e di collasso del sistema. Più alta è la crescita economica del pianeta, maggiore è la possibilità di collasso del pianeta stesso.
La crisi è un atto di sospensione della crescita e di enfatizzazione del collasso così come lo sviluppo è una maschera del collasso unita all’enfatizzazione della crescita; la verità è che crescita e collasso sono reciprocamente solidali. La supremazia danza sempre con il collasso, ma la danza attuale non riguarda una singola potenza suprematica o un’area geografica specifica; la danza riguarda tutto il pianeta e implica la stessa possibilità di un divenire dell’umanità sul pianeta. .
La supremazia della Cina avanza dunque in concomitanza con la situazione di collasso del pianeta, collasso che è il divenire di ogni campo su cui la Cina va conquistando il primato ( energia, disponibilità di suoli, di acqua, di f-l, demografia). La Cina è il primo Paese che ha colto le avvisaglie del collasso e lo sta affrontando per volgerlo a suo favore.
Il rivale della Cina, tuttavia, non sarà un altro Paese, ma la situazione di collasso del pianeta. Quella della Cina rischia di essere l’ultima supremazia prima del collasso.
Ci sono due strade canoniche per affrontare il collasso, ambedue destinate a fallire l’obiettivo. La prima punta sul potere salvifico della scienza, la seconda sul potere auto conservativo della natura. La prima è quella tecnologica che si basa sulla seguente legge: la scienza risolve sempre i problemi posti dall’uomo. Questa strada è quella già dominante e che ha imposto la scienza come neoreligione.
La seconda è quella ecologista che si basa sulla seguente legge: la natura è in grado di risolvere sempre i problemi causati dall’uomo e a cui gli uomini non sanno dare risposte. La prima esalta le forze suprematiche, la seconda le capacità catartiche del collasso.
Tra supremazia e collasso andrà nel prossimo futuro svolgendosi una gara simile a quella del paradosso zenoniano tra Achille e la tartaruga in cui Achille rappresenta la forza suprematica della scienza e la tartaruga il suo contraltare ovvero il collasso. È iniziata l’ennesima, finale corsa tra Achille e la tartaruga.
Chi vincerà tra Achille e la tartaruga? Al di là dalle ipotesi tracciate dalla filosofia sul problema, la risposta è fin troppo facile. Nessuno dei due. Qual è il motivo per il quale né Achille né la tartaruga sono in grado di vincere? Altrettanto scontata la risposta: perché il traguardo non esiste. Achille e la tartaruga corrono su uno spazio privo di traguardo in cui la vittoria è impossibile e la corsa è priva di senso poiché chi corre al di là della sua velocità di movimento è come se fosse condannato all’incubo di avvicinarsi sempre più all’antagonista ma nell’impossibilità di raggiungerlo o di venire raggiunto. Achille non raggiungerà mai la tartaruga perché lo spazio è infinitesimamente divisibile e la testuggine si affannerà inutilmente a cercare di andare avanti. Riguardo alla scelta tra opzione scientista e opzione ecologista, si continuerà a cincischiare tra l’una, l’altra e tra le altre opzioni derivate – l’ecologia scientista e lo scientismo ecologico – modificando concretamente e senza averne coscienza gli attributi della specie. Il mondo sarebbe costretto a scegliere ma siccome non sceglierà non arriverà mai al traguardo, continuerà a vivere nell’incubo di non giungere mai al risultato, di essere sempre sospeso nell’abisso. La sospensione imperitura nell’abisso, non il paradiso sta nel divenire degli uomini. Gli uomini vivono sull’orlo della catastrofe, ma amano immaginare di trovarsi sulla soglia del paradiso.
Il paradosso di Jevons deriva da questa non volontà o impossibilità di scegliere ( la non scelta è questione dell’una o dell’altra, della volontà o dell’impossibilità).
L’essere e il non essere sono due forme utopiche dell’esistenza, il divenire ne è la forma concreta e catastrofica.
La catastrofe non arriva in un momento, ma si produce con ogni respiro dell’esistenza. È inutile attendere un diluvio che è già alle nostre spalle. Occorre produrre azioni concrete perché a quella corsa folle tra Achille e la tartaruga si possa sostituire un cammino diverso.
Paradigmi e paradossi
I due paradigmi che si confrontano nella situazione contemporanea, e che sono entrambi responsabili della situazione catastrofica della contemporaneità sono lo scientismo e l’antiscientismo.
1)Lo scientismo pone una fiducia pressoché religiosa sulla capacità della scienza e della tecnologia di risolvere i problemi dati. Il principio scientista può essere così formulato: la scienza risolve sempre il problema che l’uomo gli pone. Il positivismo e l’ottimismo sono i suoi corollari.
2)L’antiscientismo riserva invece una fiducia altrettanto religiosa sulla capacità d’autoconservazione della natura; una natura razionale, teleologicamente determinata, divinamente ispirata se non diretta espressione della volontà di Dio, capace di risolvere i problemi dati. Il principio antiscientista può essere così formulato: la natura fornisce sempre tutte le risposte alle quali l’uomo non arriva o che per fornire le quali è incapace. La natura interviene dove l’uomo non è capace; interviene anche a rimediare agli errori dell’umanità. L’antiscientismo si fonda su un doppio vincolo; il primo fortemente pessimista sulle capacità degli uomini e sulla bontà delle loro azioni; il secondo ottimista sulla bontà e sulla superiorità della natura.
Questi due paradigmi convivono e coesistono nello spazio del fare contemporaneo. La loro forza distruttiva è determinata dall’incapacità di vedere che le situazioni reali sfuggono ai paradigmi.
La situazione data dimostra che sia il principio scientista sia quello antiscientista hanno semplice carattere consolatorio. Non esistono né una natura buona né una scienza salvifica.
Nelle situazioni concrete i paradossi hanno una forza di verità spesso superiore a quella dei paradigmi. I paradossi che occorre prendere in considerazione per affrontare adeguatamente la realtà sono i seguenti.
1) La potenza distruttiva di ogni mezzo è esponenzialmente superiore di quella creativa costruttrice. Tanto più alta è la potenza creatrice di un mezzo tanto più esponenzialmente più alta è la sua potenza distruttrice.
2)Per controllare la potenza creatrice occorrono molti più mezzi che per liberarla come forza distruttrice.
I casi: Israele
Israele alla deriva.
La presenza dello stato di Israele è ormai indiscutibile, chi si ostina a metterlo in discussione è fuori dalla storia. Ciò che invece è insostenibile è il carattere particolarista, ebraico di quello Stato. L’ebraismo dello Stato d’Israele nasce da una situazione storica terribile e dalla ricerca di una situazione in cui gli ebrei potessero vivere in pace ed eventualmente difendersi da propositi di genocidio. Ma l’affermazione dell’ebraicità dello stato è una macchina infernale di proliferazione dell’antisemitismo e del razzismo, di quello a cui è costretta Israele per difendersi e di quella perpetrata ai danni d’Israele. Per sopravvivere come stato ebraico Israele non ha che un mezzo: la guerra. Senza la guerra permanente lo Stato ebraico collasserebbe in brevissimo tempo. Primo che ogni altro discorso di carattere militare e politico è la demografia, la pura legge dei numeri, a condannare Israele. Senza la guerra Israele deve affrancarsi dalla sua ebraicità e divenire uno stato come gli altri, senza il particolarismo della sua fondazione.
Gli Usa hanno sempre utilizzato Israele come avamposto strategico delle propria potenza. Ma anche per gli Usa Israele come stato ebraico comincia a divenire insostenibile. Nei prossimi anni saranno costretti ad abbandonarlo alla deriva. E Israele senza il sostegno degli Usa, non sopravvivrebbe meglio di quanto abbia fatto Cuba senza l’Urss.