della serie: femmine toste (le pupe)

di
Donata Amico

Da bambina ho assistito a numerosi spettacoli dell’Opera di pupi.
Ne conosco i personaggi femminili anche per lo studio dei canovacci autografi del puparo Raffaele Trombetta, mio bisnonno, e per le favole cavalleresche raccontatemi da mia nonna Giuseppina Trombetta Amico (1892-1990), figlia di una figlia di Gaetano Crimi e parlatrice di ‘pupe’ nei teatri del padre e poi del marito Pasqualino.
Sirene, spose fedeli e amazzoni dell’Ottocento maturo; memori, se guerriere, della Camilla virgiliana e della Pentesilea omerica, afroditiche o anagamiche che siano, nell’economia narrativa e spettacolare dell’Opera dei pupi, i personaggi femminili dell’Opra sono molti e fondamentali poiché traghettano con le arti maieutiche dell’ incanto amoroso, del sacrificio fino al suicidio, della follia , della virtù guerresca, il logocentrismo, le struttura razionale del Testo alle passioni dell’anima, mescidando la chimica del Discorso all’ alchimia dei corpi e delle cose, il teatro regolare al rito catartico, la Ragione ai sensi, con registri recitativi ora tragici ora melodrammatici o tratti dal romanzo d’ appendice.

Avvalora questo assunto l’avere accertato che i modelli di comportamento in antitesi, che la cultura popolare prescriveva come conformi o rilevava come difformi ai doveri del genere femminile, non costituivano per gli spettatori dell’ Opra poli categoriali per connotare le ‘donne’ dell’ Opra e per giudicarle, per discriminare le femmine oneste e compunte da quelle non lo fossero ( anche perché chi femmina onesta non è stata, e penso ad Angelica, alla fine della Storia di Orlando , si dà morte da sé).
Ritengo in definitiva che l’ opposizione tra madonna e meretrice/ instrumentum diaboli che permeava il modello regolativo coevo, reale e concreto, della relazione uomo-donna, non venisse trasferita sulla scena dell’ Opra.

Per le funzioni ‘sciamaniche’ che le pertengono nella rappresentazione e che afferiscono alla creazione di metaforiche ‘cotture’ di pozioni magiche fatte di desiderio e ragione, logos testuale e caos spettacolare; per tali sue funzioni, mirate alla dinamica restituzione al personaggio virile di integrità umana ( sia che lo ‘conforti’ eroticamente, sia che gli porga occasioni per riflettere sugli schemi di mascolinità dominanti), anche quando non è guerriera, il personaggio-donna nell’Opera dei pupi non serve mai il maschio , sia che persegua il proprio obiettivo con perseveranza strategica, sia che lo faccia con più domestica femminile pazienza e costanza .

La donna all’ Opera dei pupi non ne è mai serva, semmai lo idolatra , ma se lo fa , lo fa perché , come eroina dantesca, è grande anche nel peccato di lussuria che diviene impeto predatorio oppure oblazione di sé fino all’estasi, ed anche fino alla morte cercata, escogitata e raggiunta con qualunque mezzo, anche, per esempio, con l’imbonire un filtro magico spacciato come foriero di invulnerabilità (e la cui prova di efficacia viene scientemente proposta a costo della propria vita) al terribile saraceno Rodomonte pronto a far violenza, tanto terribile quanto, alla fine , pover’ uomo, tragicamente gabbato : l’episodio ariostesco cui mi riferisco è quello di Isabella. Per difendere la propria virtù insidiata dal lussurioso infedele, Isabella si fa uccidere dal re africano con lo stratagemma descritto e muore invocando il suo Zerbino, un attimo prima che il pagano. ignaro dell’inganno, le spicchi con la spada la testa dal collo.

E allora andiamo a incominciare, perdiamoci nella labirintica galleria dei ritratti dei personaggi femminili nell’Opera dei pupi!…

Ci sono donne ideali, fedeli all’amato, remissive ma mai passive custodi del focolare (ma custodi del focolare solo in pectore, perché anche a loro tocca il vagabondare raminghe e sole per l’avversa Sorte: è il caso di Berta madre di Orlando che fugge con
Milone e poi lo smarrisce; è il caso di Fedelsmonda moglie di Oliviero e madre di Grifone e Aquilante, ritrovata nuda e in stato stato brado e quasi ferino nel bosco dai figli ormai adulti, allevati dalla maga Bianca e dalla Maga Nera)

Ci sono le spose ingiustamente tacciate di adulterio come Dusolina nel Fioravante e Rizzieri, Ginevra di Scozia, Beatrice madre di Rinaldo)
Da ricondursi al prototipo melusiniano sono le maghe-madrine come Melissa, angelo custode di Bradamante, che è destinata a divenire con Ruggero capostitipite della casa d’ Este : Melissa accompagna l’ eroina nel palazzo del mago Atlante dove libera l’ amato della sua protetta dall’ incantesimo;

Segue la schiera delle madri che muoiono di parto, siano guerriere come Bradamante e Galiacella o non lo siano come Fedelsmonda;
E si continua con le bellatrix virgines o mulieres che muoiono sacrificandosi per un congiunto come accade a Marfisa: con il fratellastro Cladinoro libera il nipote Guidone, figlio di Bradamante e Ruggero, dall’ incantesimo che lo tiene chiuso dentro una colonna. Ne morirà, con Cladinoro, fra le braccia del nipote: ma col suo sacrificio avrà assicurato la salvezza della religione cristiana dai saraceni e soprattutto un nuovo eroe per una nuova storia: perché Guidone diventerà il Guido Santo, eroe eponimo di un altro frequentatissimo ‘ciclo’ di rappresentazioni con pupi.

Ci sono donne innamorate cui la passione impone o diviene veicolo di decisioni drastiche che comportano la rottura con la famiglia d’ origine (Berta è riammessa alla corte di Carlomagno solo per intercessione a lungo perorata di Namo di Baviera).

Ci sono le amate e abbandonate come Claudiana (in Lo Dico) o Gaudiana, secondo la lectio presente nei canovacci autografi del puparo Raffaele Trombetta (Palermo 1858- Catania 1932), da cui testualmente citiamo la supplica a Ruggero di Risa in atto di fuga:” Ascoltami un istante de ti prego se m’ ami e se non m’ ai ingannata: furente ti vedo e dimentico del nostro amore – dove corri – dove vai – io ti seguo – Dè! se è ver che tu stimi a chi ti produsse al mondo, non mi lasciare in tale estremo caso incinta son io e tu mi abbandoni – Nò! tu passerai la soglia di questa porta quando calpesterai il mio corpo”.
Goduta, abbandonata e disperata fino al proposito di suicidio è Floriana che, posseduta da Rinaldo, dà alla luce Guidone e Carinda .

Ci sono poi donne che rubano al mondo gli eroi e, imprigionandoli nei loro edenici horti conclusi , giardini di delizie, padrone del diavolo ed esperte in scongiuri, li sviliscono nell’ incanto dei sensi, nell’ oblio del principio di realtà ossia del dovere della prestazione bellica; nell’oblio, infine, del dovere di fedeltà alla sposa : sono le maghe- maliarde.
Echi delle omeriche Circe e Calipso, le discinte e lascive Giliana e Gualtiera (o Voltiera in Lo Dico) indossavano un copricapo a cono , un mantello, corti pantaloni a zucca su gambe nude e un bolerino che esibiva le braccia ornate da monili e lunghi guanti bianchi : “Voltiera è il nome mio; ed ho altre sorelle che vivono scherzando con me; ciò dicendo offrì volentieri al cavaliere il proprio fiore, sicchè Astolfo spogliossi delle armi per prendere tale possesso.” Gualtiera e Giliana una volta abbandonate dai rispettivi seduttori, divengono madri, e madri di eroi : Giliana genera con Milone Agolaccio, Gualtiera genera con Astolfo Serabello. Gualtiera si vendicherà su Orlando che Astolfo dal suo incanto e su Astolfo stesso.
I due paladini guadagneranno da Gualtiera gli oscuri auspici:” A te Orlando predico che un giorno sarai pazzo per una donna saracena. A te Astolfo la mia profezia e il mio sortilegio: ti tolgo la forza, ma ti dò il coraggio”, tanto che Astolfo non avrà timore di salire sull’ippogrifo per recuperare sulla Luna il senno di Orlando; ed entrerà poi per primo nella gola di Roncisvalle trovandovi immediata morte .
Gualtiera spezza , disperata d’ amore, così il binomio forza –coraggio da sempre ubi consistam della virtù cavalleresca e virile tout court .

Ci sono donne che si accendono di fiamma d’amore e intraprendono l’ iniziativa della cattura erotica prima che lo faccia il maschio prescelto: la giovanissima principessa di Armenia Drusiana nella storia di Buovo d’ Antona (Hanston in Inghiterra) di Andrea da Barberino, fa innamorare il giovanissimo principe Buovo, ridottosi a “ trinciante di tavola” alla corte del re armeno, perché fuggiasco ed esule dalla patria . Durante un pranzo “Ella lasciò cadere il coltellino e poi si chinava e fece vista di non lo potere aggiungere e disse:” Vello qui e preselo per i capelli e per lo mento e baciollo e prese il coltellino e rizzossi. E Buovo uscì di sotto la tavola tutto cambiato di colore per la vergogna.

Ci sono donne guerriere fortissime come Dama Rovenza dal Martello (presente nel Rubion d’ Anferna) che per godere la sola imago del nemico amato, Rinaldo paladino, dimentiche di tattica e prudenza ed esperienza bellica , perdono la vita trafitte dall’ amato medesimo fintosi morto, guarda caso, nel sesso unico luogo corporeo, guarda caso, vulnerabile: primo ed ultimo cruento immaginario amplesso , amplesso di amore e morte; donne per amore folli, come Azea dell’ Erminio (Azea innamoratasi di Tigreleone figlio di Erminio, ne resta gravida; perduto l’amato, morirà fra le sue braccia in un manicomio dell’isola di Samo dove Tigreleone casualmente ha riconosciuto la voce di lei che-pazza- cantando, rievocava la loro vita) .
E’ il sovvertimento del modello letterario della donna-angelo nell’ angelizzazione dell’eros, inteso come eros captativo ma anche come eros oblativo: è il trionfo dell’ uomo-angelicato. In questo rovesciamento della divisione dei ruoli maschile e femminile , che la Storia invece da parte sua al contempo ribadiva, è l’uomo il desiderato, e non di rado è l’uomo ad essere tramite di conversione e di conversione istantanea alla fede dei nemici. E’ la donna a desiderare e, vinta d’amore, a far tutto perché la preda entri in suo possesso: e la preda è una sorta di angelo laico, nunzio terrestre di ardori sensuali non differibili.
Fedelsmonda, saracena regina di Costanza, (all’Opera dei pupi sono ‘saraceni’ tutti i non-cristiani), soccorsa da Oliviero contro Tilofarne (che le ha portato assedio poiché ella ne ha rifiutato la proposta di nozze), invaghitasi del suo soccorritore “ disse…sono pronta ad adorare Dio” (Lo Dico).

5 COMMENTS

  1. Finalmente un argomento interessante…anzi, più che interessante, esistente di per se stesso e non di riflesso, partorito come Atena Pallade dalla logorrea cerebrale dell’intellettuale nostrano…
    Merci, donna Donata.

    P.s. anche io vidi in tenera età alcuni spettacoli di pupi… e ciò ha creato l’humus per successive e sporadiche amicizie con pupari.
    Tra i ricordi più vividi della mia infanzia ci sono Rolando ed il feroce Saladino, spenzolanti dal muro di casa di un amato zio… con i loro brillocchi su elmi e scudi e quell’espressione compunta, eppur sognante allo stesso tempo…

    Bonnuit.

  2. fortuna che poi qualcuna ha usato la spada per tagliare i fili!
    que vivan tutte le orlando-vita, e tutte le goliarde modeste siciliane!

  3. Ho molto apprezzato questa galeria di donne nell’arte de pupe, che non conosco bene. E’ una parte importante della cultura di un paese. Si svela come la passione abita il cuore femminile: l’ammore è il luogo dove il coraggio puo compiersi. Forse nella passione scoppia la rivolta della donna affontando il destino. Una rivolta che muore: le donne si sacrificano per amore.
    Mi piace l’ultima parte: è inaspettato. L’uomo desiderato, l’uomo angelico.
    E’ un articolo ricco e mi dà la voglia di conoscere meglio il teatro delle pupe.
    In Picardia, c’è “La Fleur” personaggio tradizionale del teatro a Amiens.
    Sandrine è la sua moglie. e’ un personaggio farsa.

  4. bel pezzo. In questa frase:”Gualtiera si vendicherà su Orlando che Astolfo dal suo incanto e su Astolfo stesso. manca forse qualcosa?

  5. Grazie per questa fantastica galleria di donne! La cultura popolare stravolge i modelli sociali, intreccia mito e storia, culture vicine e lontane.
    Da questo calderone emergono figure narrative universali in cui al mondo maschile viene lasciata l’illusione di “agire”, ma in fondo è il femminile (il desiderio?) a muovere l’azione e dettare i tempi. Proprio come in ogni famiglia cosiddetta patriarcale era la donna che esercitava il vero potere, quello all’interno della casa, e l’uomo che lo ostentava all’esterno…

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017