La felicità di oggi
È impossibile prevedere chi sarà, o che cosa ci porterà,
ma qualunque cosa sia, è sempre esattamente quello che ci vuole.
Carne, R.L. OZEKI
di Chiara Valerio
Quando entri in casa sei già morto.
Non puoi saperlo perché non lo sa nessuno. E se fino a ieri sera eri speciale, adesso che è mattina, sei come gli altri. Ma non sai nemmeno questo. Tuo figlio ha sei anni e i capelli biondi. Mentre lasci cappotto, giacca e sciarpa sull’attaccapanni, pensi alle domeniche di sole con il naso tra i capelli di tuo figlio. Sottili come stelle filanti. Hai provato a ricordarglielo mentre spiegavi perché, per l’albero di Natale, avevi comprato molte stelle filanti dorate e nemmeno un festone. Si è imbronciato quando non ha visto i festoni e tu, sorridendo, hai provato lo stesso a spiegargli perché con quelle decorazioni l’albero gli avrebbe somigliato di più. Come se i bambini dovessero somigliare agli alberi e rinascere a ogni primavera. Ti fermi perché la sciarpa che pende da un lato ti disturba, la aggiusti, e pensi che da cinque primavere è come se tuo figlio rinascesse, per quanto cambia. Di più, è come se ogni mattina fosse primavera.
Sei contento perché hai le paste in mano, perché la sciarpa pende finalmente in modo simmetrico a destra e a sinistra e perché ti basterà aprire la porta del salotto per goderti la bocca aperta di tuo figlio davanti ai pacchi colorati. Accanto al camino. Ha scritto la sua prima lettera a Babbo Natale e ha chiesto un trenino. Ti sei girato verso tua moglie che rideva con gli occhi lucidi e le hai detto Avrà una ferrovia Lima. Hai cercato come un forsennato, per le strade e per l’etere, nuova o usata, volevi che tuo figlio avesse una ferrovia Lima. Con la locomotiva e sei vagoni. Ti sei chiesto davanti alla sua grafia incerta, di chi va a scuola prima degli altri se non fosse meglio un trenino di legno, di quelli che sembrano un bruco. Un trenino snodabile di legno chiaro e con le finiture rosse. Te lo sei chiesto perché la ferrovia Lima era un tuo desiderio e non volevi cancellare il suo. Poi hai guardato la t, la n e la o di trenino e deglutendo hai capito che volevi una ferrovia intera perché lui potesse decidere, non avendo le montagne, di costruire un anello ferrato intorno alla poltrona. Ti sei visto seduto a guardargli le spalle e le gambe mentre si accuccia come un minatore. Ti sei visto e hai capito che non volevi più la ferrovia Lima ma tuo figlio a meravigliarsi della ferrovia Lima. D’altronde da quando è nato sai che molti tuoi desideri sono deleghe.
Così ti godi l’immagine, sfocata dal vetro smerigliato, di tua moglie seduta e di tuo figlio in piedi. Non sai cosa succede. Perché tuo figlio è fermo e ha le gambe allargate e tua moglie si sporge verso di lui e forse gli tiene una mano sulla testa. O sul viso. Forse qualcosa gli è andato in un occhio. Pensi. Forse il nastro colorato gli ha tagliato la pelle tra l’indice e il medio. Succede. Apri la porta e tuo figlio ha la bocca chiusa, il naso arricciato e tiene le mani incrociate sul petto. Tua moglie ti sorride dolce, come a lui quando, qualcosa va storto. Fai un passo indietro, chiudi la porta, guardi ancora il tondo asimmetrico di famiglia e poi la sciarpa. La sciarpa pende sempre simmetricamente a destra e a sinistra del collo del cappotto. Apri il sacchetto delle paste e annusi lo zucchero a velo. Starnutisci.
Gli anni precedenti non ha scritto una lettera e nemmeno ha disegnato niente. Non ti sei alzato a notte fonda perché andava a dormire presto. Sei rimasto con tua moglie davanti al camino e alla televisione accesa a sonnecchiare. Forse le hai baciato il collo, forse ti ha poggiato la testa sulle ginocchia. Siete rimasti fermi e le fiamme vi hanno ipnotizzato e arrossato il viso fino a quando lei non ti ha detto Andiamo a letto e Sì, ma prima salgo in soffitta a prendere i regali, li lascio sotto l’albero. Babbo Natale scende dal camino ma non lascia nulla vicino al fuoco perché i sogni sono ignifughi ma la plastica e il legno no. Gli hai detto ignifugo e lui ha alzato le braccia per farsi prendere, quasi spaventato. Poi ha guardato il fuoco, si è quietato e sbilanciato per farti capire che voleva scendere, che il fuoco era di nuovo meglio di te.
Ma quest’anno ha scritto la lettera e nella lettera trenino e così la sera della vigilia siete andati a dormire tutti insieme. Mentre ancora sbocconcellava una scorza di pane, sei saltato in piedi e sorridendo hai detto Adesso è ora di andare a letto altrimenti Babbo Natale non si fermerà per lasciarti quello che hai chiesto.
Papà e se sono stato cattivo?, Sei stato cattivo?, Ho rubato due volte la merendina a Mario, Davvero?, Sì, Allora forse è meglio correre a letto, altrimenti Babbo Natale potrebbe ripensarci, E se porto due merendine a Mario quando comincia la scuola, Ecco, portagli due merendine ma adesso corri a lavarti i denti.
Sei andato a infilarti il pigiama in camera sua e sbadigliato con le fauci di un orso bruno per fargli capire quanto eri stanco e quanto avresti dormito della grossa. Forse hai detto che neppure le cannonate ti avrebbero svegliato, figuriamoci un vecchio signore con i colori della Coca-cola che si cala dal camino. Hai anche spento il camino perché tuo figlio l’anno scorso ti aveva fatto notare che nemmeno Babbo Natale era ignifugo. Tu hai fatto un passo indietro e strabuzzato. Poi ti sei sentito stupido. Se imparava a memoria L’aquilone di Pascoli poteva anche ricordarsi ignifugo. E il momento giusto per dirlo.
Gli hai rimboccato le coperte e accostato la porta perché non gli piace dormire al buio. E nemmeno a te. Poi hai contato fino a cinquemiladuecentododici. Tutto il tempo del telegiornale e dello speciale e del dibattito e della pubblicità. Non ti ricordi niente di quello che hanno detto perché mentre contavi hai pensato che tuo figlio ha scritto una lettera e tu non hai neppure un cappello rosso e una barba finta. Un cappello rosso sì. Ti alzi di scatto apri un cassetto cerchi trovi e indossi. Tua moglie continua a leggere mentre tu, in punta di piedi e nonostante i calzini di flanella, esci dalla stanza. Respiri, ti affacci e dalla porta di tuo figlio come fosse una finestra sul tetto del mondo. Torni indietro trattenendo il fiato e baci tua moglie sulla bocca. No. Prima sugli occhiali e poi sulla bocca, tanto che sbuffa e ti chiede Ma che hai?.
Tu sorridi ebete che vostro figlio dorme e che puoi sistemare i pacchi vicino al camino. Tua moglie pulisce gli occhiali con il lembo del lenzuolo e si gira su un fianco. Per un attimo vorresti afferrarle la vita e baciarle la nuca, sfilare a te e a lei i pantaloni del pigiama. Poi ti fermi e sorridi perché non è un desiderio, è un ricordo. Adesso l’unica cosa che veramente vuoi è portare i regali a tuo figlio.
Quando entri in salotto sei già morto.
Anche se la brace è ancora calda. Non puoi saperlo perché non lo sa nessuno. E se fino a un’ora fa eri speciale, adesso sei come gli altri. Ma non sai nemmeno questo. Soprattutto, non lo vedi.
Si è nascosto dietro la tenda. Con i capelli dorati come gli addobbi dell’albero e non lo hai visto. Così hai trascinato le buste con i regali fino al camino, hai tirato i pacchi fuori a uno a uno e li hai impilati. Hai afferrato una manciata di cenere tiepida e impanato la lettera di tuo figlio. Perché Babbo Natale si cala dai camini e spolvera tutto di cenere.
Mentre punti le mani sui fianchi e gonfi il petto, il pigiama ti pare di orbace tanto sei impalato a gambe larghe pancia in dentro davanti all’obelisco di regali. Le luci intermittenti dell’albero funzionano come una palla stroboscopia. Così rincagni, metti le mani in tasca e vai a dormire.
Mentre guardi tua moglie e tuo figlio sfocati dal vetro smerigliato capisci che ti ha visto. Che non puoi spiegargli perché gli hai sporcato la lettera di cenere. Che c’è un Babbo Natale per quasi ogni bambino. Così apri la porta e lo guardi.
Non è deluso, è arrabbiato.
Tu sei Babbo Natale?, Sì, E allora perché a me hai portato questo e a Mario il trenino che si sale sopra?
Quando chiudi la porta sei già morto perché se sei Babbo Natale allora i regali che hai portato agli altri bambini avresti dovuto portarli anche a lui. O solo. Alzi gli occhi e ti accorgi che il lampadario dell’ingresso è una campana di vetro. Di quelle che nei laboratori servono a creare piccole bolle di vuoto. Non sai proprio come hai fatto a passarci sotto tutta la vita senza che ti mancasse l’aria. O forse ti manca tutta ora. Tutta questo Natale.
[Questo racconto è stato scritto per l’iniziativa Natale natale del 16 dicembre alla Casa delle Letterature di Roma – Grazie a Lavinia Azzone per aver prestato Snowman a La falicità di oggi]
Una vera chicca natalizia, Chiara, grazie. Io da bambino credevo ciecamente a babbo natale, e mi piaceva molto.
Ho sempre avuto una passione per i trenini. Non me ne hanno mai regalato uno da piccola e ho pensato spesso, da quando l’ho visto, di entrare in un negozio di Bergamo dove ne hanno di ogni tipo per regalarmelo da sola, ma poi ci ripenso sempre. Fuori tempo insomma.
Un bel racconto Chiara.
care chiara e nadia, che coincidenza, anch’io avevo la passione per i trenini da piccola (pure per i robot, le macchinine…)
ma il trenino è legato ad uno di quei ricordi proprio strani, che ho completamente rinunciato a distinguere la porzione di reale e d’immaginazione in esso contenute
ero proprio piccola piccola, vivevo a casa dei nonni quell’anno e mi ricordo un trenino gigante che potevo cavalcare e azionare a pedali, lo ricordo preciso come ieri, nero con i bordi rossi, tirato a lucido, ora io sono sicura che nessuno mi avrebbe mai permesso a quell’età, intorno ai 3 anni, di uscire fuori dal cerchietto della sala da pranzo, intorno al tavolo rotondo, al galoppo del mio trenino, ma nello stesso tempo, io ricordo perfettamente di avere intrapreso un lungo viaggio tra i sentieri dei campi coltivati, oltre le vigne, oltre le mele annurche… e di aver visitato luoghi straordinari che ricordo con precisione senza averci più messo piede e senza sapere mai se quel trenino sia mai esistito veramente, o l’avessi solo sognato con tanta intensità da ricordarlo ancora…ma guardate un po’ cosa mi avete fatto riesumare stasera, accidenti a voi ;-)
accidenti ai trenini. beh. buona natale a tutti. davvero. e grazie. chi
E’ un racconto molto caloroso. Grazie Chiara. E buon Natale.
se non posso avere un trenino per ogni natale che l’ho desiderato, se non posso aprire i pacchi di tutti i colori che ho immaginato, se non posso festeggiare ogni sera come fosse ancora una volta il mio compleanno davanti a un camino, se non posso trepidare sulla soglia di una notte irripetibile e il cielo non si popola di renne nemmeno nei sogni, se non posso, allora voglio uno scrittore che ogni natale me lo racconti. ancora e ancora e ancora, fino a sfinire la ragione e a crederci davvero perché le parole sono più vere e fanno più caldo intorno e dentro e sopra.
un abete illuminato, un pupazzo accoltellato, rosso sul candore e inchiostro sanguigno.
grazie chiara. grazie lavinia.
per questo natale.
Nel pessimismo che ultimamente mi pervade mi è nata una rifessione che ho abozzato qualche giorno fa…Forse non è neanche degna di nota ma ve la propogno qui (anche un pò fuori luogo forse).
Oserei dire: beati i molti che non si rendono conto delle situazioni, cechi esecutori di danze scandite da un ritmo arcano e lontano, loro unico appiglio nel pesto giaciglio…Guarda, guarda..vedi forse affanno nei loro occhi? Son tutti eccitati da questa danza di clavicembali e nacchere, inebriati dal ritmo sempre più inquieto, più tumultuoso, rapito da questo vortice degli eventi. C’è forse nei loro occhi, nei loro frettolosi gesti quella brama di trovare l’essenza più intima degli eventi da cui si ritrovano assaliti? E’ inerzia, magari fosse oblio! E’ il vortice! E’ il vortice degli eventi che schiaccia l’arbitrio individuale di ciascuno, i desideri più intimi.
Ai pochi che per fortuna o per natura ancor è inevitabile distaccarsi dalle danze, cosa resta? Bistrattate, pestate, lacerate, frammentate le singole individualità… ecco l’impotenza!
L’impotenza contro la casualità. E’ allora il decadimento, l’angoscia di non avere uno spiraglio.
… ti lasci cullare da questo vortice…
Finquando noti che un qualche movimento della danza assume sempre la stessa sfumatura., quando sai che ne potrebbe avere di 10 mila tante altre. Ti illudi?
Per quale ragione siamo precariamente in bilico tra impotenza e spiragli illusori? Ecco allora “Beati i molti che non si rendono conto delle situazioni”… E’ anche vero, però che solo ai pochi precariamente in bilico è riservata l’ebbrezza pura del lasciarsi cullare.