Michele Santoro e Gaza, la televisione tra narrazione e conversazione
[Questo articolo è apparso su Giornalismo partecipativo]
di Gennaro Carotenuto
Giovedì sera è andata in scena ad “Anno Zero”, in una trasmissione dedicata ai giovani e Gaza, una rappresentazione chiara del bivio di fronte al quale si trova il più di massa dei media, la televisione. Non è in questa sede importante riprendere le polemiche e giudicare il plotone di esecuzione schierato in queste orecontro Michele Santoro e gli arcangeli e i serafini in fila a santificare Lucia Annunziata. Ma è importante fare un altro tipo di riflessione che concerne il medium.
Chi va in televisione può fare tre tipi diversi di cose. Può performare, ovvero dimostrare cosa sa fare o cosa conosce, ballare, cantare, far ridere, rispondere a quiz come a “Lascia o Raddoppia”. Può narrare, raccontando fatti reali o inventati, in un reportage o in una telenovela. O infine può conversare, dei massimi sistemi, in maniera aulica o del più e del meno, giù giù fino a “Porta a porta”.
L’imbarbarimento della vita televisiva è dato dal disequilibrio tra questi tre grandi filoni. La performance è di fatto scomparsa. Nell’impoverimento culturale della società i quiz sono diventati idioti perché è fastidioso e controproducente far vincere dei soldi a qualcuno solo perché sa. Per far ridere poi in genere bastano quattro parolacce e qualche allusione sessuale. Perfino nelle vecchie tribune politiche si performava, si sciorinavano dati, si mostrava un eloquio da retori oggi sostituito dalle torte in faccia.
Anche la narrazione in tivù è in crisi. I documentari sono confinati sul satellite e i reportage li fa solo quel comunista di Riccardo Iacona. D’altra parte anche le storie ce le siamo finite e non si può fare una nuova edizione di “Guerra e pace” o “I promessi sposi” ogni 10 anni. Del resto “il pubblico non capirebbe”. Le soap poi sono un surrogato di conversazione tanto che molti format e reality sono delle soap camuffate.
La conversazione quindi trionfa in tutte le sue forme. Chiacchiere più o meno vuote nelle isole dei famosi, chiacchiere rigorosamente vuote nei programmi di approfondimento giornalistico, Porta a porta, Ballarò eccetera. Oramai i politici vanno in tivù (probabilmente imbottiti di stupefacenti) aspettando solo il momento di alzare la voce e avventarsi sulla controparte perché è sul wrestling che ritengono che il popolo bue li giudichi.
In questo modo tutto può passare, si può far passare come esperto un fanatico destinato al girone degli iracondi come Edward Luttwak, oppure trattare come statisti personaggi con condanne gravi come Marcello dell’Utri. Basta far sparire i fatti, anche se si parla di argomenti serissimi. In questo modo una ragazza messa lì ad accavallare le gambe può essere chiamata a parlare (sic) di genetica o di Resistenza e il suo punto di vista essere anteposto a quello di Rita Levi Montalcini o Claudio Pavone che hanno dedicato ai rispettivi campi di studio tutta la vita.
Il meccanismo è perverso. Per poter far credere ai telespettatori che la guerra è bella, che la precarietà è un bene, che gli immigrati sono cattivi o che la mafia non esiste devono sparire i fatti, la narrazione dei fatti. Solo così possono essere contrapposte su un piano di parità tesi che pari non sono.
Cosa c’entra con tutto ciò Michele Santoro?
Michele Santoro, nella trasmissione di giovedì sera non fa bella figura e forse non ha nemmeno il pieno controllo sull’evoluzione della stessa. Fa un errore marchiano dicendo all’Annunziata “stai acquisendo dei meriti nei confronti di qualcuno”, ha ragione ma la fa passare da vittima, ma soprattutto commette (il secondo probabilmente in maniera preterintenzionale) due peccati capitali.
Il primo peccato capitale è che ha proposto dei frammenti di narrazione giornalistica in un contesto che è percepito come destinato solo alla conversazione. Ha mostrato le immagini. E le immagini parlano, non sono neutre. Se i fatti narrano, come ha dimostrato il reportage di Lorenzo Cremonesi sul “Corriere”, o il successo del blog di Vittorio Arrigoni da Gaza, ipotecano il dibattito che non può più prescindere da esso. A quel punto non esistono più due realtà virtuali contrapposte per par condicio. Ci sono i fatti che pendono da un lato, piuttosto che dall’altro. Non puoi più cambiare argomento, alzare la voce, tergiversare. Devi commentare quello che vedi senza eluderlo. Questo per lo stato attuale dell’informazione in Italia è intollerabile.
Di cosa è accusato Santoro? Di strumentalizzazione. Di cosa? Dei fatti. Come se si potesse prescindere da essi. Come ha calcolato Elia Banelli su Agoravox gli ospiti di Santoro giovedì erano perfettamente in equilibrio tra pro-israeliani e filo-palestinesi. Nel paese della par condicio è indispensabile che così sia anche se si parla di calcio. Nello specifico, se si mostra come ha fatto Santoro il fatto che i morti in Medio oriente sono in una proporzione di cento palestinesi per ogni israeliano e che un terzo di tali morti sono bambini si viene accusati di fare un’operazione di propaganda filopalestinese o addirittura filo-Hamas (che non è lo stesso ma tutto serve per estremizzare i toni). In realtà i palestinesi in trasmissione, a partire da Rula Jebreal, erano contro Hamas o agnostici.
Il problema allora non era nel dibattito; era nei fatti con i quali i politici e (quel che è peggio) i giornalisti non sono più abituati a fare i conti. Se i fatti, la proporzione di 100 morti contro uno, pendono a favore di una parte, i fatti stessi sono considerati una intollerabile deviazione rispetto alla par condicio che serve a dire tutto e il contrario di tutto. Quando crollò l’Argentina neoliberale l’unica maniera di difendere le politiche del Fondo Monetario Internazionale era prescindere dai fatti: sul dilagare della povertà, sulle morti per fame, sulla disoccupazione strutturale in un paese abituato alla piena occupazione, su un paese deindustrializzato dal modello bisognava glissare. Anche allora i fatti infastidivano chi voleva negare l’evidenza. Oppure leggete le dichiarazioni degli avvocati difensori dei manager della Thyssen Krupp su cosa pensano del “clamore mediatico”, ovvero dei fatti?
Con i fatti, i bambini morti, diviene impresentabile un Andrea Nativi che magnifica la straordinaria efficacia delle bombe a frammentazione o al fosforo o che ci vuol convincere che è normale per chi guida un elicottero d’assalto far tante vittime civili. Chi ha visto la trasmissione ha osservato la stizza di Nativi stesso ogni volta che veniva mostrato un frammento di narrazione su quello che si vede che è successo a Gaza, i fatti.
Sembrava dire, Nativi, “ma se mostrate i fatti le mie chiacchiere perdono peso, nessuno crede più che le armi siano bellissime. Non è giusto, se narrate i fatti allora il dibattito non è più equilibrato”. Squilibrato dai fatti. Nessuno infatti ha messo in dubbio gli effetti nefasti e criminali dei razzi sul Neghev. Il problema è che i razzi su Sderot o Ashkelon restano intollerabili solo fino a che non vengono paragonati a quanto sta accadendo a Gaza, fino a quando una narrazione artificiosa dei fatti fa credere che i tre (3) morti causati dai razzi di Hamas in tre settimane siano equivalenti (o addirittura più gravi) agli oltre mille causati da Tsahal.
Il secondo peccato capitale di Michele Santoro è di aver sostituito per la conversazione i soliti navigati politici, giornalisti, docenti universitari, pronti a mettere in scena il solito teatrino stando alle regole del gioco, con dei ragazzi. Dei ragazzi italo-israeliani e dei ragazzi italo-palestinesi. Dei ragazzi, soprattutto le due ragazze, che hanno scatenato la reazione di Lucia Annunziata, che hanno usato i mezzi conversazionali del XXI secolo: hanno strillato come matte.
Entrambe presentabili, parlando un ottimo italiano, sufficientemente colte, carine, sicuramente entrambe in buona fede, hanno sbattuto l’una sulla faccia dell’altra gli argomenti di un conflitto irrisolvibile con le armi, dove non tutto è bianco né nero (come sostengono la Annunziata o Claudio Pagliara o in maniera speculare i fan italiani di Hamas, “intifada fino alla vittoria”).
A quel punto, con quelle due oneste ragazze, l’italo-israeliana e l’italo-palestinese, completamente fuori controllo a rinfacciarsi l’una all’altra 60 anni di conflitto e di pregiudizi il re era nudo. Il re della televisione. La tivù, quando sostituisce la narrazione con la conversazione, quando si mostra equidistante, in realtà sta solo prendendo le parti di chi è più distante dai fatti, per farsi strumento di dominio e di falsificazione della realtà stessa.
Il palesamento di questa realtà, per una ex-presidente della RAI come l’Annunziata, non era accettabile: “Michele, questo conflitto in mano a due ragazze non si può mettere”. L’unica conversazione possibile è un minuetto tra cicisbei che urlano, strepitano ma stanno al gioco. Se si sostituiscono con due ragazze in buona fede il castello di carte cade. E, di nuovo, restano i fatti.
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Premetto che non ho visto Annozero, non sono un’estimatrice di Santoro e non lo guardo mai, ma non capisco: queste due ragazze che hanno “strillato come matte” e “hanno sbattuto l’una sulla faccia dell’altra gli argomenti di un conflitto irrisolvibile con le armi”, benché “in buona fede” sembrerebbero – a leggere qui – dar ragione all’ Annunziata che dice “questo conflitto in mano a due ragazze non si può mettere”.
Non capisco cosa c’entrino con i fatti, mi sembrano – sempre a legger qui – più in linea con i “toni” che Santoro predilige che con i “fatti” che mostra.
(E non sono un’estimatrice neppure dell’Annunziata, tanto per capirci.)
Ho appena letto (su “Repubblica” on line) alcuni manifestini affissi nella zona del Ghetto di Roma pieni di insulti pesanti nei confronti di Michele Santoro. Non ho visto la trasmissione di Santoro per la semplice ragione che non ho la tv ma vorrei sottolineare l’arroganza, il fanatismo, la violenza, il fascismo delle frasi contro il gornalista. Evidentemente qualcuno preferisce, a quanto mi riferiscono, le veline israeliane lette da un tale (non ricordo il nome), corrispondente del Tg1. Ma le centinaia e centinaia e centinaia di civili (tra i quali 357 bambini palestinesi) innocenti assassinati dalle SS israeliane nessuno riuscirà a dimenticarli. Restiamo umani, ci esorta Vittorio Arrigoni da Gaza, sul “Manifesto”. Ma è difficile restare umani quando dall’altra parte trovi comportamenti da nazisti… Cecchini che sparano a qualsiasi cosa si muovesse, davanti un’ospedale. Una trentina di corpi, molte donne e bambini, alcuni dei quali ancora in grado di produrre minimi movimenti. Quei corpi sanguinanti per strada, erano civili in fuga dalle loro case colpite e incendiate dalle bombe. Gli snypers israeliani non hanno esitato un secondo a stenderli uno ad uno, una volta inquadrati nell’occhio del mirino, bambini compresi. E il bambino, visibilmente denutrito, accucciato dinanzi al corpo della madre in avanzato stato di decomposizione. Per quattro giorni si è preso cura di quel corpo come se fosse ancora vivo; l’aveva asciugato dal sangue sulla fronte e strisciando fra le macerie di quella che era stata la sua casa si era procurato acqua, pane e dei pomodori, e li aveva messi vicino al viso della madre morta. Pensava stesse semplicemente dormendo. I soccorsi della Croce rossa sono riusciti a raggiungere il luogo del massacro solo parecchi giorni dopo, perché impediti dai cecchini israeliani… (V. Arrigoni, “Il Manifesto” di oggi…)
@alcor
“non sono un’estimatrice di Santoro e non lo guardo mai” […] “E non sono un’estimatrice neppure dell’Annunziata”
così, per curiosità, ma chi è che stimi?
Scusate se piazzo un link ma non vuole essere spam, è solo che ho scritto qua quello che penso sulla puntata di annozero (pensieri scatenati anche da questo intervento di Carotenuto), e a copiarlo qua era troppo lungo:
http://ilbiancoattorno.splinder.com/post/19607924
Grazie e scusate l’invadenza, se ho sbagliato cancellate pure il commento.
L’ho appena letto su giornalismo partecipativo, condivido l’analisi dell’autore sui meccanismi dell’informazione televisiva.
Sulla vicenda Sherif El Sebaie sottolinea che Lucia Annunziata, andandosene, fa esattamente quello che biasimava quando silvio berlusconi, messo alle strette in una sua intervista, si alzò via.
http://salamelik.blogspot.com/2009/01/sbaglia-lei-presidente.html
@garufi
hai ragione, me lo sono chiesto anch’io dopo aver scritto il commento.
Quello che non mi piace più da moltissimi anni è questo giornalismo televisivo, dove chi alla fine deve risultare vincitore è sempre il conduttore del programma, mentre vorrei che fossero al mio servizio di cittadina.
Mi piace la gabanelli, che infatti è poco sullo schermo e fa inchieste.
@jan
e infatti Berlusconi ha subito goduto.
fanno tutti delle gran sceneggiate con sventolio di ego e di lustrini.
Tutti. con stili magari differenti.
Del resto li abbiamo autorizzati noi, premiando la televisione spettacolare. Quelli sono animali da audience e la cavalcano ognuno a suo modo. Come potrebbero restare a galla, altrimenti?
Faccio volentieri a meno di entrambi, se voglio informazione devo andarmela a piluccare qua e là e confrontare mezza verità da una parte e l’altra mezza dall’altra.
il “secondo peccato capitale” di Santoro (tutt’altro che preterintenzionale secondo me) è esattamente l’obiettivo-teatrino che Santoro vuole raggiungere: viscere-ideologia-vittimismo-accuse scagliate da due parti in contraddittorio. I fatti da soli valgono poco, valgono le posizioni ideologiche che li brandiscono, vale la contrapposizione che li scaglia addosso all’altro. Ma è sicuro Carotenuto che la TV cerchi solo conversazione e balletto parcondicio e che gli spettatori siano ottusi e non cerchino comprensione e intelligenza come chiedeva Annunziata?
Condivido in pieno l’analisi del post
L’Annunziata, da Santoro, aveva fatto una contestazione precisa. Dopo aver ascoltato lo scambio di critiche e accuse tra la ragazza ex-soldatessa ebrea e quella italiana ma nativa di Gaza, mostrandosi scandalizzata perché a parlare dell’invasione (o guerra) fossero due ragazze, e in più con quei toni, ha mosso un’obiezione di principio, dicendo inammissibile che in Italia non si svolgesse il “dibattito” su Gaza secondo il bon ton suggerito dalla ragione, e auspicando che la discussione venisse rimessa in mano a chi è competente, ovvero ai giornalisti. Poi ha continuato dicendo a Santoro che la sua trasmissiomne è faziosa e che non è così che si conduce una trasmissione. Come se lei stessa fosse ancora presidente della Rai e non un’invitata. Ma la cosa più grave è il conferimento di autorevolezza dato dall’Annunziata al giornalismo italiano, il quale, oggi come ieri, è doverosamente impegnato nel boicottaggio e nel killeraggio dell’informazione. Ovviamente mi riferisco al giornalismo ufficiale, quello che conta, che ha voce in capitolo, non ai giornalisti indipendenti o free-lance. Purtroppo, secondo un paradosso oramai invalso in ambio politico ed informativo, vale più una vignetta di Vauro a far capire le cose, che 10, 100, 1000 articoli dei quotati giornalisti italiani.
La prima parte dell’articolo l’ho trovata interessante. Mi pareva che l’autore iniziasse ad andare a fondo, non dirò del problema, ma almeno di uno dei problemi, e provasse a partire da basi essenziali (per esempio la distinzione essenziale fra performance, narrazione, conversazione: “L’imbarbarimento della vita televisiva è dato dal disequilibrio tra questi tre grandi filoni”) per aiutarmi a districarmi – almeno un pochino – nel labirinto in cui mi trovavo: quello che opportunamente chiama “meccanismo perverso”.
Stavo quasi iniziando a pensare: un po’ d’aria, respiro. Ma dopo, dalla storia dei “peccati capitali” in poi, ho ripreso a confondermi e ad arrancare… Mi sentivo sballottata un po’ sadicamente dall’autore (ma non voglio certo attribuirgliene intenzione) che intanto mi si era come trasformato in un giallista dentro a un giallo che mi diceva: per di qua, no, aspetta, per di là. Anzi no, più su. Hai sbagliato, ci sei cascata, era là, più giù. Eccetera.
Ritengo che di fronte a un tale massacro (di tali proporzioni e perpetrato in questa maniera) si debba essere di parte.
E’ vero che la chiacchiera durante la trasmissione diventava caos, l’intelligibile perdeva la sua intelligibilità, tendevano a prevalere sentimenti difficili da controllare; erano più le immagini a parlare, comprese le vignette di Vauro; la tragedia veniva rappresentata di fronte ai nostri occhi e sul momento, così a caldo, non si riusciva a intessere un dialogo approfondito; il coro non possedeva pillole di saggezza o le distribuiva male… E’ vero, la rielaborazione della tragedia non si è riusciti a imbastirla nel tempo a disposizione. Spetta a noi, adesso, a noi “spettatori”.
Solidarietà con Santoro.
Solidarietà alla Gabanelli e a tutti i giornalisti di Report. Sono così stranamente originali… Così mostruosamente lineari e asciutti… Così costanti (nella loro precarietà…): battono, battono, battono… Una goccia dopo l’altra, nel mare del Teatro.
faccio sempre fatica a dare un senso alla parola “fazioso” e anche al suo contrario “obbiettivo”.
anche se per “obbiettivo” faccio più fatica che per “fazioso”.
vorrei sapere su quale canale sintonizzarmi per trovare una trasmissione “obbiettiva” su qual si voglia argomento.
si dovrebbe più che altro discutere del modo migliore, cioè più intellettualmente onesto, di essere faziosi.
santoro non è un esempio della migliore faziosità, ma meglio un fazioso becero che un mellifluo falsificatore alla carlo rossella, per intendersi.
parola di fazioso.
Qual è l’obiettivo di questi giornalisti televisivi che non fanno inchieste, ma che mettono l’una di fronte all’altra le parti in causa?
Farci partecipi delle ragioni delle parti in causa?
O fare i registi dello scontro tra le parti in causa?
Se volessero farci partecipi delle loro ragioni mi aspetterei che parlassero meno e dessero alle parti in causa il modo di esporle senza che i decibel impedissero a tutti noi di capire, che la regia del programma fosse diretta alla comprensione se non dei fatti delle posizioni, cosa che potrebbero fare, se non fossero patologicamente attratti dalla rissa, sulla quale hanno costruito negli anni il loro successo, la loro visibilità e i loro contratti.
Non cavo da anni una informazione che sia una, da questi programmi “di approfondimento” che non approfondiscono niente che non sia il divario tra ragione e violenza verbale, tra manipolazione e manipolazione, che alla fine si azzerano reciprocamente.
Resta ancora, con tutti i suoi limiti, la carta stampata, e la rete, dove almeno posso mettere a confronto le posizioni e le notizie da sola, senza restare assordata.
Quanto alla faziosità, caro tash, è una delle merci più comuni nel supermarket della politica.
Mentre gli spettatori godono, cercando il fazioso che meglio li rappresenti – e che a sua volta del loro godimento fa audience – gli attori della politica e della storia fanno chiasso sul proscenio, mentre dietro le quinte fanno quello che devono fare per perseguire i loro obiettivi e stringono accordi. O scatenano guerre raccontandoci o facendo filtrare fino a noi solo una parte della verità.
Tutto senza la nostra partecipazione, se non come spettatori passivi.
A cosa ci servirà mai Santoro, se non a passare due ore quando non c’è un film o una rissa da reality, che almeno è innocua?
Qual è la vera differenza con Rossella? Intrattenimento a diverso tasso di adrenalina, tutto qui.
Francamente a me pare che l’Annunziata se la sia presa con Santoro quando le è parso, come è parso a tutti noi, che Santoro si compiacesse di far scontrare tra di loro due giovani ragazze sulla conta dei morti anzicché cercare di aiutarle a ragionare sull’assurdità di uno scontro che da troppi anni contrappone ebrei a palestinesi tra atrocità e barbarie equamente condivise. Purtroppo si è entrati per parlare della necessità della pace, che equivale a reciproco riconoscimento, è si è finito con una guerra tra due giovani ragazze e una guerra tra due maturi giornalisti. Che pena!
Intervenendo per interrompere il dibattito tra due rgazze di opposte vedute, Annunziata dice: “… VOI AVETE RAGIONE, MA QUI SIAMO ITALIANI E DOBBIAMO ANCHE ORIENTARE IL PENSIERO DEGLI ITALIANI SU QUESTA COSA”.
– Alessandro Robecchi, ‘Il sor Michele e la sora Lucia’, “Il Manifesto”, 18 gennaio 2009, pag. 1
No però scusate, io sono anche d’accordo sulla questione dialettica VS fatti, ma sinceramente fare l’equazione immagini=fatti che zittiscono le chiacchiere mi pare pericoloso e fuori luogo: ma come, proprio in questo secolo di predominio dell’immagine manipolabile, tagliuzzabile, ma soprattutto montabile!
Sarebbe come dire che i documentari dicono ipso facto la verità, sempre, per il solo fatto che riprendo eventi reali. Spero non ci sia bisogno di citare l’uso che ne fa un Michael Moore qualunque.
Che poi intendiamoci, posso essere anche molto d’accordo sia con le immagini di Santoro che con quelle di Moore, ma non veniamo qua a dire che le immagini in quanto fatti scartano e anzi annullano la dialettica delle parole.
Le immagini sono parole anch’esse, ma a differenza dell’eloquio verbale, hanno la capacità di colpirti alla pancia per il modo in cui ricordano, vividamente, la realtà.
Carotenuto centra il bersaglio quando dice che nel giornalismo italiano si vorrebbe estromettere i fatti, perchè contraddicono le opinioni. Travaglio però lo dice da anni.
La Annunziata, essendo smaccatamente di parte, è riuscita nell’impresa di dire che la trasmissione era al 99.9% filopastelinese, quando sia le domande di Santoro, sia quelle dei suoi inviati tendevano a dare la colpa ad Hamas sia della rottura della tregua sia del gran numero di morti palestinesi civili. Alla fine è stato Nativi a dire a denti stretti, su precisa domanda di Santoro, che a rompere la tregua per primo è stato Israele.
La trasmissione è stata una cosa incredibile, da voltastomaco, sia per le domade, sia per le risposte di quasi tutti, giovani compresi – per la verità più per le risposte dei giovani ebrei in studio, l’ultimo, quello che ha concluso la trasmissione alla domanda perchè la guerra, la carneficina, ha in soldoni detto che Hamas educa all’odio per Israele, e a fare i terroristi, o i kamikaze i giovani, per cui Israele sta facendo la guerra per fare in modo che non succeda più, come a dire: LI AMMAZZANO DA PICCOLI, COSì NON DIVENTANO TERRORISTI.
Una cosa vomitevole, davvero.
E comunque non salvo nemmeno Santoro, demagico e populista come non mai, assolutamente ignorante sull’argomento, ha fatto domande raccappriccianti del tipo: fa bene Israele a insistere oppure ora dovrebbe fermarsi? e poi con l’Annuziata, aveva ragione a dire che lei era l’ospite, non il conduttore, ma gli son saltati i nervi, così come a fine trasmissione e francamente, pur condividendo il suo punto di vista finale, il tono è stato davvero esagerato per una tivù pubblica e ha dato modo ai censori di attaccarlo. Che moderi i toni – e che migliori i contenuti, la prossima volta.
Anch’io guardo poco la televisione, e di Annozero ho visto in rete solo l’episodio al centro delle polemiche. Da quando c’è questa guerra indecente guardo invece spesso la CNN ed Aljazeera: credo che queste due reti abbiano dato all’informazione sulla guerra un grandissimo contributo, SENZA MAI ALZARE LA VOCE. Hanno fatto parlare anche loro le immagini, e, meglio, si sono arrischiati ad andare nelle case del Gazani. Toccanti due interviste di Aljazeera, una ad una mamma che ha appena partorito e non può andare a trovare il bambino ricoverato in Ospedale, l’altra ad una giovane donna con cinque bimbi, che parla un perfetto inglese, e che riesce ancora a far cantare in coro una canzoncina ai suoi bimbi. Mi ha ricordato i genitori di un padre della psicoanalisi, Bettelheim. Racconta che durante i bombardamenti di Londra i suoi genitori lo invitavano a guardare i fuochi nel cielo, per lasciargli l’illusione che nulla di male gli sarebbe potuto accadere. Cercate i video su Youtube. Quella è televisione, non la nostra, sacrificata tra censura, par condicio ed altre stupidaggini da provincia profonda. E per forza che Santoro deve alzare la voce…
Ecco i link:
http://www.youtube.com/watch?v=RJaxPtoCGZM
Credo L’Annunziata abbia – del tutto inconsapevolmente- colto un altro “fatto” che Santoro voleva “comunicare” con il suo prgramma. Nel dire “Michele, questo conflitto in mano a due ragazze non si può mettere”. L’Annunziata, senza rendersene conto, afferma una verità non da poco, resa evidente da Santoro: la soluzione del conflitto non può essere trovata da quei due popoli, che così bene le due ragazze invitate rappresentavano, per rabbia, rancore, paura, odio. Santoro rende magistralmente evidente il grado di incomunicabilità tra loro e in via generale (perchè ha scelto due ragazze colte, moderne, che hanno vissuto o vivono all’estero) tra le due parti in conflitto. Così come le morti dei bambini sono fatti, anche l’odio tra quei due popoli è un fatto. E L’Annunziata fa a fronte di questo odio implacabile quello che tutti i terzi razionali equidistanti -tranne rarissime e sporadiche eccezioni -hanno sin ora fatto, va altrove e apre la strada a polemiche che rispetto ad una soluzione pragmatica del conflitto (comprese l’esegesi delle ragioni tanto dell’uno e quanto dell’altro) non sono utili. La politca – dice Santoro- non fa un tubo e anche questo è uno stramaledetto fatto. Ma siamo abituati ad ignorare i fatti, talmente abituati che vedere dei civili morti non ci fa pensare che sia una atrocità da non tollerare chiunque e sottolineo chiunque (anche si pensi sia Hamas stesso) ne abbia la responsabilità … ci mettiamo a pensare a chi serva farli vedere, a quale fazione; poi spostiamo l’interesse alla polemica santoro/l’annunziata, su chi aveva torto e chi no. Guardiamo la cornice, ci rifiutiamo di guardare ai fatti
http://www.youtube.com/watch?v=ttG0r4oR7a4
Quello che personalmente ho apprezzato di più del comportamento di Santoro è stato proprio il suo “errore” o “eccesso”. Perché è stato un errore dettato dal sentimento e la sua esasperazione (soprattutto quando ha invitato l’assente Veltroni ad andare non in Africa ma a Gaza, o ha inveito contro la sinistra europea che nulla sta facendo) dalla rabbia dell’impotenza. Santoro è di parte? Ma viva la sincerità! Fazioso? Mi sta bene anche questo peggiorativo, Non ho mai creduto alla neutralità in politica, tantomeno nel giornalismo politico (o anche nell’etica). Mi vien da ridere quando un politico di parte che diventa Presidente del Consiglio o di uno dei due rami del Parlamento, improvvisamente afferma di governare da presidente di “tutti gli italiani”. Mi pare solo malafede, o populismo. Solo, forse, il Presidente della Repubblica può tentare di esserlo, ma solo perché conta come il due di briscola. Chi ha incarichi di potere (nelle istituzioni, nei media) può essere solo di parte. Perché il potere è di parte. Allora viva le debolezze di Santoro quando esprimono, e non mistificano, un sentimento. Sono genuine, almeno. Anche la celebre frase di Voltaire è un esempio di partigianeria. Lui si è dichiarato pronto a difendere con la vita la libertà di espressione del suo avversario. Non ha scrollato le spalle dichiarandosi super partes…
@Macondo,
hai ragione, dal punto di vista del giornalismo civile, dal punto di vista della passionalità umana. Però su una tivù pubblica uno sfogo come quello di Santoro nel finale è obiettivamente un po’ eccessivo, e dà adito giustamente a critiche del tipo: un conduttore non può usare le emittenti televisive statali come palcoscenico per i suoi sfoghi personali.
Dico critiche, non sanzioni o censure.
Detto questo, ripeto, sanzionare Santoro per essere stato filopalestinese è una cosa incredibile.
Io vivo all’estero ormai da tempo (con nessuna voglia di tornare a vivere in Italia). Per cui non ho potuto vedere la trasmissione in questione. Per questo se esulo dal contenuto specifico della trasmissione vi prego di scusarmi.
Sinceramente, dal frammento visto, ho trovato abbastanza grave l’insinuazione di Santoro “stai acquisendo dei meriti nei confronti di qualcuno”. Ora, il punto è che un’ospite – per quanto sgradevolmente – a torto o a ragione stava facendo una critica all’impostazione del programma. Se Santoro avesse rinunciato a un pochino della sua arroganza, avrebbe potuto semplicemente risponderle difendendo l’impostazione, il suo lavoro e quello dei colleghi. Gli ascoltatori sono abbastanza intelligenti da farsi un’idea da soli senza che qualcuno insinui cose che molti ascoltatori non sono tenuti a sapere.
Condivido il senso del post. Anche io sono scandalizzato dalla scomparsa dei fatti e dalla riduzione della televisione a una specie di arena senza regole. Ma forse la qualità del giornalismo ci guadagnerebbe anche se i professionisti (quali Annunziata e Santoro sono considerati) imparassero, se non altro per educazione, a spogliarsi dell’enorme egocentrismo che li muove.
Il botta e risposta fra i due non era un servizio per gli ascoltatori, a me è parso più che altro lo scontro fra bambini prepotenti.
IL CASO SANTORO/ANNUNZIATA
di Marcello FALETRA,
Redattore di CYBERZONE
1. La trasmissione di Santoro, giovedi scorso sui fatti di Gaza è lo specchio dell’Italia di oggi e un sintomo spettacolare del mutamento della percezione sociale della democrazia. Chi ha visto la puntata di Annozero, ha potuto constatare che è stata data molta importanza alla documentazione visiva e alle testimonianze viventi che sono riuscite a passare il muro mediatico imposto dagli israeliani. D’altra parte la trasmissione era dedicata ai fatti di Gaza. E non a ciò che si presume o viene fatto credere su Gaza o sui palestinesi – di cui occorre sempre ricordare che quasi nessuno sa nulla se non immagini di repertorio e opinioni calate dall’alto nei telegiornali per avallare la tesi palestinesi=terroristi.
Non era l’opinione sulla “guerra” il centro della trasmissione, ma la diretta constatazione di qualcosa che non andava mostrato, perché la presa diretta della realtà provoca un’improvvisa caduta dentro la verità.
L’opinione resta una forma di credenza sulla rappresentazione dei fatti, ed esiste solo in uno spazio sociale privato o fortemente condizionato da format politico-ideologico, dove ciascuno può dire quel che caspita gli pare, purchè resti opinione. Ma di fronte al reale, di fronte alle immagini dei bombardamenti indiscriminati, di fronte al massacro intenzionale, le opinioni vacillano, diventano quel che sono: costrutti ideologici, riflessi d’ignoranza, deviazione della verità, che alimentano la dottrina del consenso. Per questo essa è l’opposto del pensiero e delle idee che possono esistere solo in uno spazio pubblico, dove il confronto avviene di fronte ai fatti, o si costruisce attraverso questi.
Proprio questo, evidentemente, non doveva esser fatto. L’ambasciatore israeliano ha protestato parlando di “spettacolo vergognoso”. Per l’ex fascista Fini si tratta aver “superato ogni decenza”. L’altro postfascista non pentito – Ignazio La Russa – osserva che se Lucia Annunziata “si alza e se ne va in una trasmissione televisiva, qualche problema di imparzialità deve esistere”. Dalla destra di governo alla neodestra della scomparsa sinistra, ciò che salta fuori è l’unità nazionale della politica italiana. Il pensiero unico che canta in coro contro i fatti. Infatti questo pensiero unico si ritrova, a dispetto delle apparenza, nello stesso centro di gravità costituito dall’uso della televisione.
Se Santoro si fosse semplicemente limitato a far prevalere l’opinione, come ha fatto – tanto di nero e tanto di bianco – allora tutti sarebbero stati accondiscendenti, la Annunziata sarebbe rimasta e la trasmissione, sarebbe stata all’altezza del pensiero unico, che non vuole fatti, realtà, ma opinioni. Ma scorrevano le immagini del sangue delle vittime. C’era la cosa in più. C’era il reale. Il problema allora è: quanta dose di realtà deve entrare nella televisione? Attorno a questo problema destra e neodestra (PDL e PD) concordano sul fatto che la televisione non deve mostrare – far vedere i fatti soprattutto dal punto di vista di chi li subisce, toccare l’evidenza del reale – ma mostrare opinioni a seconda della misura e del peso politico. La televisione quantizza le opinioni. Numerizza la parola: tanti minuti a te tanti a me (per un momento siamo idealisti: accordiamo questa presunta parità).
E’ così che la democrazia sta scivolando sempre più nei numeri, perdendo le idee e il pensiero (non è stato Veltroni che si è inventato la stellare cifra di 2.500.000 di persone alla manifestazione del PD a Roma lo scorso autunno? Quando invece erano circa 400.000). Colpisce, infatti, come l’attacco alla trasmissione di Santoro sia basato, prevalentemente, sulla disparità dei numeri. In realtà essi erano equamente distribuiti dal punto di vista degli interventi. Ora, se sono soltanto i numeri che contano in questa nuova trasvalutazione della democrazia, allora vuol dire che questa… come chiamarla? Postdemocrazia? è del tutto indifferente a ogni contenuto. Il massacro di Gaza per costoro non è un contenuto mediatico adatto per la distribuzione della parola. O meglio: lo è talmente e in misura cosi schiacciante da far fuori ogni strategia che elegge l’opinione a criterio di verità. Questo, per le destre è stato insopportabile. In quella circostanza il medium era in funzione della realtà e non il contrario. Infatti, dietro queste critiche si nasconde un’ideologia populista che elegge il medium a contenuto, per cui tutto il resto deve girargli attorno come variabile satellizzato.
Le masse, infatti, soprattutto quelle che fanno ascolto, sono indifferenti a tutto, producono indifferenziazione. Questo porta alla trasvalutazione della democrazia nello spettacolare duello fra chi vince e chi perde. Infatti: successo e insuccesso sono criteri di valutazione con i quali viene stabilita dal nuovo ordine politico la democrazia, il cui modello è quello televisivo dei reality show.
Ma, soprattutto le masse, assorbono tutto: il nazismo e il fascismo furono sostenuti da masse in delirio. La “volontà popolare” tanto sbandierata dal governo in carica discende da una visione dove il popolare si trasforma nell’assoluto. Se i numeri sono tutto, che ragione c’è di ascoltare gli altri? Questo il ritornello inconfessato delle due destre che giocano a contendersi il potere. Solo che una vince sempre perché ha fondato la sua esistenza mediaticamente con i numeri, l’altra perde sempre perché non sa più guardare in faccia la realtà da cui se ne difende.
Se siamo ancora capaci di guardare in faccia la Storia scopriamo che il suffragio universale ha prodotto una quantità enorme di abomini, di massacri, di genocidi.
La cosa in più, dunque, nella trasmissione di Santoro erano le immagini – il reale in questione direbbe Lacan. La televisione non uccideva la realtà, ma la mostrava nuda e cruda per quella che è: violenza.
E’ per questo che lo scorso autunno sono stati fatti molti tentativi per ignorare le proteste di piazza degli studenti, essi erano il reale che entrava direttamente nel medium modificandone lo scopo. I numerosi tentativi di criminalizzazione delle proteste degli studenti facevano acqua da tutte le parti, perché la protesta si era allargata a macchia d’olio: non erano solo studenti, ma mamme con i loro figli, operai, immigrati, lavoratori d’ogni specie, che per tutte le ore e i giorni delle proteste, avevano tentato di costruire uno spazio di democrazia a partire dalla difesa della conoscenza, elemento basilare dell’emancipazione dell’uomo dallo stato di minorità, per dirla con le parole di Kant. La protesta si era ripresa qualcosa che era stata per oltre vent’anni sottratta dall’impero della televisione.
La protesta, gridava a tutti che la libertà di pensare e di agire in un mondo diverso nasce nelle piazze, nelle strade, a contatto con le gente, nel dialogo, ma anche nello scontro dialettico che raffina i pensieri, non nell’oscurantismo dell’opinione delle trasmissioni televisive.
Le proteste contro la trasmissione di Santoro, dunque, vanno lette alla luce di un serie di variabili il cui denominatore comune è la trasformazione dello stato democratico.
Perché ciò che è in gioco è la democrazia presa in ostaggio dagli indici d’ascolto.
Nessuno avrebbe avuto nulla di dire se si fosse mostrato ciò che hanno subito gli ebrei durante il nazismo. Da ebreo assimilato devo constatare che si ha una profonda difficoltà nell’accettare ciò che in questo momento, adesso, stanno subendo i palestinesi. Questa difficoltà non è nuova, e obbedisce a inconfessati opportunismi politici. Faccio un solo esempio, ma significativo: subito dopo la seconda guerra mondiale negli Stati Uniti non si parlò di olocausto (e non se ne doveva parlare) perchè la questione primaria era l’anticomunismo, e la Germania doveva essere recuperata come avamposto del blocco anticomunista. Chi era classificato o sospettato di comunismo, negli Stati Uniti, durante il maccartismo era, paradossalmente, più pericoloso di un nazista. Occorreva dunque dimenticare il nazismo, e in fretta. Infatti, le americhe, soprattutto quella del sud con le sue sanguinose dittature, controllata dagli Stati Uniti, fu la nuova Heimat (patria) dei nazisti tranfughi.
Si arrivò al paradosso, e cioè coloro che menzionavano l’olocauto venivano associati al comunismo, e dunque perseguibili. Pochissimi intelletuali come Hannah Arendt, Noam Chomsky, lo storico Raul Hilberg, e pochi altri, dedicarono attenzione alla tragedia degli ebrei d’Europa alla fine degli anni ‘50. Raul Hilberg, addirittura, trovò grandi difficoltà nel pubblicare il suo studio “La distruzione degli ebrei d’Europa” – in italiano tradotto da Einaudi – , divenuto in seguito una pietra miliare sull’olocausto. Il suo relatore, l’ebreo tedesco Franz Neumann, della Columbia University, scoraggiò decisamente il progetto. E alla sua uscita lo studio di Hilberg incontrò soltanto aspre critiche. L’importanza dello studio di Hilberg fu subito chiaro ad Hannah Arendt, la quale se ne servi per il suo celebre resoconto sul processo Eichman a Gerusalemme, “La banalità del male”.
Alla luce di questo esempio la questione delle critiche a Santoro diventa rivelatrice di un fatto particolare: sotto il nome di “conflitto israeliano/palestinese” si cela una politica di restaurazione e di identificazione con un modello di stato politico-militare – quello israeliano, americano – che si tenta di instaurare anche in Italia. Forse non tutti sanno che in Israele non esiste una costituzione (è la Corte suprema a intraprendere un eventuale processo) e che negli ultimi anni tutti i capi di governo provengono dall’esercito. Non tutti sanno che Ariel Sharon consegnò nelle mani di un dirigente della destra estrema – Limor Livnat – il ministero dell’istruzione, il quale rimaneggiò tutti i programmi scolastici, eliminando nei manuali di storia ogni traccia di atteggiamento scorretto dell’esercito israeliano nei confronti dei palestinesi. Il nuovo ministro inoltre ha promosso l’impiego dei rabbini nelle scuole pubbliche per indebolire la visione laica della società a vantaggio di quella religiosa. Inoltre, a partire dal 2001 l’ordine sionista è ritornato nelle università, ostacolando rettori e presidi che non erano d’accordo con la restaurazione sionista di Israele. Chi rifiuta rischia di essere espulso. Come è accaduto allo storico di fama internazionale Ilan Pappe, il quale appoggiò una tesi in cui si metteva in luce il massacro dei palestinesi di Tantura nel 1948. Anche il mondo dello spettacolo è colpito dalla restaurazione della destra sionista. La cantante Yaffa Yarkoni, un monumento nazionale in Israele, è stata esclusa da ogni trasmissione televisiva per aver semplicemente criticato le prepotenze delle milizie israeliane nei territori palestinesi. Nei dibattiti televisivi trionfano temi come: “Trasferimento: si o no?”, qualche anno fa una di queste trasmissioni si chiamava: “Bisogna assassinare Arafat?”; un’altra trasmissione invece si chiamava: “Dobbiamo togliere il diritto di voto agli arabi?”. Dal 2001 la tortura, che era stata abolita nel 1999, è stata ripristinata, le procedure di appello sono state fortemente limitate e i diritti dei detenuti ignorati. Il mito di Israele come stato democratico, quale è stato realmente negli anni Ottanta e novanta, è appunto un mito generato da una profonda ignoranza sui fatti.
Questi fatti non circolano sui nostri “organi di informazione”. E’ in questo clima parafascista che politici come Fini e altri sono stati accolti in Israele. L’identità di vedute li accomuna in un progetto autoritario e di restaurazione. Quando si descolarizza un paese, lo si rende ignorante, sottraendogli le risorse per formare uno spirito critico e libero, si ottengono ottimi risultati repressivi, oscurantisti. Non sta accadendo qualcosa del genere anche in Italia? Creare una massa di ignoranti, creare dei precari ricattabili, e uno stato di controllo senza limiti, costituiscono le condizioni per uno stato autoritario.
E’ in questo clima, infatti, che sboccia l’incredibile importanza che si sta dando in Italia alle forze armate e di polizia che va al di là del problema “sicurezza”. Piuttosto è la revisione della percezione sociale della democrazia che sotto l’alibi del “clandestino” diventa sempre più subordinata ad uno stato di controllo pianificato. Ne abbiamo avuto la prova storica – ratificata da un tribunale – con il massacro e le torture al G8 di Genova e con il crescente vocabolario televisivo tendente a identificare il dissenso come atto eversivo contro lo stato. Insomma, questa è l’aria del tempo. Lo zeitgeist d’oggi. Il trionfo dell’opinione è direttamente connesso con il furto della democrazia.
1. La trasmissione di Santoro, giovedi scorso sui fatti di Gaza è lo specchio dell’Italia di oggi e un sintomo spettacolare del mutamento della percezione sociale della democrazia. Chi ha visto la puntata di Annozero, ha potuto constatare che è stata data molta importanza alla documentazione visiva e alle testimonianze viventi che sono riuscite a passare il muro mediatico imposto dagli israeliani. D’altra parte la trasmissione era dedicata ai fatti di Gaza. E non a ciò che si presume o viene fatto credere su Gaza o sui palestinesi – di cui occorre sempre ricordare che quasi nessuno sa nulla se non immagini di repertorio e opinioni calate dall’alto nei telegiornali per avallare la tesi palestinesi=terroristi.
Non era l’opinione sulla “guerra” il centro della trasmissione, ma la diretta constatazione di qualcosa che non andava mostrato, perché la presa diretta della realtà provoca un’improvvisa caduta dentro la verità.
L’opinione resta una forma di credenza sulla rappresentazione dei fatti, ed esiste solo in uno spazio sociale privato o fortemente condizionato da format politico-ideologico, dove ciascuno può dire quel che caspita gli pare, purchè resti opinione. Ma di fronte al reale, di fronte alle immagini dei bombardamenti indiscriminati, di fronte al massacro intenzionale, le opinioni vacillano, diventano quel che sono: costrutti ideologici, riflessi d’ignoranza, deviazione della verità, che alimentano la dottrina del consenso. Per questo essa è l’opposto del pensiero e delle idee che possono esistere solo in uno spazio pubblico, dove il confronto avviene di fronte ai fatti, o si costruisce attraverso questi.
Proprio questo, evidentemente, non doveva esser fatto. L’ambasciatore israeliano ha protestato parlando di “spettacolo vergognoso”. Per l’ex fascista Fini si tratta aver “superato ogni decenza”. L’altro postfascista non pentito – Ignazio La Russa – osserva che se Lucia Annunziata “si alza e se ne va in una trasmissione televisiva, qualche problema di imparzialità deve esistere”. Dalla destra di governo alla neodestra della scomparsa sinistra, ciò che salta fuori è l’unità nazionale della politica italiana. Il pensiero unico che canta in coro contro i fatti. Infatti questo pensiero unico si ritrova, a dispetto delle apparenza, nello stesso centro di gravità costituito dall’uso della televisione.
Se Santoro si fosse semplicemente limitato a far prevalere l’opinione, come ha fatto – tanto di nero e tanto di bianco – allora tutti sarebbero stati accondiscendenti, la Annunziata sarebbe rimasta e la trasmissione, sarebbe stata all’altezza del pensiero unico, che non vuole fatti, realtà, ma opinioni. Ma scorrevano le immagini del sangue delle vittime. C’era la cosa in più. C’era il reale. Il problema allora è: quanta dose di realtà deve entrare nella televisione? Attorno a questo problema destra e neodestra (PDL e PD) concordano sul fatto che la televisione non deve mostrare – far vedere i fatti soprattutto dal punto di vista di chi li subisce, toccare l’evidenza del reale – ma mostrare opinioni a seconda della misura e del peso politico. La televisione quantizza le opinioni. Numerizza la parola: tanti minuti a te tanti a me (per un momento siamo idealisti: accordiamo questa presunta parità).
E’ così che la democrazia sta scivolando sempre più nei numeri, perdendo le idee e il pensiero (non è stato Veltroni che si è inventato la stellare cifra di 2.500.000 di persone alla manifestazione del PD a Roma lo scorso autunno? Quando invece erano circa 400.000). Colpisce, infatti, come l’attacco alla trasmissione di Santoro sia basato, prevalentemente, sulla disparità dei numeri. In realtà essi erano equamente distribuiti dal punto di vista degli interventi. Ora, se sono soltanto i numeri che contano in questa nuova trasvalutazione della democrazia, allora vuol dire che questa… come chiamarla? Postdemocrazia? è del tutto indifferente a ogni contenuto. Il massacro di Gaza per costoro non è un contenuto mediatico adatto per la distribuzione della parola. O meglio: lo è talmente e in misura cosi schiacciante da far fuori ogni strategia che elegge l’opinione a criterio di verità. Questo, per le destre è stato insopportabile. In quella circostanza il medium era in funzione della realtà e non il contrario. Infatti, dietro queste critiche si nasconde un’ideologia populista che elegge il medium a contenuto, per cui tutto il resto deve girargli attorno come variabile satellizzato.
Le masse, infatti, soprattutto quelle che fanno ascolto, sono indifferenti a tutto, producono indifferenziazione. Questo porta alla trasvalutazione della democrazia nello spettacolare duello fra chi vince e chi perde. Infatti: successo e insuccesso sono criteri di valutazione con i quali viene stabilita dal nuovo ordine politico la democrazia, il cui modello è quello televisivo dei reality show.
Ma, soprattutto le masse, assorbono tutto: il nazismo e il fascismo furono sostenuti da masse in delirio. La “volontà popolare” tanto sbandierata dal governo in carica discende da una visione dove il popolare si trasforma nell’assoluto. Se i numeri sono tutto, che ragione c’è di ascoltare gli altri? Questo il ritornello inconfessato delle due destre che giocano a contendersi il potere. Solo che una vince sempre perché ha fondato la sua esistenza mediaticamente con i numeri, l’altra perde sempre perché non sa più guardare in faccia la realtà da cui se ne difende.
Se siamo ancora capaci di guardare in faccia la Storia scopriamo che il suffragio universale ha prodotto una quantità enorme di abomini, di massacri, di genocidi.
La cosa in più, dunque, nella trasmissione di Santoro erano le immagini – il reale in questione direbbe Lacan. La televisione non uccideva la realtà, ma la mostrava nuda e cruda per quella che è: violenza.
E’ per questo che lo scorso autunno sono stati fatti molti tentativi per ignorare le proteste di piazza degli studenti, essi erano il reale che entrava direttamente nel medium modificandone lo scopo. I numerosi tentativi di criminalizzazione delle proteste degli studenti facevano acqua da tutte le parti, perché la protesta si era allargata a macchia d’olio: non erano solo studenti, ma mamme con i loro figli, operai, immigrati, lavoratori d’ogni specie, che per tutte le ore e i giorni delle proteste, avevano tentato di costruire uno spazio di democrazia a partire dalla difesa della conoscenza, elemento basilare dell’emancipazione dell’uomo dallo stato di minorità, per dirla con le parole di Kant. La protesta si era ripresa qualcosa che era stata per oltre vent’anni sottratta dall’impero della televisione.
La protesta, gridava a tutti che la libertà di pensare e di agire in un mondo diverso nasce nelle piazze, nelle strade, a contatto con le gente, nel dialogo, ma anche nello scontro dialettico che raffina i pensieri, non nell’oscurantismo dell’opinione delle trasmissioni televisive.
Le proteste contro la trasmissione di Santoro, dunque, vanno lette alla luce di un serie di variabili il cui denominatore comune è la trasformazione dello stato democratico.
Perché ciò che è in gioco è la democrazia presa in ostaggio dagli indici d’ascolto.
Nessuno avrebbe avuto nulla di dire se si fosse mostrato ciò che hanno subito gli ebrei durante il nazismo. Da ebreo assimilato devo constatare che si ha una profonda difficoltà nell’accettare ciò che in questo momento, adesso, stanno subendo i palestinesi. Questa difficoltà non è nuova, e obbedisce a inconfessati opportunismi politici. Faccio un solo esempio, ma significativo: subito dopo la seconda guerra mondiale negli Stati Uniti non si parlò di olocausto (e non se ne doveva parlare) perchè la questione primaria era l’anticomunismo, e la Germania doveva essere recuperata come avamposto del blocco anticomunista. Chi era classificato o sospettato di comunismo, negli Stati Uniti, durante il maccartismo era, paradossalmente, più pericoloso di un nazista. Occorreva dunque dimenticare il nazismo, e in fretta. Infatti, le americhe, soprattutto quella del sud con le sue sanguinose dittature, controllata dagli Stati Uniti, fu la nuova Heimat (patria) dei nazisti tranfughi.
Si arrivò al paradosso, e cioè coloro che menzionavano l’olocauto venivano associati al comunismo, e dunque perseguibili. Pochissimi intelletuali come Hannah Arendt, Noam Chomsky, lo storico Raul Hilberg, e pochi altri, dedicarono attenzione alla tragedia degli ebrei d’Europa alla fine degli anni ‘50. Raul Hilberg, addirittura, trovò grandi difficoltà nel pubblicare il suo studio “La distruzione degli ebrei d’Europa” – in italiano tradotto da Einaudi – , divenuto in seguito una pietra miliare sull’olocausto. Il suo relatore, l’ebreo tedesco Franz Neumann, della Columbia University, scoraggiò decisamente il progetto. E alla sua uscita lo studio di Hilberg incontrò soltanto aspre critiche. L’importanza dello studio di Hilberg fu subito chiaro ad Hannah Arendt, la quale se ne servi per il suo celebre resoconto sul processo Eichman a Gerusalemme, “La banalità del male”.
Alla luce di questo esempio la questione delle critiche a Santoro diventa rivelatrice di un fatto particolare: sotto il nome di “conflitto israeliano/palestinese” si cela una politica di restaurazione e di identificazione con un modello di stato politico-militare – quello israeliano, americano – che si tenta di instaurare anche in Italia. Forse non tutti sanno che in Israele non esiste una costituzione (è la Corte suprema a intraprendere un eventuale processo) e che negli ultimi anni tutti i capi di governo provengono dall’esercito. Non tutti sanno che Ariel Sharon consegnò nelle mani di un dirigente della destra estrema – Limor Livnat – il ministero dell’istruzione, il quale rimaneggiò tutti i programmi scolastici, eliminando nei manuali di storia ogni traccia di atteggiamento scorretto dell’esercito israeliano nei confronti dei palestinesi. Il nuovo ministro inoltre ha promosso l’impiego dei rabbini nelle scuole pubbliche per indebolire la visione laica della società a vantaggio di quella religiosa. Inoltre, a partire dal 2001 l’ordine sionista è ritornato nelle università, ostacolando rettori e presidi che non erano d’accordo con la restaurazione sionista di Israele. Chi rifiuta rischia di essere espulso. Come è accaduto allo storico di fama internazionale Ilan Pappe, il quale appoggiò una tesi in cui si metteva in luce il massacro dei palestinesi di Tantura nel 1948. Anche il mondo dello spettacolo è colpito dalla restaurazione della destra sionista. La cantante Yaffa Yarkoni, un monumento nazionale in Israele, è stata esclusa da ogni trasmissione televisiva per aver semplicemente criticato le prepotenze delle milizie israeliane nei territori palestinesi. Nei dibattiti televisivi trionfano temi come: “Trasferimento: si o no?”, qualche anno fa una di queste trasmissioni si chiamava: “Bisogna assassinare Arafat?”; un’altra trasmissione invece si chiamava: “Dobbiamo togliere il diritto di voto agli arabi?”. Dal 2001 la tortura, che era stata abolita nel 1999, è stata ripristinata, le procedure di appello sono state fortemente limitate e i diritti dei detenuti ignorati. Il mito di Israele come stato democratico, quale è stato realmente negli anni Ottanta e novanta, è appunto un mito generato da una profonda ignoranza sui fatti.
Questi fatti non circolano sui nostri “organi di informazione”. E’ in questo clima parafascista che politici come Fini e altri sono stati accolti in Israele. L’identità di vedute li accomuna in un progetto autoritario e di restaurazione. Quando si descolarizza un paese, lo si rende ignorante, sottraendogli le risorse per formare uno spirito critico e libero, si ottengono ottimi risultati repressivi, oscurantisti. Non sta accadendo qualcosa del genere anche in Italia? Creare una massa di ignoranti, creare dei precari ricattabili, e uno stato di controllo senza limiti, costituiscono le condizioni per uno stato autoritario.
E’ in questo clima, infatti, che sboccia l’incredibile importanza che si sta dando in Italia alle forze armate e di polizia che va al di là del problema “sicurezza”. Piuttosto è la revisione della percezione sociale della democrazia che sotto l’alibi del “clandestino” diventa sempre più subordinata ad uno stato di controllo pianificato. Ne abbiamo avuto la prova storica – ratificata da un tribunale – con il massacro e le torture al G8 di Genova e con il crescente vocabolario televisivo tendente a identificare il dissenso come atto eversivo contro lo stato. Insomma, questa è l’aria del tempo. Lo zeitgeist d’oggi. Il trionfo dell’opinione è direttamente connesso con il furto della democrazia.
A me pare che un giornalismo tipo quello di Report, oltre a disturbare seriamente coloro di cui si occupa, porti a dei risultati concreti. Può fare spesso una impressione negativa, qualcuno che dica (come me in questo caso, per esempio): bando alle discussioni. Tuttavia, sempre continuando a lagnarsi in un groviglio inestricabile (“eh ma lui ha mostrato i fatti, eh ma lei se n’è andata, eh ma i media, eh ma la destra, eh ma la sinistra, eh ma Israele, eh ma Hamas” ecc.), non si fa altro che appunto discutere intorno al nulla: si rende tutto nulla. Oltretutto litigando.
Perché Report, ai miei occhi, non fa “discussioni” ma “fatti”? Li vedo solo io? Non credo proprio. Infatti è da mo’ che li avrebbero “fatti fuori”, a quelli di Report. Non hanno potuto. Qualche anno fa girava su internet una mail di uno dei giornalisti di Report: ci invitava a continuare a scrivere mail facendo sentire che c’eravamo, perché loro stanno sempre con la valigia pronta sull’uscio… Forse – forse, dico – QUESTO giornalismo, QUESTA informazione di cui si parla continuamente (infine spostando l’attenzione anche non volendolo su altro: e d’altra parte noi italiani siamo campioni di polemiche e dispersioni… O no?) NON FUNZIONA e/o FA GIOCO A QUALCUNO (parecchi). Non dico che debba essere così per forza, ma questo dubbio vuole venire fuori o no? E dopo il dubbio, vuole venire fuori che cambia qualcosa in concreto o no? Possono nascere un po’ più di Gabanelli in questo paese o no?
Se la risposta è davvero no, lo dica chiaro e tondo qualcuno: e allora mi rassegnerò alle discussioni delle discussioni delle discussioni, la miseria. E insieme a me molti altri, senza troppi giri di parole. A casa, molti italiani, si sono arcistufati, delle “discussioni”: questo è un fatto. E lo dimostrano i fatti: il “successo” di Report. Ma di questo non parlano, non vogliono…
Perché la Gabanelli, tra un servizio e l’altro, non ci strizza l’occhiolino? Perché non ci dà una gomitatina e non ci dice: eh, sapete, io son di sinistra, si capisce… Eh, questo qui, è uno stronzo, e io son così brava invece…
Fa il suo lavoro meravigliosamente bene e non sposta continuamente l’attenzione sul “mezzo” o su sé. Ma chi se ne frega! E’ un mezzo, sì? Grazie dell’informazione. Usiamolo e fine. Non ho bisogno che sia “faziosa”, no.
Una preghiera, eh sì… Tra me e me: “Dio” non voglia che ce la tolgano… Ma forse sì, prima o poi sì, ce lo meritiamo, c’è poco da fare.
“Ma forse la qualità del giornalismo ci guadagnerebbe anche se i professionisti (quali Annunziata e Santoro sono considerati) imparassero, se non altro per educazione, a spogliarsi dell’enorme egocentrismo che li muove.
Il botta e risposta fra i due non era un servizio per gli ascoltatori, a me è parso più che altro lo scontro fra bambini prepotenti”. Concordo pienamente!Lo spettatore, il lettore, l’ascoltatore, ossia il destinatario della comunicazione vorrebbe essere informato, capire cosa sta accadendo non assistere ad uno psicodramma chiassoso dove tenderà ad assumere il punto di vista del conduttore onnisciente il grande Michele; le parti migliori Anno Zero sono i servizi realizzati dai giornalisti non certo i commenti in studio, quanto accade in studio è spettacolo, per questo alle professioniste, alle giornaliste, il compagno Michele, che dice di essere per la meritocrazia(balle cosmiche!), preferisce le veline dal cognome importante o le olimpioniche dalla chioma fulva. Una puntata di Report, un reportage del grande Riccardo Iacona – professionista serio ed umile che viene dalla scuola d’inchiesta di Santoro- sull’argomento sarebbero stati di certo più istruttivi di brandelli di informazione masticati da divinità telegiornalistiche o pseudo tali. Il format di Anno Zero non è adatto a certi argomenti e io credo che Santoro, che è uno stratega della comunicazione televisiva, il Maurizio Costanzo della Rai, a volte crei appositamente dei casi; giovedì scorso poi era particolarmente agitato…chissà perché…in ogni caso è un grande attore il buon Michele!