non Sanremo mai più gli stessi
di Chiara Valerio
Adesso è avviato, non si ferma più. La storia d’Italia attraverso le canzoni, il Festival è l’ultimo romanzo popolare, la gara è il racconto collettivo di una società affaticata ma non arresa. La grande metafora, la sfida dei linguaggi, tradizione e contaminazione. Infinita notte di Alessandro Zaccuri è un romanzo composito, montato, colto. Quindi contemporaneo e popolare. Che attira aggettivi come fossero ciliegie e così, per me che sono golosa, non è proprio una lettura. È una vertigine.
La storia è epica. C’è un giovanotto che viene dal niente ma che ha scritto un best seller e che è stato chiamato dalla televisione nazionale a firmare addirittura il festival di Sanremo. C’è un ingegnere raffinato, un tipo walseriano, con un loden e un cappello che ha perso la testa, anzi, che ha pensato di perdere la testa per una creola dagli occhi indaco, lo sguardo arguto e le natiche avvenenti. C’è la creola che è davvero bella e incredibilmente dolente come una Giovanna d’Arco, e che legge Quicherat. C’è un ragazzo che prima è uno skater e poi un artista minimal e che non viene dal niente, ma dal tutto, e al tutto deve tornare.
Il tutto è il Festival della canzone italiana. In una edizione x di un anno y con un conduttore z e mille variabili che se fosse matematica e non letteratura risulterebbero incontrollabili. Perché il ragazzo che ha scritto il best seller non pensa davvero di essere uno scrittore e tentenna, perché l’ingegnere perfetto col loden è arrivato a Sanremo per perdersi dietro una donna e si ritrova sperduto dentro una organizzazione losca, perché la creola è una pedina anche se respira e talvolta ansima e perché il giovane cantante minimal è un rivoluzionario che non può perdere altro che se stesso e se stesso, ovviamente, non è abbastanza per nessuna sommossa. “Non so che farmene”, “del talento?”, “di tutto non so che farmene. Non l’ho ancora scritto un pezzo mio, a te posso dirlo, sei un artista.”
Il tutto è il Festival della canzone italiana dove le vicende si intrecciano e si sciolgono nelle scalette emotive e nelle sovrastrutture mirabili di Zaccuri, autoreggenti grazie a una lingua capace di inanellare lampi di testosterone in sommossa sotto la grisaglia, gessato plateale, regimental daltonica, cultura intermittente e sorriso indiziario. Quelli che hanno letto Il signor figlio sanno che Infinita notte è un’altra declinazione de l’opera, che è l’opera stessa (de)strutturata in canzonette, in canzoni popolari, che infatti nascondono ed echeggiano meccaniche divine. (…) si calma, è l’uomo asserragliato nella banca, gli ostaggi sotto tiro, faccio un macello, una strage, un comunicato stampa.
Il tutto è il festival della canzone italiana e non c’è altra trama che possa essere raccontata senza fare la figura di quello meglio informato dei fatti. Pettegolo, traffichino, pitocco. Perché Infinita notte trasforma il lettore in spettatore e lo spettatore in personaggio narrato. E quindi leggere è un po’ come guardarsi allo specchio, ridimensionarsi, ridere di sé, sentirsi eroi, avere una poltrona all’Ariston. Essere l’Ariston e grazie dei fiori grazie dei fiori grazie dei fiori bis. Al suo fianco, sul tavolino, una mazzetta imponente di quotidiani già letti, sottolineati, assimilati. Il potere che si nutre della conoscenza, l’informazione che si fa sistema.
E se io dovessi fare un appunto al sistema direi solo che manca un controesempio, una sbavatura. L’arte nasce dal limite, la forza pure. La rabbia, non ne parliamo. Che avrei voluto che l’ingegnere sporcasse non solo le Church e che il cantante oltre a prendere l’endless night di Blake fosse anche e quasi tiger tiger. Detto questo. Io adoro i sistemi. Ci credo.
A. Zaccuri, Infinita notte, Mondadori (2009), pp. 272, € 18,50.
L’ho letto. Sottoscrivo: Nashville a Sanremo!
ma davvero, con tutto quello che bolle, anche il festival, una specie di fiera senza molta fierezza, mi pare, trova spazio sulle bancherelle dei libri?
Forse è, effettivamente anche questo, un punto di osservazione per vedere il grado di asservimento? Grazie della lettura,fernanda
The Last Tycoon era il Messia, dunque.
tutto è il messia, se uno è in cerca di un messia.
;-)
Un libro veramente bello e intelligente.
si, viva l’italia e i suoi autori, forse g.g. è davvero l’eccezione che conferma la regola, regola che regolamenta i media cospargendoli d’idiozia. difatti alla sua stringata e intelligente osservazione gli fa muro una ventosa con inebetito risucchio d’attenzione. dai genna, straccia il contratto con la mondadori, non si vendono i sassicaia o i costa russi al supermarket. al supermarket si vendono i libri che vedono quest’oggi fatto di pannolenci come un’imprinting televisivo nella sua mera sudditanza.
io non l’ho finito.
L’ho iniziato e mi piaceva, anche. Ma forse non abbastanza.
Però, si sa, io sono molto limitato di mio.
Zaccuri l’ho visto ad una presentazione, a San Remo, appunto.
E’ una persona fantastica, abbiamo bevuto un aperitivo insieme.
Pur essendo un uomo di grande cultura non se la tira per niente. A me le persone piacciono così: che sappiano e che non siano schizzinose.
E’ una gran dote, se ci pensate, in un mondo dove tutti credono di sapere e, specie se si scrive un libro, ci si immagina di essere un gradino sopra gli altri.
Zaccuri si è messo sul mio gradino ed io ne sono stato proprio tanto contento.
ah, dimenticavo: anche nel suo caso la fisiognomica conta (e parecchio).
A me come scrive la Valerio mi si sfrizza il velopendulo ben temperato (è un complimento.)
fraaanz il velopendulo ben temperato se suona bene la metà del clavicembalo ben temperato mi colma le orecchie quando bach :-)
grazie eh
chi
fraaanz il velopendulo ben temperato se suona bene la metà del clavicembalo ben temperato mi colma le orecchie quando bach :-)
grazie eh
chi