La resistenza agli antibiotici ed il timore della parola “evoluzione”
Antonovics J, Abbate JL, Baker CH, Daley D, Hood ME, et al
introduzione, adattamento e traduzione di Vincenzo Della Mea
Tra le ragioni che i creazionisti portano contro la teoria dell’evoluzione c’è la considerazione che non ci sarebbero prove a suo favore, per cui non si tratterebbe di teoria scientifica ma di pura ipotesi, e quindi allo stesso livello del creazionismo.
Invece prove a favore ce ne sono sotto forma di processi biologici spiegati bene dalla teoria dell’evoluzione, e tra queste una importante, anche se non l’unica, è data dall’evoluzione dei batteri verso forme resistenti agli antibiotici.
Si tratta di divulgare anche questi fatti, in modo che la discussione non rimanga a livello di scontro politico o religioso, dove più o meno tutto diventa accettabile, ma si porti sul più specifico campo scientifico, con lo scopo di fare comprendere che l’evoluzione ha conseguenze pratiche importanti esattamente come la altrettanto inspiegabile forza di gravità.
L’articolo scientifico che segue in traduzione ridotta riporta alcune valutazioni riguardo l’uso della parola “evoluzione” negli articoli scientifici che riguardano la resistenza agli antibiotici: Antonovics e colleghi hanno scoperto che, nell’ambito biomedico più generale, tale parola viene utilizzata molto più raramente di quanto succeda sulle riviste di biologia evoluzionistica, anche quando vengono descritti correttamente proprio dei processi evolutivi. Pur non trattandosi propriamente di un’autocensura, pare vengano preferite espressioni diverse (per esempio, “emergere”), sia per abitudine, sia per una malintepretata lentezza del processo sottinteso dalla parola evoluzione (che in determinate nicchie può anche essere molto veloce).
Il medium attraverso cui la popolazione viene a conoscenza dei nuovi risultati scientifici non è direttamente la letteratura scientifica primaria (l’articolo scientifico), ma la sua divulgazione tramite quotidiani, riviste, televisione, che selezionano alcuni dei risultati portandoli ad una platea più ampia.
I ricercatori hanno quindi verificato le conseguenze di tale scelta terminologica su articoli divulgativi comparsi su media popolari, che paiono ricalcare le scelte terminologiche degli articoli scientifici che commentano, sottostimando quindi l’impatto del processo evolutivo.
I ricercatori hanno infine valutato se si può scorgere una qualche tendenza nel tempo, dimostrando che in realtà sempre più spesso, in articoli scientifici generici e nei progetti finanziati dalle agenzie nazionali statunitensi, viene utilizzato il termine “evoluzione”. Una delle ragioni per questo aumento pare sia il fatto che in passato, onde evitare controversie, le agenzie di finanziamento scoraggiavano l’uso di terminologia evolutiva nei titoli e nei sommari dei progetti.
L’articolo è stato pubblicato su PLOS Biology, rivista scientifica con impact factor pari a 13,5. Invito chi conosce l’inglese a leggere direttamente l’originale (disponibile gratuitamente in quanto la rivista segue il paradigma open access), poiché quella che segue è solo una traduzione di servizio, ridotta nelle parti più tecniche relative alla metodologia dell’indagine. VDM
Antonovics J, Abbate JL, Baker CH, Daley D, Hood ME, et al. (2007) Evolution by Any Other Name: Antibiotic Resistance and Avoidance of the E-Word. PLoS Biology 5(2): e30 doi:10.1371/journal.pbio.0050030
http://biology.plosjournals.org/perlserv/?request=get-document&doi=10.1371/journal.pbio.0050030
L’incremento della resistenza dei patogeni umani agli antibiotici è attualmente uno degli esempi meglio documentati di evoluzione in azione, e, poiché ha dirette conseguenze di vita e di morte, fornisce la più forte ragione per l’insegnamento della biologia evoluzionistica come scienza rigorosa nei corsi di biologia delle scuole superiori, università, e facoltà mediche.
Nonostante l’importanza della resistenza agli antibiotici, si dimostrerà come la specifica parola “evoluzione” sia usata di rado negli articoli che descrivono questo tipo di ricerca. Della resistenza agli antibiotici si dice che “emerge”, “compare”, o “diffonde”, piuttosto che “evolve”. Inoltre, si mostrerà come lo scarso utilizzo della parola “evoluzione” da parte della comunità scientifica può avere un impatto diretto sulla percezione pubblica dell’importanza della biologia evoluzionistica nelle nostre vite quotidiane.
Per stabilire se la parola “evoluzione” è usata con frequenza differente da biologi evoluzionisti e ricercatori in campo medico più generale, è stata effettuata una ricerca tra le pubblicazioni scientifiche dal 2000 in poi per reperire articoli e rassegne relativi alla antibiotico-resistenza. (…). Sono stati poi confrontati 15 articoli pubblicati su riviste evoluzionistiche con 15 articoli pubblicati su riviste mediche.
Ogni lettore ha letto interamente gli articoli. In ogni articolo sono state esplicitamente annotate e contate le parole o frasi usate per descrivere il processo evolutivo, per ottenere la proporzione di volte che la parola “evoluzione” (o i suoi lessemi come “evolutivo” o “evolvere”) è stata usata quando veniva fatto riferimento al processo evolutivo. (…)
I risultati della rassegna hanno mostrato una grande disparità nell’uso di parole tra la letteratura scientifica negli ambiti della biologia specificamente evoluzionistica e della ricerca biomedica più generale (fig. 1).
Nei rapporti di ricerca su riviste evoluzionistiche o genetiche, la parola “evoluzione” è stata usata per descrivere processi evolutivi nel 65,8% delle volte (…) (su un totale di 632 frasi riferite all’evoluzione). Invece nella letteratura biomedica la parola “evoluzione” è stata usata solo il 2,7% delle volte (su un totale di 292 frasi riferite all’evoluzione), con una differenza altamente significativa dal punto di vista statistico. Oltretutto, mentre tutti gli articoli su riviste evoluzionistiche/genetiche usavano comunque la parola “evoluzione”, 10 dei 15 articoli biomedici la evitavano totalmente. Per descrivere la resistenza agli antibiotici erano invece usate nel 60% delle volte espressioni come “emergere” “diffondersi”, o “aumentare”. Al contrario, queste espressioni sono state usate solo nel 7,5% delle volte nella letteratura scientifica evoluzionistica.
Altre espressioni non tecniche usate per descrivere il processo evolutivo includono “sviluppare”, “acquisire”, “apparire”, “trend”, “diventare comune”, “migliorare”, e “nascere”. Includendo nell’analisi altre espressioni tecniche relative all’evoluzione (es. “selezione”, “fitness differenziale”, “cambiamento genetico”, “adattamento”) l’esito sostanzialmente non cambia: nelle riviste evoluzionistiche, le espressioni legate all’evoluzione sono state usate nel 79,5% delle volte in cui c’era l’opportunità di usarle, mentre nelle riviste biomediche sono state usate solo nel 17,8% delle volte.
Nonostante la disparità nell’uso delle parole, gli articoli biomedici comunque contenevano descrizioni professionali e competenti dei processi evolutivi.
A volte si sono insinuate nel testo espressioni come “sviluppare” o “acquisire”, ma le frasi possibilmente ingannevoli sono rare. Per esempio, è stata trovata una volta l’espressione “I batteri hanno imparato a resistere agli antibiotici” e in altra occasione “l’attività degli agenti antibiotici è diminuita” (che, se letta letteralmente, implicherebbe gli antibiotici stessi fossero cambiati piuttosto che i patogeni fossero evoluti). Ma queste erano eccezioni.
Leggendo gli articoli, non è stata trovata evidenza di sforzi deliberati da parte dei ricercatori biomedici di negare che i processi evolutivi siano coinvolti nell’incremento di antibiotico-resistenza. L’uso frequente del termine “emergenza” al posto di “evoluzione” sembra più il risultato di una fraseologia semplificata che è emersa e si è diffusa con l’abitudine e l’uso ripetuto.
Può anche essere che molti biologi evoluzionisti non specialisti considerino “evoluzione” una parola poco specifica che significhi “cambiamento graduale”, e che “emergenza” incorpori più specificamente gli aspetti che compongono il processo evolutivo, cioè mutazione, ricombinazione, e/o trasferimento orizzontale di resistenza. (…)
C’è anche la possibilità che il non utilizzo della parola “evoluzione” possa riflettere il senso errato che l’evoluzione implichi processi passati, lenti ed impercettibili. Ciò è più preoccupante, perché si fallisce nel riconoscere l’importanza dell’evoluzione come forza potente con effetto nelle popolazioni correnti di ogni organismo, e non solo nei microorganismi.
Una questione critica è se l’evitare la parola “evoluzione” ha impatto sulla percezione pubblica della scienza. Per investigare ciò, si è esaminato se l’uso del termine “evoluzione” nella letteratura scientifica abbia effetto sull’uso del termine nella stampa popolare, cioè se c’è evidenza di “eredità culturale” nell’uso della terminologia. Sono stati quindi cercati articoli sulla resistenza agli antibiotici comparsi su media nazionali come il New York Times, The Washington Post, Fox News e BBC. I risultati mostrano che la proporzione di volte che la parola “evoluzione” è stata usata negli articoli divulgativi era fortemente correlata con quanto spesso era usata nell’articolo scientifico originale cui l’articolo popolare si riferiva (fig.2).
Questo mostra chiaramente come il pubblico è più esposto all’idea di evoluzione e delle sue conseguenze pratiche se la parola stessa è usata anche nella letteratura tecnica.
Per verificare se ci fossero cambiamenti d’uso nel tempo, è stata compiuta un’analisi per valutare l’uso della parola “evoluzione” dal 1991 al 2005 in 14 riviste scientifiche ma anche nei progetti di ricerca finanziati da NSF (National Science Foundation) e NIH (National Institute of Health).
I risultati hanno dimostrato che l’uso della parola “evoluzione” sta aumentando in ogni campo della biologia, con il maggiore incremento relativo nelle aree di scienze generali e medicina (fig.3). Questo riflette la crescente importanza dei concetti evoluzionistici nel campo biomedico, e evidenzia ancora di più la strana rarità con cui la parola “evoluzione” compare nella letteratura biomedica sull’antibiotico-resistenza.
E’ stato ripetutamente suggerito (e reiterato da uno dei revisori dell’articolo) che sia NIH che NSF in passato hanno attivamente scoraggiato l’uso della parola “evoluzione” nei titoli e nei sommari delle proposte per evitare controversie. Effettivamente, un ricercatore ha raccontato che nel titolo di una proposta gli autori sono stati spinti a cambiare l’espressione “evoluzione del sesso” nella più arcanamente eloquente “vantaggio della ricombinazione genomica bi-parentale”.
Attualmente, i ricercatori medici stanno sempre più realizzando che i processi evolutivi sono coinvolti in minacce immediate associate non solo con l’antibiotico-resistenza ma anche con le patologie emergenti. L’evoluzione della resistenza agli antibiotici ha avuto come risultato un incremento di due-tre volte nella mortalità di pazienti ospedalizzati, ha aumentato la durata del ricovero, e ha drammaticamente aumentato i costi dei trattamenti.
C’è poco dubbio che la teoria della gravità (una forza che non può essere né vista né toccata, e per la quale i fisici non hanno una spiegazione consensuale) non sarebbe stata accettata così rapidamente dal pubblico se non fosse stato per il fatto che ignorarla può avere risultati letali. Questa breve rassegna mostra che, usando esplicitamente la terminologia evoluzionistica, i ricercatori biomedici possono contribuire a comunicare al pubblico che l’evoluzione non è un tema che possa essere innocuamente relegato ai confini da tavolino del dibattito politico o religioso. Come la gravità, l’evoluzione è un processo quotidiano che direttamente influenza la nostra salute ed il nostro benessere, e promuovere invece che oscurare questo fatto deve essere un’attività essenziale per tutti i ricercatori.
Traduzione di Vincenzo Della Mea
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Il problema più generale è come sempre quello della libertà e della correttezza (oggettività) dell’informazione. Da medico, quando ne ho l’occasione, cerco di predicare ciò che dell’evoluzione della razza umana incide sulla qualità della vita, al di là delle evidenze scientifiche e della terminologia tecnica. Quando spiego ad un paziente che deve togliere un dente del giudizio che nell’ottanta per cento dei casi è anomalo e malposto, perchè quel dente è un residuo evoluzionistico della lunga mandibola di un ominide, il paziente capisce ed incamera la nozione. Illustrandogli la sua radiografia non ha difficoltà ad aderire ad una verità che è autoevidente. E così spiegando che il mal di schiena e le ernie discali derivano da una postura eretta per la quale i nostri antenati non erano predisposti, e che il genere umano partorisce con dolore non per un castigo divino, ma ancora a causa della postura eretta e dell’evoluzione del bacino che questa ha comportato. In campo medico e scientifico, se ci si prende la briga di spiegare, tutto appare logico e generalmente è accettato dalle persone. In altri campi tutto è più problematico. Accettare di essere non i figli e i protetti di un Dio, ma un branco di animali un po’ più evoluti o evoluti diversamente rispetto ad altri, e quindi soggetti ancora e nonostante tutto alle incertezze di un pianeta anche lui in continua evoluzione, può dare un brivido di terrore peggio della minaccia di un inferno. Accettare fino in fondo la teoria evoluzionistica in tutti i suoi aspetti vuol dire abbandonare qualunque idea di redenzione. Personalmente credo che questa visione e la sua diffusione siano l’unica arma per affrontare le grandi sfide di questo tempo, dai fondamentalismi all’economia, per finire all’ecologia.
L’articolo è molto interessante.
Penso che il termine “evoluzione” sia sempre più diffuso, in generale, nelle scienze naturali, e non solo in biologia: in astronomia, in geologia ricorre sempre più spesso, e per gli stessi motivi: spiegare un fenomeno naturale risalendo alle sue cause remote tira in ballo l’evoluzione dell’Universo, o della Terra.
Il libro di testo più adottato nei licei italiani si chiama Il globo terrestre e la sua evoluzione, per intenderci.
Nota.
Gli autori si concentrano sulle parole e sulle statistiche senza entrare nel dibattito sul loro significato. Che cosa significa “evoluzione”? e “emergenza”?
Fanno statistiche sul senso che loro attribuiscono i biologi, spesso criticandolo, ma loro stessi non lo precisano e tendono ad usare il termine in modo alquanto discutibile.
“…dell’evoluzione come forza potente con effetto nelle popolazioni correnti di ogni organismo…”, ma l’evoluzione non è una forza potente che agisce avendo degli effetti, è semmai la descrizione di un processo che si verifica nelle popolazioni lungo molte generazioni.
Oppure.
Riguardo al titolo: “L’incremento della resistenza dei patogeni umani agli antibiotici è attualmente uno degli esempi meglio documentati di evoluzione in azione”: usano la parola “evoluzione” al posto del concetto di “selezione naturale”, che sarebbe più appropriato.
Come a dire: forse ci sono termini più appropriati di “evoluzione” per descrivere la comparsa (mi associo così ai biologi che usano “comparire”, “emergere” al posto di evolvere, in questo caso) di mutazioni genomiche che conferiscono ai batteri la resistenza agli antibiotici…
Insomma,
1) forse non hanno tutti i torti i ricercatori biomedici a usare, almeno in alcuni casi, termini alternativi a quello di evoluzione
2) forse, se si vuole registrare l’uso e il non-uso di una parola nelle pubblicazioni scientifiche, sarebbe utile aver le idee più chiare sul significato di quella parola.
Lorenzo: in generale potrei essere d’accordo, però l’ipotesi di base è che il dibattito tra evoluzione e creazione sia giocato più sulle parole che sui fatti. Per cui la carenza della parola “evoluzione” nel resoconto scientifico ma maggiormente nella sua divulgazione, che prende come li trova i termini della letteratura scientifica primaria, dà, in silenzio, armi a chi batte sul fatto che l’evoluzione è “solo” una teoria. L’idea sarebbe quella di responsabilizzare chi scrive pensando di scrivere esclusivamente per la comunità scientifica, quando invece, per vie traverse, scrive anche per non esperti della materia (per quanto starei attento anche a non forzare in questa direzione, personalmente).
Paolo: pur da non credente, suppongo (e spero per chi crede) che ci sia una via intermedia tra il privilegio di essere figli prediletti di un dio e l’abbandono di ogni idea di redenzione. L’evoluzione potrebbe essere anche una bella e complessa creazione… ma in ogni caso è necessario abbandonare ogni idea di centralità dell’homo sapiens.
Complimenti a chi ha proposto e postato questo articolo, che è un esempio dal vivo del pragmatismo di certi approcci anglosassoni, di contro a certe vaghezze latine (senza voler dire che poi gli anglosassoni ci pigliano proprio sempre).
Detto questo, mi viene da aggiungere qualche altra riflessione (sul mancato uso della E-parola) a quelle degli autori americani.
Uno che lavora con cellule in coltura, sa perfettamente che deve usare una serie di accorgimenti se non vuole che gli mutino in piastra in risposta a cambiamenti incontrollati delle condizioni.
Uno che lavora con HIV sa perfettamente che il virus cresciuto in vitro su cellule isolate perde rapidamente capacità infettante verso l’uomo rispetto a quello proveniente direttamente dai pazienti, tant’è che i casi di ricercatori infettati dai ceppi di laboratorio sono rarissimo o nulli, mentre si sono infettati un sacco di medici e infermieri.
Nonostante questo, secondo me il termine “evoluzione” viene percepito dai ricercatori biomedici come appartenente specificamente ad un’altra branca della biologia, quella appunto evoluzionistica.
In questo senso, nominare la E-parola fa un po’ l’effetto di andarsi a impicciare di ossa di mammuth o di ali di pipistrello, roba di cui mediamente, il biologo cellulare non sa un tubo e magari meno ancora gli interessa.
Allora, sollecitare un uso più diffuso della E-parola, diventa una richiesta di presa di posizione culturale verso l’esterno (concetto che infatti mi pare sottenda all’articolo) che di questi tempi può avere le sue ragioni, ma che non sposta una virgola a quello che, semplicemente, si vede far agli organismi.
Galbiati: infatti.
Vincenzo,
il problema è che gli autori, a mio avviso, compiono un abuso del termine “evoluzione”, come ho esemplificato, e potrei aggiungere anche “l’evoluzione della resistenza agli antibiotici”: sarebbe meglio “l’aumento…” ecc. Anche l’esempio citato de “l’evoluzione del sesso” mi lascia perplesso, che vuol dire evoluzione del sesso? La sostituzione richiesta è una frase molto più tecnica che poteva esser tradotta in “i vantaggi della riproduzione sessuata”, se ho capito bene.
Allora se ci sono pressioni affinché nelle riviste biomediche (o in altre) si eviti il termine evoluzione, ovviamente questo non è accettabile.
Ma se si vuol spargere il termine evoluzione come il prezzemolo per contrastare la moda del neocreazionismo (leggi Intelligent Design) allora si fa un errore di eccesso di devozione alla causa, con conseguente perdita della precisione linguistica a livello scientifico, e purtroppo l’uso del termine evoluzione nel testo in esame, e negli esempi che cita autorizza a sospettare che questo stia un po’ avvenendo.
Lorenzo, spero tu stia leggendo sull’originale perché alcune semplificazioni potrebbero essere mie. Nel caso della resistenza agli antibiotici in particolare, se è dovuta all’evoluzione, usare la parola “aumento” lascia vaga l’origine, visto che potrebbe trattarsi di apprendimento, per esempio (paradossalmente).
Come scrivevo, qualche perplessità sulla scelta del linguaggio a fini che non sono quelli immediatamente scientifici ce l’ho anch’io. Ciononostante, qui vengono confrontate due serie di articoli che si riferiscono allo stesso tema usando, mediamente, parole diverse. Possiamo immaginare che se c’è errore, c’è in entrambe le popolazioni di autori.
Alanine: d’accordissimo, non cambia niente dal punto di vista scientifico, è solo questione di cultura.
Grazie a Jan e grazie a Vincenzo (salutami Udine).
@GALBIATI
mi sembra di poter affermare che il termine evoluzione, in questo come in tutti i casi in cui si usa in contesto biologico, significa che i soggetti con mutazioni casuali che li rendono più resistenti all’anti-biotico hanno maggiori probabilità di ri-prodursi e quindi generare altri soggetti resistenti, fino al prodursi, dopo qualche generazione, di una popolazione interamente resistente.
la parola emergenza non è altrettanto direttamente collegabile a questo processo, anche se nella sostanza dice la stessa cosa.
l’articolo è molto interessante.
dopo centicinquant’anni darwin non ha ancora prodotto le sue logiche conseguenze nel nostro modo di pensare noi stessi nel mondo e il mondo: rivoltarlo come un guanto.
per quanto mi riguarda è l’unica possibile vera affascinante chiave di lettura della realtà, anche se questo non significa che sia tutto risolto, ma esattamente il contrario: tutto si sta aprendo a ventaglio, le direzioni di ricerca si moltiplicano, contagiano altri saperi, direi TUTTI i saperi.
eccetera.
ciao alanina.
Vincenzo,
“spero tu stia leggendo sull’originale perché alcune semplificazioni potrebbero essere mie”, no mi pare tu abbia tradotto in modo letterale, non semplificato.
“Nel caso della resistenza agli antibiotici in particolare, se è dovuta all’evoluzione, usare la parola “aumento” lascia vaga l’origine, visto che potrebbe trattarsi di apprendimento, per esempio (paradossalmente).”
Io non direi. Se diventare resistenti agli antibiotici è dimostrazione di una microevoluzione (mutazioni geniche + selezione naturale), non possiamo dire che sia il risultato sia la causa è l’evoluzione. L’evoluzione non è la causa del fatto che alcuni batteri diventino resistenti: l’evoluzione (micro) è il risultato di questo processo, che a noi appare visibile grazie a una selezione naturale indotta dall’uso dell’antibiotico; non esiste una forza chiamata evoluzione che agisce sui batteri in modo da renderli resistenti agli antibiotici.
“Come scrivevo, qualche perplessità sulla scelta del linguaggio a fini che non sono quelli immediatamente scientifici ce l’ho anch’io. Ciononostante, qui vengono confrontate due serie di articoli che si riferiscono allo stesso tema usando, mediamente, parole diverse. Possiamo immaginare che se c’è errore, c’è in entrambe le popolazioni di autori.”
Non saprei, non vedo il confronto che dici. Gli autori si stupiscono che la parola evoluzione sia sempre più usata in tutti i campi della scienza ma non nella ricerca sulla resistenza agli antibiotici: però sarebbe interessante capire quali sono i sommari di articoli scientifici in cui si è preferito non mettere la parola evoluzione (l’unico esempio riportato come già detto pare giustifichi l’omissione della parola).
@tashtego
hai dato una buona definizione di quella che Darwin chiamava selezione naturale, e poi sopravvivenza del più adatto – e anche oggi la si chiama così: non evoluzione.
Il nodo concettuale del termine “evoluzione” sta, a mio avviso, nel considerarlo sviluppo (superiore), per ciò progresso, o (aut) trasformazione, per ciò modificazione, ma non per questo sviluppo.
@galbiati
è vero, me ne accorgo adesso.
@paolo ferrari
Riporto testualmente queste tue parole: “Accettare di essere non i figli e i protetti di un Dio, ma un branco di animali un po’ più evoluti o evoluti diversamente rispetto ad altri, e quindi soggetti ancora e nonostante tutto alle incertezze di un pianeta anche lui in continua evoluzione, può dare un brivido di terrore peggio della minaccia di un inferno.”
Bene. Adesso lascio la parola a Vittorio Luigi Castellazzi, psicologo, clinico e psicoterapeuta, docente di tecniche proiettive e diagnosi della personalità, dunque non quel che si dice propriamente un superstizioso: “Mentre un tempo tutto ruotava attorno alla religione dell’anima, ora è centrale la religione del corpo. In tal modo, si continua a perdere di vista l’armonica unità della persona umana. Purtroppo veniamo da un passato in cui è stata operata, a partire da Platone, un’infausta scissione tra il corpo e l’anima, dove il corpo è stato visto come un ostacolo al vigore, alla bellezza e alla felicità dell’anima. Per esaltare l’anima, si svalutava il corpo. Atteggiamento, questo, che ha influenzato lo stesso pensiero cristiano al riguardo. […] Senza dubbio, la cultura attuale può essere definita la cultura della glorificazione del corpo. […] Ebbene, è di questa mancanza d’anima che l’uomo di oggi soffre. Avverte cioè di non avere più una zona franca, in cui poter stare con se stesso, lontano dai mille occhi indiscreti dell’attuale società tecnologica. Da qui il bisogno di recuperare quel luogo dell’interiorità che i Greci chiamavano Psiche (da psichein, soffiare, respirare) e i Latini anima (dal greco anemos, vento, soffio). Entrambe le etimologie rimandano a qualcosa di leggero, di impalpabile, di inafferrabile. E questo rivela una verità piuttosto scomoda da accettare e cioè che è arduo il linguaggio dell’anima, dal momento che esso non è riconducibile semplicemente a una struttura grammaticale e logica.”
Riporto poi, paolo, la tua conclusione, testuale: “Accettare fino in fondo la teoria evoluzionistica in tutti i suoi aspetti vuol dire abbandonare qualunque idea di redenzione. Personalmente credo che questa visione e la sua diffusione siano l’unica arma per affrontare le grandi sfide di questo tempo, dai fondamentalismi all’economia, per finire all’ecologia.”
Da agnostico, mi sembra che la situazione prospettata da Castellazzi sia molto meno integralista della tua, e di conseguenza molto più adatta ad affrontare le grandi sfide che, come giustamente fai notare, ci vengono al tempo d’oggi poste. Ma io ritengo che la crisi economica e quella ecologica altro non siano che i sintomi di una più profonda crisi antropologica, dunque spirituale, dunque dell’anima infine (che uno creda o no). Vedi dunque come l’anima sa essere terribilmente materiale, anche nel prospettare l’umanità come un “branco” che deve rinunciare ad ogni “redenzione”?
Galbiati ha ragione. Il fraintendimento (sceintificamente detto “bias”) tra i termini “evoluzione” e “selezione naturale” (pur strettamente connessi) e’ in questo caso il primo responsabile della diatriba illustrata nell’articolo. Questo, pero’, non e’ un fraintendimento casuale, a mio avviso, ma e’ dovuto ad una piu’ generalizzata semplificazione nella percezione della teoria evoluzionistica. Darwin, ad esempio, viene considerato da tutti il padre dell’evoluzionismo. In realta’ il concetto di evoluzione delle specie era presente gia’ prima di Darwin ed era stato formulato da molti studiosi, contemporaneamente o in tempi diversi, partendo da osservazioni distinte. Questo spiega come “l’evoluzione” in senso stretto sia un fenomeno di per se stesso evidente (come ricordava anche alanine) e, come diceva Ferrari nel primo post, questo concetto e’ facilmete afferrabile da chiunque, perche’ e’ logico e basta osservare la natura per rendersene conto. L’unicita’ e la grandezza del contributo di Darwin sta nell’introduzione del concetto di selezione naturale (il titolo del suo famoso libro e’ “Dell’evoluzione delle specie per mezzo della selezione naturale”). Ed e’ il concetto di selezione naturale, con il suo carico psico-sociologico (e’ il piu’ adatto che trionfa), che ha creato e crea i maggiori problemi all’intera teoria evoluzionistica.
La parola chiave “selezione”, pero’, non crea alcun dibattito e dire che “l’antibiotico seleziona i ceppi di batteri resistenti” non e’ affatto sbagliato scientificamente, perche’, di fatto, la possibilita’ della resistenza all’antibiotico esiste gia’ prima dell’antibiotico stesso: e’ solo la selezione che la fa emergere. La stezza cosa vale per le terapie anti-cancro ecc.ecc.
Se, pero’, per sopravvivere in questo mondo, la teoria dell’evoluzione ha bisogno di queste difese, ben venga l’articolo, anche con qualche “bias”.
@diamante
che crede, assieme al prof castellazzi, “all’armonica unità della persona umana”.
soprattutto è la parola “armonica” che suona tragica, tenendo conto che trattasi di quello che carlo verdone definirebbe un “professorone”.
insomma ancora una volta si vede l’umano come l’esito “compiuto e armonico” di un processo evolutivo.
tra armonia e perfezione siamo lì.
Diamante: ti ringrazio per la citazione di Castellazzi che ho letto con attenzione. Quando parlo di accettare l’impossibilità di una redenzione intendo la necessità di porsi di fronte a certi problemi con la coscienza di “avere le spalle al muro”. Ritengo che la globalizzazione delle crisi (economiche, sociali, ecologiche etc.) impone soluzioni che non contemplino deus ex machina di alcun genere. Pensare di essere una scialuppa di vita in un universo vuoto può aiutare a tenere la scialuppa pulita, a trovare dei compromessi con gli altri occupanti e così via. Pensare di essere una forma di vita in competizione o in simbiosi con i miliardi di altre che sono emerse o evolute sul nostro pianeta può aiutare a dare valore a ciò che ci circonda, a bilanciare i nostri interventi, guidare le nostre scelte e creare nuovi valori. Quello attuale non credo che sia un momento di crisi particolare nell’evoluzione umana, credo che sia un momento di passaggio come tanti ce ne sono stati, nei quali ad un vecchio ordine se ne deve sostituire uno nuovo. I problemi sono meno comprensibili, più grandi e soprattutto più veloci, e le vecchie categorie di pensiero e di valori scricchiolano. Per questo motivo l’anima soffre, perchè non ha più valori sui quali riposare. Ci pensavo pochi giorni fa: ho un figlio di 13 anni, bene, cosa gli insegno? Quello che hanno insegnato a me? Che si deve fare una famiglia, dei figli, avere un lavoro, e che deve crederci, oppure che che deve essere flessibile, rapido e contare soprattutto su se stesso perchè ormai i rapporti interpersonali sono fluidi ed incerti? La famiglia tradizionale è sostenuta da una morale basata sulla religione. Su cosa dobbiamo basare la morale che sottenderà al nostro futuro? E’ questa la domanda alla quale rispondere. In quella risposta sta la pace delle nostre anime e di quelle dei nostri figli. In questo senso credo che l’accettazione della teoria evoluzionistica, con il suo carico implicito egualitario, antirazzista, scientifico e universale possa essere una base di partenza per elaborare nuovi valori.
Tutto ciò con il massimo rispetto per coloro che credono in un Dio che abbia acceso la miccia del big bang e precisando che più che integralista sono stanco della manipolazione delle informazioni da cui prende spunto qs discussione. Ho il massimo rispetto per chi mi fa riflettere e ancora di più per chi mi pizzica quando sbaglio.
Mi pare che la tendenza moderna in questi ambiti specifici sia quella di parlare di selezione piuttosto che parlare di evoluzione, difatti, se pensiamo al rafforzamento della resistenza agli antiobiotici dell’organismo umano, possiamo vedere come l’antibiotico, quando è usato nella maniera sbagliata, elimina soltanto la maggior parte dei batteri, lasciando quelli più resistenti, che, pertanto, considerata questa dinamica selettiva, non si sono evoluti, semplicemente essi si sono salvati; questo fatto farà sì che saranno loro a continuare ad andare avanti, ma erano già essi, tra i batteri, quelli più forti, non si sono evoluti. Questi, in sintesi, sono sempre gli stessi batteri che c’erano prima, ma, mentre prima di un uso di antibiotici erano in competizione con tutti gli altri batteri, ora saranno i soli agenti patogeni in circolazione. E’ questo per esempio il motivo per cui quando si fa una cura antiobiotica bisogna farla bene, come consiglia il medico, proprio per non favorire la sopravvivenza dei batteri più resistenti. Dire però che questa sopravvivenza dei più forti è evoluzione, a me pare dire troppo.
Mettiamola così: se l’intermediario culturale (il giornalista scientifico, o chi per lui) fosse in grado di associare correttamente una qualsiasi descrizione corretta del processo evolutivo al processo evolutivo, e di comunicarlo, i ricercatori potrebbero più tranquillamente usare qualsiasi espressione.
Evo: non è dire troppo :) .
quoto in toto il primo commento di ferrari.
quella di castellazzi è fuffetta, spiritualista & consolatoria.
accettarsi come tutto-corpo è il primo suggerimento di 150 anni di darwinismo.
accettare l’instabilità evolutiva non solo della vita, ma anche di tutto il resto: tutto, nel senso di Tutto, è Nel Tempo e dunque ha una storia.
che non si ripete.
storia significa mutamento.
eccetera.
l’anima in tutto questo non c’entra perché non c’è.
è un’invenzione.
@paolo ferrari
Mi sembra, la tua, una posizione cauta e saggia. E hai ragione sulla manipolazione dell’informazione, un autentico dramma. Se ti ho “pizzicato”, ti sei liberato del pizzicorio in un batter d’occhio.
@tashtego
Potrei stare qui sei mesi a controbattere, e ti assicuro che sarei in grado di smontare tutto ciò che sostieni con grande facilità; e probabilmente lo stesso avverrebbe all’inverso. Perciò ti dico che da adesso in poi su questo argomento non interverrò più. Infatti trattasi dell’essenziale, e l’essenziale non può essere discusso attraverso opinioni: io penso che l’anima ci sia, io penso che non ci sia, io penso che Dio non ci sia, io penso che ci sia, ecc. ecc.. Così facciamo ridere i polli. Le opinioni, che oggi proliferano ovunque, vanno ancora bene quando si parla di arte; e infatti su NI ne ho esposte parecchie. Ma se l’argomento è il mistero della vita, delle opinioni non so davvero cosa farmene. Io mi sono limitato, col mio breve post, a rammentare quanto sia rischioso, oltre che impossibile, formulare certezze sull’enigma in cui ci troviamo, su come si tracimi realmente in un’arroganza imperdonabile a incapricciarsi di sapere come stanno per davvero le cose, noi così picccini, così infinitesimali. Dunque qualsiasi cosa dirai, tashtego, se la dirai, se citerai Darwin o chissà chi, considerala comunque confutata e confutabile da migliaia di mie risposte; ma io (che, ripeto, sono agnostico; e per me Mancuso e Augias, che ieri su Repubblica discutevano in modo risibile e patetico sull’esistenza o meno di Dio, pari sono) mi ritiro. In certi discorsi le opinioni (che appartengono già al passato non appena formulate, mentre soltanto il pensiero dotato di reale forza è sempre presente e attuale) non servono; servirebbe la verità, che non è però raggiungibile col raziocinio, anche se il raziocinio, nella sua enorme e sconsolante boria, può farci credere di averla raggiunta. Specie se riesce a buttar giù qualche formuletta o qualche teoria che gli paia – ah, che bella parola per l’intelletto – assoluta.
Un diamante è proprio per sempre per sempre?
Simpatico Pinto, eri tu, mi sembra, che ti preoccupavi per le sorti del logos (qualunque cosa esso sia) e mo’ ti lamenti? Vedi come finisce, a dare corda, ora rispunta fuori pure l’anima.
(ciao Mr T)