Roba da Mattel

barbie

Quale Barbie meriti?
di
Joumana Haddad

Una Barbie col burka?!
E viene dall’Italia, quest’invenzione prodigiosa?
E perché non creano, già che ci sono, la Barbie oppressa dal padre, umiliata dal fratello e picchiata dal marito?
Perché non creano, alla Mattel che si batte oggi con Sotheby’s per Save the children, la Barbie sposata, suo malgrado, a 13 anni a Gaza; o quella che non ha il diritto di guidare una macchina a Riyad; o quella che non ha il permesso di andare a scuola a Kabul, perché le donne “non hanno bisogno di leggere e scrivere”? (ci sono 76 milioni di donne analfabete nel mondo arabo-musulmano).
Perché non creano quella che è concepita e tollerata solo per diventare un accessorio: cucinare, obbedire, tacere e concepire, quando è il suo turno, figli preferibilmente maschi?
Perché non creano quella lapidata per adultero (dal marito sposato con altre 3 donne), e quella imprigionata perché ha osato indossare un Jeans? Sono sicura che queste ultime avrebbero un grandissimo successo.

Ci dicono, per rassicurarci, che lo scopo era di rappresentare “le diverse tipologie e culture femminili”. Cosi hanno messo la nuova Barbie col burka accanto a quella col kimono, quella col tailleur e quella col Sari indiano: le sue “sorelle”.
Così facendo hanno banalizzato la carica umiliante del burka e l’hanno trasformato in una scelta di abbigliamento “etnico”, invece della rappresentazione concreta del concetto di donna-oggetto, priva di libertà, di dignità e di diritti umani minimi. Nella mia modesta conoscenza, la donna giapponese e la donna indiana non stanno vivendo le atrocità che vive la donna col burka. Né le accetterebbero, forse.
La Barbie ha già fatto tanti danni, promuovendo l’immagine della donna bambola formosa, che passa il suo tempo a preoccuparsi solo dell’abbigliamento e degli orecchini da abbinarci; e a sognare il muscoloso Ken. Quella Barbie ha senz’altro qualcosa a che vedere con le caricature di donna che vediamo oggi sulla televisione italiana. E altrove.
Sarà una provocazione ma mi sembra uno dei simboli di questa cultura femminile perdente, basata sull’autodisprezzo, l’auto-indulgenza e la mancanza di ambizione.
Con la burka-Barbie la distruzione dell’immagine femminile è completa: dalla donna oggetto da vetrina, alla donna oggetto di sottomissione, il passo è compiuto. Grazie Mattel. Sono sicura che i guadagni commerciali ne valevano la pena. Le ragazze dei paesi del Golfo non aspettavano altro. Anzi no: i loro padri non aspettavano altro.
Questa bambola è un attacco scandaloso e nauseabondo contro la donna. Non ci sono altre parole per descriverlo. E lo sta dicendo una donna araba non femminista.
Brava la designer Eliana Lorena: ora l’immagine della donna araba in Italia, e in Occidente, è completamente rovinata.
In quanto a noi, donne arabe che lottiamo per cambiare questi cliché, andremo… a giocare con la Barbie velata che ci meritiamo. Spero solo che nella confezione della Barbie col burka sia compreso un bavaglio. Perché quella donna non tarderà a gridare.
E quello che dirà, a molti, non piacerà.

Pubblicato oggi sul quotidiano ecologista italiano Terra

Nota di effeffe
Joumana Haddad e Diego Valisi presenteranno a Milano, Mercoledi 2 dicembre 2009 ore 18.00, Biblioteca della Moda, Via Alessandria 8, la rivista libanese Jasad . Prima rivista in lingua araba, specializzata nelle arti e letteratura del corpo.

12 COMMENTS

  1. ricordo di aver lavorato in un negozio di giocattoli, anni fa.
    ricordo che un agente di commercio, rappresentante della nota casa che produce la “donnabellissima”, disse: avevamo tirato fuori anche la barbie sulla sedia rotelle. dovemmo ritirarla a causa delle proteste.
    alcuni familiari di persone disabili avevano protestato. decine di confezioni non vendute. che peccato.
    PENSAVA AL PROFITTO LUI. PRIMA I SOLDI, POI L’ANIMA DEI DISABILI.
    ps tutto qui. ora vado a cercarmi un avvocato!

  2. Una Barbie col burka?
    Queste cose dovresti chiederle a tuo marito, se ne hai uno.
    Oppure a tuo padre.
    Oppure a tuo fratello.
    Oppure a tutta la pseudocultura maschilista fintamente pseudoreligiosa che vi relega al niente sociale o che vi occulta o vi nasconde.
    Per semplice paura.
    O per terrore del confronto.
    Questo detto da un sardo come me (anche qui c’è stato il problema della cultura o finta tale cosiddetta matriarcale) che si picca e non si vanta dell’assenza di qualsiasi mafia e/o del persistere del delitto d’onore.
    Qui le donne sono tutte come Dio comanda. LOL.
    Ovvero: tutte sante.
    Stante la percentuale più alta di contraccettivi (leggi: pillola) venduta in proporzione agli abitanti.
    Perché non la create voi, donne arabe, questa Barbie reale e vera e propositiva e ribelle?
    Magari senza burka (il velo è lamentati la rappresentazione di quanto siete voi, inutile accusare gli altri) ma con la minigonna..
    Minigonna o burka, che differenza c’è.
    Mary Quant da voi che cosa?
    O i Beatles o il sessantotto?
    Qual è il problema?
    L’industria dei giocattoli è una industria come tante.
    Fa indagini di mercato.
    E adegua la produzione.
    Sembra che il problema vero non sia la realtà culturale di quel tipo di società, ma la rappresentazione che si osa farne in Occidente.
    Sacrilegio, naturalmente.
    Guardati dentro, prima.
    Poi lamentati con chi ti circonda o ti ha costruito, primariamente nel cervello.
    E che cazzo.
    (firmato: un comunista italiano)

  3. e che cazzo! concludi tu
    appunto, mi verrebbe da replicare.
    Ma che ti lamenti a fare? Cioè tu e la tua gente, sembra sottintendere il tuo pensiero. E comunque o si è comunisti del mondo o non si è, comunisti
    effeffe

  4. que viva la barbuda zapatista, col cappuccio che non c’è. ecchecazzo:)
    (la mattel è una merda che fa affari, come la G di gucci per dire, e tutto quel che c’è sotto il burka delle femmine ricche. abbasso la santanché, comunque si travesta)

  5. nauseante la burka-barbie ed altrettanto il commento di Chengoboro.

    Joumana oltre ad essere una grande scrittrice e poetessa, è un simbolo per la lotta ed il riscatto della cultura araba al femminile.
    Ho sempre odiato (da comunista educata sin da bambina ad un’elaborazione critica della società dei comsumi) quella sessuata bambola-oggetto che – come ben fa notare l’autrice – ha caratterizzato le scelte estetiche e le aspirazioni delle adolescenti dalla mia generazione in poi… e se ne vede bene il risultato.
    Il burka, quasi fosse un abito da esibire con orgoglio… ma dio mio!
    e la Barbie monaca di Monza a quando?
    eh?
    in fondo l’abito monacale è anch’esso folklorisitico, o no?
    l’hanno già fatta? con ken da uccelli di rovo?
    ma per cortesia!?!

  6. il rispetto delle altre culture si compra un tanto al kilo. dentro le buste del mercato ci finiscono il burqa, la lapidazione, le menomazioni sessuali che non riesco più nemmeno a nominare senza orrore. ci finiscono i bambini maltrattati e costretti a mendicare: ma è la loro cultura! a casa mia cultura vuol dire apertura, dialogo, uguaglianza, difesa della vita, della qualità della vita di tutti. non è cultura proprio per niente ciò che mira a sottomettere, abusare di, far violenza a. questo relativismo estremo, che chiama queste cose “diverse tipologie delle culture femminili” è profondamente fascistico. così come potrebbe suonare impeccabilmente democratico un criterio di aiuto agli abitanti di paesi poveri purché se ne stiano “a casa loro”: è razzistico. chi ha inventato la barbie può ben concepire la barbie con il burqa senza fare una piega, credendo di essere aperto e lungimirante, facendo credere, anzi, di esserlo. non è una fascistata? beh, è almeno una cagata. e mo’ sto ‘ncazzata.

  7. Un grazie immenso a effeffe e a Joumana Haddad

    Non ho trovato le parole per dire come ho sentito una pietra nella gola,
    quando ho letto l’articolo.
    Com’è possibile chiudere il mondo a una bambina?

  8. Tutto ok, ovviamente, ma come mai Haddad era molto più prudente nel rilasciare dichiarazioni a L’Unità, quando invece le si chiedeva un parere – non su una bambola – ma su donne e bambini veri, che – rimandati in Libia da questo governo di assassini – erano destinate/i a fine terribile?

    “Cosa pensa delle politiche sull’immigrazione del governo italiano? «Non essendo italiana non mi permetto di dare giudizi. In generale penso che ci siano alcune incomprensioni di fondo. Tutto il movimento migratorio che sta interessando l’Europa ha provocato reazioni di diverso tipo. La paura di quello che in qualche modo non ci appartiene e vediamo come “straniero” ha prodotto da un lato, una reazione di difesa e dall’altro, l’esasperazione di alcuni aspetti del mondo islamico. ».
    (L’Unità – Edizione Nazionale – 05/09/2009)

    Che prudenza, nevvero? Le chiama ‘incomprensioni’…
    Un giudizio, magari un giudizio piccolo piccolo, poteva darlo anche allora, no? O nella provocatoria galleria di Barbie possibili che giustamente qui propone, non c’è posto per la Barbie migrante?
    Insomma, qualche sospetto al filologo sospettoso viene…
    Qual è l’Haddad autentica?

  9. Si può essere d’accordo ,(in parte ),ma non capisco perchè la Barbie col Burka dovrebbe essere più offensiva di una col Kimono o col Sari….forse che in India o in Giappone le donne non vengono sottoposte quotidianamente alle stesse ingiustizie ….le Barbie rappresentano in ogni loro forma ” l’oggetto femminile “e tutte allo stesso modo.

  10. Credo nella carica provocatoria, nella forza delle parole di Joumana Haddad, credo anche che la sua onestà intellettuale e in primis umana non sia messa in dubbio, bensì radicata, intrinseca alla sua esistenza. Se si legge con attenzione l’articolo si capisce che è stato scritto da una donna di buon senso, da una donna che non arrende all’assuefazione e all’indifferenza quotidiane. Haddad non parla del burka, sottolinea la condizione della donna tout court. Da uomo sono offeso e indignato da come in questo Occidente vi sia una reificazione della donna e dell’elemento femminile.
    Grazie Joumana per essere in ogni momento poeta. Di questi purtroppo troppo spesso inascoltati.

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017