PER RICORDARE PIERA OPPEZZO
di Luciano Martinengo
Nel 2009 sono scomparse a Milano due importanti voci della poesia: Alda Merini e Piera Oppezzo. Alda, simpatica, debordante e popolare; Piera, schiva, orgogliosa e dimenticata. E’ di Piera che voglio parlare, dell’amica che ho seguito negli ultimi due mesi di vita, fra le tribolazioni ospedaliere e lo spegnersi di ogni volontà di continuare a vivere. Sfogliando i suoi scritti, le foto e i libri che aveva scelto come compagni di vita, mi chiedo che cosa l’abbia indotta ad abbandonare la frequentazione degli amici, il desiderio di essere ri-conosciuta e infine anche la scrittura. Raggiunto il silenzio perfetto, non c’era più, per lei, necessità di vivere. La sua poesia, anzi la sua ricerca di espressione poetica, ha accompagnato in modo spietatamente coerente, l’evolversi della sua vicenda umana. Il suo mondo poetico ne è risultato letteralmente scarnificato; le sue frasi hanno finito per omettere articoli, aggettivi, punteggiatura e connettivi vari diventando quasi incomprensibili, ad una prima lettura. Gli avvenimenti del mondo, tranne il decennio 1968-78 delle grandi speranze di riscatto politico e femminista, non hanno lasciato traccia né emozione.
Il suo mondo si è ridotto sempre più al perimetro di una stanza. Emula e complice di Emily Dickinson, con echi di John Cage e sempre, in sottofondo, la voce di Carmelo Bene, Piera ha trascorso le sue lunghe giornate di esasperata quotidianità riempiendole drammaticamente di microemozioni. Una lampadina, una stufa, il tavolo da lavoro e il mondo sempre e soltanto in una stanza – via Vincenzo Monti negli anni Settanta, via Morigi negli anni Novanta, la ‘casa protetta’ comunale negli ultimi due anni.
A poco più di vent’anni era già riconosciuta e stimata dalla “Fiera Letteraria” di Cardarelli e dall’Einaudi, che le pubblicò la prima raccolta di poesie. Negli anni Sessanta lasciò la Torino della sua formazione, rimasta tuttavia indelebile nella geometrica ricerca dei suoi versi e dei suoi racconti, per stabilirsi a Milano che non lasciò più e dove si scavò il suo personale nido mentale.
Per incominciare a ricordarla, propongo due sue poesie, una degli anni Sessanta, pubblicata nella raccolta “Donne in poesia” a cura di Bianca Maria Frabotta) (Savelli 1976) e l’altra, del 2000, da “Andare qui” (Manni 2003):
*
LA GRANDE PAURA
La storia della mia persona
è la storia di una grande paura
di essere me stessa,
contrapposta alla paura di perdere me stessa,
contrapposta alla paura della paura.
Non poteva essere diversamente:
nell’apprensione si perde la memoria,
nella sottomissione tutto.
Non poteva
la mia infanzia,
saccheggiata dalla famiglia,
consentirmi una maturità stabile, concreta.
Né la mia vita isolata
consentirmi qualcosa di meno fragile
di questo dibattermi tra ansie e incertezze.
All’infanzia sono sopravvissuta,
all’età adulta sono sopravvissuta.
Quasi niente rispetto alla vita.
Sono sopravvissuta, però.
E adesso, tra le rovine del mio essere,
qualcosa, una ferma utopia, sta per fiorire.
*
VIVENTE AL RISVEGLIO
Quali sono. Le cose che ci stanno a cuore.
Vivente solleva il peso di questa domanda.
Avvia la mente verso il cuore e l’opposto.
La domanda subisce scontri. Crolla più volte.
Vivente appoggia la fronte alla finestra.
Vuole traslocare all’esterno l’argomento.
Si provvede di attenzione. Fa questo lavoro.
Cerca di svegliarsi si può dire.
Dopo qualche accorgimento. Aspetta.
Passioni nuove? Solo toni giusti per nominare.
Toni neutri. Per ripetere senza sfarzo.
Al viavai dei corpi in strada ormeggia.
Per le cose a suo nome trova il la poco più in là.
La domanda affolla facce di risposta.
Linee. Lineamenti in montaggio sovrapposto.
A vivente esplodono importanze che non sapeva.
Apprendo soltanto ora, commosso, della “partenza” di Piera Oppezzo.
Conservo i suoi testi, da “L’uomo qui presente” (Einaudi 1966) a quelli sparsi in riviste (“Nuovi argomenti”, “Colibrì”, etc.) e l’intervista (brevissima) rilasciata a Mariella Bettarini e Silvia Batisti, per il libro: “Chi è il poeta”. Avevamo un’amica in comune: Patrizia Vicinelli…
Grazie, caro Luciano Martinengo: potresti darci più notizie?
“Ho capito.
Ci sono più i giorni che la vita.
C’è di più il mattino tutto in avanti
poi il pomeriggio che sprofonda giù
la sera che ricomincia, dove andrà a finire?
Mi piace non mi piace
contro l’avventura che sono riuscita a inventarmi.
(…)
Poi non è tardi ma è tardi.
E’ stato un viaggio che domani devo ripetere
facendo in modo che sia diverso…
Bellissimo ricordo, e i versi a portarcene la voce.
Sì, è vero, caro Giorgio (Di Costanzo), Silvia Batisti ed io pubblicammo questa brevissima intervista su “Chi è il Poeta?”, che uscì a Milano nel 1980. Non sapevo che Piera Oppezzo non fosse più con noi. Me ne dispiace. Erano anni e anni che non la leggevo, non la sentivo. Un poeta autentico. Una persona schiva, credo sofferente.
Cara Piera, ora davvero riposi, e che la terra ti sia lieve…
Mi associo a Di Costanzo. Che la scomparsa di Rossana Ombres e Piera Oppezzo – due poetesse diversissime, al di là dell’ordine alfabetico che le accosta, ma due voci entrambe singolari e squisitamente caratterizzate – sia passata pressoché del tutto sotto silenzio sui media italiani, è motivo di amarezza e di inquietudine, nei confronti del sempre più imperante menefreghismo del mondo della comunicazione per la poesia, per la dignità umana, per il rigore personale di esistenze come queste. Si vede che non ce le meritiamo.
grazie… è una segnalazione importante mi pare.
[…] riscontri –scritti e telefonate- alla notizia della morte di Piera pubblicata da Nazione Indiana (qui). Mi sembra perciò opportuno continuarne il ricordo con qualche informazione sui suoi ultimi mesi […]
Grazie Luciano, hai la capacità di sintetizzare un periodo storico fondamentale, quando gli scambi culturali erano ancora più facili e immediati. Grazie per avermi fatto conoscere questa poetessa.
Enrico