La responsabilità dell’autore: Laura Pugno
[Dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, abbiamo pensato di mettere a punto un questionario composto di 10 domande, e di mandarlo a un certo numero di autori, critici e addetti al mestiere. Dopo Erri De Luca, Luigi Bernardi, Michela Murgia, Giulio Mozzi, Emanule Trevi, Ferruccio Parazzoli, Claudio Piersanti, Franco Cordelli, Gherardo Bortolotti, Dario Voltolini, Tommaso Pincio, Alberto Abruzzese, Nicola Lagioia, Christian Raimo, Gianni Celati, Marcello Fois, ecco le risposte di Laura Pugno.]
1) Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?
Non mi sembra che il problema sia la vitalità delle opere di narrativa e poesia italiana contemporanea, anche giudicando rispetto ad altre letterature europee, per esempio alla spagnola in castigliano, dato che io vivo in Spagna. Il nodo del problema mi sembra l’impossibilità, per molta di questa letteratura pubblicata dalla piccola e media editoria, di arrivare in libreria e di rimanerci per un periodo decente. Nel caso della poesia il problema assume proporzioni macroscopiche. Come può quindi il lettore rendersi conto della vitalità di questa letteratura, se materialmente non ha accesso a questi libri?
In quanto al secondo punto della domanda, vale a dire la vecchia storia dei nani e dei giganti, è un topos letterario che viene ripreso sin dal Medioevo. Se non da prima.
3) Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?
Se l’opera di qualità vende, no. Se l’opera di qualità non vende, sì. Di solito, si verifica la seconda condizione. Indubbiamente, l’industrializzazione crescente dell’editoria, che è una tendenza in corso il tutto il mondo, porta a esercitare una pressione commerciale crescente su tutti i libri, non solo sui presunti bestseller.
4) Ti sembra che le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali rispecchino in modo soddisfacente lo stato della nostra letteratura (prosa e poesia), e quali critiche faresti?
Mi sembra impossibile che le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali possano rispecchiare in modo soddisfacente lo stato della nostra prosa, nel momento in cui un libro, spesso anche se pubblicato da un grande editore, resiste in libreria dai tre ai sei mesi, più spesso tre, soprattutto se confrontiamo questo dato con la quantità di libri che si pubblicano mensilmente in Italia. In quanto alla poesia, mi sembra che a quasi nessuno interessi recensirla, proprio perché è fuori dal mercato. Il compito delle pagine culturali dei quotidiani viene sempre più spesso assunto dai siti letterari di qualità; del resto, il mezzo-quotidiano e rivista è in decadenza storica, per quanto possa dispiacermi e dispiacerci.
5) Ti sembra che la maggior parte delle case editrici italiane facciano un buon lavoro in rapporto alla ricerca di nuovi autori di buon livello e alla promozione a lungo termine di autori e testi di qualità (prosa e/o poesia)?
Posso rispondere a questa domanda solo considerando la punta dell’iceberg, vale a dire, la letteratura edita, dato che non faccio scouting di mestiere. Indubbiamente, oggi in Italia le piccole case editrici fanno molta più ricerca delle grandi. Questo ci sembra un dato fisiologico, ma lo è veramente? In quanto al lungo termine, penso sempre più spesso che il problema non sia fare il primo libro, ma il secondo.
6) Credi che il web abbia mutato le modalità di diffusione e di fruizione della nostra letteratura (narrativa e/o poesia) contemporanea? E se sì, in che modo?
Di fruizione, no. Di comunicazione sulla nostra letteratura sì, secondo quanto dicevo al punto IV.
7) Pensi che la letteratura, o alcune sue componenti, andrebbero sostenute in qualche modo, e in caso affermativo, in quali forme?
Con leggi sensate sull’editoria e riforme sensate della scuola, ad esempio.
Nella oggettiva e evidente crisi della nostra democrazia (pervasivo controllo politico sui media e sostanziale impunità giuridica di chi detiene il potere, crescenti xenofobia e razzismo …), che ha una risonanza sempre maggiore all’estero, ti sembra che gli scrittori italiani abbiano modo di dire la loro, o abbiano comunque un qualche peso?
Dire la loro, possono dirla, almeno finché la Rete sarà libera, se non con altri mezzi. Ma chi li ascolta? Il problema mi sembra stia non nell’emissione ma nella ricezione del messaggio: e comunque, anche qui, il “qualche peso” per il lettore comune è un peso di mercato, dato che solo attraverso il successo di mercato il libro dello scrittore resta accessibile al lettore.
8) Nella suddetta evidente crisi della nostra democrazia, ti sembra che gli scrittori abbiano delle responsabilità, vale a dire che avrebbero potuto o potrebbero esporsi maggiormente e in quali forme?
Concordo con quanto scriveva Andrea Inglese su queste pagine: in primo luogo, lo scrittore è un cittadino, un essere umano. E tutti i cittadini hanno delle responsabilità.
9) Reputi che ci sia una separazione tra mondo della cultura e mondo politico e, in caso affermativo, pensi che abbia dei precisi effetti?
Questa domanda può essere interpretata in molti modi diversi. Ma per la politica, la cultura è quasi sempre instrumentum regni. Bisogna che il sentimento democratico sia veramente profondamente consolidato in un Paese perché ci sia spazio per un rapporto diverso tra politica e cultura.
10) Ti sembra opportuno che uno scrittore con convincimenti democratici collabori alle pagine culturali di quotidiani quali “Libero” e il Giornale, caratterizzati da stili giornalistici non consoni a un paese democratico (marcata faziosità dell’informazione, servilismo nei confronti di chi detiene il potere, prese di posizione xenofobe, razziste e omofobe …), e che appoggiano apertamente politiche che portano a un oggettivo deterioramento della democrazia?
La democrazia è dissenso nel merito, accordo sul metodo. Oggi in Italia è il metodo democratico ad essere in discussione, tanto profondamente che un gesto che teoricamente dovrebbe essere democratico – offrire spazio a voci dissenzienti dalla propria – si trasforma nel suo contrario. Oggi chi è di destra e di sinistra in Italia abita letteralmente mondi diversi, percepisce con occhi diversi cose diverse. Ma se un mondo non è il tuo mondo, come fai a respirarne l’atmosfera?
Peccato che le donne intervistate siano così poche, perché, tenuto conto della disparità del numero, le risposte più concrete, lucide e appassionate, aggettivo quest’ultimo che non userei per quelle della Pugno, che hanno altre qualità, vengono dalla piccolissima squadra femminile.
Meno ego, occhio puntato più chiaramente sulle cose, poca voglia di cucirsi paillettes sulla coda, poco show.
Senza nulla togliere a quelle buone dei maschi, che ho apprezzato di volta in volta, ma le donne, tutte.
Mi è sempre piaciuto lavorare con le donne proprio per queste ragioni, le poche volte che ho lavorato con qualcuno, fare meno show non vuol dire essere meno intelligenti e creativi, bisognerà pure che prima o poi ci credano anche le donne.
Scusate questo piccolo OT di genere.
Senza entrare nel merito delle risposte della Pugno, senz’altro apprezzabili, mi domando perché io, che di partenza avevo pregiudizi positivi sulle donne, mi sto in parte ricredendo. Nella scuola, ad esempio, che è il mio mondo, sono quasi sempre le donne quelle più attaccate alla burocrazia, alle procedure, le più fiscali, le meno libere culturalmente e professionalmente. Se sono presidi (pardon, dirigenti), la cosa è ancora più evidente: sono mediamente più autoritarie e attente alla forma, meno capaci di distacco ironico e autoironico. Questa è, almeno, la mia esperienza (oltre vent’anni nella scuola). Non pretendo di sapere perché è così, anche se ho provato a rifletterci su, né se è veramente, oggettivamente, così. Ma incontro tanti/e che sono d’accordo con me…
A lungo andare, mi sembra sempre più che la domanda davvero stimolante e interessante (per chi risponde ma anche per chi legge) sia la prima – pur nella formulazione non impeccabile. Le risposte alle altre domande tendono a ripetersi tutte abbastanza simili. Io sono d’accordo per esempio sulla prima risposta della Pugno. E mi piacerebbe che la domanda fosse posta a qualcuno di “quei critici”.
Come ho già ho avuto modo di far notare alla Redazione, senza che ne ottenessi risposta, le domande andrebbero fatte anche a chi opera nelle grandi case editrici. Il motivo della richiesta è perché ritengo che fra cento anni l’attuale sarà definita ‘letteratura editoriale’, meglio, ‘letteratura di scelta’ (dove per scelta si intende quella dell’editore).
Se si interpellano in prevalenza scrittori alla lunga le risposte vanno a sovrapporsi e determinano un certo disagio nel lettore/commentatore.
E’ stata una scelta quella di interpellare in prima battuta solo gli scrittori, ipotizzando, poi, un allargamento del raggio d’azione ad altre figure del mondo editoriale. In fondo si parla di responsabilità dell’autore, quindi i primi ad essere chiamati sono, appunto, autori.
La stessa ricorsività di alcune risposte è, per come la vedo, altrettanto interessante, dal punto di vista statistico.
La Pugno scrive: “In quanto al secondo punto della domanda, vale a dire la vecchia storia dei nani e dei giganti, è un topos letterario che viene ripreso sin dal Medioevo. Se non da prima.”
A me risulta che il topos risalga al XVII secolo, non prima.
Ma a cosa serve la rete, se non si usa?
“Scriveva nel XII secolo Giovanni di Salisbury: “Bernardo di Chartres diceva che noi siamo come nani che stanno sulle spalle dei giganti, così che possiamo vedere più lontano di loro non a causa della nostra statura o dell’acutezza della nostra vista, ma perché – stando sulle loro spalle – stiamo più in alto di loro”
e se copincolli vedi anche da dove l’ho preso:-)
A me risulta che già dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantium humeris insidentes, ma che solo Newton dicebat nos esse nanos gigantium humeris insidentes.
http://www.lemonnieruniversita.it/lmu/pdf/CDIPolacco/VECCHI_Eco.pdf
D’accordissimo con Alcor: dovreste intervistare Eco.
Carlo Capone scrive (qui): “le domande andrebbero fatte anche a chi opera nelle grandi case editrici”. Gianni Biondillo risponde (qui): “E’ stata una scelta [di Nazione indiana, immaginerei io; ma non vorrei tirarmi addosso una smentita (tipo questa). gm] quella di interpellare in prima battuta solo gli scrittori, ipotizzando, poi, un allargamento del raggio d’azione ad altre figure del mondo editoriale”. E’ evidentemente per questa ragione che non sono stati intervistati finora né Giulio Mozzi (qui), da un paio d’anni consulente di Einaudi, né Ferruccio Parazzoli (qui), una vita in Mondadori.
(In altre parole: buona parte delle persone finora intervistate non sono solo autori).
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