Pista!
di Gianni Biondillo
In questa Milano tropicale bevo una birra ghiacciata con M., amico di sempre che vive ancora a Quarto Oggiaro. Ci vediamo poco, abbiamo vite diverse: io con moglie e figlie la sera resto a casa, lui di notte inizia a vivere. Mi sono preso la sera libera, insomma; giro con lui in macchina per una città che non conosco e che non mi appartiene, incrociando di continuo i luoghi topici della movida, della vida loca, dello sballo. Ma non c’è voyerismo, da parte nostra, né pelosa indignazione. Semplicemente si va per percorsi sempre uguali a se stessi, abitudinari.
Quello che è successo all’Hollywood, mi dice, non è nuovo per nessuno. Milano naviga nella cocaina da decenni, da quando il prezzo si è abbattuto ed è diventata appannaggio dell’intera popolazione metropolitana: “tutti pippano a Milano. Dipende come e perché lo fa”. Io, a dir la verità, non l’ho mai fatto, gli dico quasi vergognandomene. “Si vede che non ne hai bisogno. Ma ci sono camionisti o chirurghi che lo fanno per mantenere alte le performance professionali. La coca non è solo sballo.” Sai che soddisfazione! A questo punto lo pungolo un po’. M. è stato per un certo periodo pierre (curiosa professione che non ha uno statuto a me comprensibile) proprio dell’Hollywood. “Ero solo l’ultima ruota del carro”, mi dice. E mi spiega che nel mondo dei pierre c’è una sorta di gerarchia, dal capoccia all’ultimo della filiera che viene arruolato per portare gente nelle discoteche. Più “bella gente” si porta dentro e più è facile ottenere un compenso, che spesso arriva anche a metà del biglietto d’ingresso per ogni potenziale cliente. Ma dov’è il guadagno, chiedo ingenuamente. “Il costo del biglietto non fa testo. Quello che conta è far entrare il pollo da spennare. Più è gonfio il portafogli e più e facile che spenda.” Da qui la selezione all’ingresso. Code infinite di gente che viene dal bresciano, dalla bergamasca, manzi al macello brianzoli o del centro città. Aspettano anche per ore davanti ai club. Che club non sono affatto, sono luoghi pubblici, la selezione in sé è un abuso. Solo che la logica dell’esclusività nobilita il fighettismo snob di chi viene ammesso alla corte dei miracoli. Dentro, poi, sei uno dei tanti, escluso dall’ennesimo cerchio esoterico dei privé, lì dove tutti agognano di andare, dove tutto è permesso.
“Quello che ho visto dentro tu non lo puoi neppure immaginare” prosegue. “Sono i più giovani che mi spaventano. Sono i più fragili e i più facili da irretire. Si calano di tutto: coca, droghe, anfetamine, alcool. Tutto ciò fa crollare le inibizioni, una volta ho visto una ragazza completamente sfatta che ha fatto sesso orale col fratello, più allucinato di lei.” Ma com’è possibile, chiedo, nessuno dice nulla? “In quella bolgia ci sono regole non scritte. E modi di appartarsi. Poi ognuno per sé. È un circolo vizioso, il livello di ipereccitazione è altissimo. Allora spesso i ragazzi si prendono dei calmanti, del valium. Cadono in un down deprimente, per giorni; la situazione si fa insostenibile e allora ricominciano daccapo. Tutto questo forse aumenta la loro fragile autostima ma distrugge il fisico.” Mi racconta queste cose in questo tour notturno, passando per il Magnolia, il Toqueville, l’Alcatraz, il Gattopardo. Dall’Idroscalo ai Navigli, passando per Brera, per San Lorenzo, per Corso Sempione. “Se avessero il coraggio dovrebbero andare avanti. Tutta Milano è da decontaminare.” Forse stai un po’ esagerando, gli dico. “Guarda l’Isola”, mi dice. “Hanno pastorizzato il quartiere, eliminato i centri sociali come fossero la feccia. In realtà erano portatori di diversità. Cosa hanno lasciato? Il mito della trasgressione a tutti i costi. Un ghetto frequentato di notte da ragazzi di buona famiglia ormai al limite, violenti, pronti a pestarsi per uno sguardo in tralice o per un apprezzamento fuori luogo.” Quarto Oggiaro è molto più tranquilla e sicura, gli dico, sfottendo. Sorride e annuisce. Fa un ultimo sorso.
“Sai perché ho mollato? In fondo non avevo fatto nulla di illegale, invitavo i ragazzi a divertirsi. Ma a vent’anni il limite non lo conosci. Di notte è pieno di quarantenni che pippano, ma ci stanno all’occhio, hanno capito come prendere le misure.” Si rabbuia, capisco che la cosa che mi sta raccontando non gli piace. “Poi è successo che uno di questi ragazzi in fila supera la selezione e passa un’intera nottata sballandosi, nel frastuono della musica assordante, calandosi di tutto. Era entrato in ipertermia, il suo corpo bolliva. Ha fatto in tempo ad uscire, nella notte gelida, per una sigaretta. E il suo cuore si è spaccato in due. Un infarto. Morto, solo come un cane.” Ora è lui che si accende una sigaretta, come sugello. “L’avevo fatto entrare io” mi dice. Non ha colpa, lo so. Eppure com’è che mi sento inquieto lo stesso?
[pubblicato ieri, 30 luglio 2010, su Il Corriere della Sera in una versione leggermente più breve]
Ho vissuto quaranta difficili anni a Quarto Oggiaro. Si stava in una settantina di fricchettoni, male assortiti, in stazioncina a fumare hashish e ingollare LSD, nel carrozzone dell’animalità che distingue la stupidità bestiale dell’uomo dall’immediatezza, non meno crudele, degli animali. È stato istruttivo abbastanza per considerare gli stravoltoni di oggi dei pazzi scatenati e pericolosi, quasi come la gentaglia che ci sta governando, con tecniche che a Quarto Oggiaro tutti conoscono perché le subiscono e le fanno subire. Si chiama mafia, e la coca ne è l’espressione in polvere, parente stretta dei detersivi usati per stendere il bianco di famiglia davanti al giudizio di tutti che non interessa veramente a nessuno.
A me inquietano tutti quelli che non capiscono simili inquietudini…e mi torna nella mente il ritornello (definirlo così, data la pesantezza delle parole, mi par quasi offensivo, ma tant’è) della Canzone del maggio di De Andrè…
Manca il coraggio, quello dei libricini neri in fila verso la fine del mese. Il coraggio dello sputo fra le palme callose, quello da amare e insegnare. A testa alta. E la viltà delle assenze consuma le narici. Bello chi, con moglie e figlie, la sera resta a casa. L’odore di frittata preserva.
È un errore dover contrapporre la frittata dell’anima a quella di uova. Non è con lo stendere il tappato della noia, intraversato davanti all’esaltazione cieca di sé, che si esce dall’incubo dell’incapacità di amare e di essere amati. Le correnti tempestose degli alisei che dovrebbero riparare dalla solitudine esistenziale cambia col variare delle ideologie che, a loro volta, mutano direzione in dipendenza delle inclinazioni delle sensibilità individuali che trascinano le collettività in mode superficiali. Queste ultime hanno l’unico vantaggio di mettere alla prova la personalità che deve rafforzarsi per affrontare la vita. Casa echiesa e ufficio non sono l’alternativa, ma la causa del problema.
Où sont les neiges d’antan (senza doppiosenso) di quando il ragioniere o il commercialista brianzolo frustrato si sfogava emettendo grida belluine allo stadio?
il magnolia, però, non c’entra molto con il resto descritto. sarete passati dall’idroscalo, ma da quelle parti il magnolia è un’oasi di (minimo) senso.
La cocaina aumenta le prestazioni professionali? Dipende come e perchè lo fa? Ci stanno all’occhio? Posso lasciare come commento solo un complimento sull’atteggiamento avalutativo del narratore sul proprio interlocutore, lo schifo oltrepassa le righe. Codesta bestialità dell’apparire fa di Milano come un centro di insensato magnetismo, fin alla provincia.
scritto venti/venticinque anni fa, questo pezzo avrebbe avuto senso, gianni; ma nel 2010 proprio non ne trovo alcuno, se non chiedermi dove vivi realmente, se davvero hai occhi e orecchie solo per il tuo lavoro e la famiglia.
e lo scrivo senza ironia.
Sottoscrivo le parole di Alessandro.
Alessandro (e Teo),
non è mai molto “elegante” difendere un proprio pezzo, ma voglio dirvi che non sono d’accordo con voi.
Io 25 anni fa avevo 19 anni, e a Quarto Oggiaro mi morivano ancora con le spade nelle vene. Era un altro mercato della droga, quello. Certo, c’era la cocaina (c’era dagli inizi del ‘900 a Milano!) e stava allargando la sua base di consumatori (sopratutto dagli anni ’70). Ma 25 anni fa avrei scritto un pezzo differente. Avrei raccontato cosa stavamo diventando.
Qui invece racconto cosa siamo diventati. Non dico che la coca è roba di questi giorni (cito: “Milano naviga nella cocaina da decenni”), racconto dei miei coetanei di 20 anni fa che ora sono 40enni che “stanno all’occhio” (sì, Fiastro, ho voluto un pezzo avalutativo, le parole citate del mio interlocutore si “raccontano” da sole), che per la prima volta sono potenziali genitori di figli adolescenti che pippano come loro. Tutto questo, ora, è sistema.
Anzi: Sistema.
Come ci raccontano Saviano, Catozzella, Cavalli e tanti altri, a Milano.
Ma sopratutto non vorrei perdeste di vista chi sono i miei interlocutori. L’ho scritto sul giornale della borghesia milanese. Ho detto loro (che ora usano toni scandalistici) che tutto questo è la norma. Uso la mia figura del “padre di famiglia che resta a casa la sera” come espediente per rammentare loro che starcene a casa è la strategia dello struzzo. Che non vede e non si duole. Hanno “pastorizzato” un quartiere, l’Isola, che 20 anni fa era ancora popolare e vitale, eliminando le difforimità a partire dai centri sociali, per ragioni di strategia economica-politica (è, oggi, la zona che sta avendo la maggiore trasformazione urbanistica) ma hanno lasciato allignare un virus che non conosce terapie immunizzanti.
Poi, dire che queste cose si sapevano non basta. Un ragazzo che muore col cuore spaccato in due se per voi nottambuli impenitenti – ;-) – non è una novità non significa che non bisogna dimenticare che succede e succederà ancora. Mai.
Vi saluto, perdonate se non potrò eventualmente rispondervi, sono in partenza e non so quando riuscirò a collegarmi ancora. Buona estate a tutti.
mi sembra un pezzo molto neo-conservatore e infatti viene dal Corriere…certo nel mercato delle idee oggi paga il far la morale ma al di là di questo lo scritto non racconta nulla che non fosse noto da lustri
poi come faceva notare qualcuno sopra l’hollywood col magnolia non ha nulla ha che fare
Non capisco cosa ci si trovi di neo-conservatore in questo pezzo. E’ una descrizione. Certo, il fenomeno è semplicemente la cosa velenosa di quello che è iniziato negli anni Ottanta (il “comandamento del piacere”, allo stesso ritmo forsennato della produzione industriale, come “sfogatoio” della medesima). Capisco che chi negli anni Ottanta aveva vent’anni non ha conosciuto altro ritmo edonistico che questo, e difende come fa ogni generazione le proprie mitologie, trovandoci sempre qualcosa da da salvare. Per quanto mi riguarda, io che pure negli anni Settanta avevo conosciuto derive pericolose anche con droghe pesanti, all’avvento della “Milano da bere” ho percepito l’inizio del conto alla rovescia. In effetti Berlusconismo e Hollywood sono pura conseguenza.
Starsene in casa è la politica dello struzzo, certo, se è una costrizione. Per me, a cinquant’anni è l’unico pensatoio che sopporto, ma avendo due figli ventenni, spero che la loro generazione sappia elaborare forme diverse di socialità rispetto al dionisismo indotto dei rave party o delle discoteche.
Io invece sono un ingenuo e certe cose mi stupiscono ancora.
E sono anche convinto che quel modo di vivere non sia così generalizzato come qualcuno si compiace (forse perché è più da scafati?) credere.
Ci sono tanti ragazzi che stanno a casa, che sono timidi, che manco hanno la ragazza (o il ragazzo). Ciao
gianni, visto che vai in vacanza e non potrai leggere, non controbatto.
paolod, alla faccia dell’ingenuità! non credo sia roba da scafati essere a conoscenza di certi meccanismi – io vivo in una micragnosa provincia ligure ed è la solita zuppa milanese da sempre – e il fatto di essere timidi e senza fidanzata non salva dalla realtà e non rende ingenui ad honorem. se però mi dici che vivi a casa e non esci mai, allora ribatto che quello sì, è l’unico modo per non sapere e rimanere innocenti.
Zannoni e Lorini, come esistono i romanzi in costume e i film in costume, esistono gli articoli di costume.
Venti/venticinque anni il racconto della vita notturna dei giovani lo scriveva Tondelli, vivendola insieme a loro, conoscendo e amando ciò di cui scriveva. Infatti i suoi non erano – non sono nemmeno oggi – articoli di costume.
E.C. Venti/venticinque anni FA il racconto…
barbieri, cosa vuoi dire? che questo è un articolo di costume stantio?
la cocaina secondo me è sbagliata e non va presa essendo una droga pesante. almeno secondo me. grazie e scusate e abbasso la droga (pesante chiaramente)
Credo sia il momento di fare una precisazione sulla pericolosità di alcune “droghe”.
Frattali del sistema nervoso
I neuroni sono le cellule nervose del nostro organismo e sono collegate tra loro da filamenti che si chiamano dendriti; a ogni stimolo che riceve l’organismo, si trasmettono un po’ di mediatori (serotonina, noradrenalina, adrenalina, dopamina etc.), che sono catecolamine e ormoni contenuti in sacche adatte allo scopo e, subito dopo, se ne riprendono un po’ indietro. Questo fenomeno si chiama, in gergo scientifico “reuptake”, mentre tutto il processo va sotto il nome di Sinapsi neuronale. Si sa di certo che l’uso di LSD non brucia i terminali dei neuroni (i quali dosano la Dopamina e le altre sostanze neuro-trasmettitrici). Il meccanismo appena descritto è certamente solo di un ordine quantitativo e non certo qualitativo, per questo non è sufficiente a definire le differenze qualitative esistenti tra le varie droghe, le quali alterano tutte l’equilibrio di questo passaggio. Quando qualcuno si droga, qualsiasi sia la sostanza assunta, quel processo entra in azione a ogni stimolo che il corpo riceve; questo avviene anche quando uno non si droga, ma con più calma. La droga presa influisce però sulla Sinapsi neuronale e ne altera lo svolgimento, variando il dosaggio delle sostanze neurotrasmettitrici che si scambiano, vicendevolmente, i neuroni. Diversamente, altre droghe devastanti, come l’anfetamina o l’extasi (che è una metanfetamina come l’STP) o la cocaina, col tempo (neanche tanto), distruggono stabilmente quel giardino fiorito del vostro cervello, demolendo le sacche dei neuroni che così rilasciano, in un devastante Vajont cerebrale, le sostanze descritte prima, che così travolgono i frattali arabescati del sistema nervoso e lo trasformano come è stata trasformata ultimamente Bagdad. L’acido lisergico non è tra queste pericolose droghe che bruciano, però, in personalità sensibili o troppo deboli o delicate o troppo rudi o stronzette o megalomani o egocentriche e poco inclini alla ricerca interiore, cioè la quasi totalità di noi tutti, escluso Padre Pio e Madre Teresa di Calcutta, l’LSD può rivelarsi essere come la miccia che accenderà il trick – track di capodanno del loro processo sinaptico, stimolando la reazione a catena di un effetto domino che, nel migliore dei casi, li accompagnerà dritti in manicomio. E vi assicuro che scrivere tutte queste cose, dentro una camicia di forza, con la matitina in bocca… non è stato affatto facile…
Non so, a me l’articolo piace, ma non è un’analisi del problema, è la registrazione di un dato di fatto. Concordo con Biondillo quando dice che ci racconta “come siamo diventati” (siamo? Io dopo tre tiri di una sigaretta di marjuana sono finito lungo disteso per un paio d’ore: non mi pigliano più, quelli della sigaretta+).
Aggiungo alcune considerazioni a ruota libera. Ho dieci anni in meno di Gianni. Faccio parte della mitica generazione X, a cui poi è seguita la N, W, Y, Z, fino a quando non si è cominciato a mapparle direttamente con i cromosomi e poi con i tag di google.
Per me, il fatto che all’eroina – mitizzata come strumento di fuga dalla realtà – sia stata sostituita la coca, è in rapporto quasi diretto con la situazione sociale che stiamo vivendo noi – gli X – di atomizzazione prima e deindustrializzazione poi della società.
Si pippa coca, e su questo sono tutti d’accordo, per tenere i ritmi. Ma si devono tenere ritmi elevati perchè i margini di resa a tutta la catena di produzione del lavoro si erano cominciati ad assottigliare, a cominciare da chi stava alla base della catena di produzione: gli impiegati.
In questo, la popolarizzazione del consumo di coca, o il cambio di costume – eroina come fuganegli anni ’70, cocaina prima come esagerazione, poi come sopravvivenza – stava anticipando il cambio di paradigma proposto in modo eclatante con l’arrivo della crisi economica.
Inviterei a riflettere invece sul fatto che la mia generazione non fuma quasi più (quella di dieci anni più giovane non ha più nemmeno l’orologio al polso: usa il celulare) e per motivi salutisti, ricollegabili in larga parte a una variazione proibizionista sempre a mio avviso connessa con la crisi. Altro che coca!
Altra cosa: non so se alla fine, il pezzo sulla cocaina pubblicato sul quotidiano del salotto buono, sia davvero una critica al Sistema come dice Gianni. Se leggo il pezzo e sono giovane, istintivamente mi viene da dire: “Ma dov’è questo Hollywood? Andiamo un po’ a vedere, và”, e con questo ho fatto il gioco di chi ha commissionato il pezzo: pubblicità progresso (del locale). Tant’è che la storia, e qui hanno ragione gli altri commentatori, è vecchia.
A voi la palla.
La coca è di destra, la marijuana di sinistra. l’Alcol di tutte e due, ed è venduto dal centro. Tutto qui.
Ah… scordavo… il sesso è delle case farmaceutiche…
@ Alessandro Zannoni.
Ma il problema non è che è ‘stantio’. Il problema è quello di tutti gli articoli di costume: un tocco di verità e tanto stereotipo, generalizzazione, pittoresco, esotico eccetera.
Guarda, domani ci mettiamo tu e io a confezionare un articolo di costume. Un architetto cocainomane ci aprirà gli scenari dissoluti della vita degli architetti. Come un fiume in piena coinvolgiamo le archistar e il sistema dell’arte. Infine chiudiamo l’articolo coi versi dei Baustelle:
“Siamo architetti ricchi di Bel Air. E vecchie dive del noir. Abbiamo ville. Abbiamo cadillac. Ed uccidiamo per soldi come te. Puoi controllare i nostri alibi. Siamo eleganti e sereni.”
Se ci pagano bene, ne scriviamo uno sui politici. Poi sugli sportivi. Poi sugli avvocati. Poi sugli scrittori. Poi sui musicisti. Poi sul mondo televisivo. Poi sui torinesi (pare che il Po sia pieno di tracce di coca dalle parti di Torino). Poi su te e me che invece non usiamo niente.
Tutto questo non c’entra nulla col lavoro di chi scrive di cose che ha vissuto e amato, come il Tondelli del Weekend postmoderno.
andrea – ti va se ti chiamo andrea? – ora sei stato chiaro e sottoscrivo il tuo pensiero.
Riprendetevi un attimo. Farsi di Hollywood e’ semplicemente da piccola parvenue massima.
@ “Ma com’è possibile, chiedo, nessuno dice nulla?”
questo pezzo “avalutativo” a me ricorda molto marco masini, “perché lo fai”.
non capisco cosa ci sa di stereotipato, pittoresco, ecc. se non l’atteggiamento blasé di chi sembra sempre di saperla lunga. Pure a Saviano dicevano che non aveva detto niente di nuovo e che già si sapeva tutto. Mi pare solo uno scudo dove nascondersi. Biondillo interroga un conoscente, una fonte diretta, che frequenta questo mondo. Cosa doveva fare, drogarsi e sballarsi nel nome dell’esperienza alla Tondelli? Solo così si può amare quello che si descrive? Mi pare ingenuo. e pure la domanda che si pone (“nessuno dice nulla?”) sarà “masiniana” ma io credo davvero a certi stupori.
Non è carino dare sempre e comunque accezioni negative allo stonarsi di ragazzi che deambulano nel limbo delle esperienze da consumare. Non parlo della coca, è ovvio, il servizio militare la sostituisce senza farla rimpiangere. Qualche allegra canna davanti al fuoco e dietro al suono di una chitarra non nuoce certo, e se nuoce passerà, appena altri aspetti dell’essere umani prenderanno il sopravvento causa necessità. Io, da ragazzo, mi pappavo LSD in non modiche quantità, e guardate che razza di spietata lucidità che mi è stata lasciata come effetto collaterale… ahem…
@Massimo Vaj non si offenda, ma come passava le giornate da giovane si capiva benissimo.
Dovrei offendermi per esperienze che mi hanno tenuto vivo quando non avevo la forza per deciderlo da me? O forse per aver condiviso la perdita del mio tempo nell’allegria della perdita del tempo altrui? Ho, nei miei ricordi e sulle mie spalle, il peso della non comprensione del senso centrale dell’esistenza, eppure quel senso l’ho vissuto anche nei miei tanti errori, perché non ho mai nuociuto ad altri che a me stesso, e ne porto i segni nel fegato e nella memoria. Ma è per quella stessa memoria che oggi comprendo invece di tollerare. È la stessa che mi spinge a scansare di lato il mio orgoglio per avvantaggiare la possibilità di approfondire una consapevolezza che, per sua natura, vuole andare oltre al mio ego. La consapevolezza non s’accontenterà mai dell’orgoglio di essere stati dei “bravi ragazzi” che hanno sostituito giudizi morali, sentimentali quindi, alla possibilità di avere princìpi che non si riferiscano solo alle proprie convenienze materiali. La vita assomiglia ai videogiochi: non si fa mai il record se si ricomincia il gioco ogni volta che si sbaglia.
Grazie a tutti per i commenti. Non premuratevi di scomodare Tondelli, io faccio entertainment (anche se mi pagano da schifo), non sono degno di troppa attenzione. Dirò a M., dato che sono uno che scrive fiction, che in realtà non esiste e che si adegui perciò alla sua inesistenza.
Una cosa sola: a me, gratta gratta, i Baustelle fanno cagare. Così, en passant.
Mi sconnetto da questo internet point e torno alle mie vacanze familiari (Dio, che banalità!).
Nell’universo la “Non esistenza” precede e contiene, come possibilità, l’esistenza. La causa dell’essere, in quanto sua causa, deve stare al di là dell’essere, nel “Non essere quindi, perché anche nel relativo ogni causa non partecipa ai suoi effetti. Dire a qualcuno che “non esiste” non gli risparmierà la sofferenza. La ritarderà solo un pochino, forse.