L’orribile anniversario

di Antonio Sparzani

[non me la sento di mettere immagini su questo tema, se ne trovano in rete di stupefacenti, bastano le nude parole]

credo molti sappiano che il 6 agosto del 1945, sessantacinque anni fa, presidente regnante Harry S. Truman, un aereo statunitense chiamato Enola Gay sganciò sulla città di Hiroshima, in Giappone, un nuovo tipo di bomba, detta atomica, provocando conseguenze di nuova mostruosa disumanità e che tre giorni dopo, il 9 agosto, un analogo ordigno fu sganciato sul porto di Nagasaki (per una cronaca dettagliata si veda qui) Aggiungo qui qualche informazione, forse non di dominio così pubblico, anche se reperibile qua e là in rete (ad esempio qui).

La notte tra il 9 e il 10 marzo del 1945 (cinque mesi prima di Hiroshima), un’ondata di 300 bombardieri americani colpì Tokyo, uccidendo 100.000 persone. Lanciando circa 1.700 tonnellate di bombe, gli aerei devastarono buona parte della capitale, bruciando completamente oltre 25 chilometri quadrati e distruggendo 250.000 edifici. Un milione di abitanti rimasero senza casa.

Il 23 maggio, undici settimane più tardi, arrivò il più grande raid aereo della guerra sul Pacifico, con 520 enormi bombardieri B-29 Superfortress che sganciarono 4.500 tonnellate di bombe incendiarie nel cuore della già malconcia capitale giapponese. Generando potenti spostamenti d’aria, le bombe cancellarono completamente il centro commerciale di Tokyo e gli scali ferroviari, e distrussero il quartiere dei divertimenti di Ginza. Due giorni più tardi, il 25 maggio, un secondo assalto di 502 aerei Superfortress piombò su Tokyo, sganciando circa 4.000 tonnellate di bombe. Complessivamente questi due raid di B-29 distrussero oltre 90 chilometri quadrati della capitale giapponese.

William Trohan, è stato un illustre giornalista statunitense, illustre almeno nel senso che conosceva da vicino i presidenti Franklin Delano Roosevelt e Harry Truman (divenuto presidente dal 19 aprile 1945, in conseguenza della morte di Roosevelt), frequentava normalmente la Casa Bianca e che fu capace, oltre che di vivere anni cento (morì nel 2003), di entrare spesso in possesso di informazioni di prima mano e ancora non destinate al vasto pubblico. Fu il primo ad arrivare sulla storica scena della strage di San Valentino freddamente eseguita dalla banda di Al Capone il 14 febbraio 1929 a Chicago. Fu anche colui che, come reporter del Chicago Tribune, scrisse il 19 agosto del 1945 sul Washington Times-Herald, che il 20 Gennaio del 1945, due giorni prima del suo commiato dall’incontro di Yalta con Stalin e Churchill, il Presidente Roosevelt ricevette un memorandum di 40 pagine dal generale Douglas MacArthur che descriveva cinque distinte proposte di resa da parte di funzionari giapponesi di alto rango (il testo completo dell’articolo di Trohan può essere letto nel numero dell’inverno 1985-86 del Journal of Historical Review, p. 508-512).

Questo memorandum mostrava che i giapponesi avevano offerto una proposta di resa praticamente identica a quella infine accettata dagli americani nella cerimonia formale di resa del 2 Settembre: vale a dire, resa incondizionata tranne la persona dell’Imperatore (l’ex Primo Ministro giapponese Fuminaro Konoye, dichiarò: “Fondamentalmente, la cosa che ci spinse alla resa fu il bombardamento prolungato dei B-29.”)

Molti di questi fatti sono anche raccontati in una serie di interviste ai fisici che  lavorarono al “progetto Manhattan” (per la costruzione della bomba atomica americana) raccolte da Pietro Greco nel suo libro Hiroshima, la fisica conosce il peccato (Editori riuniti, Roma 1995). Si scopre così dai resoconti delle persone che materialmente lavorarono alla bomba che il generale Groves (supervisore militare del progetto) affermava apertamente che “ovviamente” l’intero progetto nucleare “è mirato a sottomettere i russi”.

Cos’altro c’è da aggiungere a questo minimo e agghiacciante brandello di informazione, che mi sento obbligato, da fisico, a ricordare in una data come il 6 agosto? Moltissime altre informazioni sono disponibili ormai su avvenimenti che distano da noi ben più di mezzo secolo. Sembra sempre che sia tutto già noto, già visto, già sentito. I governi sono stati e sono cinici e bari, in tutti i sensi della parola (Truman, per dirne una, nel comunicato ufficiale sulla resa del Giappone definì Hiroshima “una base militare”), e in tutti i paesi del mondo. È forse necessario tutto ciò alla sopravvivenza della specie, o non rema piuttosto contro la sopravvivenza della specie? Una delle caratteristiche più chiare del nostro tempo sembra essere la facilità con cui le informazioni possono essere distribuite, e infatti contro questa facilità vari governi si stanno già agitando. È possibile che una vera diffusione delle informazioni dia un contributo positivo alla sopravvivenza? Non credo che vi siano risposte decisive a queste domande, credo tuttavia che sia giusto dedicarsi ad una pignola diffusione di informazioni importanti che rendano la memoria di questi come di altri fatti un patrimonio di tutti.

8 COMMENTS

  1. Le bombe di Hiroshima e Nagasaki furono militarmente inutili, ma servirono a riaffermare il predominio Usa nel mondo da loro controllato e come “messaggio” politico geostrategico ai loro nemici, dimostrando la loro potenza nucleare. Con il linguaggio cinico dei nostri tempi, si potrebbe parlare di “effetti collaterali” per le innumeri vittime e le malformazioni genetiche che causarono. E magari qualche Boogie dell’epoca avrà anche commentato: “Questa è la politica dei dominanti, bellezza”.

  2. La fine e l’inizio (di Wislawa Szymborska)

    Dopo ogni guerra
    c’e’ chi deve ripulire.
    In fondo un po’ d’ordine
    da solo non si fa.

    C’e’ chi deve spingere le macerie
    ai bordi delle strade
    per far passare
    i carri pieni di cadaveri.

    C’e’ chi deve sprofondare
    nella melma e nella cenere,
    tra le molle dei divani letto,
    le schegge di vetro
    e gli stracci insanguinati.

    C’e’ chi deve trascinare una trave
    per puntellare il muro,
    c’e’ chi deve mettere i vetri alla finestra
    e montare la porta sui cardini.

    Non e’ fotogenico
    e ci vogliono anni.
    Tutte le telecamere sono gia’ partite
    per un’altra guerra.

    Bisogna ricostruire i ponti
    e anche le stazioni.
    Le maniche saranno a brandelli
    a forza di rimboccarle.

    C’e’ chi con la scopa in mano
    ricorda ancora com’era.
    C’e’ chi ascolta
    annuendo con la testa non mozzata.
    Ma presto
    gli gireranno intorno altri
    che ne saranno annoiati.

    C’e’ chi talvolta
    dissotterrera’ da sotto un cespuglio
    argomenti corrosi dalla ruggine
    e li trasportera’ sul mucchio dei rifiuti.

    Chi sapeva
    di che si trattava,
    deve far posto a quelli
    che ne sanno poco.
    E meno di poco.
    E infine assolutamente nulla.

    Sull’erba che ha ricoperto
    le cause e gli effetti,
    c’e’ chi deve starsene disteso
    con la spiga tra i denti,
    perso a fissare le nuvole.

  3. Molto bella, ‘sta poesia. E brava l’autrice, che non conoscevo. Da dove l’hai presa?

  4. Leggendo su Wikipedia il pezzo linkato dall’autore del post mi ha colpito il seguente stralcio:

    “Per quanto riguarda l’Italia è da ricordare l’appoggio dato all’azione degli americani da parte de l’Unità, organo ufficiale dell’allora Partito Comunista Italiano, all’indomani dello sgancio delle bombe. Il 10 agosto 1945, infatti, pubblicò un articolo dal titolo Al Servizio della civiltà che così recitava:’ Le notizie che l’Aviazione americana ha usato la bomba atomica sono state accolte in certi ambienti con senso di panico e con parole di riprovazione. Questo ci sembra uno strano complesso psicologico, una formale obbedienza ad un astratto umanitarismo’.”

  5. in prospettiva, l’atrocità di hiroshima e nagasaki si vede bene come inauguri l’era della pace nucleare, basata sulla paura che quegli eventi si ripetessero su scala infinitamente più vasta: sono nato nel ’45, un mese dopo l’inaugurazione dell’era nucleare: tutta una vita vissuta nella pace della Bomba.
    sotto sotto noi tutti amiamo la Bomba.

  6. Un nome soltanto: Pearl Harbour. Tutto cominciò da lì. Molto semplice. Era una vendetta da consumare. Poi ci sono tanti altri particolari (al momento delle proposte dei militari, l’america non era ancora decisa su cosa fare con l’imperatore; e poi se non ricordo male quella resa non includeva la forte iniziativa americana nella stesura di una nuova costituzione che prevedesse la totale rinuncia ad un esercito), ma il punto fondamentale è l’attacco vigliacco a Perl Harbour ad un paese in quel momento ancora non belligerante.
    Inoltre, col senno di poi, bisogna ammettere che non conosco altri Paese che hanno dato un tale colpo ad un altro Paese durante la guerra e poi lo mettono in condizione di competere sul mercato solo pochi anni dopo. Quel paese che aveva già rotto le scatole con l’esportazione della seta (a cui risposero con il Nylon: “now you lose old nippon”), già dal dopoguerra e fino a tutti gli anni ’90 è stata la seconda potenza commerciale e il competitor più aggressivo nell’industria tecnologica, con una moneta fortissima.
    La bomba è una tragedia immane, ma non bisogna dimenticare che l’america, quando nessuno era in graso di dire alcunché e senza che ne avesse vantaggio, sollevò il tacco dalla tempia dei giapponesi subito dopo la resa. Non sono rimasti in quella posizione come in un safari.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato anche due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia, pubblicato presso Mimesis. Ha curato anche il carteggio tra W. Pauli e Carl Gustav Jung, pubblicato da Moretti & Vitali nel 2016. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.