Avventure 1 – Neve

di Giacomo Sartori

Gli aveva intimato di venire seduta stante. Ma lui non poteva muoversi subito, stava preparando un esame molto importante. Partì due giorni dopo in un molle vorticare di fiocchi. Lei venne a prenderlo alla stazione assediata da muraglie di sale ghiacciato, e per tutto il tragitto in autobus lo baciò sulla bocca sfregando il bacino contro il suo sesso. Aveva sempre dimenato come un serpente il bacino nervoso e sottile, in un certo senso quando era adolescente era la sua particolarità. Ma ora non voleva più provocare una bigotta città di provincia, e anzi sembrava indifferente che la gente dell’autobus li guardasse. Il ragazzo si vergognava della propria sacca da studente imbranato. Le scritte sui muri che vedeva sfilare con la coda dell’occhio inneggiavano alla creatività e all’anarchia, e lui era un misero studentello preoccupato solo di far bene un esame. Ma anche tra loro non c’era più il vapore caldo che gli annebbiava il cervello di quando appariva nelle notti gelide della cittadina come una gatta affamata e insofferente a qualsiasi compromesso. Mentre mangiavano un piatto di ceci in un locale tenuto da una coppia di lesbiche aveva anzi l’impressione che lei fosse molto stanca, che la sua telefonata fosse stata un capriccio del quale si era pentita. Poi però le loro parole divennero più dense, e qua e là baluginarono splendide simmetrie cristalline, diafani cocci di verità. Con la sua erre moscia che era un’esca ma anche un’invocazione lei gli disse che aveva ancora l’incredibile lucidità che da lui non ci si sarebbe aspettati. Quando uscirono i fiocchi tracollavano ostinati, e le strade erano morbide trincee. Perfino sotto i portici si era accumulata una suola gelata. Il ragazzo pensò che tutti i loro incontri si erano svolti all’insegna della notte e della neve, e certo questo nel linguaggio delle coincidenze doveva volere dire qualcosa. Dall’appartamento dove lo condusse usciva una stordente musica indiana, e lei pomiciò a lungo con lo spilungone che venne ad aprire. E poi baciò con molli sbilanciamenti anche un altro scoppiato, ma questa volta gli incollò pure una mano sull’inguine. Evidentemente in quell’antico appartamento della città in rivolta si praticava il libero amore. Nel letto che puzzava di pollaio la ragazza riprese a muovere il bacino guizzante di serpente. Ma per via dell’astinenza (da settimane pensava solo a studiare, senza più occuparsi di nient’altro) lui venne appena il proprio sesso sfiorò il taglio tra le sue gambe lunghe e dritte di bimba cresciuta troppo in fretta. Avrebbe voluto parlarle, ma lei già dormiva. Provò delicatamente a svegliarla: non si muoveva, doveva essere davvero molto stanca. Si rimise allora i pantaloni e nel corridoio inciampò in un’anatra, che emise un pigolio di anatra indignata. Sprofondando nella neve che si infilava nelle scarpe da studentello attraversò la città, fino alla stazione assediata dal silenzio. Una sera di qualche anno dopo seppe che si era lanciata da una finestra di un quarto piano. Non l’aveva più rivista, ma come succede sempre con le persone che ripudiano la vita pensò che la colpa era anche sua. Uscì nella notte metropolitana: per una coincidenza apparentemente inspiegabile nella fenditura tra i grattacieli s’era accumulato uno strato di grandine che sembrava neve, e forse proprio per questo aveva nella bocca il sapore di metallo della sua saliva. Sentì che dentro di lui s’era creato un crepaccio che invece di richiudersi poi si sarebbe allargato.

[l’immagine: Luca Coser, “Anna”, da “L’Avventura”, 100 disegni tecnica mista su carta, cm 18×21,5]

4 COMMENTS

  1. Bellissimo questo racconto finito con la crudeltà della vita. Strano :leggere la neve, il gelo, provare i fiocchi sul volto, quando il sole dell’estate brucia. La lettura disorienta e fa sentire il punto largo del cuore. La memoria sveglia il bianco, la sensazione viva del corpo, l’impossibilità di tornare al mondo senza questa memoria dei sensi.

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