La tecnica del critico in tredici tesi
di Walter Benjamin
1. Il critico è uno stratega nella lotta letteraria.
2. Chi non può prendere partito, deve tacere.
3. Il critico non ha niente a che fare con lo storico dei periodi artistici passati.
4. La critica deve parlare nella lingua degli artisti. Infatti i concetti del “gruppo di avanguardia” sono parole d’ordine. Solo nelle parole d’ordine risuona il grido di battaglia.
5. Si deve sempre sacrificare l’«oggettività» allo spirito di partito, se la causa è degna di lotta.
6. La critica è un fatto morale. Se Goethe ha disconosciuto Hölderlin e Kleist, Beethoven e Jean Paul, questo non riguarda la sua intelligenza artistica, ma la sua morale.
7. Per il critico, i suoi colleghi sono l’istanza più alta. Non il pubblico. Tanto meno, poi, la posterità.
8. La posterità dimentica o dà fama. Solo il critico giudica in faccia all’autore.
9. Polemizzare è distruggere un libro su pochi dei suoi passi. Meno lo si è studiato, tanto meglio. Solo chi distrugge può criticare.
10. Autentica polemica è mettersi di fronte a un libro con l’amore di un cannibale che si cucina un lattante.
11. L’entusiasmo per l’arte è estraneo al critico. L’opera d’arte è in mano sua l’arma bianca nella lotta degli spiriti.
12. L’arte del critico in nuce: coniare slogans senza tradire le idee. Gli slogans di una critica inetta svendono alla moda i pensieri.
13. Il pubblico deve sempre aver torto, e deve sempre sentirsi rappresentato dal critico.
o sulle specie in via d’estinzione
La versione che ho io (in “Strada a senso unico”, Einaudi 2006, a cura di G. Schiavoni) è leggermente diversa. Al punto 2, ad esempio, anziché “chi non può” è riportato “chi non sa”: il senso cambia, mi pare. Il punto 4 riporta “la lingua degli artisti del variété”; non fa quindi riferimento alla categoria degli “artisti” in generale, ma a un tipo particolare di artista, in quel periodo sinonimo di irrisione. Il punto 9 riporta “stroncare” in luogo di “distruggere”. Il punto 13 riporta: “il pubblico deve vedersi sempre smentito” …
In ogni caso, faccio fatica a capire chi, di questi tempi, possa anche solo leggere con simpatia queste note …
PS: nel grande parlare sulla diatriba Mondadori Sì/No, si è mancata la morte di Michele Perriera, uno che per avere accuratamente evitato ogni compromissione con il “sistema”, praticando un’autoproduzione senza cedimenti e rigorosa, ha pagato con l’oblio la sua immensa opera registica e drammaturgica, superiore, per valore estetico e politico a un Tiezzi o Scarpa qualsiasi …
NeGa
[…] Continua la lettura con la fonte di questo articolo: La tecnica del critico in tredici tesi – Nazione Indiana […]
@ ng
Ti andrebbe di scrivere un pezzo per Ni su Perriera?
P.s.
La tesi 2. meglio l’ignoto traduttore; la 4 non so, la parola Artist vale sia artista da circo, da varietà che, più raramente, ‘grande artista’; tesi 9. meglio ‘distruggere’; tesi 13 meglio la versione einaudiana.
Sottoscrivo la richiesta (amichevole) di Domenico.
@ ng
piacerebbe anche a me leggerti su Perriera
1. Solo chi non prende partito conserva la libertà indispensabile al lavoro critico.
2. Il critico è dunque insopportabile per chiunque, soprattutto per chi lo considera – sbagliandosi – un compagno di partito o potenziale tale.
Pur avendo una vera e propria venerazione per Benjamin, sento l’inattualità (e non nel senso nicciano) di queste tesi, salvo certo lo smagliante stile, che è un valore di per sé. Qui l’attività critica è legata con programmatica e provocatoria perentorietà alle manovre (militari) dell’avanguardia, ed esse sono a propria volta il correlato letterario delle avanguardie politiche della lotta di classe. Ma se alla lotta di classe, e dunque alla rivoluzione, non si crede più (non si può più credere) anche l’avanguardia diventa impossibile.
@ Domenico
Vada per Perriera, ben volentieri. Mi prendo qualche giorno …
Sulla tesi 4: direi che la versione Einaudi è più precisa, limitando il campo a un certo tipo di artista e un certo tipo di modo di comunicare (desacralizzante, appunto, ma anche veloce, senza fronzoli …).
@ Fabrizio
l’unico che crede alla lotta di classe (tra l’altro facendola quotidianamente) è Marchionne. Avendo noi smesso di crederci, la sua vittoria sarà totale.
Ho anche dei dubbi che il testo di Benjamin sia riferita SOLO alle manovre dell’avanguardia. Forse trae in inganno proprio la tesi 4, dove la traduzione della parola usata da Benjamin (“cénacle”) è resa impropriamente con “gruppo di avanguardia” …
@ Giulio Mozzi
per chi lavora col linguaggio, “non prendere partito” è impossibile.
NeGa
Che tempi…
3. Sostenere che è impossibile non prendere partito è da poliziotti.
4. Il contrario della parola “critico” è la parola “poliziotto”.
Avevo segnalato la scomparsa di Perriera da qualche parte. Grazioli C. potrebbe scrivere qualcosa di interessante su M.P. visto che l’ha frequentato negli ultimi anni -vedi Umberto Artioli-. Cose belle!
Darmi del poliziotto è da Mozzi. Chi è Mozzi?
La tesi 1 di Mozzi rientra nella casistica del “chi non può prendere partito” di Benjamin. Perché Mozzi non tace? Oppure anche Benjamin era un poliziotto?
La tesi 3 di Mozzi evidenzia ciò che Mozzi è. Di fatto, mi dice che ho ragione a diffidare della neutralità del linguaggio. Che il linguaggio sia nient’altro che un’invenzione della polizia?
Sigillo ricorrendo a un poliziotto di nome Roland Barthes: l’uso del linguaggio evidenzia sempre da che parte stiamo. Ma Barthes non è Mozzi.
Chi è Mozzi?
NeGa
@Giulio Mozzi
Scusi Mozzi, in che senso sostenere che è impossibile non prendere partito è da poliziotti?
99. In una società civile che garantisca libertà di ricerca e di pensiero i critici sono essenziali quasi quanto i poliziotti
l’articolo mi sembra che vada letto nel contesto culturale in cui è stato scritto, non credo che esprima le convinzioni dell’autore sulla critica.
Secondo me i critici dovrebbero scrivere in una lingua conosciuta solo ai lettori.
Uno scrittore non trae nessun vantaggio dalla critica e anzi rischia di venirne condizionato.
A dire la verità anche quando stiamo muti prendiamo partito, cioe’ facciamo una scelta.
Si puo’ prendere partito in modo consapevole o in modo inconsapevole oppure, peggio, facendo finta di non prendere partito. La prima opzione è quella eticamente giusta perchè implica un’assunzione di responsabilità.
Prendere partito non è mai una scelta definitiva, sia lode al dubbio dice un altro tedesco, e non è nemmeno scegliere il nero e uccidere il bianco, perche’ se uccidi il bianco uccidi anche il nero.
E’ incredibile la creatività che sprigiona il lavoro di traduzione. Ha ragione Javier Marias, anzi bisognerebbe fare una legge che impone a tutti gl iscrittori di esercitarsi nella traduzione prima di scrivere.
Invidio i traduttori, specie quelli che traducono dal tedesco, lingua che conosco ma non ababstanza.
yo no soy nadie
Se si sostiene che è impossibile non prendere posizione, si sostiene necessariamente che è obbligatorio prendere posizione.
Quando avevo 14 anni, tre ragazzi di un paio d’anni più vecchi mi incantonarono e mi puntarono un coltello alla pancia (nel chiostro del ginnasio: succedesse oggi, ne parlerebbero tutti i giornali; all’epoca era cosa irrilevante) e mi dissero: “Da che parte stai?”.
Quei ragazzi (uno di loro ammazzò un uomo, qualche anno dopo) erano dei poliziotti.
Sicuramente l’uso del linguaggio mostra sempre da che parte stiamo. E altrettanto sicuramente, anche quando non si prende una posizione, comunque si ha una posizione.
Un gesto che mi sembra molto libero è: accettare la posizione che si ha, ovvero non fare i tartufi.
@giuliomozzi
in realtà quei ragazzi avevano già semplificato il mondo, lo oavevano diviso in due, il bianco e il nero e con la violenza ti costringevano, obbligandoti a scegliere, non a prendere a partito ma ad accettare la loro visione del mondo.
In realtà tu avendo rifiutato la loro logica autoritaria, avevi gia’ preso partito contro di essa. Loro ti stavano costringendo a prendere un altro partito.
c’e’ un bell’articolo su francois jullien pubblicato la settimana scorsa dal manifesto (se ricordo bene l’autore porro e’ il suo traduttore, che ha molto a che vedere con questa discussione;
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/argomenti/numero/20100909/pagina/11/pezzo/286488/
domanda pedante e rompi alla redazione:
perchè non intervistate francois jullien ?
@ Carmelo, onoro il tuo buon senso
[mi congratulo anche per il cambio di tastiera, l’altra mi faceva girare un po’ la testa]
Mozzi la sua posizione mi sembra un tantino incartata: se l’uso del linguaggio mostra sempre da che parte stiamo vuol dire che abbiamo preso una posizione. D’altra parte, se non avete una posizione, perché vi affannate così selvaggiamente a cercare di demolire le posizioni degli altri? Per non dire dell’odio che mostrate di avere verso le persone che hanno posizioni diverse dalle vostre… Parlo al plurale perché l’atteggiamento demolitorio, qui e altrove, è davvero troppo diffuso.
Le tesi 1 e 2 espresse da Giulio Mozzi nel suo commento pubblicato il 14 settembre alle 12:55 costituiscono l’abc di qualsiasi lavoro di ricerca sui contenuti. L’indipendenza della mente dalle forze in gioco permette di utilizzare la mente stessa come strumento efficace.
Funziona in moltissimi ambiti, probabilmente in tutti.
Per dire, alla domanda: «Dio c’è?», la mente indipendente risponde: «Non lo so, non ho prove decisive né per l’esistenza né per l’inesistenza». La mente indipendente non è né laica né religiosa, semplicemente cerca di guardare bene e di capire.
A un’altra domanda: «Tieni alla Juve o all’Inter?», la mente indipendente risponde: «Né all’una né all’altra. Cerco di capire quando le squadre giochino bene a pallone e perché». La mente indipendente non è né juventina né interista.
Cioè, se ho capito bene quello che intendeva Mozzi.
@Guido Tedoldi
Se tu dici che nel lavoro di ricerca, non bisogna prendere una posizione a priori o avere dei preoncettti o ancora peggio delle bandiere da difendere beh chi non sarebbe d’accordo?
A partire da qui le cose si complicano;
se tu fai un lavoro di ricerca utilizzi dei modelli delle griglie interpretative e questa se permetti è gia’ una scelta.
La verità è che noi utilizziamo delle categorie presumendo che siano universali. Invece non è cosi’
L’articolo su francois jullien dimostra proprio l’errore di noi occidentali di credere universali le categorie di pensiero che utilizziamo.
la tua affermazione
L’indipendenza della mente dalle forze in gioco
è molto impegnativa, m irisulta che le piu’ moderne teorie scientifiche negano questa presunta indipendenza del soggetto rispetto all’oggetto che si indaga. Mio figlio mi racconta in modo per me incomporensibile che la teoria quantistica nega tutto cio’. Qui m ifermo perche’ non sono competente e rischirei di dire delle stupidaggini.
quanto al discorso relativo alla domanda
«Tieni alla Juve o all’Inter?»,
secondo me rischi una confusione di “tipi logici” come dice bateson
la domanda ha senso se rivolta a un tifoso.
il tifoso per definizione prende partito per definizione non in base a una scelta razionale ci mancherebbe.
E’ noto che javier marias è un accanito tifoso del real madrid.
Ma accusarlo di avere una mente non indipendente sarebbe incorrere in una confusione di tipi logici.
Un non tifoso non tifa e quindi non parteggia per nessuna squadra e giudica le partite in base al gioco.
scusate non avevo finito
ogni modello interpretativo, per definizione essendo un modello non è mai esaustivo perche’ in qualche modo semplifica il mondo che vogliamo indagare. Diciamo che trascura i dettagli
Diciamo anche che la mappa non è il territorio.
Allora come si sfugge al rischio che la nostra indagine si trasformi in una sterile e improduttiva applicazione di un modello interpretativo ?
attraverso un’indagine che tenga conto anche dei dettagli. Attraverso cioe’ un processo cosiddetto abduttivo, che poi è quello che usano gl investigatori (che tanto amava bolano)
c’e’ un bellibro curato da umberto eco che parla proprio di questo, e m iscuso se riassumo in modo cosi’ volgare.
C’e anche un bellissimo saggio di franco farinelli su lettera internazionale nr 4 se ricordo bene che spiega come sia in crisi la razionalita”cartografica” di cui siamo inventori a partire dalla nascita dello stato moderno territoriale. quell’articolo dice tante cose secondo me importanti anche sulla letteratura.
sarei felice se la edazione ospitasse o intervistasse farnco farinelli
Guido Tedoldi: “alla domanda: «Dio c’è?», la mente indipendente risponde: «Non lo so, non ho prove decisive né per l’esistenza né per l’inesistenza». La mente indipendente non è né laica né religiosa, semplicemente cerca di guardare bene e di capire”.
Anche questo esempio mi sembra decisamente infelice. Quando mai a codesta mente indipendente sarebbe riuscito di guardare bene e capire il dilemma di Dio. Si tratta di un problema che presenta svariati diversissimi accessi in ragione dell’uomo che vi si dedica, ma il pertugio adatto alle generalizzanti panoramiche della mente indipendente non l’ho mai osservato. Teorizzare l’esistenza di una mente indipendente (con pretese immagino di oggettività) significa non compromettersi a fondo e irrimediabilmente col problema, sia esso Dio o la Rivoluzione. L’esito di questo procedimento è scritto in partenza.
Immagino che i 13 punti non sconcerterebbero (oggi o sempre) un cenacolo di mistici o di ermetisti quanto non avrebbero sconcertato il “cénacle” artistico al quale mirava Benjamin. Un cenacolo artistico/politico con caratteristiche pertinenti era quello dei Commontisti, anche loro credo che avrebbero approvato. L’essenza religiosa della Rivoluzione è un grande tema che non mi pare esaurito.
ops! Comontisti, due emme sono troppe.
non vorrei annoiare, ma giocando a forzare le parole sarebbe facile ridurre i 13 comandamenti della critica a dieci: l’unico Dio/il genio critico, i suoi colleghi/il padre e la madre, le lingua degli artisti (o tacere) / contro la falsa testimonianza, stroncare/5° (perché no?) uccidere, tradire le idee/ fornicare con la moda dei pensieri, c’é posto anche per la lotta degli spiriti e alla domenica tutti a messa dove “il pubblico deve sempre aver torto, e deve sempre sentirsi rappresentato dal critico”.