Atlante della letteratura italiana Einaudi
di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà
Julien Gracq ha scritto una volta che «una storia della letteratura, contrariamente alla storia tout court, dovrebbe ricordare soltanto i nomi legati alle vittorie, poiché in questo ambito le sconfitte non sono una vittoria per nessuno». Ebbene, nel concepire l’Atlante della letteratura italiana noi abbiamo ragionato in maniera completamente diversa, persuasi che – volendo riprendere la similitudine bellica del poeta francese – per chi si occupa di letteratura sia di estremo interesse proprio la battaglia che si combatte quando è ancora incerta la sorte dei diversi contendenti.
Osservato ad alzo zero, è il concetto stesso di evento culturale che abbisogna di nuove definizioni. Se c’è un tempo lineare, fatto di istanti tutti uguali e per questo registrabile meccanicamente, la letteratura conosce pure un tempo diverso, dove alcuni momenti si rivelano più carichi di senso degli altri. A volte, si tratta del primo annunciarsi di un fenomeno letterario destinato a esplodere in seguito; altre volte, si tratta degli ultimi fuochi di un’esperienza che sta per concludersi (e magari nessuno ancora se n’è accorto). In ogni caso, questi momenti interessano soprattutto nella loro relazione con tanti altri momenti dello stesso genere: per la loro reticolarità, piuttosto che nel loro (anche splendido) isolamento. Senza cedere al feticismo del frammento, il quale – sulla scia del magistero di Walter Benjamin – contraddistingue tanta parte della cultura di oggi.
Prima ancora che di scrittori e di libri, una civiltà letteraria è fatta di persone e d’occasioni. Dunque, è fatta anzitutto di storie umane: incontri o scontri, fughe o raduni, appuntamenti o sorprese. Così, almeno altrettanto che il 1532 o il 1840 – date in cui uscirono per la prima volta in volume, rispettivamente, Il Principe di Machiavelli e I promessi sposi di Manzoni nella loro versione definitiva – vengono qui giudicati cruciali il giorno di marzo del 1523 in cui un filosofo aristotelico napoletano, Agostino Nifo, pubblicò una confutazione del trattatello machiavelliano che fin dal decennio precedente aveva circolato manoscritto; e il giorno di marzo del 1837 in cui alla casa meneghina di Manzoni bussò un indaffarato scrittore francese, Honoré de Balzac, con cui il padrone di casa trascorse una serata intera a discutere di teoria del romanzo storico, ma anche di tutela del diritto d’autore, dopo che la prima edizione dei Promessi sposi, nel 1827, era stata piratata da stampatori senza scrupoli. Sono soltanto due esempi, ma sufficienti a descrivere un criterio ordinatore.
L’altro criterio ordinatore: per capire una letteratura non basta saper leggere, bisogna pure saper contare. L’Atlante percorre quindi con metodo l’investigazione dei grandi numeri del fatto letterario: analizza, calcola e interpreta i «sistemi» fondamentali della civiltà letteraria italiana. Siano le condizioni di vita materiale dei testi, dalla circolazione dei manoscritti delle «tre corone» – Dante, Petrarca, Boccaccio – alla disseminazione delle prime stamperie o alla nascita delle prime biblioteche pubbliche; siano le condizioni di vita degli autori sul mercato delle lettere, fra allori poetici e dispute intestine, opportunità accademiche e dipendenze economiche; siano le alterne vicende dei generi letterari e delle istituzioni culturali: sia tutto questo o molto altro ancora, l’Atlante non rinuncia mai a giocare con le diverse scale della ricerca cartografica.
L’allargamento della prospettiva, dai pochi spiriti magni ai grandi numeri della produzione corrente, riesce essenziale per meglio apprezzare gli autori canonici della letteratura italiana. In effetti, i protagonisti di una civiltà letteraria – anche i più originali – non vivono mai nella proverbiale torre d’avorio. Sono maestri o allievi, sono intellettuali in competizione fra loro o solidali nella lotta per una certa idea di letteratura e, magari, di società: se nessuna isola è un’isola, ogni scrittore è riconducibile a un mondo. Perciò l’Atlante individua e descrive i social network della nostra letteratura. Lavora sistematicamente sugli epistolari e sulle dediche. Segue gli scrittori nelle loro peregrinazioni, scelte per piacere o compiute per dovere. Penetra con la curiosità di un “baedeker” nelle città culturalmente più vive dell’una o dell’altra epoca.
Pensata nello spazio oltreché nel tempo, la storia della letteratura italiana assume un profilo estremamente mosso, che restituisce tutto il loro rilievo alle presunte periferie di un’Italia troppo a lungo disegnata intorno a un unico asse centrale, quello toscano. Dal Duecento all’Ottocento, l’Italia letteraria ha conosciuto una geografia policentrica; ha ruotato, spesso e lungamente, intorno a città diverse da Firenze o da Roma, o addirittura esterne ai confini della penisola, com’era l’Avignone trecentesca dei papi. Si può dire che fino allo spartiacque del 1860-61, cioè fino alle sorprendenti e quasi mirabolanti vicende che propiziarono l’Unità, la civiltà italiana abbia vissuto al ritmo di una singolare alternanza tra città-perno. Sono nove centri urbani – Padova, Avignone, Firenze, Venezia, Trento, Roma, Napoli, Milano, Torino – ai quali va riconosciuto un autentico primato storico, per ragioni diverse e per durate ineguali: capitali in pectore di Italie probabili o improbabili, possibili o impossibili, capitali letterarie elettive che l’Atlante identifica, illustra, e alle quali intesta un’«età» della nostra storia.
Le Alpi non sono mai state una barriera talmente gigantesca da riuscire invalicabile. Al contrario, se una cosa colpisce nella geografia storica della nostra civiltà letteraria, è la relativa facilità con cui le persone, le parole, le idee hanno traversato e riattraversato l’arco alpino. Poesie provenzali, papi di Roma, umanisti a caccia di codici, scrittori in ambasceria, lettere private o semipubbliche, opuscoli luterani, predicatori, eretici, condottieri militari e poeti cesarei, progetti illuministici di riforma, stranieri attirati nella penisola dalle sue rovine o dai suoi litorali, enciclopedie e melodrammi, epigoni del Triennio giacobino o esuli del Risorgimento: ben da prima che si scavassero i tunnel del Frejus e del Sempione, del San Gottardo e del Brennero, cioè ben da prima che gli scrittori e i libri potessero vincerle montando su un treno, le Alpi non sono bastate a tenere l’Italia lontana dall’Europa, né a tenere l’Europa lontana dall’Italia. Il duraturo primato europeo dell’Italia letteraria ha coinciso con la sua capacità di farsi crocevia di culture.
Il presente testo è apparso nel supplemento del «Sole 24 Ore» il 17.10.2010.
[…] Approfondimento fonte: Atlante della letteratura italiana Einaudi – Nazione Indiana […]