sought poem

di Marco Simonelli

Spirava
in quel ballo a Lisbona
un’aria di fine d’epoca
di tramonto dell’Europa ripartita in classi
prepotente e raffinata
ingiusta e stravagante.

Il mio vestito arancio roteava
nel mezzo della pista.

In quegli anni quasi tutti gli artisti divoravano
la vita come per farla finita al più presto:
usavano il sesso come una droga
e la droga come il sesso.

Il problema centrale delle nostre esistenze
era quello di organizzare in modo impeccabile
le nostre cene.

Arrivavano Letizia Paolozzi e Nanni Balestrini
Laura Betti e Dario Bellezza, Pier Paolo Pasolini
e Sandro Penna, Marco Pannella, Marco Bellocchio.

* * * * *

Questo testo è stato asportato da Marina Ripa di Meana, I miei primi quarant’anni, (Euroclub, 1984) presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze nel novembre del 2010.

29 COMMENTS

  1. Anche Marco Pannella?!
    Scommetto che si faceva vedere anche l’immancabile Antonello Trombadori, il supermondano del PCI.

    Cmq è carina, “Il problema centrale delle nostre esistenze
    era quello di organizzare in modo impeccabile
    le nostre cene.”

    Era una faccenda seria.

  2. @viola: con dovute (de)generazioni di corte e di cortigiani.

    @mauro: io non ricordo esattamente tutti i nomi che lei cita nel libro. Ma (e mai avrei pensato di dirlo), qualora ti avanzasse un po’ di tempo, te lo consiglio.

    @gherardo: tu sei la prova che le corrispondenze d’amorosi sensi esistono! titillo i tuoi baffetti da sparviero.

  3. Marco, consiglio accettato. Sono un ammiratore della Marina, una gran dama, una che ha fatto parte, come me, del movimento antipellicce, mettendo a disposizione le sue, da milioni di lire, per imbrattarle di vernice rossa durante gli happening.

  4. non ci avevo mai pensato, ma forse in M.R. di M. si trova una vera fonte di New Italian Epic, o Neo-Italian-Realism, o come lo si voglia chiamare…

  5. @mauro: mi torna in mente “questa è l’unica pelliccia che indosso”
    @vincenzo: in effetti ha qualcosa di epico, il libro è un memoir, un libro di memorie che, letto molti anni dopo, ha secondo me il valore di una testimonianza.

    Credo che la genesi di questo testo sia stato un articolo di Andrea Cortellessa sulla mignottocrazia in Italia apparso qui nel novembre scorso. A prescindere dalla terminologia, io ho trovato questo sito che mi ha fatto molto riflettere: http://www.mignottocrazia.it (propone un’analisi etimologica e una contestualizzazione a mio avviso condivisibili).

    Colgo l’occasione per ringraziare francesca e gli indiani che hanno permesso la pubblicazione di questo testo a pochi giorni da una manifestazione importante. Sono interessatissimo alle opinioni di quegli esseri umani che vengono taggati come “donne”. E a quelle degli esseriumani taggati come maschi non fallocrati”. Ma anche di chi il tag non sa proprio dove metterlo o che cosa sia.

  6. “il problema centrale delle nostre esistenze”(plurale maiestatico o telepatia?).Sinceramente non vedo reati,intrusi,anacronismi o minorenni

  7. perchè aver postato questa brillante estrapolazione nel particolare momento storico che viviamo può prestare il fianco a interpretazioni tese a dimostrare,e sul tema si stanno appassionando in molti(e non solo al teatro del verme),la massima di machiavelli(“Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi”),mentre secondo me percorriamo una via del tutto eccezionale,quasi antistorica,che nel contempo comprende interessanti gemmazioni.Comunque ribadisco il buon giudizio sul brano varipinto strappato all’epoca della milano da bere che alla fine “si è bevuta il cervello”

  8. non c’è che dire, sei un creatore….bellissimo pezzo a procedimento tabulare. Effetto riuscito. Ne dobbiamo riparlare (e magare lavorarci insieme). :)

  9. è un apocrifo, una provocazione in regime di insignificanza, non basta l’enjambement per allineare tante sinistre, non puoi fare di figure e figuranti una nutella spalmata su tutto e tutti. Una sottospecie di qualunquismo demagogico e memorialistico: ma Simonelli, ti sembra il caso di poter imburrare sullo stesso panino Pasolini e la Paolozzi? ma insomma, mi affiderei ad altre fonti, evitando la moda del gossip che ti allinea al sistema in atto. Non sei dissimile da un Signorini: è questo che vuoi?

    E poi, Marco, francamente, a Pasolini del cibo fregava molto poco. Se proprio vuoi scavare nelle vite degli altri, devi dire che a lui dei banchetti (anche per non dare adito a certi facili scenari) non importava un fico. Viveva nell’attesa della notte . Ma anche dire questo è un dire pettegolo che non aggiungerebbe nulla allo snulleggiante nulla del già spifferato che non scompiffera (come dicono a roma).

    “IL PROBLEMA CENTRALE DELLE NOSTRE ESISTENZE
    ERA QUELLO DI ORGANIZZARE IN MODO IMPECCABILE
    LE NOSTRE CENE”

    sì, non nego che questi tre versi siano anche suggestivi, si stagliano sul vuoto testuale, ma sono proprio fuori luogo, insomma, per me hai toppato. Andrà bene per la signora, che doveva sbarcare il lunario, ma non per tutti quelli che nomini. Ciao.

  10. Però se si legge il testo originale della M. R. di M. si nota proprio questo mescolamento di persone, facce ed ambienti. Peraltro mi ricordo che quando lo lessi (ma quanti anni sono passati?) mi domandai cosa potessero raccontarsi persone così differenti.
    Quel “le nostre esistenze” a mio avviso riprende un modo narrativo del testo originale: un accorpamento di “tutti” anche quando questo non era decisamente vero. Nonostante questo credo che Simonelli abbia trovato la chiave giusta di lettura e di riscrittura, che poi oggi non ci piaccia, beh, forse è proprio questo il senso del testo???

  11. @Alessandro: grazie!

    @Manuel: grazie!!! (Il triplo punto perché son sempre il primo a meravigliarmi quando un testo suscita in qualcuno una replica: per me significa che non ho buttato il mio tempo). Spero di riuscire a rispondere punto per punto. Apocrifo lo è senz’altro. Ci tengo, anzi, a precisarlo, la nota è essenziale se non parte integrante del testo. Il regime di insignificanza credo non sia esattamente mio o inerente al testo. C’è, sicuramente. Sono nato nel 1979: non è un vezzo anagrafico, credo sia uno spartiacque. Soprattutto per un italiano. Vedi, Manuel, mi trovo nella condizione di avere come unico bagaglio di esperienza nella storia gli ultimi trent’anni. I miei riferimenti, anche creativi, se vuoi, possono tener conto di quanto ho appreso studiando, cercando di informarmi, di migliorarmi, di conoscere. Ciò che ho visto nell’infanzia tuttavia rimarrà per me qualcosa di indelebile, nonostante tutta la ragione, la cultura (o la non-cultura) che mi ha aiutato e tutt’ora mi aiuta ad oggettivarla, a comprenderla. Mi sarebbe piaciuto che fosse un individuo anagraficamente ventenne oggi a dare una lettura di questo testo. Gli invitati alle cene, cosa e chi sarebbero PER LUI/LEI? Solamente nomi? E che cosa vorrebbero suggerire quei nomi? Per me quei nomi significano qualcosa. Spiego: ciò che mi ha spinto a trascrivere quella lista di invitati è stata una sorta di invidia. Cavolo, ci pensi? Avere a casa mia Pasolini, Bellezza, Penna, Pannella e Balestrini TUTTI IN UNA SERA! Riuniti alla stessa tavola! Il mio pensiero non sarebbe certo stato “come apparecchio” ma “questa sera mi cambierà la vita”. Per me sarebbe un sogno. Per quanto riguarda Signorini, se ti riferisci al signore del rotocalco, non vedo in che cosa potrei somigliargli. Se tu credi che tutto ciò sia il nulla, ok, è un tuo diritto. Ma in questo nulla, temo, io sono nato e vissuto e temo di morirci. Per questo tento di tirar fuori qualcosa anche da ciò che è, agli occhi altrui, nulla. Perché vorrei davvero morire in “qualcosa”. Che ci riesca o meno, non posso avere la presunzione di dirlo io e dirlo adesso. Io non so cosa mangiava Pasolini a cena ma la lista di invitati è presa dal libro, ogni strofa è un singolo passaggio. Quando dici che Pasolini “viveva nell’attesa della notte”, cosa intendi? E cosa si intende oggi, se dici di qualcuno: “vive in attesa della notte”? Un abbraccio, grazie dell’attenzione.

    @fab:mi piace la tua lettura incentrata sul confronto dei due tempi. Nel testo di origine ci sono moltissimi altri nomi. Non è un testo letterariamente interessante ma è curioso.

    A questo punto però mi sto domandando fino a che punto un lettore X possa affrontare il pregiudizio di una lettura estrapolata da un libro di Marina Ripa di Meana. E’ fattibile?

  12. Caro Marco, grazie per la risposta, e per il tuo metterti in gioco(+) e in discussione(-). Ognuno ha la sua storia, è figlio del tempo proprio e l’immaginario risponde a quanto si è assunto da pargolotti. E’ un fatto, e va bene.

    Capisco anche l’invidia per una stagione altra che non ti è toccata per sorte, come non è toccata ai quarantenni come me. Quanto alle cene, alla convivialità: bè, magari racconta con chi vai a cena tu, le tue impressioni, quello che ti lascia un incontro. Vivi a Firenze? ma vai a cena con la Lorusso e la Bettarini, cosa aspetti, saranno sicuramente più interessanti di una agitatrice di pozzanghere massmediatiche. Oppure con i tanti colleghi che scrivono, coetanei o meno. Hai bisogno di padri? Prendi un caffè con Buffoni, una tisanina con Pecora, un’intervista telefonica con Gilberto Severini!

    Avevo capito il tuo discorso, il tuo tentativo attraverso i reperti regesti refusi di MRDM (Marinaripaeccetera), però il testo così com’è è deboluccio, e dà adito a modesti discorsi.

    Un caro saluto da un estimatore di Will.

  13. non ho risposto al tuo quesito:

    Pasolini era solito ripetere una frase che dava il senso del suo vissuto. ‘Il giorno è tutto per il lavoro, la scrittura. la notte si vive’. Più che le cene, viveva l’attesa del dopo cena, in cui vagava per la città coltivando il draghaggio.

  14. @Manuel: grazie. ma se io adesso ti raccontassi di quando vedo appunto tutte le persone che citi nel tuo commento (sì, le vedo, ogni tanto, con piacere, in amicizia, con gratitudine, ospitalità, delle volte ci si incazza, delle volte no) non sarei DAVVERO signorini? E se fra esattamente nove anni scrivessi le mie memorie parlando di loro, non sarei forse proprio la signora Marina e non Marco Simonelli? Guarda, non so tu, ma per me non è esattamente semplicissimo essere me. (lo diceva anche Anna Nichole Smith). Per te è semplice essere te? Lo vedi quante domande, quante questioni importanti o meno possono nascere da un testo che è operazione e non opera? Non è detto che debba sempre essere così, ma mi piace il fatto che possa essere ANCHE così. Scusa, una domanda: perché padri? Guarda, dopo undici anni di analisi freudiana posso dirti che il padre sembra fatto apposta per generare conflitti. E va bene, ma non sono sempre utili. Meglio un rapporto avuncolare. Buffoni, ad esempio, ha avuto l’intelligenza e l’umanità di porsi come “theios”, zio. E perché precludersi la possibilità di “essere” padre? Io sono anche un patrigno. Per la figlia del mio compagno sono “Il fidanzato del babbo”. Ma mi chiama Marco e basta. Forse è l’unica persona che mi vede come Marcoebasta.
    Sto divagando, ma sicuramente, come vedi, la questione che affrontiamo insieme io e te mi tocca davvero OLTRE il testo. E questo secondo me vale un po’ di più. I testi poi: non è mia ambizione scrivere qualcosa che resti nei secoli. Se resta in te o qualcun altro per più di dieci minuti (anche con un senso di fastidio, di pochezza, di uggia) è un traguardo, una soddisfazione.

  15. @Manuel: avrà anche avuto necessità di dormire qualche ora! Beh, nulla da dire su come viveva i suoi dopo cena, dopotutto erano altri tempi, non c’erano le chat, non c’erano i locali gay, le darkroom, né i consultori né i centri di cultura omosessuale. Non c’era la sindrome da immunodeficienza acquisita. Scommetto che qualche volta, oltre a lavorare e a vivere la notte avrà anche mangiato una mela, dell’uva, un frutto, un cacio e pepe! Non lo vedo a stendere i panni, ok, ma esiste anche questo nella vita.

  16. vedi Marco, la questione è proprio l’ultima: ‘esiste anche questo nella vita’. Non interessa credo nessuno sapere con chi vai a cena. Ma può essere interessante, per te che ne scrivi, in primis, riuscire a cogliere qualcosa da qualcuno, andare oltre il dato ovvio e naturalistico di esposizione. Perchè scusa ma qui l’otre testuale non si vede, lo metti nelle note, non è nel testo. Da un testo così, che non irrita nè infastidisce, non viene fuori nulla, non c’è nulla da spremere. Un reperto di cronaca falsata, e nient’altro. Un referto che non aggiunge granchè.

    Con il suggerimento che mi permettevo di darti, intendevo questo: tirar fuori qualcosa da chi frequenti ora, non il piatto di cacio e pepe (che va pure bene ma non basterebbe), non per farne gossip tra tra nove anni.

    Mentre il riferimento fatto a certi nomi, era perchè coglievo nella piega dei tuoi commenti la nostalgia per un mondo di riferimento e di maestri non vissuti: Pasolini, Penna, Bellezza. Padri o fratelli, è un modo di dire, se preferisci: compagni di percorso, e lo stesso.

    “Per me non è esattamente semplicissimo essere me”: forse vale per sei miliardi di vite, ognuna nella propria specificità.

  17. Cioè che spiazza di questo testo, è che sta tutto lì. Non c’è una bellezza, una forma, un significato trascendente – se mai il linguaggio può essere un mezzo per altro che non sia se stesso – una denuncia morale, etc etc. Se cerchiamo di leggerlo con uno spirito etico se ne resterà quasi senz’altro disturbati, vuoi per l’apparente freddezza, per l’equazione ieri come oggi, per l’elenco dei nomi e, infine, per aver citato la Marina Ripa. Il fatto è che questo testo è in sè etico proprio perchè non dice nulla – non esprime nemmeno un io, ma l’operazione di un io che chiama a rispondere i lettori, chiama i lettori a decidere loro con quali strumenti disinnescarlo, prenderne atto, rifiutarlo. Ricordandoci che usare un libro di Marina Ripa di Meana non è soltanto un gesto pop, ma un modo di guardare da prospettive magari insolite per “l’intellettuale”. L’elenco sbalorditivo di nomi riuniti attorno ad una tavola imbandita – senza tanti simbolismi sul cibo, penso proprio alla quotidianità del gesto, per certi versi richiama altre cene dell’Italia immediatamente contemporanea, con tutt’altri invitati e “nomi”. Poi scatta la distonia – la rottura tra quell’episodio mondano e questi episodi mondani, tra l’occhio di donna che più o meno strumentalmente li registra. E in quella rottura opera, non sta, questo tipo di scritto.

  18. @Francesca: ti ringrazio per questa tua analisi. Credo che tu abbia centrato tutti i punti che mi premevano.
    Ringrazio tutti quelli che hanno commentato, solidali o meno: è stata un’esperienza utilissima.
    Affrontare modalità di scrittura “altre” credo sia esperienza fondamentale per ogni autore che desideri ampliare le proprie possibilità. L’idea di partenza era un percorso di specchi, un’installazione interattiva che richiedesse al lettore/fruitore una partecipazione. L’intento era esplorativo: richiede una re/azione conscia o inconscia. Richiede (ha richiesto, almeno a me) di entrare in contatto con i propri pregiudizi, innescare (innestare?) una discussione interna che partisse dal testo per approdare altrove. Non verso un dove specifico. 
    Grazie.
    M.

  19. Chi di testo cercato ferisce, di testo cercato perisce, Simonelli!
    Scherzo, ma ogni tanto io mi son cimentato con scrittura mimetica, chissa’, in fondo cosa diceva Eliot che il mediocri copiano, i grandi rubano.
    A parte questo, il testo e’ molto contemporaneo e si legge all’inizio ingenuamente (e’ vero che il titolo lo denuncia ma e’ anche vero che non tutti siamo al corrente di cosa sia un sought poem, anche se ora dopo questa lo abbiamo imparato: allora oltretutto e’ un testo educativo!). Poi si scopre che se uno ha orecchio c’e’ poesia in luoghi insospettati. Poi ci si interroga sul senso, sul senso che uno riportando parole verbatim puo’ alterare, sia col contesto, sia colla scelta (se capisco sono passaggi di uno stesso libro, non un’unica sezione). Allora: sarebbe pericoloso farlo troppo spesso, ma fatto cosi’ bene e una tantum secondo me funziona! Tanto di cappello.

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francesca matteonihttp://orso-polare.blogspot.com
Curo laboratori di poesia e fiabe per varie fasce d’età, insegno storia delle religioni e della magia presso alcune università americane di Firenze, conduco laboratori intuitivi sui tarocchi. Ho pubblicato questi libri di poesia: Artico (Crocetti 2005), Higgiugiuk la lappone nel X Quaderno Italiano di Poesia (Marcos y Marcos 2010), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Appunti dal parco (Vydia, 2012); Nel sonno. Una caduta, un processo, un viaggio per mare (Zona, 2014); Acquabuia (Aragno 2014). Dal sito Fiabe sono nati questi due progetti da me curati: Di là dal bosco (Le voci della luna, 2012) e ‘Sorgenti che sanno’. Acque, specchi, incantesimi (La Biblioteca dei Libri Perduti, 2016), libri ispirati al fiabesco con contributi di vari autori. Sono presente nell’antologia di poesia-terapia: Scacciapensieri (Millegru, 2015) e in Ninniamo ((Millegru 2017). Ho all’attivo pubblicazioni accademiche tra cui il libro Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna (Aras 2014). Tutti gli altri (Tunué 2014) è il mio primo romanzo. Insieme ad Azzurra D’Agostino ho curato l’antologia Un ponte gettato sul mare. Un’esperienza di poesia nei centri psichiatrici, nata da un lavoro svolto nell’oristanese fra il dicembre 2015 e il settembre 2016. Abito in un borgo delle colline pistoiesi.