Ex ordres littéraires: Carmela Cammarata
di
I Santi Padri di Carmela Cammarata (Del Vecchio Editore, novembre 2010) per me è un po’ come il ratto che s’infila in una saittella (fogna, nda) di Via Foria e poi riemerge sfacciatamente da un’altra, poco più in là (madonna, ma un paragone migliore no?). Mi spiego.
Ho avuto questo libro dall’Ufficio Stampa della Del Vecchio, alla fiera di Roma. Il tizio (ormai lo conosco un po’ e lo chiamo ‘un dito ar’), mi fa: “Sai, mi piacerebbe tu lo leggessi. Avete molte cose in comune, riguardo l’uso della scrittura”.
Scatta tutto l’ingranaggio autore-lettore-recensore. Sintetizzando, il primo pensiero che faccio è: ”Ma che cosa? Io sono un grande momento della letteratura contemporanea”. Sintetizzando, la prima cosa che mi esce dalla bocca è: ”Davvero? Sono curioso…”
Leggo la quarta di copertina: Carmela Cammarata è una moderna fata dalle mani d’oro. Impiegata per hobby, è artigiana per assoluta volontà di mani ribelli. Misericordia. Chiedo se allo stand c’è la persona che ha scritto questa quarta per comunicarle immantinente… la mia impressione.
Mi avventuro sulla bandella: Carmela Cammarata racconta con la consapevolezza di un’affabulatrice consumata, che la pone di diritto tra le voci più interessanti della narrativa contemporanea. Un’altra? Uao, quante voci interessanti abbiamo in Italia (lo penso, non lo dico). A casa ne leggo tre pagine. Rivedo qualche sera dopo il tipo dell’US: “Non mi piace. A meno che tu non mi elargisca favori sessuali o, in alternativa, mi faccia conoscere qualcuno di veramente importante, non credo io possa cambiare idea” (per certe cose sono un follower…) Un mese dopo, mi telefona Forlani. “Sai, ho letto un libro di una scrittrice napoletana. Cammarata. Leggilo, se ti capita. Credo abbiate una modalità simile nell’approcciarvi alla scrittura”. Io esterre-obstupe-fatto. Ho pensato: ’N’ata vota a chesta? Ho detto: ”Certo Francesco. Grazie del consiglio”.
E questo era, appunto, il paragone del ratto (sic…).
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Nanà, protagonista e voce narrante de I Santi Padri, è l’ascissa del multiverso femminile, straordinario e terribile, un’intelligente e sensibile anomalia generata da un basso di Napoli che si rende conto, che capisce qual è l’inganno delle aspettative.
Due Nanà, tante Nanà in tutto il romanzo. Nanà bimba, osservatrice, che recupera il nonno ubriacone nelle cantine della città. Nanà adulta, disincantata, cambiata (cambiata?). Nanà che sogna di ballare, di cantare. La Nanà ‘studiata’ che cerca il solito riscatto da una vita di stenti e ignoranze (frase da recensore). Nanà internazionale (un compagno americano). Nanà in due continenti (sì, anche l’America). Nanà lunghezza della radice partenopea. Nanà madre di Viola, ma anche larghezza di una seconda gravidanza (gemellare). Nanà compagna di un marito ricchione, quantomeno bisex. Nanà figlia in cerca di un padre mai stato. Nanà La Smorfia di una mancanza (il Nonno, il Padre, il Marito) estratta con rimbussolamento su tutte le ruote per ogni nuovo anno che passa, per ogni festeggiamento della vita, per ogni liturgia di passione, per l’avvento di ogni nascita di ogni morte. E poi essere sempre “riposta come una pastorella da presepe dopo la Befana”.
A volte mettiamo la nostra vita passata in una custodia gentile, decorata negli anni dall’oblio e dalla tenerezza, dall’incanto di aver vissuto comunque qualcosa che aveva bellezza, nonostante tutto. E si finisce per dimenticare quello che non conviene, si finisce per vedere solo quella bellezza. Forse è giusto così. Certe altre volte, non ci accorgiamo che la custodia è rotta e ne fuoriescono – liquidi come lacrime – i nostri ricordi-gioielli neri tatuati sotto la pelle. Anche questo però è custodire. Un altro modo, certo. Forse più esibito.
Nanà-grande esercita l’atto di custodia della Nanà-piccola, la propaga, la predica, la espande, la giganteggia. Nella lingua e nella genealogia della sua terra Nanà fa luce, come un santo padre, al suo cambiamento. O meglio, ritorna come luce per vedere la ‘davvero’ realtà che la circonda, quella che “puzza di vero” e non quella che fa comodo vedere. È la sofferenza generata dall’incomprensione di questa dicotomia – ideale realtà e realtà ideale – che Cammarata è stata brava a raccontarci.
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Alle prime dieci pagine ho pensato di tutto, tutto il negativo. Il dialetto (qui c’è più di un problema sintattico), il registro (troppo alto in certi punti, ma che vuole fare?), la storia (ma queste cose le raccontano anche le pietre). A un certo punto mi sono un po’ vergognato e mi è venuto in mente il mio conterraneo scrittore D.D.S. quando ha letto il mio primo romanzo (:“Sì, bello ma… No, è che… Non è il mio genere”).
L’autore-lettore-recensore è un danno alla letteratura. Spesso è l’autore-lettore a scrivere recensioni. Tranne poche eccezioni, si tratta di conflitto di interessi. Vi risparmio la tiritera sulle implicazioni di questa infezione.
Il romanzo della Cammarata per me è bello. Non tutto funziona. La casa editrice avrebbe dovuto modulare un po’ meglio la comunicazione (a mio umile avviso: chiedo scusa per il parere non richiesto) e curare di più l’editing. A dirla tutta, l’autore-lettore-recensore è quasi sempre una pippa (anche inteso come noia).
Preferisco agire come quell’altro mio conterraneo, P. L, al quale molti di noi scrittori, napoletani e non, dobbiamo molto, che quando ha letto il mio primo romanzo ha detto: “Magnifico. Mi hai bruciato sul tempo. Ci stavo pensando io a una storia così”.
Cosa scriverà, la Cammarata, come secondo romanzo? Chi lo sa, chi se ne frega. Però questo suo debutto, a 55 anni, vale la pena leggerlo.
I Santi Padri
ISBN: 978–88–6110–043–5
Autore: Carmela Cammarata
Pagine: 128
Anno: 2010
Prezzo: 14 €
La sparo subito grossa: verrebbe a presentare i libri di autori vari a Ca’de’Gatti, Agriturismo Letterario? Si accettano risposte affermative con maggior gaudio!
Bella questa non recensione sulla Cammarata!
Barbara