Ciao Luigi

Luigi Di Ruscio è morto oggi a Oslo, dove era in esilio dal 1957. Aveva compiuto 81 anni lo scorso 27 gennaio. Da qualche tempo la sua fibra possente mostrava segni di sofferenza. Su proposta di Silvia Ballestra, la casa editrice Feltrinelli aveva preso la decisione di pubblicare l’anno prossimo un suo libro di prose, comprendente fra l’altro l’ultimo suo testo intitolato Allegri deliri. Ad Alberto Rollo però, il quale aveva appena cominciato a lavorare a questo progetto, il 31 gennaio Luigi aveva anche mandato queste sue poesie tarde, e almeno in parte inedite, che sono un po’ il suo testamento. Non è di circostanza il ringraziamento a Rollo, per questi testi e queste notizie. Sin dagli anni Cinquanta delle sue prime uscite poetiche, come ha poi raccontato nei suoi straordinari libri in prosa, Luigi aveva inseguito – e insieme sabotato – l’ipotesi di una sua pubblicazione presso un grande editore. Era destino, evidentemente, che non dovesse mai vederla realizzata. [Andrea Cortellessa] [qui trovate una ristampa del suo volume Le streghe s’arrotano le dentiere, Marotta 1967, e qui il suo inedito Iscrizioni.]

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per un inverno intero una vespa
fu il nostro unico animale domestico
per nutrirla bastò
una goccia di acqua e zucchero alla settimana
con la primavera sparì per sempre
per abbeverarsi in uno zuccherificio infinito
ed oggi per passare dalla zona d’ombra
alla luce è bastato un passo solo

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con la fine degli umani i grattacieli
si copriranno improvvisamente di licheni spumosi
gli asfalti inizieranno fioriture
che richiameranno gli insetti più luminosi
nessun gatto
rischierà di venire castrato
e nell’universo rimarrà lo splendente ricordo
di essersi visto con l’occhio umano

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essendo il tutto scaturito
dal ventre d’Iddio
alla fine dei tempi
il tutto ritornerà nel suo ventre
niente andrà perduto
tutto sarà gioiosamente salvato

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per potersi vedere
alla fine l’universo
creò l’occhio umano

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“sta zitto scemo”
ed ecco che ricevo un improvviso
schiaffo da parte di mia madre
però insisto con le buffonate
li ricordo tutti gli schiaffi sonanti
che mi somministrava mia madre
tutte le scempiaggini erano inutilmente punite
tutto quello che facevo era punito
resistere a qualsiasi costo
a volte riuscivo ad evitare
gli schiaffi di mia madre
e la mano di mamma volava
come volesse ghermire l’aria
e il sottoscritto rimane in vita
nonostante tutta la sua irresponsabilità
ormai sono diventato un personaggio immaginario
immerso in realtà non certo immaginarie
e per evitare gli schiaffi di mia madre
riuscivo a saltare dalla finestra
e mi ritrovavo incolume

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la speranza andava mostrata subito
inutile tenerla nascosta per paura che venisse derubata
sostenerla con versi blasfemi o sferici
e alla fine delle composizioni
come sbattendo il coperchio

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“sta zitto scemo” e mi arriva all’improvviso
uno schiaffo di mai madre
però insisto nelle buffonate
evito un ulteriore schiaffo
li ricordo tutti gli schiaffi sonanti
che mi somministrava mia madre
tutte le scempiaggini erano inutilmente punite
tutto quello che facevo doveva essere punito
resistere ad ogni costo appuzzare tutto
reclamare con insistenza una borsa qualsiasi
di sfossare i cani!
nascondiamoci tutti!

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il miracolo è essere vivi
come le meravigliose bolle di sapone
un istante prima di sparire
è l’estrema provvisorietà della nostra vita
che da carattere sacro alla nostra esistenza

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Peter Wessel Zappfe
LA MORTE È IL RITORNARE NELLA CONDIZIONE PRENATALE, QUANDO ERAVAMO IL NIENTE CHE VIVEVA IL NIENTE, E DI QUESTA CONDIZIONE NESSUNO SI È MAI LAGNATO. MORIRE NON È UNA TRAGEDIA, MA SOLO LA FINE DI UNA TRAGEDIA.

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stuoli di zanzare gigantesche
poi piogge che scoperchiavano i tetti
fischiavo continuamente nel vano tentativo
per fare sapere a tutti che c’ero anche io
con tutti i miei versi che venivano decifrati solo
dei complici della nostra congiura poetica
anche quando era andata via la luce
e ci urtavamo ridevamo
poi ritornò tutto come prima
e rivedemmo nelle nostre facce la solita ferocia

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ed è necessario nascondere il proprio strazio
per non far ridere i nostri nemici
cercare nelle fibre estreme della nostra gioia
e la rivoluzione italiana sarà la nostra gioia e la loro disperazione
con questa gioia disperata e questa disperazione gioiosa
cercavo di far balbettare con questo alfabeto
un debolissimo spirito dei tempi nuovi
in certe terre registrata la morte in massa delle api
che di voi resti un’ombra fossile
che si risappia che qui il sapore miele è passato

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fate molta attenzione alle cose la realtà era una capsula fulminante
le parole più reali della realtà stessa
la mia povertà me le faceva amare disperatamente
poesia istantanea senza incertezze
a comunicazione rapidissima come segnali stradali
negli ingorghi stradali potevi anche metterti a volare
le cose perse le ritrovavo subito appena smettevo di cercarle
trovo tutto meno quello che cerco

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oggi primo aprile festa della creazione del mondo
anniversario dell’esplosione dell’uovo comico o cosmico che sia
la rivelazione del verbo essere
quando tutti i verbi iniziarono l’espansione universale
qui viviamo sotto l’influenza dell’oceano
lunghi gli inverni e cortissime le primavere
qui morirò in piedi o in bicicletta
o fulminato dal traffico o dall’arteriosclerosi
e quella la sfera metallica durissima va scalfita
scovare la belva rintanata dentro di noi
segnalare col solo fischiare
questa vita assolutamente non richiesta

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sapevo bene che andare contro la propria coscienza
è pericolosissimo soprattutto per me
che vado sempre in bicicletta
uno rischia come niente fosse la catastrofe sull’asfalto
rischi un cancro al cervello come niente fosse
insonnie e lutti in un inferno continuo

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era appena finita la guerra
mio padre aguzzava cucchiara e martellina
dovremo ricostruire tutte le nostre distruzioni
e a liberazione avvenuta fui promosso facchino di muratore
del mio facchinaggio mio padre era veramente poco soddisfatto
io ero poco soddisfatto di tutto questo vostro mondo
giuliva è la vita degli uomini più giuliva è la vita dei gatti
con nove vite da vivere tutte interamente

301
Vengo invitato ad un seminario sulla ripetizione e l’angoscia e il sottoscritto
invece pretendeva un seminario della creazione e della gioia
non volendo niente a che fare con i psichiatri e i sicologhi nostrani
evito perfino i preti con tutti i loro confessionali che assomigliano
maledettamente ad orinatoi pubblici e puzzano maledettamente di piscio
i miei mali mentali e corporali voglio godermeli tutti
e se devo essere salvato mi rivolgo direttamente al Salvatore
perché un poeta per mettersi in contatto con Iddio
non ha bisogno d’intermediari e se
io non credo in Dio lui
Iddio crede amorevolmente nel sottoscritto
E sorride delle sciagure nostre.

304
nel caos produttivo del reparto ogni tanto
sulla polvere incido un verso
oppure scrivevo su un pezzetto di carta
con una matita molto morbida
fa in maniera che non si accorgano di niente
ci furono molti versi immaginari
che non ho fatto in tempo a scrivere
passano velocissimi
non faccio in tempo ad acchiapparli

305
manovre amorose lunghissime e poi il velocissimo orgasmo
proprio come le poesie con le manovre di tutti i generi
ed improvvisamente quando meno te l’aspetti
ecco la poesia nostra

307
sono ritornati i popoli delle baracche
sono ritornati i campi di concentramento con i fili spinati
mancano solo le camere a gas
Attenzione, muoviti! può ritornare l’atroce,
l’atroce comincia ad essere approntato
con il muto consenso di ogni uno di noi
e come al solito non vedremo
e non sapremo niente.
Noi come al solito non crederemo.
siamo più o meno tutti fascisti
è necessaria una critica spietata verso noi stessi
per liberarci da questo cancro che ci divora

*

la speranza andava mostrata subito
inutile tenerla nascosta
per paura che venisse derubata
sostenerla con versi blasfemi o sferici
e alla fine delle composizioni
come sbattendo il coperchio
di una cassa da morto
per chiudere tutto

*

L’ultima poesia di Luigi Di Ruscio

ho la bocca piena di farfalle
e se apro la bocca
voleranno via tutte
e non ritorneranno neppure
se rimango a bocca spalancata
per una eternità

40 COMMENTS

  1. Conta più un unico giusto

    di tutti gli scellerati

    conta più un verso lieto

    di tutti i nostri versi tristi.

    un grande, grazie

  2. Queste poesie sono bellissime.
    Di Ruscio era un vero genio, e spero che prima o poi possa avere il riconoscimento che merita.
    Leggerlo era vedere miracolosamente riformulato il mondo.

  3. se ne va uno dei migliori del nostro secondo ‘900

    *

    l’ultima poesia
    iscritta tanto faticosamente
    riprendere fiato ad ogni parola
    squadrare sul vocabolario
    quella parola introvabile
    il tutto era così luminoso intatto
    e mi sentivo sporco contaminato
    tutta quella neve esposta ad un sole
    tutta questa gente esposta alla morte

  4. sono molto colpito, l’ho molto amato. “La neve nera di Oslo” penso si l’unico libro che ho letto due volte di seguito, non volevo che finisse.

  5. Mi mancherà Di Ruscio. Mi mancheranno le sue mail improvvise, i suoi cassetti inesauribili, da cui saltavano fuori sempre nuovi testi. Mi mancherà la sua lezione di Candido tremendo, che possedeva uno straordinario talento dell’insolenza. Con NI tutta, c’è stata una grande amicizia. Io segnalo qui solo alcune cose. Dall’e-book realizzato nel 2004 da Biagio Cepollaro a partire dal primo libro di Di Ruscio non più in circolazione, agli inediti che mi mandò per il sito di Alfabeta2.

    http://www.nazioneindiana.com/2009/06/09/da-cristi-polverizzati/

    http://www.nazioneindiana.com/2007/07/23/alcune-poesie-operaie/

    http://www.nazioneindiana.com/2004/11/17/poesia-italiana-e-book-di-biagio-cepollaro/

    http://www.alfabeta2.it/author/luigi-di-ruscio/

  6. Fino a poche settimane fa abbiamo lavorato insieme alla revisione di “Memorie immaginarie”, un romanzo di stampo autobiografico, come sempre. Ci siamo accapigliati su ogni riga, le ultime che mi ha lasciato sono queste:

    “Scrivo un poemetto durante una riunione in una sezione del PCI nel Piceno, anno 1956. Occorre una lingua di fiati grevi, mi dico, piena di sottintesi osceni. In sezione gli interventi si succedono in maniera disperata, non si capisce bene dove vogliano andare a parare, rimango sbalordito da un compagno che si alza e chiede di concludere, ma che vuoi concludere, dico? Che ognuno scelga la sua strada, piuttosto. Certi continuano a discutere, altri spariscono, la gran parte si guarda in faccia senza riuscire a pronunciare la parola fine. Vogliono spezzare le catene che li tengono avvinti alla macchina capitalistica, e suvvia spezzatele, poi però non abbiate paura di perdere il televisore, il frigorifero o la cinquecento. Visito Franco Fortini, mi legge una poesia di Rimbaud, “vedi questo pezzo di legno secco”, declama, e fa un gesto come per mostrarmi qualcosa nella mano vuota, io invece sono affascinato da un vaso di terracotta posto su una mensola alle sue spalle, con fiori di cardo secchi disegnati sulla pancia. Sarà perché durante la guerra ho fatto scorpacciate di cardi. In quel tempo avevo perfino un piccolo temperino per pelarli, sapevo scegliere magnificamente quelli più teneri e freschi, i cardi fioriti erano duri e immangiabili, quelli secchi non li consideravo nemmeno. Altri tempi. Qui dove vivo ora è tutto secondario e mediocre, pugni tanti, parole anche, ma niente che incida veramente. Solo confusione. Ciò di cui avrei davvero bisogno è un posto tranquillo in cui stare, per evitare l’incubo e l’insonnia, da cui scrivere sul continuo tramontare del mondo, di spettacoli dissimili impiombati in questa matrice uniforme, dell’uniformità religiosa per atei e devoti, dell’uniforme del vicario, bianca come quella del fornaio e dell’infermiere, diversa da quella del matto, però, che sui muri scrive: BANDIERA ROSSA LA TRIONFERÀ NELLE LATRINE PUBBLICHE DELLA CITTÀ. Sui muri delle latrine anche disegni: donne con bocche enormi, come volessero ingoiarsi l’intero universo maschile, i pesci senza tregua dei cristiani, agire per segni oscuri e tenebrosi, ecco gente convinta di aver capito tutto, mai tormentata dal dubbio, che corre impazzita verso la certezza, tutti quei fuochi che indicano la strada alla volante casa di Loreto, sempre più nera per i fiati che s’incrostano nelle fessure delle sue pietre, le vergini spose di Cristo con i lori gigli candidi, i morti fanciulli nelle loro cassette bianche e crociate, i simboli strazianti della morte, andare avanti senza perdere nulla nella continua ripetizione del rito”.  

  7. “Bisognerà -confida il Di Ruscio- che trovi un medico di poca fantasia, non vorrei essere curato da malattie del tutto immaginarie con medicine che ammazzano veramente. Bisognerà far durare il sottoscritto nostro se si vuole che la serie di romanzi palmirici e borici siano portati a termine (…)”.

  8. L’utilita’ del web e di siti culturali come NI si fonda essenzialmente sul fare in modo che poeti come Di Ruscio non passino inosservati e che la loro Opera trovi la giusta diffusione tra chi pratica poesia, prima ancora che nel mercato. Un saluto affettuoso al fu Di Ruscio, che anche noi di nabanassar abbiamo molto stimato.

  9. chi sono oggi i poeti della nuova condizione operaia? chi, insomma, gli eredi del grandissimo di ruscio

    p.s. non tutti muoiono…

  10. Ho conosciuto Luigi, tramite Mariella Bettarini e Roberto Voller, nel 1979…
    Buon viaggio, caro amico…

  11. L’eterno riposo ci sorride,
    il tetro splendore del nulla,
    il dolce far niente
    senza problemi per l’eternità,
    una prospettiva niente male,
    il mio scheletro lo merita
    e quando prima lo godrà.
    le anime vip arricchite
    nei gabinetti di lusso
    con la carta igienica in mano
    guardano con orrore
    alla morte
    sono dei disperati viventi.
    Le guance dell’umanità
    sono fresche e sode,
    Dio le benedica.

  12. Sono molto colpito per questa perdita. Ci lascia un uomo e un poeta, un operaio della parola. Guardategli le mani, nei video o nelle foto. Con quelle mani ha lavorato e ha scritto.
    Ciao Luigi, buon viaggio.
    FF

  13. mi scriveva delle e mail inattese e abbiamo corrisposto più e più volte quasi come in una chat, attraverso la posta elettronica, quando la malattia lo aveva toccato profondamente e, sembrava, gli avesse tolto la forza che lui ha sempre messo,come una grazia, nelle sua poesia e nella prosa. La sua forza non serviva, serviva una accoglienza diversa, e di questo abbiamo parlato a lungo.Quando poi ho letto la poesia della vespa ho sentito che aveva davvero aperto la porta.
    Non troverò più le sue e mail quando meno me le aspetto,ma non sarai mai lontano.Grazie di tutto Luigi.
    ferni

  14. ho appreso stasera e ne sono sconvolto (sinceramente proprio ieri tiravo fuori tutte le sue mail…)
    e sottoscrivo l’intervento di Inglese
    “Mi mancherà Di Ruscio. Mi mancheranno le sue mail improvvise, i suoi cassetti inesauribili, da cui saltavano fuori sempre nuovi testi. Mi mancherà la sua lezione di Candido tremendo, che possedeva uno straordinario talento dell’insolenza”…”
    che rabbia mi fa se penso che rincorreva da sempre la pubblicazione con una grande casa editrice…
    ciao Luigi…
    r.

  15. Non ho avuto il privilegio di conoscerlo, di leggerlo e amarlo, questo sì – ed è grave quando non abbiamo potuto vedere di persone qualcuno di così prezioso, un uomo e poeta così identico in se stesso.
    Maria Pia Quintavalla

  16. grande uomo. conservo mail di accesa passione e scambi intelligenti. peccato si parli sempre della morte dei poeti, del fatto che ci lasciano, mentre vorrei le città tappezzate di poesie, poesie scritte sull’asfalto e sui palazzi… utopici sogni ci guideranno sempre.
    la poesia ultima l’avevamo scelta per il numero de Il Foglio Clandestino dedicato al sogno, la scrittura. un piccolo merito ma di facile attuazione vista la qualità del testo… ciao luigi

  17. Vorrei ringraziare Francesca Matteoni che me ne parlò una sera sui gradini di Santa Croce e Biagio Cepollaro che me (ce) lo rese immediatamente disponibile con i suoi preziosi pdf.

  18. Dai contatti e-mail era sempre molto disponibile ed umano. Ecco un suo testo, già proposto da Luigi Nacci in diversa versione, che mi consegnò per Sinestesie, allora ancora inedito:

    l’ultima poesia iscritta tanto faticosamente
    riprendere fiato ad ogni parola
    squadrare sul vocabolario quella parola introvabile
    il tutto era così luminoso intatto e mi sentivo sporco contaminato
    non facevo che immergermi nella vasca
    tutta quella neve esposta ad un sole precoce
    tutta questa gente esposta alla morte
    vivrai una vita immortale solo
    se vivi continuamente nel consueto nell’ovvio
    muore chi è veramente vivo ed è continuamente nell’irripetibile
    le ripetizioni l’ovvio il consueto sono cose senza tempo eterne
    chi vive veramente è in una estrema fragilità
    il miracolo è avvenuto la cosa non sarà più ripetuta
    appena si è mostrata è finita per sempre

    http://www.rivistasinestesie.it/scritti_poesia/diruscio_inedito.php

  19. Non ho letto quasi niente di lui, ne ho sentito parlare per la prima volta da voi e da giorgio, ma certo le sue poesie che avete postato sono semplicemente sublimi.
    geo

  20. Sovente si rimpiange di non avere conosciuto un sorriso, una voce, uno sguardo. Rimangono una foto, un poeta tiene verso noi una spiga;
    spiga al vento della primavera, gambo di poesia fragile, è un dono venuto dal campo, dal cielo, dalla svolta del camino, è un momento di ricordo d’infanzia, tutto è chiaro, niente nebbia, si guarda la vita davanti al sole, nella bolla felce della poesia, il poeta ha fiducia nel universo e nell’uomo.
    E leggendo si compie la felicità di sapere del mondo e della vita.

  21. IN MEMORIA DI LUIGI DI RUSCIO

    Noi adesso ce ne andiamo a poco a poco
    (Sergei Aleksandrovič Esenin)

    Partecipo anch’io al compianto per la morte di Luigi Di Ruscio pubblicando questa sua lettera del 7 gennaio 2010. È un documento schietto di una memoria ancorata alla giovinezza (sua e della vita letteraria di questo Paese ora in disfacimento) e del suo umanissimo e controverso rapporto con il poeta mentore che lo seppe riconoscere. La confessione più intima non mi pare intacchi la sua immagine. Anzi ne conferma la vivacità. Un pizzico di follia ce l’abbiamo tutti. [E.A]

    *
    7 gennaio 2010

    Caro Abate, ho ricevuto oggi il numero 6 di dicembre [2009] di Poliscritture, vi ringrazio molto, ho pubblicato a maggio CRISTI POLVERIZZATI, editrice LE LETTERE, collana FuoriFormato diretta da Andrea Cortellessa. Vi prego di leggerlo, costa 25 euro è un libro di 307 pagine. Non ho la possibilità economica di spedire i miei libri. Una piccola curiosità, come avete avuto il mio indirizzo postale?
    Ho visto che ti interessi molto di Majorino, tutti e due abbiamo iniziato a pubblicare con lo stesso editore Arturo Schwarz, io nel 1953 con la raccolta “non possiamo abituarci a morire” e Majorino nel 1959 con “la capitale del nord” cioè Milano la città dove viveva lui. Infatti nella mia prima raccolta vi è un lungo poemetto dal titolo “la città dove viviamo” devo riconoscere che sono stato molto precoce sono nato nel 1930.
    Giancarlo mi ha molto aiutato, quando vidi la prima antologia nella poesia italiana di Giancarlo edita da Savelli nel 1976 piansi dalla commozione. Mi fece pubblicare “istruzioni per l’uso delle repressione” libro questo che diventa sempre più attuale e Giancarlo mi ha incluso in tutte le sue antologie. Ci siamo guastati per una mia cattiveria. Mi aveva invitato a leggere le poesie a Milano insieme a giovanissimi, gli scrissi che desideravo leggere le mie poesie con poeti della mia età. Giancarlo mi rispose che potevo decidere io di leggere le mie poesie quando compirò i novanta anni, io gli risposi che se arrivo agli ottanta anni verrò a Milano non per leggere le mie poesie ma per pisciare sulle vostre tombe. Giancarlo mi rispose che nei miei confronti si era sbagliato e non voleva avere più contatti con me. Non è che Giancarlo si è sbagliato, ogni tanto ho momenti folli, vicino al suicidio è faccio cose molto cattive e tronco i rapporti con tutti, finire. Tanti saluti, luigi

  22. Grazie Ennio, per aver fatto conoscere questa bellissima e importante lettera di Luigi Di Ruscio, in cui rievoca i suoi rapporti con Giancarlo Majorino e i motivi del loro recente distacco.
    Giuseppe Muraca.

  23. Ho conosciuto Di Ruscio nel 2009, era aprile. Mi è sembrato un uomo di una grande semplicità sotto una scorza che per la vita che ha fatto non poteva che essere quasi granitica. Mi sembrava lontanissima da me, la sua poesia… Poi ho scoperto che il suo lavorare per blocchi verbali mi apparteneva molto più di quanto fossi disposto ad ammettere. Quel giorno eravamo a un tavolo di un chiosco vicino al duomo di Fermo, dove Di Ruscio era nato. Appoggiò un suo libro sul quel tavolo con l’intento, neanche troppo recondito, di farmelo acquistare. Mi sembrò una furbata e non lo feci… Oggi mi pento di aver voluto gareggiare con lui in furbizia. Non poteva regalare i suoi libri anche se aveva un disarmante bisogno che la sua opera arrivasse agli altri. Mi pento molto di non avere quel libro. Ciao Luigi, peccato non averti potuto conoscere meglio e di più.

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