Verifica dei poteri 2.0: Massimo Rizzante
[Massimo Rizzante risponde alle Cinque domande su critica e militanza letteraria in Internet a proposito di Verifica dei poteri 2.0; qui le risposte precedenti]
1. Le linee fondamentali di questa ricostruzione ti sembrano plausibili?
Sì, mi sembra che la vostra sia un’ottima analisi della situazione nella quale ci troviamo.
2. Quando e perché hai pensato che Internet potesse essere un luogo adeguato per “prendere la parola” o pubblicare le tue cose? E poi: è un “luogo come un altro” (ad esempio giornali, riviste, presentazioni o conferenze…) in cui far circolare le tue parole o ha delle caratteristiche tali da spingerti ad adottare delle diverse strategie retoriche, linguistiche, stilistiche?
Per me tutto è iniziato qualche anno fa, quando alcuni componenti di Nazioneindiana.com mi hanno invitato a entrare in redazione. Non ero molto convinto, ma mi sono fatto convincere. Da allora posto abbastanza regolarmente alcuni miei testi (poesie, saggi, traduzioni) e meno regolarmente testi di altri. Non condivido lo schiacciamento verso l’attualità politica e sociale che Nazioneindiana.com ha assunto, o che forse ha sempre avuto. L’interventismo intellettuale non mi appartiene (mi rendo conto che di non essere un buon soggetto per il vostro questionario). Ma Nazioneindiana.com è un luogo di libertà, per cui c’è molta tolleranza. Posto periodicamente anche su Zibaldoni.it e ho una rubrica mensile su Absoluteville.com. Pubblico di tanto in tanto anche su “La Repubblica” e sul “Venerdì”. Le differenze tra la rete e i giornali sono evidenti: in rete sei libero fin da subito di dire la tua e di proporre autori e opere che non sono sottomessi ai diktat del mercato editoriale. Nei giornali la libertà va conquistata nel tempo, e non è detto che si ottenga. Puoi venire a patti, ridurre il tuo potenziale di integrità morale, darti all’ecumenismo culturale, scoprire che la prostituzione intellettuale non è poi così difficile. Oppure farti rimandare indietro i testi che hai proposto. A parte la brevità, che è intrinseca a un buon uso dei post in rete, cerco di mantenere in ogni caso il mio “stile”, che, del resto, non disprezza affatto la “concinnitas”.
3. A tuo giudizio, sempre riguardo alla discussione letteraria, la critica o la militanza, cos’ha Internet di particolare, di specifico e caratterizzante, se ce l’ha, rispetto ad altri mezzi di comunicazione?
La libertà d’azione, di proposta. E, naturalmente, i tempi di reazione e un certo controllo, attraverso i commenti dei blog, dell’orizzonte d’attesa.
4. Ti sembra che la discussione letteraria in rete oggi sia diversa da quella di qualche anno fa? Credi inoltre che la discussione letteraria fuori dalla rete sia stata in qualche modo influenzata da ciò che si è prodotto sul web o è rimasta tutto sommato indifferente?
Penso che da qualche anno la sola riflessione letteraria degna di questo nome si faccia sul web. Nei giornali non esiste più. Nei settimanali è ridotta a ornamento, compressa dalla “Cultura”, ovvero: cinema, moda, pubblicità, cucina… Di mensili letterari non ce n’è. Voglio dire qualcosa come “Le magazine littéraire” non è mai esistito in Italia. Il secolo delle riviste letterarie è alle nostre spalle.
Non mi sembra, per ora, che la riflessione letteraria in rete abbia granché influenzato quella dei giornali. Ci vorrebbe più coraggio da parte dei direttori. Mai direttori dei giornali sono segugi sulle tracce dei loro lettori. Nel web si possono battere piste inesplorate, senza preoccuparsi troppo se qualcuno ti segue. Nel web, che è uno strumento democratico per antonomasia, c’è spazio per una sana logica di élite.
5. Nel saggio abbiamo lasciato fuori qualsiasi considerazione su come la rete stia o meno contribuendo a erodere i tradizionali processi di legittimazione letteraria. Pensi, ad esempio, che la possibilità offerta ad ogni lettore di dare diffusione a un proprio giudizio di gusto su un libro (siti come aNobii, le recensioni su Amazon, blog personali ecc.) metta in qualche misura in discussione il ruolo e la funzione del critico, oppure sono due ambiti diversi che non si intersecano (o non dovrebbero essere confusi)?
Il critico letterario è un rilettore. Non è un lettore. I lettori esprimono giudizio di gusto. I rilettori dovrebbero esprimere dei giudizi estetici. C’è spazio per tutti, sempre che i due giudizi non si confondano. E sempre che il lettore non si prenda per scrittore. Il pericolo più grande della democratizzazione del giudizio di gusto, insita nel web, è la scomparsa della frontiera tra “creatività” e “creazione”.
Massimo Rizzante
[immagine: retro di Paul Klee, Abfahrt der Schiffe, 1927, Neue Nationalgalerie Berlin]
molto ponderate ed esatte le riflessioni di Rizzante: sarebbe interessante approfondire il limen “creatività”/”creazione” , V.
anche nelle risposte rizzante sbaraglia il campo
puntuale appuntito preciso.
vero
c.
Rizzante è probabilmente lo scrittore (ho difficoltà con la parola “poeta”) che più stimo, punto di riferimento (inconsapevole, bontà sua) e metro di misura per il verso. Questa sua riflessione la voglio “riflettere”, ci sono due diversi punti che mi lasciano in sospensione: l’interventismo intellettuale, la dicotomia tra gusto e giudizio critico.
Sul secondo punto sento di esprimere netta condivisione, da lettrice.
Sul primo, invece, non sono del tutto concorde, ritenendo necessaria la parola di chi sappia dire e spiegare, molto più di tanta letteratura che sì arricchisce, ma solo i pochi che la sanno ascoltare. Ritengo necessari e intimamente complementari, entrambi.
con stima.
Tutto si tiene. La presa di distanza dai discorsi sull’attualità politica fa il paio con la sana logica d’élite, che siginifica dare spazio alla “creazione”, prima che alla “creatività”. Perché la creatività è di tutti, e dunque di massa; mentre la creazione è dell’artista, e dunque necessariamente d’élite. Del resto, è su questo crinale che si sono realizzate e scontrate differenti posizioni in questi anni.
Anni fa ho sentito Luigi Lombardi Vallauri dire che dal momento in cui uno comincia a scrivere, comincia a leggere in un altro modo, ineliminabilmente diverso da prima: la scrittura è uno spartiacque. La cosa mi ha colpito anche perché mi sembrava riguardare anche me, che non ho scritto fiction, ma solo saggi. Forse questo è uno degli elementi che contribuisce al fatto che il critico non sia un lettore ma un ri-lettore.