Verifica dei poteri 2.0: Massimo Raffaeli
[Massimo Raffaeli risponde alle Cinque domande su critica e militanza letteraria in Internet a proposito di Verifica dei poteri 2.0; qui le risposte precedenti]
1. Le linee fondamentali di questa ricostruzione ti sembrano plausibili?
A me sembra che si tratti di una ricostruzione accurata, equilibrata, comunque perspicua anche agli occhi di un profano, quale mi ritengo. In materia, non mi sento di dare nulla per scontato: uso il computer da meno di dieci anni, lo considero una prosecuzione della dattilografia con altri mezzi e peraltro sono affetto dalla metafisica del cartaceo. Riesco a leggere solo testi stampati, per me la Rete è un dizionario o uno stradario, insomma un perpetuo (e talora allarmante) impromptu.
2. Quando e perché hai pensato che Internet potesse essere un luogo adeguato per “prendere la parola” o pubblicare le tue cose? E poi: è un “luogo come un altro” (ad esempio giornali, riviste, presentazioni o conferenze…) in cui far circolare le tue parole o ha delle caratteristiche tali da spingerti ad adottare delle diverse strategie retoriche, linguistiche, stilistiche?
Mi è occorso di scrivere per i cosiddetti blog, diverse volte, ma l’ho fatto sempre su invito. Oltretutto, non mi dà sicurezza perché non riesco quasi mai a cogliere il contesto in cui la mia scrittura si inserisce né, tanto meno, riesco a ipotizzare la fisionomia del lettore eventuale. Mi rendo conto, tuttavia, che il blog non è uno spazio come un altro e perciò ho accettato di recente la proposta di tenere una rubrica sul neonato “Doppiozero”. L’espressione può sembrare comica, ma per il sottoscritto tale decisione corrisponde a un vero e proprio rito di passaggio.
3. A tuo giudizio, sempre riguardo alla discussione letteraria, la critica o la militanza, cos’ha Internet di particolare, di specifico e caratterizzante, se ce l’ha, rispetto ad altri mezzi di comunicazione?
Direi che la chance come il pericolo di un blog consiste nella immediatezza, a qualunque livello, dunque nella possibilità di prendere la parola, persino di arrogarsela, evadendo d’acchito le tradizionali mediazioni (più o meno assoggettate ad un cursus honorum) di chi invece pubblica su tradizionali supporti cartacei.
4. Ti sembra che la discussione letteraria in rete oggi sia diversa da quella di qualche anno fa? Credi inoltre che la discussione letteraria fuori dalla rete sia stata in qualche modo influenzata da ciò che si è prodotto sul web o è rimasta tutto sommato indifferente?
Non sono appunto nelle condizioni di rispondere alla prima parte della domanda. Circa la seconda, non c’è dubbio che chi pubblica su carta tende ormai a utilizzare, e spesso a incorporare, quanto è già comparso in Rete, e viceversa. Ma spesso la pletora dei riferimenti moltiplica i sottintesi, le scorciatoie gergali, e tutto ciò dà luogo ad un paradossale esoterismo, anzi a un ufficioso corporativismo che in tutto contraddice la tanto sbandierata “democrazia” di Internet .
5. Nel saggio abbiamo lasciato fuori qualsiasi considerazione su come la rete stia o meno contribuendo a erodere i tradizionali processi di legittimazione letteraria. Pensi, ad esempio, che la possibilità offerta ad ogni lettore di dare diffusione a un proprio giudizio di gusto su un libro (siti come aNobii, le recensioni su Amazon, blog personali ecc.) metta in qualche misura in discussione il ruolo e la funzione del critico, oppure sono due ambiti diversi che non si intersecano (o non dovrebbero essere confusi)?
Torno alla terza risposta e ai pericoli dell’immediatezza, qui intesa nel senso della risposta impulsiva ad uno stimolo, della carenza di mediazione intellettuale. Non è che mi preoccupi l’obsolescenza o la scomparsa di una gilda professionale, è che assisto ad un diffuso venir meno dello “spirito critico”, espressione cancellata dal senso comune. La libertà della Rete, la medesima facilità di accesso, tendono a de-responsabilizzare perché è facile aprire la bocca o il pc e dargli fiato, cioè parlare e scrivere alla buona, liberarsi con sollievo di tutto ciò che passa per la testa. Com’è che lo definiva Fortini, nel paleolitico dei media? Surrealismo di massa. Che ne sia consapevole o no, lo stile dell’immediatezza non è innocuo né innocente. A quanto mi risulta, c’è un giornale, “Il Foglio”, che ne ha fatto la propria divisa e lo utilizza da poetica prescrittiva: lì, le recensioni letterarie e cinematografiche sono scritte rigorosamente in stile negligé, falso-americano, falso-trasandato, falso-trasgressivo, insomma nello stile falso e basta che ama fregiarsi del titolo di “politicamente scorretto”. Infatti è lo stile della più compunta servitù ovvero di una servitù talmente ilare e svagata che Etienne de la Boétie (il giovane amico di Montaigne) già allora la chiamava servitù volontaria.
Massimo Raffaeli
La scrittura 2.0 ha la stessa volatilità, atermia, delle lingue (stili) presuntive: femminile, etnica, coloniale, teologica, ecc. A parte il grafismo dei caratteri.
Pochi anni e il tipolito schermatico scomparirà.
Gli onciali tremuli dei pixel saranno segni arcaici.
Il web sarà tutto vocale e touch-screen. I nostri notebook, PC, obsoleti come i vinili e i CD.
Torneremo a scrivere incidendo le pietre.