Verifica dei poteri 2.0: Enrico De Vivo
[Enrico De Vivo risponde alle Cinque domande su critica e militanza letteraria in Internet a proposito di Verifica dei poteri 2.0; qui le risposte precedenti]
1. Le linee fondamentali di questa ricostruzione ti sembrano plausibili?
Probabilmente è presto per storicizzare in maniera credibile i rapporti tra letteratura e web – ammesso che si tratti di un tema degno di essere storicizzato. Ci vuole ancora del tempo, affinché si sgombri il campo da passioni rivendicative e aspirazioni alla legittimazione, che non aiutano il giudizio critico né il racconto. Ad esempio, la rivista “Zibaldoni e altre meraviglie” (www.zibaldoni.it), liquidata in poche battute, in realtà ha contribuito in questi dieci anni a mettere in contatto virtuoso generazioni di letterati molto lontane tra loro anche anagraficamente, andando oltre la stucchevole dicotomia tra “dentro” (di solito i “giovani”) e “fuori” (di solito i “vecchi”) dal web. Penso a Gianni Celati, Antonio Prete, Marianne Schneider, Barbara Fiore e a tanti altri studiosi e scrittori non proprio giovanissimi, che si sono spesi e hanno dialogato in maniera serrata con scrittori delle generazioni più recenti (dal compianto Giorgio Messori a Massimo Rizzante, Francesca Andreini, Alessandro Carrera, Emanuele Coccia, Stefania Conte, Walter Nardon, Stefano Zangrando e tanti altri), a prescindere dalla formula della “rivista tradizionale” e dal mezzo stesso (internet) – perché evidentemente in queste faccende è importante non tanto il mezzo, o la “formula”, quanto il fine. Grazie a “Zibaldoni”, inoltre, si sono potute incrociare esperienze e tradizioni differenti, che a volte hanno dato vita a strambi corto-circuiti, che costituivano però l’unico modo per andare al di là della logica italica dei gruppi e delle bande. Lo scambio virtuoso tra generazioni differenti e il superamento della logica dei gruppi, oltre al riferimento a una poetica antiromanzesca, pinocchiesca e meravigliosa, inusuale per l’Italia letteraria realista e impegnata, sono solo alcuni dei tanti aspetti che, nel vostro saggio come in altre analisi simili, restano in ombra a scapito di altri molto più effimeri, connessi alla celebrazione di personaggi alla moda e di questioni critiche a dir poco evanescenti. Lasciamo dunque che passi ancora un po’ di tempo, e tra qualche decennio magari riparliamo di chi e di che cosa, in questi anni, è stato sostanziale per la letteratura – se, tanto per dirne una, Gianni Celati e Antonio Prete, oppure Wu-Ming e Loredana Lipperini.
2. Quando e perché hai pensato che Internet potesse essere un luogo adeguato per “prendere la parola” o pubblicare le tue cose? E poi: è un “luogo come un altro” (ad esempio giornali, riviste, presentazioni o conferenze…) in cui far circolare le tue parole o ha delle caratteristiche tali da spingerti ad adottare delle diverse strategie retoriche, linguistiche, stilistiche?
Non ho mai pensato alle “mie cose” quando ho pensato a internet come veicolo di scambio letterario. Le “mie cose”, come le “tue”, le “sue”, le “nostre”, le “vostre” e le “loro”, erano e sono il limite mortale della letteratura, web o non web. Invece, alla base dell’attività letteraria di “Zibaldoni e altre meraviglie” c’è sempre stato qualcosa di extraindividuale e di sganciato il più possibile da logiche promozionali e pubblicitarie. Abbiamo seguito delle linee di pensiero, quelle che ci interessavano naturalmente, mai soltanto degli “autori” in quanto tali. Ai tempi in cui la rivista e il sito sono nati (fine 2002, molto prima, quindi, di tanti siti più comunemente, ma erroneamente, citati come “pionieri”), internet era lo strumento dei poveri e dei disgraziati. Noi eravamo poveri e disgraziati, ed eravamo attratti, come tutti, dall’incipiente chiacchiericcio globale, di cui dirò più avanti. In più, avevamo forse delle cose da dire, perciò siamo sopravvissuti anche a chi, poi, dopo aver chiacchierato con noi pubblicamente, è andato a perdersi nei salotti buoni dei premi letterari. Noi ci siamo dati da fare con internet perché vivevamo il nostro tempo, contraddizioni incluse, con entusiasmo e trasporto – tutto qui. E questa è una cosa che ricordo ancora oggi con affetto. Internet non è un luogo come un altro, ovviamente, ma questo non significa che adatto il mio modo di scrivere al mezzo. Al limite, è il mezzo che si adatta alla mia scrittura, cambiandola in una maniera che certamente io non domino e di cui ho poca consapevolezza nell’immediato. Analogamente, i cambiamenti – retorici, linguistici, stilistici – che certamente si sono avuti con l’invenzione della stampa o con la diffusione dei giornali, non sono stati guidati dagli scrittori, bensì provocati da mutazioni sociali, tecniche e culturali molto complesse e di lunga durata.
3. A tuo giudizio, sempre riguardo alla discussione letteraria, la critica o la militanza, cos’ha Internet di particolare, di specifico e caratterizzante, se ce l’ha, rispetto ad altri mezzi di comunicazione?
Ha tutti i difetti degli altri mezzi (di comunicazione): illusione di contatto intimo e profondo, tendenza a isolare chi ne usufruisce, creazione di dipendenza, limitazione della facoltà critica, ingabbiamento dell’immaginazione. Tutto ciò, applicato alla “discussione letteraria”, produce un frutto particolare, che è la vera quintessenza di internet: il “commento”, che più modernamente sarebbe forse opportuno definire “chiacchiera” (anche per distinguerlo da quello medievale, di tutt’altro spessore…). Frutti soporiferi e venefici del tempo reale applicato alla scrittura, i “commenti” leggibili nei blog letterari rappresentano benissimo tutto ciò che ha fatto irruzione (anche) nel “discorso letterario” negli ultimi dieci anni: la chiacchiera diffusa e anonima, alla quale, come in un incantesimo, nessuno riesce a sottrarsi, nemmeno i critici più rigorosi, che intervengono difatti con spirito militantissimo ovunque ci sia un po’ di baraonda e un minimo territorio da marcare. È l’epoca, questa nostra, in cui tutto e tutti si equivalgono e hanno il diritto (sic!) di dire la loro: l’epoca della baraonda critica, o della critica come baraonda – e le lenzuolate dei “commenti” sui blog letterari sono il suo democratico sudario.
4. Ti sembra che la discussione letteraria in rete oggi sia diversa da quella di qualche anno fa? Credi inoltre che la discussione letteraria fuori dalla rete sia stata in qualche modo influenzata da ciò che si è prodotto sul web o è rimasta tutto sommato indifferente?
Come ho già detto, non mi sembra utile o necessario distinguere tra “dentro” e “fuori” dal web, a maggior ragione oggi: quello che conta è la sostanza di quel che si dice o si scrive, in rete o su carta. Rispetto ai primi anni, oggi la situazione della “discussione letteraria” in rete è molto diversa. All’inizio c’era molta più ingenuità e generosità, come testimoniano, ad esempio, le lunghe discussioni, sbagliate nei toni ma appassionate, tra “Zibaldoni” e quelli di “Nazione Indiana”. Adesso è tutto molto più ricercato e freddo, sono entrati tutti in rete, anche il più sprovveduto degli studenti di Lettere ha un suo blog in cui dice la sua (e spesso la dice benissimo). Il risultato è sempre quello: la chiacchiera diventa sempre più invasiva e devastante, e costituisce, più che un rumore di fondo, quasi ormai la verità ultima della letteratura, perché pare che proprio nessuno (me compreso, s’intende) riesca a sottrarsi al vortice, sempre sincopato e sbilenco, dello stare sul tempo qui e ora – con un “commento”, un “post”, un “link”… Resta il fatto che dentro o fuori dal web, la “discussione letteraria”, in Italia, è sempre alquanto noiosa: poca sostanza, i soliti temi civili buoni per un impegno spicciolo, tanta pubblicità e autopromozione. Per scovare qualcosa di interessante bisogna andare a cercare in posti sperduti – della rete come della realtà. Anche se, in tempi di globalizzazione, non è che sia proprio facile arrivare in posti anche solamente un po’ sconosciuti… Tuttavia, è proprio con l’intenzione di aprire lo sguardo su che cosa è ancora “sperduto”, e dunque meraviglioso, che abbiamo fondato la nostra collana editoriale, dal nome emblematico “Questo è quel mondo”. Leopardi resta la guida ideale nelle tenebre avanzanti del web come della realtà.
5. Nel saggio abbiamo lasciato fuori qualsiasi considerazione su come la rete stia o meno contribuendo a erodere i tradizionali processi di legittimazione letteraria. Pensi, ad esempio, che la possibilità offerta ad ogni lettore di dare diffusione a un proprio giudizio di gusto su un libro (siti come aNobii, le recensioni su Amazon, blog personali ecc.) metta in qualche misura in discussione il ruolo e la funzione del critico, oppure sono due ambiti diversi che non si intersecano (o non dovrebbero essere confusi)?
Penso che Amazon, aNobii, blog vari & compagnia bella porteranno presto a compimento il processo al quale abbiamo partecipato anche noi, e anche voi, tutti, fin da quando abbiamo cominciato ad abitare, più o meno consapevolmente, nel Regno del Commento. I nuovi modi di “giudicare”, e dunque di diffondere un’opera d’arte, segnalano innanzitutto la fatiscenza e la decrepitezza del mondo letterario così come siamo stati abituati a concepirlo fin dalle scuole medie e superiori, ossia come discorso oggettivo, normativo e autoritario per mettere in castigo il pensiero e l’immaginazione. Questo “mondo letterario” (non la letteratura) è alla frutta, seppellito dai “gusti” del pubblico, e certe recensioni agilissime e fulminanti di lettori qualsiasi su certi blog o su aNobii, oltre a mettere in un angolino i più scafati critici e recensori, – per i discorsi dei quali ormai nessuno ha più orecchio –, ci dicono che la vita qualsiasi, in un’ottica di selezione naturale, è sempre avvantaggiata rispetto alla vita ricercata, lussureggiante, intelligente. È con questa “vita qualsiasi”, – che costituisce forse il vero stato d’eccezione nel mondo attuale, – che la critica (e noi tutti) deve fare i conti, perché un critico (uno scrittore) che non tenga conto di questo, è un critico che non tiene conto del suo più che probabile assassino, e dunque del suo, fino a prova contraria, naturale erede. Che da uomo qualsiasi, sperduto in una contrada qualsiasi, scrivendo un blog qualsiasi, già studia per diventare il letterato del futuro.
non sono d’accordo su alcune cose, ma la risposta alla terza domanda è perfetta, perché riassume con una immagine felicissima quello che è stato (e che forse comincia già a non essere più) la quintessenza dell’incontro/scontro letteratura-web negli ultimi dieci anni. bravo de vivo.
Qualcuno che parla con cognizione di causa e con coraggio, facendo nomi e cognomi, senza puzza sotto il naso, con umiltà. Niente male.
“È l’epoca, questa nostra, in cui […] tutti […] hanno il diritto (sic!) di dire la loro”.
Esattamente. In Italia è l’art. 21 comma 1 della Costituzione. Sic.
gli interventi in rete, di qualsiasi natura essi siano, dovrebbero essere ispirati al principio di responsabilità e consapevolezza.
Nella vita reale se faccio un intervento pubblico, ci metto la mia faccia, il mio nome, il mio “prestigio”, metto insomam in gioco la considerazione di cui godo presso i miei interlocutore sotto il profilo delle competenze, del comportamento e delel competenze.
Se insomam decido di esprimere epr esempio la mia opinione su un poeta che ha appena presentato il suo libro, lo faccio a ragion veduta, cosciente di avere la capcità di farlo e di avere qualcosa di inetressante e significativo da dire.
Poi magari subito dopo vado al bar con gli amici e sparo cazzate in liberta, sul poeta e su qualsiasi altra cosa di cui magari non so un bel niente.
Purtroppo in internet succede proprio questo. Si sparano cazzate in libertà, cazzate di cui non ci sentiamo responsabili, dove possiamo dire la nsotra sulla fisica quantistica come sulla musica del settecento o sulla poesia medievale.
salvatore, se metti le parentesi quadre e togli dal contesto quella affermazione, fai un bel giochino, ma non hai capito niente, anzi hai palesemente fatto dire a de vivo tutta’ltro. quel riferimento alla “democrazia” credo che sia da collegare al cotnesto delle sue affermazioni precedenti e successive sulla letteratura. ma il tuo è un tipico esemio di commento in un blog… appunto: di baraonda critica…
le cose stanno invece come dice carmelo, sulla scorta di de vivo, se ho ben capito: la democrazia è oramai la democrazia delle cazzate.
Mi congratulo con Enrico De Vivo per le sue risposte, chiare e profonde.
C’è un grosso problema nella cosiddetta sinistra italiana (in tutte le sue componenti) e quindi anche in nazioneindiana.com e in molti siti letterari: non vuole fare i conti con un fatto che è sotto gli occhi di tutti: la democratizzazione della cultura e dell’arte significa la banalizzazione della cultura e dell’arte. L’arte è gerarchica, mentre la morale oggi dominante è quella dell’archivio. Ma ci si dimentica che l’arte, in contrasto con tutte le leggi della natura, muore a causa della sua stessa sovvrabbandonza. il grande saggista portoghese Eduardo Lourenço ha detto una volta: «Il petrolio finirà; “il desiderio culturale” comincia appena a imporsi e a riempire gli spazi del tempo libero del sistema economico, creatore e distributore di tale desiderio – che giunge a occupare perfino i milioni di persone che lascia letteralmente senza lavoro. La cultura è, paradosso supremo, l’oppio dei popoli»
@max
la sinistra – meglio la cosiddetta – sinistra che pensa o se pensa ciò che tu dici deve esseere compltamente ottusa per arrivare a tanto! secondo me il problema è la tecnica. La tecnica tende alla serializzazione, a trasformare gli artisti e gli operatori culturali in tecnici al servi<zio di un prodotto standard. E a ridurre i lettori in meri consumatori.
la tecnica poi, consente poi una spaventosa crescita quantitativa delle informazioni e delle comunicazioni. si produce e si accumula spazzatura senza sosta.
seconda considerazione.
Grazie alla tecnica, chiunque, persino un semplice lettore come me una mattina si puo’ alzare coltivando l’illusione di essere uno scrittore o un misicista.
se mette insieme delle parole, oltre a poterle pubblicare in rete senza sforzo alcuno, puo’ persino farsi stampare un libro con pochi soldi e definirsi poeta. In rete la sua parola nel caso in questione, la mia parola di semplice lettore illetterato puo’ valere quanto la tua, docente, critico, e poeta. questa qualcuno osa chiamarla democrazia?
se me lo trovassi davanti questo qualcuno lo prenderei a schiaffi
Che poi il punto è proprio quello: la “democrazia” nell’arte, la presunzione che la democrazia debba valere anche per i prodotti della fantasia o estetici, come preferite dire. Anche l’impostazione del saggio di Guglieri&Sisto è tutta schaicciata su una visione “democratica” dei problemi legati all’arte, e difatti gli “artisti” che promuovono sno quelli “impegnati”, a scapito di altri che ci entrano solo per contorno, ma che spesso sono quelli che, grazie proprio a una visione elitaria, come diceva Rizzante nelle sue risposte, hanno forse da dire qualche cosa di più. E tra questi c’è senz’latro Zibaldoni, ma anche altri, che spesso neanche vengono citati perché è evidente che sono considerati poco “civili”. E allora fa bene De Vivo a fare gli esempi di WuMing e Lipperini per far vedere le differenze, perché di questa sinistra italiana che propone e sostiene solamente coloro che sono “impegnati”, a prescindere da quello che valgono artisticamente, non se ne può più. Soltanto così infine, si capisce che appena uno sposta un poco poco l’attenzione solo sugli aspetti artistici della faccenda, finsice quasi per essere messo alla gogna, come è capitato appena appena in un post qui sopra a opera di Rovelli e De Girolamo, che hanno praticamente stigmatizzato Matteoni soltanto perché ha parlato di un certo modo di fare arte senza impegno partigiano dichiarato e sottoscritto.
ERR. CORR.: Non Di Girolamo, ma Di Michele.
Carmelo,
la parola di chi dice cose sensate e coerenti vale più della parola di chi scrive stupidaggini. Ciò anche se il primo è un “semplice lettore illetterato” (sic) e il secondo è un illustre docente, critico e poeta. Spiace dover enunciare un simile truismo, ma sei tu che mi costringi a farlo.
Te lo confermo: questo, per me, è uno degli aspetti della democrazia. Se vuoi prendermi a schiaffi, accomodati. Chiedi pure alla redazione la mia mail, li autorizzo a dartela: contattami e poi vieni a trovarmi quando vuoi.
Al di là della battuta sugli schiaffi, che mi pare fosse solo una battuta di Carmelo, tu, Salvatore, ci vorresti spiegare, per favore, che cosa significa “scrivere cose sensate e coerenti”? Io posso scrivere cose sensate e coerenti anche se scrivo di ingegneria o diritto. Se scrivo di letteratura, devo scrivere cose sensate e coerenti di letteratura, non di ingengeria, diritto o politica. E’ qui che la macchina si inceppa. Perché non si capisce che cosa c’entri dire delle (anche sensatissime) cose di politica o sociologiche per giustificare l’arte del più incapace degli artisti. L’arte andrebbe giudicata secondo canoni estetici, non etici, o meglio l’etica andrebbe ricavata dall’estetica, come insegna Gadda. La democrazia che De Vivo e Rizzante criticano mi sembra proprio che c’entri con queste cose e con certi atteggiamenti (critici? non saprei) che ricordano molto il realismo socialista, e non ha niente a che fare con i truismi nei quali vorresti ingabbiarli tu.
Caro Carmelo non Bene, a proposito di bisogno d’autorità e di metaforici ceffoni, diceva Jaques Lacan agli agitatori dei suoi tempi: volete un padrone, l’avrete!
Che la politica debba regolare le faccende artistiche è poi un’aberrazione inventata dai moderni totalitarismi e tristemente introdotta nell’Italia repubblicana da Togliatti in persona, che riteneva l’arte e la cultura uno strumento strategico per accelerare la decadenza della borghesia… che infatti nelle segrete stanze di Botteghe Oscure si decideva quali artisti promuovere, per esempio Luchino Visconti (e quali ” purgare “, come il Migliore aveva imparato nella Mosca staliniana?). Dovreste ricordarvelo magari quando vi indignate per la mancanza di finanziamenti pubblici alla cultura, che vogliono dire sostanzialmente controllo totale da parte dei partiti politici sulla produzione artistica, perché i soldi pubblici, in Italia, sono controllati totalmente dai partiti, senza alcuna forma di controllo nel caso dei finanziamenti alla cultura.
Rimarrà lo esimio esiliato Celati, ma sarebbe stato assai più bellissimo se fosse davvero rimasto a ostacolare la quantomai resistibile ascesa al suc cesso dei minghiani, dei lipperinici e dei gomorroici.
quoto larry massimo, senza se e senza ma, a parte l’ultimo capoverso su celati perché celati, a quanto mi risulta, è super attivo nella cultura italiana, e anzi si dovrebbe dire che è uno dei pochi che si oppone a minghiani, lipperiniani e gomorroici. che stia all’estero è un particolare insignificante, secondo me. e attivamnte significa che fa arte e produce cose sempre ad altissimo livello, ad esempio i film che ultimamente sono usciti – ben 4 – e poi i sonetti del badalucco (al quale de vivo stesso ha partecipato) sono la prova lampante di un “impegno artistico” vero, al di là di qualsiasi superficialità politichese. grande celati sempre (e altro nome che passa solo si sfuggita nell’analisi di sisto).
@ Rina De Petro:
mi sembra che stiamo parlando di due cose completamente diverse.
Col termine “democrazia” designo la seguente banalità di base: ognuno ha il diritto (sì, il diritto) di formulare il proprio discorso critico, su qualsivoglia argomento a suo piacere. Sarà poi chi legge a giudicare, a sua volta, della pertinenza e validità di tale discorso critico.
Semplice, no? Eppure, quando si enuncia questo concetto così elementare, c’è sempre qualcuno che leva alti lai, si straccia le vesti, “o tempora! O mores! Oggigiorno, signora mia, tutti vogliono scrivere, non c’è più rispetto per le competenze, ma dove andremo a finire, ecc. ecc.” – Per me, un atteggiamento simile è reazionario. Punto.
Diverso è il tuo ragionamento, se capisco bene. Tu te la prendi con una determinata metodologia critica che, a tuo dire, con la scusa della “democrazia” sostituisce indebitamente il giudizio politico al giudizio estetico, valutando le opere in base al loro orientamento politico anziché in base al loro valore letterario. In altre parole, non ti piace la critica politicamente orientata.
Benissimo. A questo punto, però, fammi tu un esempio di critica letteraria “pura”, del tutto scevra da implicazioni politiche o sociali. Secondo me, non la troverai facilmente.
Sugli ultimi commenti: venire a fare certi discorsi qui, sul sito mediano piu’ influente del web letterario italico, mi pare un paradosso. Del resto, una sana alterita’ -anche a cio’ che questo sito rappresenta- e’ possibile costruendo altre forme e altri luoghi estetici, che esistono e sono esistiti ma che le ricostruzioni storiografiche delle neotruppe cammellate e precarie della critica non citano neppure.
Non le citano -in perfetta malafede- perche’ la misura implicita e’ il consenso, nella sua forma gelatinosa, mediana (che non sempre si sovrappone alla mediocrita’ di cui strilla il commentatore Antonio) e conglomerante di cui Berlusconi ha fatto la sua bandiera.
I tentativi di uscire da questo ghetto “di sinistra” classica, su questo sito, li fanno il deideologizzato Forlani e le “minoranze” (Matteoni, Janeczek, Buffoni), col contributo flaneur del candido Sparzani. Ma tutto il resto e’ francamente corrivo e non degno dell’autoproclamato sito letterario piu’ importante della penisola.
Ah, ok Salvatore, adesso è chiaro quel che dici. Chiaro e, appunto, banale, in quanto non c’entra ssolutamente nulla con quello che dicevano Carmelo o De Vivo o altri, me compresa.
@ Il fu Giusco
Ti invito, se ne hai voglia, se pensi che abbia senso, a rendere conto attraverso un saggio (della misura che credi) di quelle esperienze trascurate da Guglieri e Sisto nel loro lavoro; lavoro che non si pretendeva completo, come dichiarato in apertura di articolo, ma solo un primo tentativo, certamente lacunoso, di messa a fuoco della militanza critica sul Web.
Il mio è un invito sincero, nonostante i tuoi interventi mirino quasi sempre a calcare i difetti e la bolsaggine di Nazione Indiana.
P.s.
Che NI si sia autoproclamata “sito letterario più importante della penisola” è ovviamente una affermazione falsa, ma che forse è bene smentire.
> nonostante i tuoi interventi mirino quasi sempre a calcare i difetti e la bolsaggine di Nazione Indiana.
Diciamo che prediligo il lato artistico di NI a quello politico e che “difetti e bolsaggine” li carico sostanzialmente su quest’ultimo. Diciamo anche che non digerisco l’apertura ai cartacei, sfrattati dal loro mezzo naturale e riaggregatisi qui in rete, riproducendo pratiche che i primi anni del web stavano cercando di superare. Per fortuna rimangono vive e attive, anche qui, alcune minoranze.
@ Rina De Petro
E’ vero. Sono due cose ben diverse: a) stigmatizzare la democrazia intesa come libertà d’espressione, e b) polemizzare contro la critica letteraria “impegnata” che antepone il significato politico-sociale delle opere al loro valore artistico.
Peccato che, in alcuni passi dell’intervento di De Vivo e in commenti come quelli di Carmelo e di Max Rizzante, le due polemiche siano collegate, e l’una trapassi insensibilmente nell’altra. Si tuona contro Wu Ming e la Lipperini sia perché accentuano l’aspetto partecipativo del web, sia perché fanno critica letteraria militante. Il tutto, a me sembra, in nome di una concezione aristocratico-elitaria, “apolitica”, della cultura e dell’arte, concezione che mi pare complessivamente da rigettare.
In realtà ha ragione Il fu GiusCo a sottolineare il paradosso. I commentatori di blog letterari che si scagliano contro la “democratizzazione” della cultura e dell’arte, per coerenza dovrebbero tacere, oppure parlare solo da sedi accademiche e riviste specializzate, previo accertamento dei loro titoli e delle loro competenze.
confesso che sto seguendo la discussione per vedere se riesco finalmente a capire le ragioni di uno che sostiene la critica impegnata o sociale o come diavolo si vuol definirla. ho letto con attenzione le parole di salvatore, perché mi sembrava che finalmente da lì potesse arrivare una qualche rivelazione. e invece niente. salvatore argomenti non ne ha, si scheira soltanto con il partito del sociale e dell’impegno per… partito preso, e cioè senza argomentare nulla. si trincera dietro il “mi pare”, laddove de vivo e rizzante mi pare facciano bel altro nelle loro risposte argomentatissime all’intervista. riconosco agli interventi di salvatore un solo merito, fin qui: quello di aver fatto venir fuori la differenza tra ambito politico e letterario. ma detto questo, adesso tocca andare fino in fondo, e dire perché questa benedetta politica deve entrare obbligatoriamente nel giudizio estetico, altrimenti “non è arte vera” (l’arte che “apoliticamente” viene giudicata). per finire aggiungo questo. come ho già detto, alcune cose che dice de vivo non le condivido, ma sulla contraddizione in cui vive chi scrive in internet, mi pare che de vivo, fino a ora, sia stato il più chiaro e onesto di tutti, mettendosi anche lui nel mucchio dei democratizzati a forza.
E’ curioso: AstraKan si aspetta da me la rivelazione del “perché questa benedetta politica deve entrare obbligatoriamente nel giudizio estetico”. Io invece mi aspetto, da lui e dagli altri sostenitori della critica letteraria “pura”, che mi spieghino perché la politica debba obbligatoriamente starne fuori (pena le accuse sempre pronte di demagogismo, populismo, logica pubblicitaria e promozionale ecc. ecc. – accusa, quest’ultima, che per inciso è formulata all’interno di un intervento che è per due quinti autopromozione).
Soprattutto spiegatemi come sia possibile che la politica “stia fuori” dal giudizio estetico, se è vero che ogni critica letteraria muove da un determinato punto di vista, il quale non può non essere, in senso stretto o in senso lato, politico.
gli interventi di salvatore sono esemplari. lui, da buon “commentatore democratico”, non ha bisogno di argomentare le sue posizioni, perché per lui quello che conta è avere la libertà di parlare, mentre de vivo e rizzante et alii mi pare abbiano fatto ben altro, non solo rispondendo a interviste come questa, ma scrivendo testi vari e libri per sostenere le loro tesi. consiglio a salvatore di leggere “non siamo gli ultimi” di rizzante per capire un po’ di che cosa si parla qui, e di che cosa ci si aspetterebbe dai “democratici commentatori” come lui. quanto alla politica nella letteratura, è un discorso trito e ritrito, e vecchio quanto il mondo. il fatto è, però, ancora una volta, che qui non si parla di politica nel senso alto del termine, ma di sociologismo d’accatto, buono solo a fare pubblicità a dei prodotti più o meno ideologici. perché per me è ovvio che è assai più militante e politicamente motivata la letteratura di rizzante, de vivo e compagni, che quella di chi ha bisogno a ogni piè sospinto di citare berlusconi, il governo, la mafia e il papa. ma a tali esiti non credo che al nostro salvatore interessi arrivare.
Io non capisco perché uno Scrittore della Domenica, come Salvatore Talia, voglia per forza entrare in una discussione siffatta, sparando giudizi (chiamiamoli così) su questo e su quell’altro. Con quale autorità, con quale competenza accertata, come dice lui? Bah… Forse perché questo è il luogo dei mancati accertamenti? Voi che dite? Il luogo dove tutti possono sparare quello che gli passa per la testa e a chi gli pare e piace? Perché se qui si accertasse, caro Salvatore, il tuo praticantato di Scrittore della Domenica non so in che posizione ti metterebbe. Anche perché oggi è venerdì.
Sarà, ma tutta questa dovizia e finezza di argomentazioni non la vedo nel post di De Vivo (che è l’oggetto di questo thread) – al netto delle tirate generiche e “apocalittiche” contro la chiacchiera diffusa e anonima, l’epoca della baraonda critica, l’impegno spicciolo, e via dicendo. Dall’ultimo commento di AstraKan apprendo di aver troppo citato il papa e la mafia, e di dover leggere un libro di Rizzante per sapere cosa ci si aspetterebbe da me. Illuminante, non c’è che dire.
Leggo ora il commento di Rina De Petro. Mi pare che Nazione Indiana, finora, non abbia mai richiesto il curriculum vitae per commentare un post. Quale autorità ha Rina De Petro per chiederlo a me?
non c’è che dire, sì: illuminante!
Riparliamone domenica, Salvatore, che è pure Pasqua, così facciamo pace e magari, per festeggaire, scrviamo una bella poesiola a rima baciata, facile facile, con tanti riferimenti politici.
Più rileggo i suoi ultimi due commenti e più mi sembra plausibile che Rita De Petro sia in realtà la stessa persona che in precedenza si è firmata Carmelo…
Pardon: volevo dire *Rina* De Petro.
@ Talia: molto in breve sulla differenza fra un principio artistico fondato sulla politica ed uno fondato sull’estetica
se lei parte da un’idea politica per formulare una teoria artistica e dunque un giudizio estetico, avra’ maggiore interesse a tenere la truppa unita che a distinguere i talenti, sia all’interno della sua stessa truppa (tutti sono utili finche’ sono utili, non conta molto che loro stessi e le loro opere siano valide) che all’esterno di questa (tutti sono inutili e quindi automaticamente le loro opere non valide)
se lei invece parte da un principio estetico, uno fra i tanti esistiti nella storia o qualcheduno dei piu’ nuovi suggeriti dalle avanguardie e messi a collaudo, distinguera’ un contributo dall’altro, un’opera dall’altra e non riuscira’ mai a tenere unita alcuna truppa, sia perche’ privilegera’ l’opera all’individuo/cittadino/militante, sia perche’ non avra’ pre-giudizio sull’opinione politica nel considerarne le opere
i primi anni del web letterario italiano erano fondati su un rapporto di tipo estetico tra i partecipanti, mentre oggi la fanno da padrone rapporti di tipo politico (a mio avviso perche’ molti cartacei hanno perso la carta, cosi’ come hanno perso la rappresentanza in parlamento), senza voler per forza circoscrivere questo “politico” nella dialettica pro-contro berlusconi, che pure domina i siti portati ad esempio dai catalogatori del nuovo millennio
Io per Pasqua vorrei dire all’amico De Vivo che senza internet e la sua contraddittoria democraticità mio cugino non avrebbe conosciuto né lui né altre persone che con il tempo sono diventate sue amiche e compagne di strada. Credo quindi che il dibattito letterario in rete, in parte anche proprio grazie all’apertura al commento dei siti più “militanti”, abbia permesso a varie persone che un tempo mai avrebbero potuto trovarsi e trovare ascolto nella cosiddetta “società letteraria” di conoscersi, anzi proprio di riconoscersi, strutturando via via affinità, a volte persino sodalità trasversali basate su passioni o visioni condivise. Così ad esempio mio cugino bazzica (e a volte legge) soprattutto Zibaldoni o Nazione indiana, ma non Carmilla, WuMing o Lipperatura, perché negli uni ha trovato interlocutori che stima, persino cari, negli altri no. Mentre altre persone magari hanno cugini che fanno l’opposto, oppure bazzicano di tutto un po’ e non sono amici di nessuno, o fanno gli amici di tutti.
Nel mio paese, ai primi del Novecento, arrivarono i Wenner, imprenditori svizzeri, che installarono, in quello che oggi è il centro di Angri (Salerno), una grande cotoniera, le M.C.M., una fabbrica moderna con macchine all’avanguardia. I miei paesani (e soprattutto paesane), abituati fino al giorno prima a lavorare nei campi o sui telai a mano, all’improvviso, assunti come operai, dovettero imparare l’utilizzo dei telai meccanici e adattarsi alla vita in fabbrica. In questo modo, aumentava il benessere, ma, allo stesso tempo, un po’ alla volta, si andava perdendo tutta la cultura collegata alla società contadina e basata su un’economia familiare, oggi praticamente scomparsa del tutto, ma che in qualche modo si va rivalutando per tanti aspetti positivi, accantonati forse troppo in fretta.
Ecco, io credo che funzioni sempre più o meno così il nostro rapporto con la tecnica e con il progresso in generale. Una nuova invenzione, una nuova macchina, un nuovo aggeggio – un nuovo “dispositivo”, per dirla con i filosofi – non procurano “facili soluzioni”, ma creano “problemi”, o, se si preferisce, innescano “domande”, alle quali tocca rispondere, in quanto “uomini sapienti”. Che tipo di “domande”? Questa, ad esempio: che cosa è andato perduto con il nuovo dispositivo? Che cosa viene occultato in esso? È giusto aver buttato via e occultato tutto quello che avevamo prima? (Qualcuno ha detto che il primo dispositivo, in cui l’uomo si è ingabbiato da solo, è il linguaggio stesso. Da questo punto di vista, forse tutta la letteratura potrebbe considerarsi un’interrogazione su che cosa, nel linguaggio, è andato perduto e su come recuperarlo). Soltanto chi si lascia abbagliare dai nuovi aggeggi e dalle nuove macchine, non vede in essi “problemi” o “domande”, ma pensa solo di aver trovato una “facile soluzione”. La fiducia cieca nella società consumistica e nelle diverse declinazioni dell’ideologia del progresso si basano su abbagli del genere, mi pare.
Io non sono cieco, e non voglio farmi abbagliare. Ma non sono “contro” niente, meno che mai “contro” internet e i suoi meccanismi, perché so di essere “dentro” un qualcosa di quasi eterno, che in ogni caso mi supera. So, insomma, di essere dentro un dispositivo, che mi dice (anche) che ho perduto qualcosa, e se questo qualcosa mi pone delle domande, è giusto che io provi a rispondere. È qui che comincia il discorso sul senso dell’arte in generale, secondo me, e della letteratura in particolare.
Ho fatto questa premessa per dire che non capisco il senso di certi commenti (tutti interessanti, tra parentesi, anche i negativi) come quello dell’amico Egon Ventura, che pare voglia ammonirmi a non essere “contro” internet. Come ho già detto, non ce n’è bisogno, perché io non sono “contro” niente, ho solo cercato di esporre le contraddizioni in cui ci mette sempre ogni nuovo dispositivo, tutto qui. Senza tirarmi fuori, e dichiarandolo esplicitamente: “me compreso”, ho scritto, a proposito appunto dei commenti, per i quali la penso come quel beduino, secondo cui anche il fumo serve a qualcosa: “annunzia a chi è in cammino la vicinanza di un focolare ospitale”.
In ogni caso, il tono amichevole e cordiale di Egon mi garba, e riconosco che dice le stesse cose che io ho detto molto più tronfiamente. Ma lui è un satiro, e io un meschino cacaparole, perciò lo ringrazio per aver provato ad alleggerirmi.
@ Il fu GiusCo
non ho nulla in contrario a che l’attività critica si svolga in base ad un principio politico anziché (o in aggiunta) ad un principio estetico, purché il criterio sia dichiarato e trasparente; da semplice lettore, trovo invece più fastidiose le “cordate” di letterati che si incensano/si attaccano a vicenda senza nessun altro apparente criterio che non sia l’amicizia/l’inimicizia personale. Non sto alludendo a nessuno dei presenti, sia chiaro: lo preciso prima che qualcuno degli altri commentatori si arrabbi a sproposito.