D’aria sottile

di Francesca Matteoni

Saggezza è la prima parola che viene alla mente leggendo il nuovo bel libro della poetessa Azzurra D’Agostino, D’aria sottile, pubblicato nella collana Inaudita dell’editore Transeuropa. La saggezza di chi accetta le cose che trascorrono, stanno rivelate proprio nel passare, come l’aria che si respira e non la si vede, fine e antica dentro il corpo e così nuova per il giorno che deve venire. Come se /poco più di un niente/ ci separasse dal nulla, dalla sua corrente, scrive Azzurra, e questo nulla che avanza non è un dolore, come non lo è il tempo, affatto regolare o regolabile, ma sghembo sulla sua ossatura di silenzi. Perché tutto ciò che ha fine ha una bellezza quasi insopportabile, che non si afferra e muta, si fa nuvole e invenzione – solo ciò che riusciamo a inventare è nostro e per l’invenzione c’è bisogno del limite, di lasciarsene impaurire come sorprendere. Ma lo senti nell’aria che tutto/ forse finisce come dire comincia: basta imparare pienamente il poco che si è, l’esistenza data, precaria e incrollabile del mondo, sia esso la natura che toglie le parole, siano i vincoli che nutrono e spingono a rinnovare la voce degli amati. Anche nel carcere (nella poesia Celle) il mondo si fa odore penetrante, volpe, prato, un sogno fragile di resistenza che sa scuotere più della costrizione, della colpa e del sopruso. Allora questa poesia sana, pure quando fa il sangue delle ferite, acquieta, e chiede di essere commossi e partecipi nella nostra storia, nella storia di nessuno, che poi è quella di tutti. Tre sezioni scandiscono il libro: Il mondo esiste (titolo preso da un verso di Montale), che indica una rotta da seguire, lentamente dal quotidiano, dal paesaggio attorno all’intimo dove questi si fanno pensiero e tremore, uguaglianza di ogni essere che si muova o stia fermo – “no, non è vero. L’attimo non/ scocca. L’attimo è. Noi siamo,/ lo sentite?”, dice il poeta Franco Loi, nel testo a lui dedicato. Dal silenzio, dove il silenzio è il dialetto dell’Appennino Emiliano, una lingua che nasce dal concreto di legami familiari e che è sempre sul punto di perdersi come certe profonde memorie infantili o la vecchiaia dei propri cari, solida di esperienza e buia nel futuro, e non è un caso che l’ultima poesia della sezione sia dedicata al compagno, un dono all’altro: è così che non ci perdiamo – consegnandoci, interi, nelle nostre imperfezioni. E infine Essere amati, luogo di vivi e di morti, dove i vivi spaventano più dei morti, perché loro è l’inquietudine, lo smarrirsi, la pretesa di essere qualcosa d’altro più duraturo, più visibile, meno mortale e così meno umano o animale, meno parte di questa terra. I morti, che lo sappiano o meno, sono come certe stelle, pure spente, non importa,/ restano stelle, e per noi è uguale, hanno tutta una strana luce che viene dagli occhi di chi li sa amare, di chi si pone in ascolto del proprio tempo mai lontano, mai del tutto esauribile quando viviamo.

Su Azzurra e sulla sua poesia per me è impossibile tacere il piano personale. Ogni suo testo, questo suo libro come i precedenti, mi arriva come dall’altra parte di un’acqua in cui io stessa mi immergo. Azzurra abita sulle montagne che mi sono care, tra la Toscana e l’Emilia Romagna. Ci separano le curve, i confini cartografici. Leggerla è come salire per i monti, nei boschi aspri, i borghi semi-abbandonati, i giochi di tanti anni fa fermi sui pavimenti di pietra nuda, i vecchi che sono sempre gli ultimi a lasciare il paese, gli animali che raspano, volano, si nascondono, saltano sulla strada, belli e indifferenti. È soprattutto ritrovare quel preciso sentimento, che non so come altro dire, è una resa alla vallata aperta, quando si è in cima, che sembra stia tutta contenuta in quello spazio così piccolo delle proprie ossa, straziato dall’insicurezza, la mia o quella degli altri, che d’improvviso si fa vasto e in pace. C’è una misura in queste poesie, una persona composta, che discende da lì, una me che non è più Azzurra e nemmeno io che leggo, che mi dice di saper attendere, di saper passare, che non importa il male, il terrore o la disperazione, che conta sentire, nonostante tutto, come è semplice respirare.

4 COMMENTS

  1. La saggezza della scrittura di Francesca, e di un libro che certo leggerò. Grazie!

  2. L’ho appena finito di leggere, scivola quieto (ma non sempre) e si espande, ti lascia fresco dentro.. e poi pensi. Ma non subito, più tardi, la sera o la mattina presto quando i pensieri sottostanno ancora ai ritmi delle alterazioni della luce.

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francesca matteoni
francesca matteonihttp://orso-polare.blogspot.com
Curo laboratori di poesia e fiabe per varie fasce d’età, insegno storia delle religioni e della magia presso alcune università americane di Firenze, conduco laboratori intuitivi sui tarocchi. Ho pubblicato questi libri di poesia: Artico (Crocetti 2005), Higgiugiuk la lappone nel X Quaderno Italiano di Poesia (Marcos y Marcos 2010), Tam Lin e altre poesie (Transeuropa 2010), Appunti dal parco (Vydia, 2012); Nel sonno. Una caduta, un processo, un viaggio per mare (Zona, 2014); Acquabuia (Aragno 2014). Dal sito Fiabe sono nati questi due progetti da me curati: Di là dal bosco (Le voci della luna, 2012) e ‘Sorgenti che sanno’. Acque, specchi, incantesimi (La Biblioteca dei Libri Perduti, 2016), libri ispirati al fiabesco con contributi di vari autori. Sono presente nell’antologia di poesia-terapia: Scacciapensieri (Millegru, 2015) e in Ninniamo ((Millegru 2017). Ho all’attivo pubblicazioni accademiche tra cui il libro Il famiglio della strega. Sangue e stregoneria nell’Inghilterra moderna (Aras 2014). Tutti gli altri (Tunué 2014) è il mio primo romanzo. Insieme ad Azzurra D’Agostino ho curato l’antologia Un ponte gettato sul mare. Un’esperienza di poesia nei centri psichiatrici, nata da un lavoro svolto nell’oristanese fra il dicembre 2015 e il settembre 2016. Abito in un borgo delle colline pistoiesi.