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LE PAROLE E LE COSE

66 COMMENTS

  1. In bocca al lupo a tutti, l’editoriale d’apertura fa davvero ben sperare: la prassi della curiosità aperta ad ogni risultato nell’indagine della metamorfosi storica e il rifiuto umile del cinismo e del rancore, entrambi lati della medaglia della fissazione ideologica. Sono i due fondamentali che ad oggi non si è ancora riusciti a mantenere come base di una comunità teorica e di pensiero ma solo come embrioni estetici individuali, nell’Opera. Quindi buon lavoro, perché sarà piuttosto faticoso. Davide

  2. TRASGRESSIONE OBBLIGATA (E CON SCUSE)

    Non avendo nessuno della redazione di Nazione Indiana accettato di pubblicare il pezzo sulla guerra in Libia che avevo annunciato nello spazio commento Una poesia di Andrea Inglese, torno alla vita grama del commentatore costretto ad un’ultima (spero) incursione OT e segnalo ai naviganti più curiosi che il pezzo, Il Tarlo della Libia. Riflessioni e domande di un esodante, si legge sul sito di MEGACHIP.

  3. In bocca al lupo anche da parte mia. Di realtà come queste ne abbiamo un infinito bisogno, di questi tempi grami.
    Con affetto. FF

  4. @ Ennio Abate
    mi dispiace. Un’occasione perduta.

    Ho letto il tuo articolo su Sinistra in Rete … Al di là di qualche virgola, lo condivido del tutto. E ho approfittato dei link per rileggere le discussioni … Anch’io troverei doveroso ripensare a quanto scritto in quell’occasione. Perché? Così, per apprendere e affinare la critica. Non si smette mai d’imparare.

    Forse, però, stai chiedendo troppo. Per un intellettuale, smentire se stesso è la cosa più difficile.

    C’è una cosa che mi stupisce più di tutte: avevo compreso, da un tuo commento, che fosse stata la redazione di NI a chiederti l’intervento. Scrivevi tu stesso:

    “Grazie ad Andrea e grazie anche all’invito ricevuto dalla redazione a scrivere io qualcosa sul macello in Libia”.

    Se è così, ne deduco che l’articolo non è stato pubblicato per il suo contenuto. Mi parrebbe alquanto strano, visto ciò che circola … Ma, davvero, posso solo fare ipotesi.

    L’unico invito che posso fare è: pubblicatelo.

    Perché? Perché ognuno di noi ha bisogno di imparare e affinare la critica. Un articolo, soprattutto se fuori-riga, agevola il ripensamento.

    Nevio Gàmbula

    [PS: un’aria di famiglia, in questo nuovo sito “Le parole e le cose” … Un augurio: arriva il momento in cui è bene uscire di casa]

  5. Grazie davvero a Carlo Cuppini, Davide Nota, Lello Voce, Fabio Franzin e Nevio Gambula per gli auguri e l’interessamento. Sarà faticoso, sì, ma tutte le sfide in fondo lo sono. Considerate “Le parole e le cose” uno spazio plurale e aperto al confronto. Un saluto a tutti.

  6. http://www.megachip.info./tematiche/guerra-e-verita/6743-il-tarlo-della-libia-riflessioni-e-domande-di-un-esodante.html

    @ng

    Ecco lo scambio mail tra me e uno dei redattori di Nazione Indiana, di cui mai dirò in pubblico il nome:

    Il 26 agosto 2011 15:10, Ennio Abate ha scritto:
    Ho più volte collocato sotto l’ultimo post pubblicato da NI questo
    messaggio e mi è stato eliminato dagli amministratori.

    AI GESTORI DI QUESTO SITO

    A quando un post sul macello in corso in Libia?

    A quando un giudizio sulla taglia da Far West per la cattura di Gheddafi
    “vivo o morto”?

    La “nazione indiana” dorme?

    [Copia a memoria del commento che mi avete censurato]

    Il 29/08/2011 09:27, nazione indiana ha scritto:

    Salve Abate,
    i messaggi sono stati cancellati dal redattore (sempre che non siano
    finiti automaticamente nello spam) non per una forma di censura,
    questo va da sé, ma perché inseriti nel posto sbagliato.
    Con la redazione, per suggerire un argomento o per per sottoporre un
    articolo, si comunica usando la nostra casella di posta elettronica.
    Ma questo lo sa già, visto che adesso se ne sta servendo.
    Mi dispiace constatare come anche nel suo caso si rimproveri a NI di
    non fare – è ciò accade con una regolarità inquietante – esattamente

    quello che lei stesso avrebbe potuto, cioè scrivere una riflessione
    sulla Libia e spedirla a un redattore quale che fosse. Oppure avrebbe
    potuto segnalare un articolo di particolare utilità, noi l’avremmo
    ripreso volentieri.
    Vorrei perciò invitarla a contribuire alle discussioni, in avvenire,

    fuori dal riflesso condizionato “armatevi e partite”. Se ha da dire
    qualcosa, lo faccia, scriva una sua nota e la invii.
    Cordialmente,

    […]

    Il 29 agosto 2011 10:52, Ennio Abate ha scritto:

    Gentile […]
    grazie di questa spiegazione.
    Faccio notare però che, da visitatore saltuario e selettivo di NI, mi
    sono
    “adattato” a inserire i miei interventi negli spazi-commenti sotto i
    post
    per me stimolanti (Cfr.

    https://www.nazioneindiana.com/2011/03/19/andiam-andiam-andiam-a-guerreggiar/;

    https://www.nazioneindiana.com/2011/02/12/poesia-civilizzata-sul-popolo-egiziano/)
    , dopo aver fatto vari tentativi di inviare miei scritti proprio
    all’indirizzo nazioneindiana@gmailcom, che lei mi suggerisce e che avevo
    da
    tempo incluso nella mia rubrica.
    Non ho mai avuto alcun riscontro. Se ho fatto riferimento più spesso ai
    post di Andrea Inglese è perché è l’unico dei redattori di NI che conosco
    per esserci incontrati in alcune occasioni.
    In quest’ultimo caso, dunque, la mia irritazione è stata alimentata
    anche
    da tutti questi precedenti non incoraggianti.
    Io cerco di dire la mia e collaborare con vari siti. Su diversi ho
    trovato
    facilmente ospitalità. Col vostro finora non mi è riuscito.
    Se la sua lettera sbloccherà ora l’ignoto ostacolo, ne sarò contento.
    Accetto, dunque, volentieri il suo invito e nelle prossime settimane
    proverò
    a proporre delle note, indirizzandole a lei come interlocutore di
    riferimento.
    Un caro saluto
    Ennio Abate

    Il 29/08/2011 11:14, nazione indiana ha scritto:

    Va bene, rimango in attesa del pezzo.
    Per ora un saluto,
    […]

    Il 03 settembre 2011 13:48, Ennio Abate ha scritto:

    Gentile […]
    in allegato il pezzo che ho preparato sulla guerra in Libia.
    Mi faccia sapere.
    Un caro saluto
    Ennio Abate

    Il 04/09/2011 16:35, nazione indiana ha scritto:

    Gentile Abate,
    le dico con franchezza che il pezzo, pur condivisibile nella sostanza,
    non è condivisibile nel resto. A mio avviso la forma “aperta” del
    testo, con l’appello ai lettori perché intervengano, quella
    strutturazione, il tono provocatorio e beffardo, nuocciono alla
    serietà dell’argomento. Il saggio andrebbe ripensato e organizzato in
    maniera più rigorosa. Può provare a porvi di nuovo mano e dargli una
    forma diversa, sempre che questo, però, non sia in contrasto con il
    suo temperamento (in tal caso, se non ha più voglia di lavorarvi,
    potrebbe inviare lo stesso pezzo a un altro redattore).
    Cordialmente,
    […]

    Il 04 settembre 2011 17:06, Ennio Abate ha scritto:

    Gentile […],
    con la stessa franchezza le faccio notare che ho mirato a scrivere un testo
    di riflessione, attenuando o eliminando proprio i toni che potessero
    suonare gratuitamente o unilateralmente provocatori e beffardi. Non sono un
    provocatore di professione, né mi piace la provocazione per la
    provocazione. Non vedo, dunque, cosa ci sia di male nella forma “aperta”
    del testo. L’invito al bilancio non è rivolto a generici lettori, ma a
    quanti sono intervenuti nei due post a cui ho fatto preciso riferimento. Non
    capisco neppure cosa non vada nella “strutturazione” del mio pezzo. Sono
    stato attentissimo a non mettermi in cattedra e ad accusare gli altri, ma a
    chiedere – per quanto possibile ad interlocutori che non hanno avuto sulla
    Libia il mio punto di vista – di fare assieme un bilancio alla luce degli
    svolgimenti ulteriori. (Tant’è vero che Il Tarlo l’ho fatto parlare sia per
    i democratici che per me e gli altri).
    Ho fatto persino leggere il pezzo, prima di spedirlo, ad alcuni amici che
    hanno approvato la serietà con cui ho toccato problemi veri molto sentiti.
    Quindi non per temperamento, ma per ragionamento ne sollecito ancora la pubblicazione.
    Veda lei, che sicuramente ha i contatti con altri redattori, se c’è qualcuno
    […]
    Resto in atteggiamento interlocutorio.
    Un caro saluto
    Ennio Abate

    Il 05/09/2011 11:38, nazione indiana ha scritto:

    Gentile Abate,
    l’articolo mi sembra troppo incandescente e caotico, non è nelle mie
    corde (se mi passa un’espressione fin troppo usata), e benché ne
    condivida largamente i contenuti, sarebbe impossibile per me
    fronteggiare la prevedibile tempesta di commenti.
    Segnalo agli altri redattori la presenza del suo articolo nella nostra posta.

    […]

    Da Ennio Abate 5 sett. 2011 ore 11,47
    Gentile […],
    caotico, no. Incandescente forse, ma non tanto da bruciare tutte le tende di NI, spero.
    Resto ancora in trepidante attesa.
    Un caro saluto
    Ennio Abate

  7. Abate,
    torno ora da un lungo viaggio e nulla so.
    Ma so di certo che “la redazione” (come invece lei afferma) non ha mai invitato nessuno che sia nessuno a scrivere di alcunché.
    “La redazione”, in questo senso, non esiste.
    Un singolo redattore, sua sponte, invita, se ne ha voglia. E sempre sua sponte decide se pubblicare o meno: l’avremo detto migliaia di volte, dappertutto, da anni.
    Molto spesso un redattore a cui è stato chiesto esplicitamente di leggere qualcosa da parte di chi ci scrive in posta, legge (quando trova il tempo, abbiamo tutti una vita e una famiglia) e se gli piace – solo se gli piace – lo pubblica.
    Lei probabilmente ha scritto un pezzo meraviglioso. Al redattore che l’ha letto non è piaciuto. Era nel suo sacrosanto diritto rifiutarlo. Per assurdo lo stesso pezzo rifiutato da un redattore potrebbe essere pubblicato da un altro, qui da noi va per “corrispondenze d’amorosi sensi”.
    Quindi evitiamo il tono rancoroso e lamentoso.
    Se reputa che NI sia un covo di traditori del libero pensiero ha solo una cosa da fare, con classe ed eleganza.
    Eviti questo luogo di malfattori.

  8. aggiungo, per completezza, alle parole di Gianni che ovviamente condivido verbatim, che Nazione Indiana non è neppure una agenzia di pensiero politico tenuta a prendere posizione su ogni avvenimento del mondo, per quanto importante. Lo fa se e quando ne ha i mezzi, la possibilità, le competenze, e la voglia.

  9. Salve Abate.

    Premessina per i lettori di questi commenti: sono il redattore che ha avuto con Abate lo scambio di mail messo a disposizione di tutti.

    Riassumo dunque la questione:

    a) Ti lamenti con noi perché non ci occupiamo della Libia. Lo fai invadendo lo spazio dei commenti, in calce ad argomenti che nulla hanno in comune con la Libia, e lo fai con toni da taverna. Ci chiedi se “dormiamo” di fronte al disastro della guerra e alle sofferenze reali delle persone. Questi commenti sgradevoli sono: o finiti automaticamente nello spam, o giustamente cancellati dal redattore.

    b) Scrivi alla posta di Nazione Indiana, chiedendo ragione della “censura”.

    c) Ti rispondo, e sopra ciascuno può leggere lo scambio, che stai comunicando con noi in maniera sbagliata, e che se l’intento è quello di scrivere sulla Libia, ebbene ti invito a farlo e a sottoporlo a un redattore, senza menare in can per l’aia nei commenti.

    d) Tu replichi allora: su vari siti ho trovato ospitalità, con voi invece non mi riesce, dunque [la potenza logica di questo dunque smuoverebbe le montagne] dunque raccolgo volentieri l’invito a collaborare… Abate, io non ti ho affatto invitato a collaborare, ma a servirti delle modalità corretta quando si vuol proporre un pezzo: si invia un testo alla posta di NI, meglio ancora se si indica nell’oggetto il nome del redattore che si desidera avere come interlocutore. Hai scelto me (ho proprio tutte le fortune) e mi hai spedito l’articolo.

    e) L’articolo per vari motivi non mi convince. Ti chiedo di rimaneggiarlo, di dargli una forma più rigorosa, ma a questo punto sfrutti la possibilità che ti si era aperta, e cioè la mia proposta di inviarlo a un altro redattore, scegliendo di non intervenire su di esso. Non è mia abitudine rinviare ad altri redattori un testo che non mi convince, tuttavia in questo caso, vista la situazione (cfr. ancora lo scambio sopra) ho segnalato l’articolo agli altri redattori.

    f) Qui arriva la parte per me più dolente e, rendo trasparenti i miei pensieri, meschina della vicenda. Perché io segnalo come da accordo il testo, e Abate alle ore 11:47 del 5 settembre scrive: «resto in trepidante attesa». Santiddio, e tu non vuoi che Abate, dopo qualche ora, senza aspettare la risposta di un redattore fa circolare il testo al suo indirizzario privato, e a noi per conoscenza, con queste parole:

    in allegato vi mando «Il Tarlo della Libia. Riflessioni e domande di un esodante». L’ho scritto per «Nazione Indiana» e al dibattito svoltosi su quel sito tra febbraio e marzo 2011 mi richiamo. Avrebbe dovuto uscire senza più problemi, dopo il chiarimento avuto con uno dei redattori di NI. Sono invece intervenuti ostacoli, come si può vedere dallo scambio di mail che riporto in nota*. Stufo di aspettare che qualcuno dei redattori di NI si degni di “promuovermi” da commentatore saltuario ad autore di un post, scelgo stasera di inviarlo per posta elettronica a un certo numero di persone, da cui mi aspetto anche solo un breve commento; e invito quanti gestiscono blog o siti o giornali di valutare la possibilità di pubblicarlo o di dare notizia dell’episodio.

    Allora Abate, lo scambio che sopra hai riportato per intero. seppure con un gesto di pessimo gusto, mi avrebbe evitato – per la sua inequivocabilità – il fastidio di dover pensare ancora a questa faccenda. Sia come sia ho deciso di riassumere, ad uso dei lettori, i termini dell’accaduto. Spero sinceramente di non dover più leggere nulla di tuo.

  10. è sempre un piacere scoprire che qualcuno è effettivamente al centro del mondo e ne può derivare il potere d’esazione di un’attenzione inderogabile. felice abate, felice lui!

    btw: in bocca al lupo agli amici di le parole e le cose!

  11. @ Abate (e @redazione)
    è già da diversi giorni che evito di esprimere il mio fastidio per i tuoi insistenti commenti fuori luogo. Ora mi sembra che hai passato il limite. Per quello che mi riguarda, da semplice lettore di NI, sei riuscito soltanto a renderti ridicolo e inopportuno, con questo show livoroso, assolutamente non richiesto. E’ ovvio che se vuoi comunicare con la redazione devi scrivere un’email e non infestare gli spazi dei commenti; ed è altrettanto ovvio che la pubblicazione avviene a discrezione insindacabile della redazione. Smettila per favore con questa autopromozione virulenta. E se vuoi indignarti anche contro queste mie parole, ti consiglio di farlo privatamente – carlocuppini@gmail.com – interrompendo, per la gioia di tutti, questa escalation egoica.

  12. Ho letto anch’io quel testo sulla Libia. Così com’era, appariva impresentabile. Per renderlo presentabile, sarebbe bastato semplicemente togliere qualche segmento da bloghetto aut.op. in versione cazzara, e lasciare il resto più o meno com’era. Ma niente. Il nostro Abate ha preferito gridare al complotto, il che è davvero assai triste. Ma la cosa più triste è non aver capito che forse qui non è apparso nessun pezzo “a caldo” sulla Libia, per non aggiungere alla carcassa della Libia, oltre agli avvoltoi dell’economia, della guerra e dei media, anche gli avvoltoi della rete.

  13. CODE DI PAGLIA CHE BRUCIANO

    Davanti alla Legge sta un custode. Un uomo di campagna vien a questo custode e chiede di entrare nella Legge. Ma il custode dice che per il momento non gli può consentire l’ingresso. L’uomo ci pensa su e domanda se potrà però entrare più tardi. – È possibile, – dice il custode – ma ora no -. Poi che la porta d’ingresso della Legge è aperta, come sempre, e il custode si fa da lato, l’uomo si curva per vedere, dalla porta, l’interno. Quando il custode se n’avvede, si mette a ridere e dice: -Se ti attira tanto, prova un po’ ad entrare nonostante il mio divieto. Fa’attenzione, però; sono potente,io, eppure sono l’ultimo dei custodi. Ma di sala in sala custodi ci sono uno più potenti dell’altro»

    (F. Kafka, Davanti alla Legge, in Nella colonia penale e altri racconti, Einaudi, Torino 1986, p. 180)

    Va bene, sig. Biondillo, nessuna redazione e nessuno dei redattori di Nazione Indiana mi ha invitato a scrivere sulla Libia. Va bene, sig. Sparzani, non siete un’agenzia di pensiero politico tenuta a parlarne ancora. (Lei trovò il tempo per un post all’inizio delle “operazioni”, ma ora è passato a meditazioni più cosmiche e sarebbe da cafoni disturbarla). Va bene, sig. Pinto, lei è stato un ottimo, anodino usciere della Portineria di Nazione Indiana: mi ha indicato la corretta procedura per inviare il pezzo, l’ha trovato poi «condivisibile nella sostanza», ma troppo «provocatorio e beffardo» nel tono. Dunque, avrei dovuto riscriverlo. O inviarla – la patata bollente, anzi «incandescente»! – ad un altro redattore attrezzato con appositi guanti. O prolungare la mia «trepidante [si fa per dire] attesa», che per la precisione è durata dalle ore 11:47 fino alle ore 21:48 del 5 settembre e non «qualche ora» (ma il tempo, si sa, ha per me e per lei una dimensione soggettiva) come l’uomo di campagna davanti alla porta della Legge. Va bene, sig. Bortolotti, anche per me è un piacere guardarla dall’alto della mia felicità come lei mi guarda dal basso della sua sicumera frettolosa.

    Ma, orsù, ditemi adesso solo una parolina sulla guerra in Libia ed io – «per la gioia di tutti» (Carlo Cuppini dixit) – lascerò ai vostri EGO tutti i post-icini (il mio lo deporrò solo nei cuppini* o nello spazio dei commentini ).
    Cordilità

    *cuppini, mestoli (in napoletano-salernitano)
    P.S.

    @ Franco Buffoni
    Mi scusi (almeno lei!) di questa intrusione OT o parassitaria nel suo post.

  14. Signori tutti,
    che il buon Ventre, famoso per la sua scrittura barocca, dica che il testo di Abate “appariva impresentabile” è davvero comico. Ah, la profondità, la profondità … Mai che si anneghi.

    Si dovrebbe imparare a fare degli altri il proprio specchio. Magari anche le scritture dinoccolate, sghembe, mal fatte e mal scritte, potrebbero dirci qualcosa di noi.

    E sì, perché chi può dirsi innocente?

    Su NI è stato pubblicato di peggio. Dal punto di vista meramente “letterario”, ad esempio, il post del Signor Cuccaroni sul Manifesto TQ è ben peggio di qualsiasi articolo di Ennio Abate.

    Ma anche queste mie sono boutade, non avendo io medesimo voce in capitolo. Continuo a capitombolare verso il mio nulla.

    Ora, pur io scusandomi con Buffoni dell’abuso, alcune cose importanti l’articolo di Ennio Abate le dice. Mi auguro che qualche indiano le ripeta, magari scritte meglio. Le guide mostrano ai turisti le strisce bianche anche in presenza di semafori.

    Stan. L.

  15. Stan,
    “Su NI è stato pubblicato di peggio.” Forse anche di molto peggio. Quindi perché questo disperato desiderio di esserci a tutti i costi? La rete è piena di ottimi blog culturali, inutile perdere tempo in questo fangoso sito di guardiani della porta.

  16. @ biondillo

    Continuiamo a non intenderci. Ma io sono paziente. Non sto facendo una battaglia personale e privata per apparire su questo blog a tutti i costi. Sto facendo una battaglia che credo politica. L’ho spiegato oggi – sempre rigorosamente in uno spazio commento – anche su alfabeta 2, dove il problema degli “intrusi” o degli apparentemente “affamati di visibilità” si è affacciato in un post a firma di Federico Campagna.
    Riporto il link:
    http://www.alfabeta2.it/2011/09/01/il-manifesto-tq-il-lontano-e-il-vicino/

    E il mio intervento:

    Ennio Abate 11 settembre 2011 alle 12:31

    @ Federico Campagna che scrive: «Era ora che tornassero gli scrittori impegnati. Che la parola manifesto smettesse di essere un tabù. Che si parlasse di ‘politica’ senza citare il nome di qualche onorevole buono o cattivo» dico:

    Io lo faccio da una vita ( senza però fare manifesti dei pensionati). Eppure sulla rete lo posso fare solo sul sito di Poliscritture (http://www.fracarma.altervista.org/) e in blog personali. E perché mai non lo dovrei fare anche su siti e blog più seguiti e meglio organizzati del mio?
    Ora succede che su siti e blog più organizzati del miei, esiste solo una relativa apertura democratica. I contributi, che non sono considerati accettabili dai gestori di quel sito e di quel blog, non vengono pubblicati. Ovvio, sotto certi aspetti. Non vuoi mica venire a comandare in casa mia. Pretendi forse che io pubblichi un tuo pezzo, anche se non lo condividessi? Ogni sito e blog decide in base a criteri più o meno esplicitati cosa pubblicare e cosa no. Non contesto. La favola di una totale trasparenza e democraticità del Web rispetto alle precedenti forme di comunicazione “autoritarie”, “corporative”, etc. fa ridere anche me.
    Esiste, però, specie in questo periodo di grande confusione di idee, un conflitto delle interpretazioni. Converrebbe sentire più campane ( specie quelle più silenziate o, a voler essere generosi, non ascoltate per varie buone ragioni). Insomma, non sempre ciò che un sito maggiore rifiuta di pubblicare è sicuramente degno del cestino (o del silenzio o di rimanere nei circuiti amicali o clandestini).
    Chi crede, a torto o a ragione, che quel che pensa o scrive non abbia minore qualità o verità o importanza di quanto scrivono i redattori o i collaboratori di un sito o di un blog maggiori, insiste giustamente a proporlo e a riproporlo, anche in forme OT.
    E qui passo a presentare brevemente il mio caso, che non è tanto personale, ma illustra bene un problema che a me pare politico ed è vissuto da vari miei amici, tutti “intellettuali periferici” o “in ombra”: quanta democrazia c’è in un sito o blog di rilievo e quanta invece ce ne potrebbe essere IN PIU’ per scelta intelligente dei gestori di quel sito e di quel blog?
    Tempo fa mi sono affacciato come commentatore nel sito di Nazione Indiana. L’ho fatto dopo aver tentato invano di proporre per posta elettronica miei articoli alla redazione. sono stati sistematicamente ignorati (e la cosa è capitata anche ad altri). Ripeto: non credo solo per cattiva qualità dei testi proposti.
    Solo nello spazio commento di Nazione Indiana sono riuscito a svolgere la mia funzione di intellettuale che ritiene di dover dialogare, polemizzare, criticare con POSIZIONI CHE NON CONDIVIDE E CHE OCCUPANO PERO’ SPAZI DI RILIEVO SUL WEB.
    A seconda del contenuto del post sul quale intervenivo e del tipo di reazione del suo autore o di altri commentatori ho insistio più sul dialogo o di più sulla polemica o di più sulla critica più meditata.
    Ultimamente, avendo cercato di “dare la sveglia” alla redazione di Nazione Indiana sulla guerra in Libia, reclamando un bilancio della discussione avvenuta sul blog sotto i due post apparsi all’inizio delle “operazioni”, ne è nata una polemica credo molto significativa. Che sono stato costretto però ancora a sostenere ESCLUSIVAMENTE “invadendo” post NON DEDICATI A QUEL TEMA. Una cosa antipaticissima e sanzionata da fastidio e ludribio dei benpensanti di NI (Cfr. ttp://www.nazioneindiana.com/2011/09/08/le-parole-e-le-cose-2/#comments)
    L’ho fatto per puro desiderio di provocare? Perché non ho di meglio da fare e mi accanisco contro Tizio o Caio? No, l’ho fatto e lo farò ancora, rifiutando inviti educati o maleducati a smetterla, a non disturbare “la quiete pubblica”, perché Nazione Indiana, alfabeta 2 e altri siti che seguo sono SPAZI PUBBLICI. L’ho fatto e lo farò ancora anche in questa forma antipatica, OT ecc., perché convinto – fino a prova contraria – che quanto io scrivo abbia lo stesso valore di verità e di qualità di tanti contributi pubblicati senza problemi e senza censura.

    P.s.
    Chiedo anche ad alfabeta 2 di ospitare il mio scritto (http://www.megachip.info./tematiche/guerra-e-verita/6743-il-tarlo-della-libia-riflessioni-e-domande-di-un-esodante.html) sul sito perché possa essere sottoposto al vaglio critico dei suoi lettori.

  17. Abate,
    per me la cosa è cristallina: il tuo pezzo non è piaciuto al redattore a cui l’hai proposto (se su invito suo, o meno, conta meno di zero). Non l’ha pubblicato. Punto.
    Tutto il resto è dietrologia.

  18. A Ennio Abate

    per quello che puó valere le esprimo la mia solidarietá per ilsuo tentativo di riaprire la discussione sulla guerra di Libia e di chiedere un bilancio critico della discussione che a suo tempo si svolse su NI, alla luce dell’evoluzione successiva dei fatti e di quanto ora si conosce a proposito del ruolo dei servizi inglesi e francesi nell’organizzazione dei ribelli di Cirenaica. Sarebbe una cosa buona e anche logica ed è difficilmente comprensibile la cortina fumogena di pretesti similbuocratici avanzati per bloccarla. Chiunque vede che il suo discorso, caro Abate,è lucidamente politico ed è davvero difficile considerare in buona fede chi la accusa di autopromuoversi e di altre forme di personalismo, senza peraltro, come sempre, argomentare queste accuse. Certo l’aggressione alla Libia sembra essere il primo episodio della contesa per il controllo strategico delle risorse in una fase di incipente multipolarismo e sembra mostrare caratteristiche ben diverse dal colonialismo classico e dal neocoloanialismo, sembra prefigurare una strategia del controllo delle direttrici energetiche strategiche basata sulla distruzione delle strutture statali,sulla disgregazione delle forme di organizzazione politica e sulla riduzione al caos tribale e dei signori della guerra delle zone sensibili. Da Haiti all’Honduras alla Lbia,lo smantellamento politico dei paesi dell’ex terzo mondo, strategicamente significativi sembra assumere i caretteri di una scelta strategica dell’amministrazione Obama. Penso che sarebbe interessante discutere di questo con coloro che considerano questi processi come semplici operazioni umanitarie e di polizia democratica internazionale.
    Spero di poter leggere presto una o piú risposte puntuali all’interessante articolo di Abate.
    genseki

  19. Aggiungo: hai avuto tutto lo spazio possibile per discutere e rendere pubblico il tuo pensiero e visibile il suddetto pezzo rifiutato. Qui su NI e da altre parti. Chi voleva leggerlo lo ha fatto. Tutto puoi dire tranne che ti abbiamo censurato. Insistere è davvero stucchevole.

  20. @ biondillo

    Continuiamo a non intenderci. Ma io sono paziente.
    il problema a cui lei e altri sfuggite è questo:

    Ma, orsù, ditemi adesso solo una [vostra] parolina sulla guerra in Libia

  21. Eppure mi pare di ricordare che genseki aveva giurato sull’onore di sua moglie di mai più intervenire sul blog dei filibustieri indiani…

  22. Il problema di Abate è che a lui non basta di vivere in un regime relativamente democratico, dove può aprire il suo blog e scrivere il pezzo che desidera sulla Libia, oppure commentare per i vari blog. Questo non è il tipo di democrazia che soddisfa Abate. Abate vorrebbe, secondo la sua concezione della democrazia, che tutti i blog dai lui scelti pubblichino i pezzi che lui crede bene debbano apparire su quei blog. Insomma, una democrazia un po’ centralizzata. Ma ovviamente una centralizzazione per il bene dell’umanità o degli oppressi.

  23. VIvano “leparoleelecose”! Un’altra finestra che si è aperta sul mondo.

    [riservato @ Stan L., perché mi chiama un in causa. Lei scrive: «Su NI è stato pubblicato di peggio. Dal punto di vista meramente “letterario”, ad esempio, il post del Signor Cuccaroni sul Manifesto TQ è ben peggio di qualsiasi articolo di Ennio Abate.» Lei crede di avere il monopolio del punto di vista meramente “letterario”, che naturalmente solo lei sa cosa sia, anche perché di tutt’altro (di metodologia analitica marxiana parrebbe) trattano i suoi commenti al post citato, che per altro non riguarda il Manifesto TQ, ma il quotidiano «il manifesto» e la sua inchiesta sul mondo dell’editoria. Questo mi fa supporre che non abbia letto bene neanche il post. Pazienza. E io che ho perso a risponderle nel luogo deputato a quella discussione e ora anche qui.]

  24. Senta, mio caro Valerio,
    rinunci a giocare a scacchi con me: non avrà scampo.

    Il letterario virgolettato è: scritto male: il suo articolo è scritto male, in virtù dei contenuti sudaticci e del vestito indossato.

    Anche quello di Abate è goffo – e giuro su me medesimo che lo è; ha solo ottenuto un trattamento diverso.

    Or si goda il mio addio: non mi dà altra alternativa che porre fine rapidamente e misericordiosamente alla contesa, allentando la pressione prima che possa lasciarla danneggiato in permanenza.

    Cavallo — sì, cavallo! — nella quinta di regina. Scacco matto.

    Stan. L.

  25. @ andrea inglese

    E quale, invece, sarebbe “il problema di Inglese”?
    A centralizzare e non so se per “il bene dell’umanità e degli oppressi” mi pare che hai imparato più tu che io.
    E, comunque, continuiamo a non intenderci. Ma io sono paziente.
    il problema a cui tu e altri sfuggite, dirottando il discorso su mie ipotetiche pretese, è sempre questo:

    Ma, orsù, ditemi adesso solo una [vostra] parolina sulla guerra in Libia

  26. A me pare che chi ha le idee poco chiare su cosa sia un dibattito pubblico sia invece proprio Lei, Inglese. Se alcuni prestigiosi intellettuali su una prestigiosa rivista culturale elettronica, in un dibattito pubblico nello spazio dei commenti, appoggiano con convinzione un intervento militare come quello della NATO in Libia sostenendo che è legale perché serve solo per impedire che un crudele dittatore massacri civili inermi attraverso l’imposizione di una “no fly zone” come precisamente stabito da una risoluzione dell’ONU che la NATO rispetterá scrupolosamente; che è doveroso appoggiare chi si impegna ad abbattere cattivissimi dittatori beduini e a instaurare democrazie per il mondo e se insomma si schierano con l’ideologia ufficiale delle pòtenze occidentali impegnate nell’intervento e poi si scopre che la risoluzione dell’ONU non è mai stata rispettata, che gli attacchi aerei si sono efftettuati contro civili e militari a terra, che hanno comportato massacri di civili e pogrom di stranieri di colore, che i civili disarmati erano in gran parte bande armate con tanto di consiglieri e addestratori militari NATO etc, ebbene, io credo che un elementare senso di responsabilitá dovrebbe indurre quei medesimi prestigiosi intellettuali a riaprire il dibattito per confermare le loro posizioni iniziali o per critcarle e riequilibrarle alla luce dei nuovi avvenimenti.
    Una richiesta di questo tipo è ovvia e indica che chi la avanza ha una certa stima del suo interlocutore, che lo crede capace di un un senso di responsabilitá che non esclude l’autocritica. Con il prestigio cresce la rsponsabilitá. Certo chi è chiamato in causa puó negarsi a riaprire la discussione ma,almeno dal mio punto di vista, tale negazione incide sulla valutazione delle sue posizioni iniziali, sulla sinceritá e la fondatezza delle argomentazioni allora addotte e su quanto allora siano state ponderate.
    genseki

  27. l’unica cosa certa è che della Libia, della tragedia libica, non importa un fico secco a nessuno (in questa discussione) abate compreso che sembra molto più interessato al suo rapporto conflittuale con NI e, in particolare, alla diffusione forzata (pistola ricattatoria alla tempia) del suo pezzo :-(
    Ma perchè le interessa tanto (ennio abate) che il suo pezzo venga postato in home di NI?
    Lo abbiamo già letto quasi tutti. Altri siti glielo hanno postato (e in alcuni è possibile commentare e discutere) e, soprattutto, con tanto di occhiello dove veniva segnalata la cosa, a quanto pare, ritenuta più significativa: la presunta censura di NI.
    Beh … in tutto questo la Libia c’entra solo in seconda istanza :-(
    Quando lei ha annunciato un suo intervento sulla libia, ho trovato la cosa molto interessante, peccato che poi il paratesto pubblicitario da lei improvvisato abbia del tutto sommerso le cose interessanti del suo testo.
    Ma … non poteva limitarsi a segnalare il pezzo fornendoci il link e facendola meno lunga?
    geo

    PS
    Libia a parte, gran brutta cosa, abate, aver postato la sua corrispondenza privata con Pinto, gran brutta cosa.
    Non è il contenuto della corrispondenza ad essere significativo (che è forse quasi tutto a favore di Pinto) ma la sua azione di averla copia incollata in un commento pubblico, non le fa certo onore.

  28. Lei, Abate, forse non ricorda bene il mio commento: la parolina sulla Libia, così come su qualsiasi, ma proprio qualsiasi, altro argomento, la dice uno, o una, di noi se e quando gli/le pare opportuno: non siamo una agenzia tenuta a prendere posizione su alcunché, mancherebbe solo questa, con tutti gli avvenimenti in linea di principio importanti e mediamente ignorati ben più che non quelli libici, che accadono in giro per il mondo; dia retta ad Andrea Inglese e si costruisca il suo bel blog di attualità politica. La democrazia è quella che appunto le permette di farsi il suo blog privato.

  29. Abate, sono pazientissimo anch’io.
    E insisto: orsù, qui siamo tutti filonazisti, cerca aria più pulita altrove.
    Di certo io nulla dico, per principio, se mi viene (gentilmente come fai tu) imposto di parlare di qualcosa che non sia io a decidere.
    Sai son capricci dell’età: dover dire pavlovianamente qualcosa su qualsiasi cosa, al primo sollecito, non è il sogno della mia vita.

  30. E giá, caro Biondillo, una volta superata l’infanzia scopriamo tutti, con il disappunto del nostro narcisismo, che abbiamo degli obblighi verso gli altri, e che ahimé, tra questi obblighi, a volte vi è anche quello di parlare di qualche cosa quando non siamo noi a deciderlo ma ci viene imposto da terzi o piú semplicemente dalla buona educazione e dal senso di responsabilitá. Questo vale per tutti e soprattutto per coloro che si trovano in posizione di orientare con le loro parole e i loro scritti molte altre coscienze. Quando ero professore avevo l’obbligo di rispondere alle domande dei miei studenti, di approfondire a loro richiesta, di criticare e di ammettere anche i miei errori. Certo so che queste pratiche non sono frequenti nell’Universitá italiana oggi e nemmeno ieri, ma in generale gli intellettuali e gli educatori ottemperano a questi doveri per senso di responsabilitá, buona educazione, garbo e anche, Le sembrerá strano, lo so, per amore della discussione e della Veritá. In genere quando qualche studente mi imponeva di ritornare su un tema e o discuterlo alla luce di nuovi dati non ero solito pensare che lo facesse per prima cosa per mettersi in mostra e non lo lapidavo con sarcasmi di dubbio gusto. Certo uno puó sottrarsi ai suoi obblighi (a quelli dettati dal senso di repsonsabilitá e dalla buona educazione) ma cosí facendo non è l’obbligo che risulta cancellato, no! Ció che risulta cancellato è la credibilitá di chi si sottrae. Egli sottraendosi manca di rispetto a se stesso e all’interlocutore. Talvolta la differenza tra obbligo e opportunitá è sfumata, è difficile. In questo caso per persone la cui opinione espressa pubblicamente ha la forza di orientare le coscienze vale il principio di responsabilitá. Nel caso della discussione sulla Libia era anche un fatto di semplice opportunitá aggiornare quella trascorsa discussione alla luce dei chiarimenti dovuti alla progerssione dei fatti. La discussione si era svolta qui e non sul blog di attualitá, che non esisteva e non esiste, di Ennio Abate (evocarlo è una patetica impertinenza) e qui avrebbe potuto essere ripresa.
    Personalmente mi sono astenuto dal cercare di riaprirla perché ero e resto convinto che non lo farete perché appunto quelli come Lei non sentono questo tipo di obbligo che noi mortali siamo stati educati dai nostri mortali maestri a rispettare nello svolgimento di attivitá culturali e intellettuali. Nell’Italia in cui il riferimento metodologico e deontologico sono Sgarbi e Bossi non ha molto senso lamentarsene. L’egemonia della destra televisiva leghista e urlante è ormai assoluta su coloro che pretendono essere all’opposizione.
    Per fortuna c’è Georgiamada che pensa ai libici, con la misericordia di una Kannon d’occidente e di tutti noi conosce i moventi e le recondite intenzioni persino quelle a noi stessi celate.
    genseki

  31. AGLI ADDETTI ALLA DISINFESTAZIONE DI NAZIONE INDIANA

    L’alloro

    Sono molti anni ormai
    che un insetto notturno
    sale in cima alle foglie dei miei allori
    le rosica e le sfrangia.
    Un liquido c’è, che lo uccide, mi dicono;
    però pericoloso. Sole non deve splendere,
    non deve tirar vento,
    non deve aver piovuto, non dev’essere
    imminente la pioggia.
    Quanto mi è stato detto
    più d’una volta ho fatto
    ma con mediocre esito. Le blatte color cenere
    a fine maggio tornano e ogni notte
    – di notte la mia lampada tascabile
    le ha sorprese allibite – su dal suolo faticano
    fino alle foglie nuove per il pasto.
    Crescono i begli allori. Non coglie alcuno, dicono,
    la bacca viola che autunno matura.
    Metafore indolenti non vi raccoglierò.
    Pure non so se combattere ancora
    gli insetti oppure lasciare che a tutto
    rimedi la natura.

    ( F. Fortini, L’alloro, in «Paesaggio con serpente», p. 11, Einaudi, Torino 1984)

    Che eccitante questo vostro uscire a turno dalla trincea della redazione di NI per disinfestare “Il Tarlo della Libia” con i vostri antiparassiti (ecologici of course). Ma perché irrorare i vostri veleni soprattutto sul sottoscritto?

    @ georgia

    1. Forse è a lei che «non importa un fico secco» della Libia;

    2. Perché a lei (georgia) interessa tanto che il mio pezzo non «venga postato in home di NI»? Perché la questione della guerra il Libia è una patata così «incandescente» da dover essere dirottata (oggi) soltanto su altri siti? Disturba qualcuno?

    3. Se siete convinti che io stia “ricattando” una laica congrega di liberi pensatori, che scrivono soltanto quando Amor o qualcos’altro gli «ditta dentro», tagliate la testa al toro: affidate il compito di scrivere un post sulla Libia a uno dei vostri collaboratori esterni (più affidabili di me) che non soffre di queste vostre nevrosi.

    4. Le ricordo che ho pubblicato la mia corrispondenza con uno dei redattori di NI senza fare il suo nome. E’ stato successivamente il da me Innominato che si è sentito in obbligo di dichiararsi con nome e cognome, per avere forse la medaglia di avanguardia della disinfestazione dell’intruso tuttora in corso. Gran brutta cosa, che certo non fa onore a lei, farmi questa lezioncina.

    @ sparzani

    Lei, che ha a disposizione un blog così importante, dia retta a me: visto che il 19 marzo 2011 scrisse un post sulla guerra in Libia intitolato «Andiam, andiam a guerreggiar», ne scriva un altro da intitolare, come preferisce, magari ” Tripoli bel suol d’amore” o qualcosa di più malinconico, magari sul ritmo di “Oh Gorizia tu sei maledetta”. Vinca la sua ritrosia. Per il bene dell’intellettualità non interventista italiana, pieghi ancora la sua geniale scrittura su un evento così banale tra i tanti che accadono in giro per il mondo. Gliene saremo grati in parecchi.

    @ biondillo

    Mi avvisi quando deciderà di dire qualcosa sulla Libia e, se sarò ancora vivo, la leggerò con attenzione.

  32. Ma caro Genseki, è vero, io sono un irresponsabile, immorale, irrispettoso dell’interlocutore, affascinato da Sgarbi e Bossi. Che mi frequenta a fare, scusi?

  33. Gentile Buffoni,
    ancor mi spiace: chiedo venia se invado col mio futile OT.

    Ma poiché non v’è discorso sulle cose-parole che non ne guadagni a certificarsi del particolare detto “Libia”, gioverà insistere.

    Mi rivolgo alle opposte schiere, di cui mi perito di non fare parte. Mi rivolgo ai pro e ai contro Abate: per mendicare savietà.

    All’Abate di Libia dico:

    amico, la tua insistenza rischia di invilupparsi in se stessa; è sadica e alimenta l’altrui ritrosia. Che senso ha?

    Se un clandestino invia messaggi, deve ben peritarsi che la bottiglia arrivi a destinazione.

    Ti premeva pubblicare l’articolo? Io, dal mio spazio diseducante, avrei limato il testo, secondo richiesta redazionale (ché un po’ limato andrebbe, se permetti); dopodiché avrei atteso la pubblicazione e avrei rimpolpato la discussione.

    La discussione sulla Libia è più importante di qualsiasi diatriba di cortile, chiunque sia ad alimentarla.

    Non è questione di abiura. Di mediazione, questo sì. La politica deve farsi più forte di ogni insolenza.

    Ai redattori in-fila-indiana dico:

    con gesto dadaista pubblicherei in home l’articolo sulla Libia.

    Se questa è una nazione – una comunità, per quanto virtuale – i solitari inquilini dei sobborghi vanno ascoltati, anche quando alzano troppo la voce. Se, in aggiunta, la nazione è indiana, ebbene: il cerchio dei saggi è sempre allargato: non c’è periferia.

    Con questo gesto si cancellerebbero le malignità e le accuse – nel caso di specie fuori-luogo, lo ammetto – di censura.

    In fondo, non è che un articolo.

    La competizione, allora, riguarderebbe la Libia. Lì troverei divertente disputare.

    Altrimenti, vi sfido a Scarabeo. Sono più scarso che a scacchi e quindi non riuscirei a vincere con tanta facilità.

    Stan. L.

  34. Questa vicenda è molto istruttiva perchè evidenzia tutti i difetti della sinistra, in particolare della sinistra estrema o rivoluzionaria o antagonista che dir si voglia;
    !) la propensione costante a dividere i buoni dai cattivi; ogni pretesto è buono per bollare l’altro come reazionario, cebsore e antidemocratico.
    2) il narcisimo: se non la pensi come me sei antidemocratico, se NI non pubblica il mio pezzo è antidemocratica reazionaria etc etc.
    Corollario del narcisimo è l’ossessiva ricerca di un pretesto per gridare al mondo di quanto si è perseguitati ( leggendo la sequenza dei fatti è evidentissimo questo secondo punto.

    Eppure è cosi’ semplice la questione:
    NI è un blog gestito da determinate persone che hanno ritenuto di adottare delle regole per la pubblicazione degli articoli.
    Chi vuole pubblicare deve sottostare a quelle regole: (in sintesi scrive una mail, emanda il testo e ne chiede la pubblicazione; il destinatario legge il testo e valuta a suo insindacabile giudizio se pubblicarlo o meno.

    Se queste regole non piacciono, se gli articoli pubblicati non sono ritenuti interessanti uno ha tutto il diritto e la libertà di non leggere questo blòg e di criticarlo.

    Mi permetto di raccontare un episodio personale:
    Ho inviato a uno dei redattori un pezzo scritto da un mio amico chiedendone la pubblicazione.
    Il redattore ha ritenuto che il taglio (era una recensione) troppo giornalistico e che per poterlo pubblicare sarebeb stata necessaria una revisione.
    Per quanto mi riguarda la mia stima per quel redattore è aumentata , nè io nè l’autore del testo ci siamo sognati di gridare al complotto.
    Insomma, detto papale papale, il fatto che la redazione non ceda per convenienza compiacenza o ruffianeria alle richieste dei suoi lettori dimostra una certa serietà da parte dei redattori che si assumono la responsabilità delle loro scelte che per forza di cose devono essere selettive. Che queste scelte possano essere in contrasto con i nostri orientamenti estetici, politici o ideologici, mi sembra fisologico. Ci mancherebbe !!!!!!!!!

  35. Gentile architetto Biondillo,

    ma io non la frequento affatto! Quello che io faccio è criticare una posizione politica, quella presa da NI sulla questione della guerra di Libia, perché non la condivido e ritengo vada criticata fortemente. Questo faccio ma io lei non la frequento, Quello che ho fatto è partecipare a qualche dibattito nello spazio dei commenti di una rivista elettronica di cui Lei e, se non errore un prestigioso redattore, Architetto, mi creda, quello che ho fatto non si puó definirlo con il verbo frequentare, è un uso davvero sommario e impreciso quello che Lei fa della lingua italiana. Io Lei non la frequento e non sento interesse a farlo anche se ammiro la chiarezza con cui si autodefinisce.
    genseki

  36. ABATE
    2. Perché a lei (georgia) interessa tanto che il mio pezzo non «venga postato in home di NI»? Perché la questione della guerra il Libia è una patata così «incandescente» da dover essere dirottata (oggi) soltanto su altri siti? Disturba qualcuno?

    GEO
    Veramente a me leggere un pezzo, suo o di altri, su NI o altrove, è del tutto indifferente, mi basta leggerlo, quindi a me basta e avanza che lei lo abbia scritto e che ci abbia segnalato il link nei commenti. Nessuno, a quanto ne so, l’ha minimamente ostacolata in questo.
    Quello che non capisco, e lo ripeto, è questo suo desiderio di vederlo postato QUI a costo di fare tutta sta sceneggiata che con la libia mi sembra c’entri poco o nulla … ma certo lei avrà i suoi buoni motivi, a me sconosciuti, e quindi le auguro di venir accontentato al più presto.
    E poi non è il primo, e certo non sarà l’ultimo, a darsi così tanto da fare, a costo di offendere e rendersi ridicolo, per essere pubblicato su NI :-) ci sono stati “illustri” precedenti.
    Beh questo è sicuramente molto lusinghiero per il blog ma, scusi se forse sono ingenua, continua ad essere del tutto incomprensibile per me.

  37. Ancora grazie a tutti quelli che hanno fatto gli auguri a “Le parole e le cose”: Carlo Cuppini, Davide Nota, Lello Voce, Fabio Franzin, Nevio Gambula, Gherardo Bortolotti, Jacopo Galimberti, Valerio Cuccaroni. E grazie a Franco Buffoni, nostro collaboratore, per averci dato voce.

  38. Ho scritto:

    “tagliate la testa al toro: affidate il compito di scrivere un post sulla Libia a uno dei vostri collaboratori esterni (più affidabili di me)”.

    Fatelo. Ripeto: non ho nessuna pretesa che sia un post mio.
    Volete che raccolga le firme e vi presenti una petizione collettiva?
    Basta che su NI si parli della Libia in questo momento.
    Era la mia richiesta iniziale.
    Il “putiferio” non sarebbe neppure cominciato, se qualcuno l’avesse accettata giudicandola legittima.

  39. E’ questo il punto, Abate: la richiesta non è legittima.
    L’avremo detto migliaia di volte: parliamo di quello che vogliamo/possiamo parlare, non di quello che ci viene preteso si parli. Appena uno pretende implicitamente ricatta. Suggerire non è imporre
    Falla pure la tua petizione, ma anche se fosse firmata da Barak Obama o Karl Marx noi NON ci sentiremo in dovere di rispondere ad alcuno.
    In quanto al resto quoto Georgia.

  40. @ biondillo

    Avete dedicato ben due post alla guerra in Libia in marzo.
    Quindi allora avete parlato di quello che volevate/potevate parlare. E la guerra in Libia era tema trattabile.
    Adesso non è più possibile.
    Spiegate almeno il perché.

    @ Muhammàr

    Anch’io ne ho tanti, ma, come vedi, non impreco.

  41. vediamo di rendere più costruttiva ‘sta buffonata (riferito a buffa polemica e non al fatto che sia in un post di buffoni;-)

    Sul Manifesto di oggi c’è un articolo veramente molto interessante che vi copio incollo

    Dopo le bombe, arriva il Fmi a «ricostruire»
    Manlio Dinucci

    Al termine del G8 di Marsiglia, la neodirettrice del Fondo monetario internazionale, la francese Christine Lagarde, ha fatto un solenne annuncio: «Il Fondo riconosce il consiglio di transizione quale governo della Libia ed è pronto, inviando appena possibile il proprio staff sul campo, a fornirgli assistenza tecnica, consiglio politico e sostegno finanziario per ricostruire l’economia e iniziare le riforme».
    Nessun dubbio, in base alla consolidata esperienza del Fmi, che le riforme significheranno spalancare le porte alle multinazionali, privatizzare le proprietà pubbliche e indebitare l’economia. A iniziare dal settore petrolifero, in cui l’Fmi aiuterà il nuovo governo a «ripristinare la produzione per generare reddito e ristabilire un sistema di pagamenti».
    Le riserve petrolifere libiche – le maggiori dell’Africa, preziose per l’alta qualità e il basso costo di estrazione – e quelle di gas naturale sono già al centro di un’aspra competizione tra gli «amici della Libia». L’Eni ha firmato il 29 agosto un memorandum con il Cnt di Bengasi, al fine di restare il primo operatore internazionale di idrocarburi in Libia. Ma il suo primato è insidiato dalla Francia: il Cnt si è impegnato il 3 aprile a concederle il 35% del petrolio libico. E in gara ci sono anche Stati uniti, Gran Bretagna, Germania e altri. Le loro multinazionali otterranno le licenze di sfruttamento a condizioni molto più favorevoli di quelle finora praticate, che lasciavano fino al 90% del greggio estratto alla compagnia statale libica. E non è escluso che anche questa finisca nelle loro mani, attraverso la privatizzazione imposta dal Fmi.
    Oltre che all’oro nero le multinazionali europee e statunitensi mirano all’oro bianco libico: l’immensa riserva di acqua fossile della falda nubiana (stimata in 150mila km3), che si estende sotto Libia, Egitto, Sudan e Ciad.
    Quali possibilità di sviluppo essa offra lo ha dimostrato la Libia, che ha costruito una rete di acquedotti lunga 4mila km (costata 25 miliardi di dollari) per trasportare l’acqua, estratta in profondità da 1.300 pozzi nel deserto, fino alle città costiere (Bengasi è stata tra le prime) e all’oasi al Khufrah, rendendo fertili terre desertiche. Non a caso, in luglio, la Nato ha colpito l’acquedotto e distrutto la fabbrica presso Brega che produceva i tubi necessari alle riparazioni. Su queste riserve idriche vogliono mettere le mani – attraverso le privatizzazioni promosse dal Fmi – le multinazionali dell’acqua, soprattutto quelle francesi (Suez, Veolia e altre) che controllano quasi la metà del mercato mondiale dell’acqua privatizzata.
    A riparare l’acquedotto e altre infrastrutture ci penseranno le multinazionali statunitensi, come la Kellogg Brown & Root, specializzate a ricostruire ciò che le bombe Usa/Nato distruggono: in Iraq e Afghanistan hanno ricevuto in due anni contratti per circa 10 miliardi di dollari.
    L’intera «ricostruzione», sotto la regia del Fmi, sarà pagata con i fondi sovrani libici (circa 70 miliardi di dollari più altri investimenti esteri per un totale di 150), una volta «scongelati», e con i nuovi ricavati dall’export petrolifero (circa 30 miliardi annui prima della guerra).
    Verranno gestiti dalla nuova «Central Bank of Libya», che con l’aiuto del Fmi sarà trasformata in una filiale della Hsbc (Londra), della Goldman Sachs (New York) e di altre banche multinazionali di investimento. Esse potranno in tal modo penetrare ancor più in Africa, dove tali fondi sono investiti in oltre 25 paesi, e minare gli organismi finanziari indipendenti dell’Unione africana – la Banca centrale, la Banca di investimento e il Fondo monetario – nati soprattutto grazie agli investimenti libici. La «sana gestione finanziaria pubblica», che l’Fmi si impegna a realizzare, sarà garantita dal nuovo ministro delle finanze e del petrolio Ali Tarhouni, già docente della Business School dell’Università di Washington, di fatto nominato dalla Casa bianca.
    Manifesto 13 settembre 2011, p. 8

  42. @ georgia

    Ecco cominciamo a ragionare (cioè a parlare di Libia e Dinucci va benissimo al posto mio: è uno studioso serio e documentato…).
    Ora lei, che sicuramente è più gradita di me alla redazione di NI, proponga (o pubblichi direttamente lei se ne ha la possibilità) questo articolo in home e così ci trasferiamo ad altro apposito post, scusandoci ancora con Buffoni per l'”invasione”.
    Gliene saremo grati io e tutti quelli che vogliono e possono parlare della guerra in Libia oggi.

  43. lasci perdere le classifiche di gradimento (non credo proprio che le mie quotazioni siano alte), le classifiche non sono cose da Rete seria, dove il gradimento non è mai sulle persone ma su quello che scrivono, l’articolo di Dinucci per la verità è on line sul Manifesto, nel settore fuori pagina, dove sono aperti i commenti (che però di solito non sono molto interessanti (troppo alto il tasso ideologico ed assertivo e troppo basso quello dialogico), quindi non c’è alcun bisogno di postare altrove per discuterne.
    Questo non toglie che io possa postare questo articolo anche nel mio blog ora solo al volo … magari in serata.

  44. Tutto ormai tacendo, a mo’ di riepilogo e di monologo
    (e ringraziando ng, genseki e stan per le cortesi o sagge parole spese in questa occasione). [E.A.]

    IL TARLO DELL’ESODANTE
    RIFUGIATO IN UNA POESIA DI BERTOLT BRECHT

    A chi esita*

    Dici: «Per noi va male. Il buio
    cresce. Le forze scemano.
    Dopo che si è lavorato tanti anni
    noi siamo ora in una condizione
    più difficile di quando
    si era appena cominciato.

    E il nemico ci sta innanzi
    più potente che mai.
    Sembra gli siano cresciute le forze, ha preso
    una apparenza invincibile.
    E noi abbiamo commesso degli errori,
    non si può più mentire.
    Siamo sempre di meno. Le nostre
    parole d’ordine sono confuse. Una parte
    delle nostre parole
    le ha stravolte il nemico fino a renderle
    irriconoscibili.

    Che cosa è ora falso di quel che abbiamo detto?

    [IL TARLO:
    È falso tutto quello che hai detto credendo o fingendo di avere di fronte degli amici o almeno degli avversari curiosi, mentre sapevi o dovevi sapere che avevi di fronte dei nemici, i quali, avendoti individuato come dissenziente, ipercritico, provocatore, ti avrebbero trattato da nemico. Hai visto come hanno evitato cinicamente di pronunciarsi nel merito del tuo discorso e usato il formalismo, come una scacciacani? Ben ti sta. Adesso sai che su certe cose e con tipi come te, quelli di Nazione Indiana “fanno gli indiani”.]

    Qualcosa o tutto?

    [IL TARLO:
    Tutto, tutto. Questi sono i nipotini viziati dei «Fratelli Amorevoli» e non dovevi illuderti. Volevi discutere con loro della guerra in Libia come se fossero Compagni, gente capace di dubbi, di revisioni, di bilanci del già detto, d’interrogazioni sincere e senza opportunismi sulla crisi di questa democrazia e su che cosa significa «scrivere sulla sabbia di questa Democrazia»?
    No, sono dei letterati snob. Discutono e litigano, ma soltanto tra di loro o con i loro simili (accademici titolati). E all’infinito: sul neo-neo-realismo, sul superamento del postmodernismo, sulla prosa-prosa e sulla poesia-non poesia. E hanno tutte le buone citazioni per farl colpo. Ma una banale riflessione sulla Libia, visto che in illo tempore, magari per distrazione, l’avevano cominciata? Giammai. Non è più in agenda. ]

    Su chi contiamo ancora?

    [IL TARLO:
    Su chi s’interroga e dubita sistematicamente. Ma non li trovi né su ««Nazione Indiana» né su «alfabeta 2». E non so dove li troverai di questi tempi… ]

    Siamo dei sopravvissuti, respinti
    via dalla corrente?

    [IL TARLO:
    Certamente. Sei nelle condizioni in cui si sono trovati in tanti dopo che il Conflitto è stato sconfitto. Non essendoti venduto e non accettando QUESTA DEMOCRAZIA che esporta guerra, passerai il resto della vita a testimoniare insieme a pochi altri (inascoltati o pochissimo ascoltati) “qualcosa” che nessuno più crede sia veramente accaduta, “qualcosa” di sempre più intraducibile dalla tua «lingua mortua» nella “lingua americanizzata dei vincitori” (e dei loro indigeni servi). Guarderai la corrente senza poterti più immergere in essa. Perché a te fa ribrezzo, mentre loro ci sguazzano dentro ilari o falsamente meditabondi, citando di tanto in tanto anche Fortini o Brecht (in versione imbalsamata). E ti sbeffeggiano, ti fanno la lezioncina. Ti pesterebbero pure e non solo con le parole come hanno pur fatto, se si presentasse l’occasione e tu andassi a ricordargli che «il re(-pubblica) è nudo».]

    Resteremo indietro, senza
    comprendere più
    nessuno e da nessuno compresi?

    [IL TARLO:
    È probabile visto quello che è in arrivo…].

    O dobbiamo sperare soltanto
    in un colpo di fortuna?

    [IL TARLO:
    Meglio di no. La Fortuna i suoi colpi te li ha già dati. E anche in questa occasione. Se proprio ti va di sperare, non cercare tra chi “fa l’indiano”]

    Questo tu chiedi. Non aspettarti
    nessuna risposta
    oltre la tua.

    * La poesia di Brecht si legge a pag. 216 di «Poesie 1933-1956», Einaudi, Torino 1977

    P.s.

    Ieri ho inviato agli indirizzi della mia mailing list la notizia della morte di Edoarda Masi, quella sì una intellettuale che non faceva l'”indiana”. Su lei si legge nel sito de L’OSPITE INGRATO del Centro F. Fortini di Siena
    http://www.ospiteingrato.org/
    L’ho inviata anche al recapito della redazione di Nazione Indiana.
    Spero che un post glielo dedichino, saltando il fatto che gliel’ho segnalato io (ma, spero, altri). A meno che non intendano il mio implicito invito come un altro “ricatto”.

  45. Caro Stan,

    Come è scritto al paragrafo 1075 del Parmenide di Platone, sostenere una posizione argomentativa gettando un po’ di veleno sugli altri è cosa di cattivo gusto. Quando la nebbia si tinge di cattivi sapori diventa, come minimo, smog.

    Forse mi sbaglierò, ma credo che lei il pezzo del signor Abate non l’abbia guardato. C’è una differenza precisa fra quello che lei chiama il mio barocchismo o il modo di scrivere essenziale di qualcun altro, e l’agglomerato interiettivo che tramava il pezzo di Abate nella forma in cui io l’ho letto.

    Saluti barocchi.

  46. All’Osteria del Calice c’era un solo cliente. Era l’agente in borghese Bretschneider, che serviva nella sezione politica. L’oste Palivec lavava i bicchieri, e Bretschneider si faceva inutilmente in quattro per attaccare con lui una conversazione di qualche importanza. (…) (…) Bretschneider si chetò e si mise a guardare pieno di delusione nel locale completamente deserto.<>, soggiunse dopo una pausa:<>. <>, rispose il signor Palivec;<>

  47. Chiedo scusa, ho sbagliato a postare. Era una citazione da “Il buon soldato Sc’vèik” di Jaroslav Hašek. Ma poi mi sono reso conto che poco aveva a che fare, qui. Ho tentato di abortire, ma ho cliccato inavvertitamente l’invio.
    Rinnovo le scuse.

  48. @ Gigi Capastina

    Beh, visto che la discussione langue, possiamo anche divagare un attimo. Il suo errore non è così grave e OT. Basta un qualche “riadattamento” ad hoc.
    Ho ripescato su Google il brano (più completo) da lei postato per sbaglio. Lo riporto. Segue poi il “riadattamento” al nostro contesto:

    A.

    Da “Il buon soldato Sc’veik “

    “(…) All’Osteria del Calice c’era un solo cliente. Era l’agente in borghese Bretschneider, che serviva nella sezione politica. L’oste Palivec lavava i bicchieri, e Bretschneider si faceva inutilmente in quattro per attaccare con lui una conversazione di qualche importanza. (…) (…) Bretschneider si chetò e si mise a guardare pieno di delusione ne locale completamente deserto.<>, soggiunse dopo una pausa:<>. <>, rispose il signor Palivec;<>(…) (…)<<Che sia una gran perdita nessuno lo può negare. Una perdita enorme. Un Ferdinando non può essere mica sostituito da un imbecille qualsiasi. Quando ci ripenso: uno zio di Sua Maestà l’imperatore che muore ammazzato come un cane! "

    A.1.

    "All’Osteria di [Nazione Indiana] c’era un solo cliente. Era [il commentatore E.A.], che serviva nella sezione [dei post a tema politico]. L’oste [uno dei redattori di NI a piacere] lavava i bicchieri, e E..A. si faceva inutilmente in quattro per attaccare con lui una conversazione di qualche importanza. (…) (…) E.A. si chetò e si mise a guardare pieno di delusione nel locale completamente deserto.<>, soggiunse dopo una pausa:<>. <>, rispose il signor [uno dei redattori di NI a piacere];<>(…) (…)<<Che sia una gran perdita nessuno lo può negare. Una perdita enorme. Un [Gheddafi] non può essere mica sostituito da un imbecille qualsiasi. Quando ci ripenso: un [rais] che muore ammazzato come un cane! Questo sì che è uno scandalo: i giornali non parlano d’altro."

  49. @ Ennio Abate
    (scusandomi con Buffoni per il protrarsi di un OT che ha sicuramente stravarcato i limiti della decenza),

    forse mi sbaglio, ma accade anche a lei quello che è capitato a me nel postare (sia pure per errore) la citazione. Le frasi tra ” ” se le sono mangiate i passeri…
    A questo punto, ritenendole di esiziale importanza, le riporto (nella traduzione degli eminenti slavisti Poggioli e Meriggi).
    Ecco:

    – Un tempo qui c’era appeso un ritratto di Sua Maestà l’imperatore, soggiunse dopo una pausa:
    – proprio lì dove ora c’è quello specchio.
    – Sicuro avete ragione,
    rispose il signor Palivec;
    – Stava appeso lassù e le mosche ci facevano sopra i loro comodi, sicché ho dovuto portarlo in solaio. Capite: qualcuno si sarebbe potuto permettere qualche osservazione, m’avrebbe procurato delle seccature. Come se non ne avessi abbastanza!

    Qui finisce la citazione. Per la cronaca, l’osservazione incauta dell’oste Palivec, a riguardo delle mosche che avrebbero caghicchiato sul ritratto di Cecco Beppe, gli costerà la galera…

  50. @ Gigi Capastina

    Oh, maledizione!
    Non avevo controllato dopo aver postato.

    Provo a sostiuire le virgolette e a togliere la formattazione al brano:

    A.

    “(…) All’Osteria del Calice c’era un solo cliente. Era l’agente in borghese Bretschneider, che serviva nella sezione politica. L’oste Palivec lavava i bicchieri, e Bretschneider si faceva inutilmente in quattro per attaccare con lui una conversazione di qualche importanza. (…) (…) Bretschneider si chetò e si mise a guardare pieno di delusione ne locale completamente deserto.« Un tempo qui c’era appeso un ritratto di Sua Maestà l’imperatore», soggiunse dopo una pausa:«proprio lì dove ora c’è quello specchio». «Sicuro avete ragione», rispose il signor Palivec;«stava appeso lassù e le mosche ci facevano sopra i loro comodi, sicché ho dovuto portarlo in solaio. Capite: qualcuno si sarebbe potuto permettere qualche osservazione, m’avrebbe procurato delle seccature. Come se non ne avessi abbastanza!»(…) (…)«Che sia una gran perdita nessuno lo può negare. Una perdita enorme. Un Ferdinando non può essere mica sostituito da un imbecille qualsiasi. Quando ci ripenso: uno zio di Sua Maestà l’imperatore che muore ammazzato come un cane! »

    A.1.

    “All’Osteria di [Nazione Indiana] c’era un solo cliente. Era [il commentatore E.A.], che serviva nella sezione [dei post a tema politico]. L’oste [uno dei redattori di NI a piacere] lavava i bicchieri, e E..A. si faceva inutilmente in quattro per attaccare con lui una conversazione di qualche importanza. (…) (…) E.A. si chetò e si mise a guardare pieno di delusione nel locale completamente deserto.«Un tempo qui c’era appeso un ritratto di [Gheddafi] », soggiunse dopo una pausa:«proprio lì dove ora c’è quello specchio». «Sicuro avete ragione», rispose il signor [uno dei redattori di NI a piacere];«stava appeso lassù e le mosche ci facevano sopra i loro comodi, sicché ho dovuto portarlo in solaio. Capite: qualcuno si sarebbe potuto permettere qualche osservazione, m’avrebbe procurato delle seccature. Come se non ne avessi abbastanza!»(…) (…)«Che sia una gran perdita nessuno lo può negare. Una perdita enorme. Un [Gheddafi] non può essere mica sostituito da un imbecille qualsiasi. Quando ci ripenso: un [rais] che muore ammazzato come un cane! Questo sì che è uno scandalo: i giornali non parlano d’altro.»

  51. Visto che la ragionevolezza di ‘georgia’ non ha avuto più seguito e il ponte levatoio della Fortezza Redazionale di NI è stato tirato su continuo – e sempre scusandomi con Buffoni (mi tasserò per lo spazio che gli sottraggo…) – almeno a segnalare un qualche articolo interessante sulla guerra in Libia. Eccone uno:

    Dove sia Gheddafi è dettaglio, dove finirà la Libia il cruccio
    Scritto da Ennio Remondino Mercoledì 14 Settembre 2011 09:42
    http://www.megachip.info./tematiche/guerra-e-verita/6776-dove-sia-gheddafi-e-dettaglio.html

    Mentre le cronache guerresche si ammosciano, soltanto un balbettio politico diplomatico su cosa si stia realmente preparando per la Libia.
    Il rischio di vincere la guerra e perdere la pace. Accade come sempre in ogni guerra. Il racconto del dopo non fa ascolto in televisione e fa paura alla politica. “Abbiamo vinto”, forse, ma eravamo in tanti.

    Chi ha veramente vinto sul campo, quali fazioni o gruppi tribali hanno vinto più degli altri, e quanti e quali di loro sono amici nostri, e chi, e come, degli “alleati” in guerra, si prepara a fotterci nella pace? Verbo volutamente forte a sottolineare, per i benpensanti ingenui, che le guerre, le mene diplomatiche e politiche che le decidono, le conducono e le concludono (quando ci riescono) non sono, non possono essere cose per signorine di buona famiglia. Nella Libia di questi giorni meno che mai, ma anche nei corridoi ovattati delle nostre cancellerie. Mille domande, poche risposte.

    Il peso del contributo di sangue. Chi ha vinto la battaglia di Tripoli? Primo quesito e risposta apparentemente facile che ne apre altre più complesse, formato matrioska. Non sono state le truppe disordinate del Comitato Nazionale Transitorio di Bengasi (CNT) a conquistare la capitale. Lo sostengono a buona ragione i gruppi tribali ed etnici che la battaglia di Tripoli hanno combattuto casa per casa. Ex lealisti passati con la rivolta, kabile sino a ieri incerte, cittadini esasperati dall’ostinazione del clan Gheddafi in una battaglia ormai persa. E poi il sangue versato a Ovest, a Zintan, o ad est, a Misurata. Città martiri, sangue da far pesare nella formazione del governo di unità nazionale, col riconoscimento unanime, al CNT, di aver saputo condurre e gestire la parte politica internazionale.

    Il fantasma del generale Yunis. La partita politica interna resta dunque tutta da giocare, con una serie di incognite. Prima tra tutte quella delle componenti islamiche che hanno ormai una loro forte rappresentanza interna. Il leader storico di al-Qaida in Libia, Abdelhakim Belhadj, è divenuto governatore militare di Tripoli ed è il responsabile dell’organizzazione dell’esercito della “nuova Libia”. Poi le richieste per ora insoddisfatte di tipo etnico o tribale da mettere nel conto. Ma il punto di equilibrio, o di rottura, verrà dalla “verità” ufficiale sulla morte di Abdel Fattah Yunis, l’ex ministro dell’Interno di Gheddafi e generale comandante dei ribelli in Cirenaica. Prima di essere ammazzato da una fazione interna. Conti da saldare tra kabile o una mossa preventiva degli islamisti contro il laico Yunis?

    Troppe armi distribuite a casaccio. Il governo provvisorio sulla questione Yunis per ora tergiversa. Ma il caos potenziale sul piano militare non è dato tanto dei rimanenti lealisti che sembrano proteggere la fuga di Gheddafi verso sud, nel deserto tra Tunisia e Algeria. A frantumare di fatto la “Libia liberata” sono proprio quelle realtà tribali che ancora non riconoscono il CNT e controllano frazioni di territorio imponendo la loro sicurezza. Manca insomma qualsiasi forma di unità militare reale e, quel che è peggio, le operazioni più o meno clandestine di fornitura di armi ai ribelli da parte dei paesi occidentali è avvenuta “a pioggia”. A casaccio, per dire meglio e chiaramente. E il territorio, oltre le isole dove ancora di combatte, è controllato da kabile spesso nemiche tra loro. Con i primi atti di criminalità comune.

    Governo largo e pasticciato? Urgenza estrema, riconvertire la vita politica ed economica del Paese, e ciò dovrà accadere attraverso la scelta delle persone che segneranno il dopo Gheddafi. Due gli elementi essenziali ed, assieme, in contraddizione. Determinante la rappresentatività più vasta possibile della realtà politico-sociale (e rivoluzionaria, e tribale) della Libia che s’è ribellata e di quella che ha, alla fine, deciso che era impossibile continuare con l’isolamento imposto dal Rais. Controindicazione, la probabilità di un pastrocchio decisionale inestricabile. Sull’immediato futuro pesa anche la storia che ci ricorda come, prima della colonizzazione, la Libia nei confini a noi noti non sia mai stata Stato. Creatura coloniale prima e “gheddafiana” dopo. Oggi la rivoluzione vuole uno Stato come prezzo del sangue versato.

    Finita la guerra libica, inizia quella internazionale. Sulla moralità della politica degli Stati attorno ai valori etici, umanitari e democratici, credo non esista più alcuna illusione. Guerre “umanitarie” a orologeria di convenienza. Anche questa. La Francia, primo attore nei bombardamenti, intende fortemente incassare. A scapito dell’Italia, se parliamo di gas e petrolio, e sono da prevedere segretissime operazioni di “discrising”, che, nel linguaggio delle spie si traduce in “sputtanamento”. Gli inglesi, golosi e iper rappresentati a livello internazionale si muoveranno con l’Onu a tutela loro e dei cugini atlantici. Anche i russi sono arrivati. Senza proporre socialismo hanno il petro-rublo in grado di fare penetrazione economica sul modello occidentale. La Cina s’è a sua volta affacciata.

    Il mondo arabo dove crediamo si fermi? Una delle stupide illusioni di noi occidentali è che ciò che è già accaduto e si prepara nel resto del mondo arabo sia merito dei nostri modelli avanzati di democrazia. Nessuno dà, per incultura, o vuoi, per ipocrisia o paura, fare i conti con i fatti. Ad esempio. Cominciare a ragionare su cosa rappresenti oggi il minuscolo emirato del Qatar e la sua potentissima televisione Al Jazeera. Cosa quello strumento comunicativo ha provocato in Tunisia, in Egitto, in Libia. Già ora cosa sta accadendo in Siria. Lo strumento tecnico, compreso internet, è un prodotto occidentale, ma il suo uso sul campo, vi assicuro, è intelligenza e progetto tutto loro. Globalizzazione economica e informativa scritta in arabo. O in turco. O in yemenita. Con la mina Siria che imporrebbe anche i caratteri dell’alfabeto ebraico.

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franco buffoni
franco buffonihttp://www.francobuffoni.it/
Franco Buffoni ha pubblicato raccolte di poesia per Guanda, Mondadori e Donzelli. Per Mondadori ha tradotto Poeti romantici inglesi (2005). L’ultimo suo romanzo è Zamel (Marcos y Marcos 2009). Sito personale: www.francobuffoni.it