(tagli)
di Viola Amarelli
bozza 1
Un coltello, da roast-beef. Da decenni taglia affilato. Per caso è della marca migliore, la lega di acciaio all’epoca anche lei la migliore. Roba svizzera. La precisione: i tagliagole a mercede hanno bisogno di lame affilate. È – sono – ancora lucido. Imperturbabile, inscalfibile, pare. Il padrone di casa, che non capisce niente di coltelli, continua a usarlo. Ogni tanto adesso – che proprio ora è invecchiato – si chiede chi durerà di più. Se lui o il coltello. Il coltello non ha dubbi. In teoria, stocasticamente, sarà qualcun altro a usarlo.
bozza 2
Avrebbe voluto fare il lanciatore di coltelli, il flash da circo bambino riempie gli occhi. Oppure l’orologiaio. O il tagliatore di diamanti. Qualcosa che richieda mani e attenzioni. Al limite, taglia taglia e ricuci, il chirurgo. Il bisnonno era stagnino. Molto bravo, raccontano in famiglia. A lui invece tocca occuparsi di barili. Barili di soia. All’ingrosso. Alla fine ha imparato i trucchi che si riducono a due: sorridere e sgolarsi. Il metatrucco, il fondamentale, è capire come alternarli. Però adesso potrebbe comprarsi un bancone da falegname. In campagna, dove non va più nessuno. Magari anche una sagoma da tiro a segno. E un manichino. Per provare i coltelli. Una bambola gonfiabile sarebbe d’effetto ma è rischioso e poi un manichino maschile va meglio. Non ha niente contro le donne. Ama solo i coltelli. Vallo a dire. Infatti non lo dice.
bozza 3
Sono di. Vetroresina. Altri di poliuretano. Gli ultimi arrivi in cartapesta : articolazioni in metallo. Mi piace. Essere in vetroresina lucida. Senza capelli, e con le gambe danzanti. Finirò in una show room. Elegante, addomesticato addobbato languido e teso come un felino. Bella vita. Inutile, sì, lo so. Altri si dedicano al crash test. E alla formazione sanitaria. Didattica e volontariato. Li stimo. A me, mi ha rovinato l’estetica. Il massimo sarebbe essere di gesso. Formato David di Michelangelo. Un sogno in 3D. Mio fratello l’ha comprato un lanciatore di coltelli. L’unico rischio per me, invece,l e forbici di un fashion dress. Panni. E drappeggi. Una vita da gatto, quasi. Il manichino di un gatto. Quella, però, è un’altra storia.
bozza 4
Le forbici non funzionano. S’incazza. Le cose smettono di funzionare quando servono, è una costante. Lo spago è bello spesso, perfino con il piombino. Strano, ormai si usano solo reggette di plastica. Anche la lettera incollata sul pacco è avvolta da strati di nastri adesivo. Forse è meglio chiamare la sorveglianza. Meglio un fesso vivo che un curioso morto. Per questo ha fatto carriera, e non apre i pacchi.
bozza 5
Mi vedete così, sottile, spuntato, con l’elsa lucida. Esco fuori in parata, agli appelli, alle cerimonie. Noiosissimo, fremo. Uno spreco. Mi manca la punta, e l’incrocio di ferro, l’elsa dorata, il fodero da ingrassare. In mano a provetti incapaci. Con mantelli d’annata e nessuna idea. Tutti presi da mine e bazooka. Che mai vedranno. Darei qualunque cosa per essere una baionetta, una roncola, un’ascia, non questo stupido ornato, senz’arte né parte.
brogliaccio
Musei e musei teche e ribalte, crogiolo e vampa, il miscuglio, il forno, la pietra, il calore. Che sia vulcano e giù l’acqua di forgia. Il mestiere che è arte, che è sacro. Che serve, La zappa. Il forcone, il taglio di lana, la lancia dei giorni di morte. La zappa, del cibo, del tubero, seme, materia rivolta. Un’arte di terra e di fuoco. Senz’aria, a gonfiare il calore. L’inferno. Il rasoio. L’altoforno, l’ossidrica, vampa. Insieme: non parlate, il fumo lungo e brunito di ciminiere, mattoni speciali. Una lunghissima storia. Nessuno racconta. Il taglio. Del grano. Del corpo, offesa e difesa. Una lunga veglia alimenta la vita e i fuochi. Persa ogni traccia. Taglia, per entrare dentro, più a fondo. Quel poco o molto che serva. Metallo. Dal cuore alle vene. Taglia.
riepilogo
La punta al carbonio. Taglia netta. Attenta, a margini certi. Va a fondo, risana. Materia nova che scotta, combusta. Placa. Acqua e aria.
cancellar(e tutto)
Poi il laser, la luce. Sfoglie di onde, festose? Sia, festosa.
Incidere, tagliare la carta, la pelle, ferire, ferirsi, trovare lo spazio nella scrittura. Viola sa della scrittura, dei forbici, del coltello dentro il corpo del testo, del bozzo, della scelta, del mestiere di sarto, quando una parola scompare con il clic dei forbici, dice del lavoro, della doglia, del sangue interiore, del frammento di vetro, di bambola, di parola vetro, infranto, spezzato, lo sento nel ritmo regolare, in rottura anche dei mani del sarto,
del filo, il tessuto della pelle, il tessuto della carta, il lavoro di ragnatela, di ragna, animale, scrittore.
Bello, Viola—- come sempre.
Ricordano per certi aspetti gli snapshot dei romanzi di Arno Schmidt.
cose & astrazione – ottima amarelli, gran ‘taglio’ il suo