Notorietà del vuoto 2
8 spunti lucreziani
di Andrea Inglese
2.
At nunc per maria ac terras sublimaque caeli
multa modis multis varia ratione moveri
cernimus ante oculos, quae, si non esset inane,
non tam sollicito motu privata carerent
quam genita omnino nulla ratione fuissent,
undique materies quoniam stipata quiesset.
(I, 340-345)
Si vede, nel video, come se ne vanno,
come vengono, e partendo ritornano,
e poi lasciano, si ritrovano, convergono
in altri moti divaganti, sparpagliati
o compatti, sono masse fluenti, sono
flussi umani, ma senza salvifica
orbita, ognuno abbandona il posto
proprio per uno più in basso o in alto.
Lo spazio c’è, vuoto, per passare, le soglie
non fanno inciampo, neppure le frontiere
di mare tengono fermo l’ammarato
che sconfina, tutto gonfio d’acque,
a Porto Palo, e sotto l’onda, obliqui,
scorrono, oscuri, oltrefrontiera i neri
tra una terra e l’altra, le correnti portano
via ininterrotte, anche senza un porto,
una bara stagna, un buco di sepoltura.
Tutti all’inesausta traversata, chi nell’aria,
dentro una carlinga lucidata, con l’aria
temperata, le pagine di borsa, il succo
d’aranciata, chi sulla zattera affollata,
per mare piatto, affocata, dove l’urina
si beve centellinata, tutti atterriti
all’avanzata, nella vuota mira
d’un paradiso fiscale o di qualche
soldo da spedire, chi sull’auto d’alta
cilindrata, chi nei vani motore, vivo
imballo, segreta merce che respira
tra pianale e paracarro.
Su trampoli, a cavallo, rasoterra,
come scalciati, trainati, se ne vanno,
toccata la sponda tornano, nel video
si vedono, insonni, a tagliare
nel vago: nulla li frena, li calma,
nel loro quotidiano capofitto.
*
3.
Praeterea quamvis solidae res esse putentur,
hic tamen esse licet raro cum corpore cernas.
(I, 346-347)
Se dio esistesse, avrebbe, come ogni fattore che si rispetti, tenuto le cose e tutti quanti al loro posto, ogni cosa nella sua guida, ogni corpo dentro l’uniforme, un presepe saldo, lustro, definitivo, costituito di una materia immane, quasi immateriale, completamente levigata, traslucida, piena, che nessuna ruggine o crepa intacca, come il bene di cui almanacca Agostino, al di fuori del quale il male è nulla, pura deficienza d’essere, ma è questo il punto: l’essere ondeggia, slitta su se stesso, sbanda, sfarina, cade in pezzi. Se dio esistesse, pur nel suo indecifrabile disegno, qualcosa almeno sarebbe chiaro: l’incolumità dei viventi e della vasta mole delle loro suppellettili, ma si evince copiosamente che nulla è impenetrabile nelle cose, il rimescolamento regna, e l’infiltrazione, il contagio, l’osmosi, poiché ogni recipiente, piano d’appoggio, muro di protezione e sostegno, è predisposto a divaricazione, curvatura, piegamento, guasto, decomposizione, schianto, rovinosa sparizione.
*
“Un poeta si riconosce per la quantità di versi inutili che non scrive”. (René Char)
“Se dio esistesse, pur nel suo indecifrabile disegno, qualcosa almeno sarebbe chiaro: l’incolumità dei viventi e della vasta mole delle loro suppellettili, ma si evince copiosamente che nulla è impenetrabile nelle cose, il rimescolamento regna”
Se è concesso pensare a un Dio, questo Dio, lungi dalle qualifiche morali e circostanziate religiosamente, è proprio questo rimescolamento, questa osmosi: giacché conterrebbe perfetto e imperefetto, mondo e immondo. altro che avrebbe tenuto tutto al suo posto…
fm, mi sa che René Char disse una sciocchezzuola. forse doveva leggersi un po’ di Campana, Wilde e Rimbaud? forse pure tu?
il punto tre è denso di concetti da sviluppare…
molto interessanti, i risvolti di questa: cosa, materia, ente, capace di assorbire ogni aspetto di ciò che incontra.
è quindi passivamente animata, abitata, viva.
altrimenti sarebbe amorfa, slegata, inerte.
è un cielo stellato, la cosa più grande!
p.s.: lo spunto 1 non si riesce ad aprire.
ne approfitto per aggiungere una cosina…
Dio ama l’ordine, un ordine che la natura conosce bene.
un ordine che non guarda in faccia nessuno.
Dinamo, lasciami il tempo, lasciami crescere – sono appena agli inizi…
@ Carla
Mi sa che hai sbagliato blog, post e commentarium contemporaneamente. Succede. Sempre meglio che sbagliare “mestiere”, comunque.
A me, onestamente, a me piace.
Sarò ovvio…
fm, mi sa che hai sbagliato interpretazione, a partire dalla prima.
Sarà che Lucrezio mi piaceva perfino al liceo, sarà che sono atea, ma essere stata l’altra sera alla libreria Tadino ad assistere alle letture è stato un bel privilegio.
Mi hanno perfino venduto il libro!
Molto bella la poesia. Entro meno nella prosa.
Ciao
db
fm, è proprio questo il problema, devi cercare di non crescere più
Mi trovo molto d’accordo con lo spunto 3, soprattutto se si intende che ogni cosa ha dentro di sé in potenza il proprio cambiamento, la propria rivoluzione e dissoluzione. Sullo spunto 2: mi piace, ondeggia come il mare, ma siamo sicuri che si possa oggi affrontare poeticamente il caos allo stesso modo – più o meno – di come faceva lucrezio?
Il dolore del mare, poesia di tradizione antica, verso noi, ombre di vita lottando tra le onde, verso i fratelli, fragila speranza, sulla barca nel pericolo, lottando con il soffio- mi dà un sentimento scovolto- sono affogata- dentro il mare- mi dà disperazione per la condizione umana-
c’è un’angoscia dentro poesia meditativa- specchio- i versi di Lucrece
sono nell’abisse del mondo- specchio delle barche di notte a notte-
con tanti corpi, frammenti, polvere annegati- carne con ossi- senza ossi
corpi di meduse, partono nel vuoto o nell’infinito.
Pascal ha scritto a proposito della meravigli dell’infinito, specchio divino,
io, l’infinito mi spaventa.
mi scuso fragile speranza- sconvolto- meraviglia
a roberto,
la traduzione dello spunto 3 di Luca Canali suona: “E inoltre, per quanto le cose appaiano solide, / di qui puoi vedere che contongono il vuoto.”
Il vuoto, per Lucrezio, è condizione di possibilità del moto d’aggregazione e disgregazione degli atomi, ossia condizione del movimento, mutamento, divenire eterno del mondo. Allora, ateisticamente, anche noi, soggetti umani, più che portatori di un’anima immortale (e solidissima), siamo portatori, dentro la nostra apparente solidità, e salute, del principio di dissoluzione: l’esterno ci assale, il mondo ci attraversa, e ci squassa.
sullo spunto 2: sempre Canali:
“Ma attualmente nel mare, nella terra, nell’alto dei cieli,
ci appare alla vista il diverso molteplice andare
di tante creature, che invece, in assenza di vuoto,
non solo sarebbero prive dei loro instancabili impulsi,
ma non sarebbero state nemmeno generate affatto,
poiché ovunque stipata la materia sarebbe rimasta inattiva.”
Non so in quale altro modo può tradursi quel “sollicito motu”, ma richiama questa sorta di incomprimibile necessità individuale e collettiva di muovere altrove, tendere a qualcosa di diverso, lontano, altro. Vi ci leggo una sorta d’irrequietudine che è al contempo soggettiva (umana) e oggettiva (cosmica). Ma questo anche per dire che lo spunto per me non è tanto legato al caos, ma semmai alla necessità di mutamento: coatti a mutare, contro ogni sogno di identità, certezza ideologica e economica, compiutezza sociale e esistenziale, ecc.
Chissà come racconterebbero le vicende di Berlusconi i poeti latini… ce ne sarebbe di materiale…
Trovo di gran conforto che Inglese si faccia portatore di inquietudini e di necessità di mutare il mondo, giacché vola alto pur tenendo conto delle traduzioni e delle interpretazioni passate. A me interessa sapere come è nato questo bisogno di tradurre Lucrezio proprio ora. Scelta editoriale ardita.
@Bassoli: lasciamo Lucrezio a Lucrezio. Non si può attualizzare tutto per voglia di boutade.
Trovo questo “Lucrezio-distratto” di Inglese decisamente interessante e disponibile a ulteriore distrazione. Il primo emistichio del punto 2, in questo senso emblematico, mi sembra contenga infatti il baratro e la separazione posti a premessa condizionante di tutta la riscrittura: “si vedono”, certo, *ma* “nel video”. Il che, certo, sta in un rapporto implicito con la metafora – che sappiamo paradigmatica per la cultura occidentale – del “naufragio con spettatore”; un rapporto che, saltando le rimodulazioni della stessa metafora indagate da Blumenberg, risulta minato alla base, rovesciando così una teoria della conoscenza, e con essa la stessa possibilità di una “notorietà” contemplativa purchessia, nella condizione complessa e disperata dell’uomo – dico nei termini di Gunther Anders – “senza mondo”.
da – ma parlo per me stesso – approfondire il legame tra questa possibile interpretazione di “premesse” e lo scatto o reagente esplorativo “infraordinario” che sostanzia altra parte dell’opera di Inglese.
un saluto,
f.t.
a fabio,
sì, in Lucrezio compare spesso l’articolazione – a volte oppositiva – tra sguardo, come atto dei sensi, e sguardo, come atto intellettuale; e lo sguardo della mente vede ciò che i sensi non colgono, anche se il poema si nutre costantemente dell’evidenza sensibile, dell’immagine (e dell’immaginazione); da noi, una riconsiderazione di Lucrezio, dovrebbe far scivolare tra occhio e mente il terzo elemento di cui tu parli, ossia il video; e qui si complicherebbe non poco il discorso. [Per cui il “cernimus ante oculos” diventa “si vede, nel video”].
(Il video amplifica il potere dell’occhio, ma in ciò, lucrezianamente, si potrebbe dire che amplifica anche l’inganno, lo sviamento. La protesi percettiva diventa alimenta il carattere fuorviante dell’esperienza sensibile.)
Non lo so. Secondo me questa necessità di mutamento oggi ha assunto un valore ideologico così grande che ci si è dimenticati che non si dà mutamento senza stasi, che non si dà movimento senza spazio. Mi sembra tutto più difficile, oggi, mi sembra che ci sia bisogno di movimenti (anche poetici) così radicali da confondersi con l’immobilità. Non so bene come fare, né credo che si possa saperlo prima di farlo. La poesia precede la teoria.
Provo a dirlo in un altro modo:
Girare
rettilineamente in tondo
carezzare il sangue col palmo
Tuffarsi nel fango del mare
per riaffiorare abbagliando
Bisogna
danzare tremando
per aprire ogni via al moto
allo scatto
Parlar muti e tacere
gridando
bisogna
con la felicità del pianto
Giocar piangendo, incendiando amare
Dir di no al Diavolo e a Dio
Farli fuori aspettando
i superiori
Aggrapparsi con una corda alle stelle e
farle roteare e svoltare fischiando e
roteare e fischiare con loro
e perdere e recuperare ogni spazio calore silenzio
Bisogna avere la fermezza
nella rivoluzione
Fernando,non so se si possa ascrivere il de bello gallico al rango della poesia ma c’è almeno un brano che lascia pensare che quasi si reciti a soggetto:
“Un delatore svelò l’accordo agli Elvezi. Secondo la loro usanza, essi costrinsero Orgetorige a discolparsi incatenato: se lo avessero condannato, la pena comportava il rogo. Nel giorno stabilito per il processo, Orgetorige fece venire da ogni parte tutti i suoi familiari e servi, circa diecimila persone, nonché tutti i suoi clienti e debitori, che erano molto numerosi. Grazie a essi riuscì a sottrarsi all’interrogatorio. Mentre il popolo, adirato per l’accaduto, cercava di far valere con le armi il proprio diritto”
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