Ineditudini: Valerio Evangelisti
In barba a tutte le grandi strategie di marketing e comunicazione va detto come il mezzo migliore per la diffusione di un’opera sia il passaparola, (i francesi lo chiamano bouche à oreille) a condizione che il primo sia di bocca buona e il destinatario di orecchio fine. Sicuramente è lo strumento più affidabile e meno prevedibile perché se è vero che al “passatore di libri” potrà capitare di sbagliare il passaggio – vedrai che questo libro ti piacerà e magari non è così- è altrettanto vero che non consiglierà mai un libro che non abbia amato, senza se e senza ma, e soprattutto perché deve. I “passatori di libri” fanno quello che ormai i recensori – e non dico i critici- già da tempo non fanno più, limitandosi a farsi parte di quel processo che nelle redazioni cultura dei quotidiani si chiama “ufficistampizzazione della comunicazione sui libri” ovvero il limitarsi a pubblicare il comunicato stampa diffuso dalle case editrici, comunicato talvolta redatto dallo stesso estensore dell’articolo. Uno dei miei “passatori di libri” preferito è mio fratello Geppi. Così quando la scorsa settimana sono stato da lui a La Spezia mi ha segnalato con entusiasmo l’iniziativa del corriere, Inediti d’autore. Li ha presi dalla sua biblioteca temporanea e me li ha fatti vedere. Poichè penso che il mestiere di un editore si veda oltre che dal proprio catalogo anche dalla qualità del libro, la prima cosa che ho pensato è stata: non è la solita solfa, questi libri sono tipograficamente belli. Non entro nel merito dei titoli scelti dal curatore e nemmeno nell’ineditudine degli scritti. Ci sono infatti degli autori che non mi sognerei nemmeno di consigliare al peggiore nemico anche perché sono certo che gli converrebbe e come tanti penso come recita il “si dice”, che in letteratura nulla sia più inedito di un’opera già edita. A me, ora, qui, interessa parlare del libro che mi ha scelto: Day Hospital di Valerio Evangelisti. Un gran bel libro e proverò a spiegare il perché.
Le due parole chiave, a mio parere, prese a prestito dalla lingua francese, sono: épreuve, et essai
Definizioni
épreuve
Sens 1 Evénement douloureux, malheur (mi è successo un fatto brutto). Synonyme souffrance
Sens 2 Test qui permet de juger la valeur de. Ex Mettre à l’épreuve (mettere alla prova) Synonyme essai
Sens 3 Examen, compétition. Ex Epreuve de français au baccalauréat (esame di francese). Synonyme examen
Sens 4 Texte imprimé tel qu’il sort de la composition [Imprimerie]. Ex Il faut corrigerles épreuves (correggere le bozze)
essai
Sens 1 Epreuve à laquelle sont soumises des choses ou des personnes afin des’assurer de leur qualité (test). Synonyme épreuve
Sens 2 Action de tenter (tentativo). Synonyme entreprise
Sens 3 Ouvrage littéraire présentant quelques idées sans que son auteur prétende épuiser le sujet [Littérature] ( opera letteraria in cui l’autore presenta delle riflessioni senza pretesa di esaurire la problematica). Synonyme ouvrage
Sens 4 Au rugby, fait de poser le ballon derrière la ligne de but adverse [Sports].Synonyme but
Day Hospital è una prova e insieme un esame. Dalle prime pagine si ha come l’impressione che Valerio Evangelisti si confronti con il reale, da intendersi qui come vero, e infatti la tensione di una malattia e della sua cura è tutta nella verità del male e della sua guarigione.
Quando ho letto il piccolo e prezioso testo ho pensato immediatamente al terzo episodio di Caro Diario di Nanni Moretti e in contro canto al racconto, I sette piani di Dino Buzzati. Solo che, mentre in entrambe le dinamiche quella che manca è la verità e infatti i due protagonisti vivono la loro prova nella ricerca elusa di questa, in un rito d’iniziazione al male reso impervio dalla banalizzazione del caso, in Moretti per incompetenza e in Buzzati per radicalità del tatto dell’amico medico, in Day Hospital non c’è uno spazio bianco tra il protagonista e la morte. Non c’è affabulazione, incertezza ma un dialogo costante come in una partita a scacchi dove il timing è tutto. In una recensione che ho letto di Luigi de Rosa si fa riferimento all’Uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello. E infatti al pari del protagonista pirandelliano, Valerio Evangelisti non “delega” la visione della realtà, come stanno veramente le cose?, quell’ “è grave?” ad altri, che siano medici o strizzacervelli come nel caso di Moretti. La lucidità delle parole, del pensiero del corpo ancor più che delle parole che lo raccontano, il corpo e la paura, sono di una precisione chirurgica. Tutti ricorderanno quando in una delle prime scene dell’Uomo dal fiore in bocca, il protagonista si spende in una delle più belle pagine d’amore per la vita, raccontando della mania delle commesse nell’arte del packaging.
“Che mani! Un bel foglio grande di carta doppia, rossa, levigata… ch’è per se stessa un piacere vederla… così liscia, che uno ci metterebbe la faccia per sentirne la fresca carezza… La stendono sul banco e poi con garbo disinvolto vi collocano su, in mezzo, la stoffa lieve, ben piegata. Levano prima da sotto, col dorso della mano, un lembo; poi, da sopra, vi abbassano l’altro e ci fanno anche, con svelta grazia, una rimboccaturina, come un di più per amore dell’arte; poi ripiegano da un lato e dall’altro a triangolo e cacciano sotto le due punte; allungano una mano alla scatola dello spago; tirano per farne scorrere quanto basta a legare l’involto, e legano così rapidamente, che lei non ha neanche il tempo d’ammirar la loro bravura, che già si vede presentare il pacco col cappio pronto a introdurvi il dito.”
Ecco, ho pensato quando ho riletto questo passaggio. Valerio Evangelisti con questa “prova” ha cercato la verità delle cose ma non nell’infinitamente grande, nell’insondabile mistero della morte, ma nelle sequenze che si svolgono tutte intorno, ora una madre che gioca con una bambina affetta da cancro nel corridoio dei malati terminali, ora la freschezza di una birra o l’elementare gesto del camminare, secondo precisi gesti da artista della “piegatura”. Quando lo sguardo si posa sulla malattia, sui suoi termini, sul gergo e sugli acronimi dei luoghi in cui si passa a setaccio il corpo, si avverte come una distanza, una neutralizzazione degli affetti. La memoria diventa memorìa – il termine lo avevo letto in una bella poesia di Eugenio Tescione- e così si elabora il lutto trascorso, la morte di una madre e di un padre, ma anche la gioia della salvezza, anche quella esperienza si elabora.
In una messa in scena di Toni Servillo che avevo visto de L’uomo dal fiore in bocca esattamente ventanni fa, lo spettacolo si concludeva con un gesto tanto perentorio che inaspettato da parte degli attori che faceva crollare il fondale della scena, come “un corpo morto cade” lasciando in bella mostra la “machinerie” del teatro. I ferri, le corde i legni di un dietro le quinte, ovvero la realtà, elementare, semplice che ti dice “le cose come stanno” sempre, ma mai perché e soprattutto, perché proprio a te.
Ecco.
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Il “bello” di Day Hospital è che mi è parso di uno stile giornalistico/oggettivo e allo stesso tempo molto personale; perchè appunto non cerca la verità nell'”infinitamente grande”, ma nel suo corpo, nei suoi desideri.
Molto bello. Ho apprezzato, effeffe, il tuo accenno alla lingua francese: con malizia fa incontrare tutti i sensi della parola:” l’épreuve”
il momento dove si scopre la propia resistanza in noi,
il nostro coraggio,
il lungo percorso del manuscritto.
L’épreuve è un superamento del dolore, e si trova-come lo sento dalla recensione di Effeffe- un canto alla vita- una ricerca umana della felicità nonostante la sofferenza- il desiderio di afferrare il brusio del mondo, di sentirsi vivo nella sua carne, nella sua parola, quando non è solo un grido di dolore. C
C’è forse una volta nella scrittura di Valerio Evangelisti, nel personaggio di Eymerich, sempre controllato, ma con sensibilità bruciante: un senso di gioia per lottare contro il regno del dolore, della tortura dei corpi. La tortura dei corpi è un argomento che ho ritrovato nei romanzi di questo grande scrittore.