Di chi è la colpa?

di Gianni Biondillo

Di chi è la colpa? Di primo acchito mi viene da dire che è colpa di C.S.I., la fiction americana, così fiduciosa delle prove oggettive, dei riscontri scientifici, delle magnifiche sorti e progressive, da non ammettere dubbi: il caso si risolve sulla scena del crimine, il processo è quasi un orpello, la tecnologia vince sulle impalpabili teorie umane.
Magari fosse così semplice!

Un amico scrittore ed ex poliziotto, Maurizio Matrone, mi raccontò che indagando su un furto in un appartamento gli era stato chiesto dal proprietario se avesse portato il luminol (“ma chi l’ha mai visto il luminol” mi ha confessato), e non c’era volta che qualcuno non gli spiegasse dove e come prendere le impronte, al punto che qualche zelante vittima aveva già imbustato i reperti, numerandoli. Troppa tv. Non siamo più solo una nazione di commissari tecnici, siamo una nazione di tecnici della scientifica.

Di chi è la colpa? È colpa dell’attenzione morbosa che i quotidiani nazionali porgono alla cronaca nera (che ruba molte più pagine rispetto a quelle dedicate nei quotidiani europei), vera arma di distrazione di massa. È colpa di quei criminologi che hanno reso glamour, televisivo, un lavoro che deve essere fatto in silenzio, consci della fragilità degli indizi. Ed è sicuramente colpa di molti miei colleghi che si sono lasciati irretire dalla puerile onnipotenza di chi crede che saper scrivere gialli significa di conseguenza sapere come risolvere i casi reali.

È colpa di un protagonismo smodato, di un desiderio di visibilità assoluta, immorale, di un presenzialismo obbligatorio, di un dover dire la propria, ad ogni costo, a prescindere da tutto. È l’esasperazione del senso comune contro il buon senso, che invece chiede di lasciar lavorare gli unici deputati a farlo. Abbiamo finzionalizzato la morte, l’abbiamo resa una chiacchiera da bar. Tutti giudici in pectore, emettiamo sentenze, comminiamo pene, con non curanza, fra una tartina e un aperitivo, neppure fossimo in un consesso di docenti di diritto penale.

Non ho mai voluto sottostare al gioco manicheo dei colpevolisti contro gli innocentisti. L’intera nazione è bloccata su questa modalità duale e perversa: Inter vs Milan, destra vs sinistra, Nord vs Sud, guelfi vs ghibellini, convinti che la mente umana, per dirla con Tremonti, sia semplice. E invece non lo è. È complessa, molteplice, irriducibile. Ho sempre rifiutato di scrivere “da giallista” la mia opinione. Credo esista una responsabilità dell’autore di fronte a tragedie che colpiscono persone reali alla ricerca una possibile verità. Ma esiste anche una responsabilità dello spettatore, dell’utente televisivo, del lettore della carta stampata, è ora di dirlo.

Lo so, sembro un patetico moralista, ma se spettacolarizzare i processi è una follia, seguirli come fossero un reality show, pronti a “nominare” il colpevole, è ancora più abietto. Eppure lo sappiamo: la verità processuale e la verità reale non collimano, mai. Il processo è il luogo dove si cerca di raggiungere solo la verità processuale, fatta di indizi, prove, riscontri. Al punto che un giudice, anche se in cuor suo ha l’opinione che l’imputato sia in effetti colpevole, deve sottostare alla verità del processo, e liberarlo. Questa è la spietatezza dell’assoggettarsi ad un sistema di leggi certe, ma è anche la barriera contro il linciaggio, contro la barbarie. Lo so, è poco televisivo. Nei gialli, sempre così consolatori, alla fine, il colpevole lo identifichi, la giustizia trionfa, il bene vince. Ma nei fatti non è mai così semplice. La realtà è molto più noir dei gialli che scriviamo e che leggiamo. Nella realtà i colpevoli siamo noi.

[pubblicato su L’Unità, ieri]

27 COMMENTS

  1. sono d’accordissimo con te quando affermi che, soprattutto televisivamente, si lascia troppo spazio alla cronaca nera, ne basterebbe una piccola dose…(e le immagini si sa, sono più potenti delle parole).
    La realtà, te ne do atto, è di gran lunga più noir dei gialli che scrivete…

    la Giustizia è simile alla verità, non sei mai certo di poterla impugnare.

  2. biondillo esprime concetti certamente condivisibili. faccio il cronista di nera e gudiziaria dal 1980 e non ho mai visto un reo inchiodato da un capello o dalla traccia lasciata dal suo mignolo. né quando le impronte si rilevavano con la polvere di contrasto, né da quando si rilevano con i gas.
    ricordate, per esempio, il caso marta russo? i neristi del dopocena tipo vespa (che da giovane cronista fece interrompere le trasmissioni chiedendo la linea da milano per dire “abbiamo l’esclusiva, hanno arrestato l’autore della strage di piazza fontana, si chiama pietro valpreda” senza manco uno straccio di formula dubitativa) si baloccarono a considerare che l’elemento decisivo fosse una particella di polvere da sparo trovata sul davanzale di una finestra. certo, come no. le impronte, la saliva, il sudore e quant’altro, sono solo degli spunti che, se non vengono supportati da prove ben più concrete e meno confutabili, in una qualunque aula di tribunale farebbero ridere come le barzellette sui carabinieri. a vedere certe trasmissioni, invece, sembra che sia solo la scienza a decretare chi è colpevole e chi no, quando invece la scienza (salvo rarissime eccezioni) da sola non costituisce mai il cosiddetto “castello accusatorio”. “quello non può aver sparato – ho sentito dire in alcune trasmissioni – perché quando l’hanno sottoposto alla prova dello stub non c’erano tracce di polvere da sparo sulle sue mani”.
    per togliersi le tracce di polvere da sparo dalle mani basta pisciarcisi sopra. per avere sulle mani tracce identiche a quelle della polvere da sparo e, quindi, essere confusi per uno sparatore, basta essere andati vicino ai binari di una stazione ferroviaria ed essere “contamninati” dalle perticelle rilasciate dal treno quando frena sui binari.
    insomma vespa e quant’altri, con i loro plastici, farebbero meglio a costruirci il villaggio dei puffi.

  3. Vado a memoria, Gianni, ma qualcosa di molto simile (come sensibilità) lo scrisse una volta Enrico Deaglio. Purtroppo non ricordo il caso di cronaca, ma credo sia stato il primo a mettere in dubbio il Vangelo secondo i RIS. Io non ho la raccolta in CD del “Diario” (se l’ho letto, non posso che averlo letto lì), ma credo che varrebbe la pena ritrovare quel pezzo. E cercarne altri, di scrittori o giornalisti che hanno messo in dubbio la certezza che da una mezza impronta sul gancio di un reggiseno si possa avere la ricostruzione dei fatti “come sono realmente avvenuti”: una bestia ibrida che mescoa Ranke a Ph. Dick.

  4. Visto che chi queste cose le sa fa finta di non saperle, era ora che lo si dicesse espressamente, pur rischiando la retorica.

  5. Sbaglio o manca la foto di Sabrina Miseri? Perche’?

    Condivido Biondillo, ma non e’ facile uscirne. Per nessuno.

  6. il problema è che per dirla con Byron una bugia non è altro che la verità in maschera.Senza dimenticare la bravura degli avvocati e i limiti dei pm di certe procure(quelli di perugia considerando l’errore nel caso spezi e il recente ribaltamento della sentenza Kercher rischiano di ricordarmi la difesa del mio toro degli anni peggiori:la banda del buco)

  7. stanotte ho sognato che io e un mio compare facevamo un omicidio contro un reciproco lontano conoscente. il mio compare (un dubbio morale), un ceffo, occultava quella massa di corpo bianchiccio dentro un passaggio segreto al di là di un armadio a largo specchio. poi il mio compare s-compar-iva ed io rimanevo da solo a fronteggiare con garbo e gusto una baccante cricca di gazzettieri meteopatici (alcuni affetti anche di meteorismo) che si contorcevano come spaghetti nel forchiglio e si concentravano, nel mio appartamento mistificante, delle volte vicino al termosifone a muro, alle volte gettando il collo dentro i pressi d’un lavabo d’angolosa lavanderia; alcuni, sbiaditi di sudore, si riavviavano ciuffi e baffi davanti al fatidico specchio dalle grandi orecchie, senza per altro mai aprire o cavarne l’orco dal buco. va da sé che ero indagato, investigato, ed anche con pesanti e cadaveriche accuse filippine, ma proprio mentre mi arrivava l’invito di Bruno Vespa prima e di quello di Matrix poi, erano le 7:30, mi sono svegliato ritto in piedi, fumante da un solo lato come una cotoletta appena spadellata certo del mio reato, in pieno riverbero onirico . la cosa che mi ha fermamente contrariato è stato il non avere avuto il tempo di incuriosire la vetusta Rosa Matteucci al mio strano caso, riuscendo nemmeno a carpirne una veglia, una chiosa nei suoi pensieri… mi riproverò, poi vi fo sapere che succede tra giornali scrittori alla Sortino e speciali teleradiografici.

  8. ho omesso di dire come io e il mio compare marinaio abbiamo gangsterizzato il nostro reciproco nemico, perché invero non so come sia accaduto, oso supporre sia stato un lavoro alla cieca, ma condotto con sottili silenzi e amabili silenziatori…

    Concludo dicendo che non credo sia vera quella massima che vuole che non esista il delitto perfetto:
    la “verità processuale” non è la prova del contrario?

  9. E’ l’effetto catartico, Gianni (bel pezzo, giusto fin nelle virgole).
    L’emozione potente che lo spettacolo non tanto del crimine ma della ricerca del colpevole e della sua pubblica ostentazione – compresa di difesa e controaccuse e patetici background psicologici del criminale vero o presunto – ha sul telespettatore, per quel meccanismo vittimario che Girard ha illuminato fin troppo chiaramente. Il potere non legge Girard, ma queste cose gli sono note fin dal principio del mondo, perchè è sull’amministrazione sapiente delle emozioni che si basa il cuore nero del consenso. Panem et circenses, dove il pane è solo l’antipasto.

  10. Bel pezzo, e complimenti a Gianni per l’articolo e per Ferraro che ho scoperto da poco. Il commento di Binaghi a me pare il piu’ pertinente.

    A volte, devo aggiungere però con qualche sconforto, penso che questi stessi articoli di denuncia, o le liste di Saviano da Fazio mai seguiti da alcuna iniziativa concreta, facciano anch’esse parte del rito di catarsi collettiva, della liturgia di rimozione della realtà sulla quale pare sempre più difficile incidere.

    Come se il giornalismo avesse perso la presa sul mondo che classicamente, come quarto potere, gli si riconosceva, o come se la realtà, attraverso questi stessi articoli di denuncia che pare facciano parte del “circenses”,si fosse auto-vaccinata dagli eccessi di interpretazione degli ultimi anni.

  11. Poni una bella questione, Matteo.
    Quello che so è che esiste la responsabilità individuale. Ho sempre rifiutato di sottostare al giochino del “giallista-esperto-che-va-in-tv”, altri “colleghi” hanno fatto la loro fortuna così. Preferisco fare la voce ne deserto. Queste cose vanno dette, ma poi ognuno di noi dovrebbe cambiare canale, è qui che entra in gioco la responsabilità individuale.

  12. Facciamo qualche nome.

    Qualche settimana fa, appena entrato nel centro commerciale di Carugate (MI) ho visto esposto (con un certo disgusto) nella vetrina di una grande libreria un cartone ricalcante la figura di Donato Carrisi in grandezza (più o meno) naturale. E’ lo sponsor del suo nuovo libro.

    Per chi non lo sa, tal Carrisi ha partecipato a non so quante puntate di Matrix sull’assassinio Scazzi in veste di presunto esperto in quanto scrittore di libri gialli.

  13. Bravo! Condivido in pieno!
    Ottima analisi!
    PS: merito a mio marito(divoratore di libri) di avermi segnalato questo articolo…gli regalerò presto un tuo libro!

  14. E, vorrei aggiungere al mio commento sopra, il punto non è fare nomi, processare tizo o caio, scrittore o non scrittore, esperto o profano.
    (ma chi se ne frega, mi vien da dire, andiamo oltre la replica del processo, la caccia al colpevole di tutto).

    Il punto, credo, è la responsabilità individuale.

  15. Mirfet: dove sarei stato impreciso? Quanti Donato Carrisi scrittori di gialli e ospiti fissi a Matrix per l’omicidio Scazzi ci sono???

    (Se per te la libreria di un centro commerciale come quello non è grande, spero che lo sia almeno il suo poster di cartone in vetrina).

  16. Lorenzo, ma non è quello il punto. Non me ne frega nulla di Carrisi, sul quale sì, per me nel tuo commento delle 16.26 sei stato grossolano (forse mosso da impeto?), e ho voluto dirlo, con link su piccola bio di Carrisi, per sottolineare in parte la tua imprecisione e in parte per evidenziare il medoto processuale da te messo in atto. La tua, per me, rimane una replica di un atteggiamento mentale che in questo momento storico non porta da nessuna parte. E’ una replica.

    (il centro commerciale è grande, non la libreria. Ma neppure questo è il punto).

    Su tutti questi punti che non sono, qui ed ora, punti, credo di non aver altro da dire.

    Mirfet

  17. Mirfet,
    francamente non so di che cosa tu stia parlando. Non si capisce nulla di quello che scrivi sul mio commento: né perché sarei stato impreciso né perché sarebbe il mio un metodo processuale né perché avrei fatto una replica con un atteggiamento mentale che non ci porta da nessuna parte.

    Semplicemente, Gianni Biondillo ha accennato sia nel suo articolo sia poco sopra nei commenti al – così l’ha chiamato lui – giochino del giallista esperto che va in tv, giochino che porta senz’altro successo editoriale, e io ho voluto fare un nome perché non ho potuto non associare questo giochino a Carrisi, vista la visibilità che gli ha dato Matrix e visto (e non si può non vederlo, quando si entra nel centro commerciale) il suo maxi- cartone pubblicitario nella vetrina della libreria.

    Se il punto non è questo, non si capisce perché te la prendi con me: io ho voluto parlare di questo punto.
    Tu vuoi parlare di altri punti? Ben vengano, dilli però!

  18. Ma no, Lorenzo, io non me la prendo con te (non ti conosco, Lorenzo), ho trovato solo curioso il tuo commento. Provo a spiegarmi meglio.

    Io, del pezzo di Gianni, ti ripropongo questo estratto, che è ciò che a me più interessa perchè secondo me qui sta il nocciolo marmoreo della questione:

    “Ma esiste anche una responsabilità dello spettatore, dell’utente televisivo, del lettore della carta stampata, è ora di dirlo.
    Lo so, sembro un patetico moralista, ma se spettacolarizzare i processi è una follia, seguirli come fossero un reality show, pronti a “nominare” il colpevole, è ancora più abietto.” [e poi tutto il seguito,specie la conclusione.]

    E poi questo, di Matteo:
    “rito di catarsi collettiva, della liturgia di rimozione della realtà sulla quale pare sempre più difficile incidere. ”

    Vedi, Lorenzo, se non me lo dicevi tu di carrisi e matrix e misseri, io non lo sapevo mica! E non perchè non guardi la TV, lo faccio, anche se con cautela. forse ho la fortuna di avere degli anticorpi naturali che mi difendono da certa cozzaglia (e i miei neuroni digeriscono solo raiStoria, rainews24 e l’ispettore Barnaby). Preferisco interessarmi alla mia vicina di casa che con puntualità agghiacciante ogni sabato pomeriggio viene picchiata dal marito, che guardare morbose trasmissioni su un nuovo caso misseri rispetto al quale io non posso davvero fare nulla sia in termini pratici che di comprensione della specifica sistuazione familiare e giudiziaria.

    Certi programmi a me ricordano il cibo per gatti. Il cibo per gatti è diventato negli anni sempre più sofisticato (così pare), vuoi per il sapore o per la praticità delle confezioni, ecc. Chi fa cibo per gatti non pensa al benessere del gatto, pensa al padrone del gatto, a come vedendergli qualcosa.
    Chi fa programmi – negli anni sempre più sofisticati – con presunti o provati esperti di criminologia (io di criminologia non so nulla ma, mettiamo pure, carrisi qualcosa in più di me lo sa), avvocati, psichiatri, scrittori conoscitori della materia, non pensa alla vittima, pensa al modo più efficace di solleticare qualcosa che è dentro i telespettatori e guadagnare punti dell’indice d’ascolto e quindi più soldi.

    L’unico modo (e qui dico una cosa trita e ritrita) per disinnescare il sistema di programmi di questo tipo, è cambiare canale, spegnere la tv. Io come telespettatore devo essere parte attiva.

    fare i nomi – di scrittori, di giornalisti pseudo, di finti o veri specialisti che alimentano questo sistema, mi dici a che serve? Dal tuo commento non si capisce. A me pare solo che tu stia dicendo ‘la colpa è sua, non mia’. La replica è questa: guardare sempre e solo lo schermo, cercare un colpevole ‘altro’ da noi e processarlo pubblicamente, non interrogarsi su ciò che avviene in noi e attorno a noi.

    Il punto vero, per me, rimane la resposabilità personale (e io, cosa faccio? se carrisi sparisce, sarò in grado di riconoscrene il genere la prossma volta che mi si ripresenterà davanti con un altro nome e altra faccia?) e interrogarsi su quello che per me è un preoccupante bisogno di fuggire sempre dalla realtà, un bisogno triste di anestetizzarsi e che ci faccia rimanere immobili, per poi medicare il senso di colpa lacrimoreggiando davanti a una tv.

    Spero di essermi spiegata meglio.

  19. che buffo c’è ancora chi pensa moralisticamente che un programma basta non guardarlo perchè NON esista e non sia dannoso.
    Io non guardo berlusconi da anni e quello è sempre lì.
    Mica siamo bambini che basta chiudere gli occhi perchè qualcosa non esista più.
    Anch’io non guardo matrix (se non di striscio) ma sono grata a lorenzo che avendolo guardato ci denuncia la gigantografia di carrisi, uno che con il canone pagato da noi si è creato una tale visibilità (dicendo cavolate indegne sulla pelle dei più indifesi teleutenti) da avere una gigantografia in una libreria all’interno di un centro sociale, visibilità che nessun vero scrittore riuscirebbe mai a farsi.

  20. all’interno di un centro sociale
    :-))))))
    N.A.T.U.R.A.L.M.E.N.T.E
    all’interno di un centro commerciale

    detesto talmente la parola centro commerciale ….

  21. Georgia, per favore mi dici dove ho detto che se non li guardiamo, certi programmi, non esistono?

    Ho detto che se non li guardiamo, certi programmi, non diamo loro ciò che cercano.
    Ho detto che puntare il dito sul carrisi del momento per me è cercare un colpevole, un colpevole ‘altro’. E dopo che abbiamo fatto la lista dei cattivi (con dei nomi buttati lì), cosa facciamo?
    Ho detto che puntare il dito sempre su altro e altri serve a poco se equivale a fuggire da noi.

    Non essere bambini vuol dire anche, secondo me, avere la forza di guardare ciò che ci è vicino e dargli un nome senza aspettare che sia qualcun altro a farlo, e provare ad agire, per strada e nelle nostre (nostre!) case, invece di voltarsi dall’altra parte (perchè tanto è tutta fiction), invece di accendere la tv con automatismi stantii ma sempre dannosi e farsi appannare la vista dalla TV, invece di dare a lei il compito di guardare alla realtà, e (far finta di) affrontarla/digerirla/azzerarla in forma di fiction e/o spettacolo, al posto nostro.
    Vuol dire riconoscere che certe drammaticità e atrocità sono pane quotidiano di molte famiglie, indipendentmente da ciò che la TV, con esperti veri e presunti, mi dice; vuol dire, secondo me, smarcarsi ed essere liberi di prendersi, finalmente, ciascuno le sue responsabilità nella vita e società che concretamente viviamo tutti i giorni.
    Vuol dire, infine, vedere una gigantografia e porsi delle domande che vadano oltre il CV del personaggio raffigurato, e arrivano prima che qualcuno col dito accusatorio punti e dica “il colpevole è lui”.

    E se carrisi fosse solo uno dei tanti che già ci son stati e ci saranno? Ha veramente così importanza dare un nome a lui, o forse sarebbe ora di dare un nome a ciò che c’è sotto, dare un nome a i nostri (nostri!) meccanismi interni così da individuare prima il prossimo carrisi o il prossimo berlusconi? Proviamo a dare un nome a noi. Perchè mi mettono un uomo cartonato a grandezza naturale davanti alla faccia e quali meccanismi vogliono far scattare? La gigantografia dovremmo farla dei nostri atteggiamenti, anche mentali: questa, secondo me, sarebbe la risposta migliore a una gigantografia cartonata del nuovo, ennesimo, personaggio di turno che pretende di dirmi cosa è reale e cosa no, cosa è grave e cosa non lo è. Se provassimo a spostare i riflettori su di noi, sulle nostre risposte, forse la gigantografia cartonata non avrebbe più ragione di essere. Forse, vale la pena provare.

    Se prestare attenzione e ascolto a chi vive con, vicino e dentro di noi è essere moralista, allora sì, lo sono moltissimo.

  22. Sono arrivato un po’ in ritardo solo quando qualcuno leggendo il mio articolo mi ha suggerito di leggere anche questo. Sono pienamente d’accordo (anche se non ho letto tutti i commenti). Ci sentiamo, ci fanno sentire OPPURE siamo noi che abbiamo il misero bisogno di sentirci magistrati, investigatori, poliziotti, dirigenti sportivi, allenatori, procuratori…ect ect? Tutto per il semplice fatto che non accettiamo quel che siamo perchè i mass media ci bombardano di messaggi su quel che dovremmo essere. L’essere umano è una macchina infernale che qualche scienziato paragona ai virus che si evolvono e distruggono. Sono uscito un po’ fuori tema… Volevo solo dire che gli esseri umani hanno il bisogno di commentare, discutere ed esprimere le proprie opinioni per sentirsi migliori. Non ricordo più l’ultima volta che ho sentito qualcuno dire “non commento perché non conosco l’argomento/materia”

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Nel 2011 il romanzo noir I materiali del killer ha vinto il Premio Scerbanenco. Nel 2018 il romanzo storico Come sugli alberi le foglie ha vinto il Premio Bergamo. Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.