Notorietà del vuoto 4
8 spunti lucreziani
di Andrea Inglese
5.
Tum porro locus ac spatium, quod inane vocamus,
si nullum foret, haud usquam sita corpora possent
esse neque omnino quoquam diversa meare;
(I, 426-428)
Se non fosse il tuo posto, un falso posto,
un porto illusorio, un utero bucato, un miraggio,
ci potresti anche stare, giacere, a carponi,
a quattro zampe, in piedi, come un obelisco,
una statua, lo status, in una gerarchia mentale
e senza tempo, ma perché tu ci metta
piede, qualcosa deve farti passare,
ma anche accoglierti, e poi lasciarti
andare, tirarti dentro, per poi cacciarti
fuori, questa cosa che ti tradisce
così bene, lo chiamiamo vuoto, e Lucrezio
inane, che è vocabolo vasto d’ombre
e riverberi, sogni e simulacri,
ma anche d’evidenza e miseria, inospitale
lato del mondo: quello nudo, spoglio,
come la casa, quando è stata razziata,
la nave, quando è scarica e deserta,
o il sepolcro, privato della spoglia,
o il cavallo senza il cavaliere,
o la lettera non interessante,
o l’uomo vano, spogliato di tutto,
o le mani, che di tutte le umane forme
portano maggiormente il vuoto,
perché sempre se ne vanno se ne vengono
tutti a mani che il vuoto avvolge, nude,
evidenti, ma più di tutti è vuoto il corpo
quando la voce e il gesto non lo scuotono:
è cadavere, tutto pieno, deposto, arenato
nel suo lugubre resto d’atomi, pasto
comunque di vento, da tumulare invano.
*
6.
Servitium contra paupertas divitiaeque,
libertas bellum concordia, cetera quorum
adventu manet incolumis natura abituque,
haec soliti sumus, ut par est, eventa vocare.
(I, 455-456)
Tutto quello che oltrepassa la soglia dei sensi, che è visibile e udibile, che può essere assaggiato, annusato, toccato, colpito, abbracciato, raccolto, tutto ciò che penetra lo spazio del senso, e che può essere nominato, detto, raccontato, spiegato, diviso e moltiplicato, tutto quanto vibra e traversa, e tesse la stoffa delle narrazioni, di cui le vite sono fatte, tutto questo è poco, non fa resto nella durata e nel peso, perché cresce soggetto al disastro, nei grandi insiemi che si sfaldano, non permane la storia del bisnonno in guerra, né la lunga guerra, né i cadaveri di trincea e i crateri dell’obice, non permangono le carte dei comandi, le cartoline a casa, i cartoni con dentro gli stivali, il tabacco infangato tra le mani, non permane, qui, oggi, che quanto non si tocca e non si vede, ciò che non fa senso, non ha intreccio inizio e fine, non permane che un fondo mai sfiorato, uno scorrere di materia ondulare granulosa intermittente a fascio, non permane che il desiderio tangibile, nelle viscere nostre, di permanere come un seme indistruttibile, elementare, eterno.
*
tu scrivesti:”gesti che non fanno patrimonio” e usi il non colore nero che copre come un”falso” (da: Inventario del gesto) e come negli altri tuoi spunti citi velata o svelata la maschera irrisvelante. spesso nei tuoi versi c’è questa possibilità conclamata e “vera” di falso. certo la ricerca della perfezione come verità da partedi chi è occupato dalla poesia o un frutteto cui i frutti crescono altissimi. non c’è da scovarne il miracolo ma piuttosto la saggezza che potrebbe fat piegare gli stessi alberi da frutto verso di noi. verso il vuoto che siamo che non non è meno vero della maschera e del celato o tumulato. non c’è soluzione nella tua corsa che è quella di un corpo che si cerca e cercandosi si svela a zone e zone svela di sembianti a sè medesimi che provocano domande minacciose. sempre le stesse: vuoto o pieno? vero o falso? in un rifilare riverberato e cosciente della soma del passato e c’è – mi si permetta la formula – una dispersioni poetica di atomi – tutto si trasforma – che da questa certezza vira in una consapevolezza del limite tangibile ed umano leggendo qui mi è venuto in mente un film di lim ki duk: Ferro3 che tanto oscenamente come tanto pudicamente confronta realtà e sogno = vero falso mi piace intendere qui. un saluto. paola
non “o un frutteto ” ma “è un frutteto”
mi scuso per l’ errore.
paola
cara cara polvere,
sai bene che non riesco mai a tutto comprendere dei tuoi immaginifici interventi, ma questa frase si attaglia bene alle mie intezioni d’autore:
“non c’è soluzione nella tua corsa che è quella di un corpo che si cerca e cercandosi si svela a zone e zone svela di sembianti a sè medesimi che provocano domande minacciose”
anche in una forma estremamente sintetica, dice molto su quel che in modo monotono cerco di evocare-dire-descrivere con la poesia:
“non c’è soluzione nella tua corsa”… ahimé no.
permeabilità ma non permanenza. la consapevolezza ossessiva a un ossessivo invasamento prefigurato del vuoto a cercarne le quattro dimensioni in se stesso anche a questo può portare la ricerca poetica della perfezione? o essere al contrario l’ assoluta defezione dalla/della perfezione dagli strumenti umani “falsi” o falsamente a briglia sciolta? certo che sì negli inelencabili modi di usarli, gli strumenti umani. ho aggiunto disordine al disordine di prima.
paola
occorre distinguere il vuoto dal nulla.
se non fosse […]
O la madre
che viene a mancare
privando dei giochi ogni spazio…
i corpi hanno bisogno di spazio per muoversi nell’infinito spazio, sicuro…è ciò che ci permette di avvicinarci alle cose oscure, all’occulto…
alla conoscenza.
Senza spazio siamo limitati, il nostro *sentire* il corpo, è limitato…
e i nostri ragionamenti non avrebbero estensione.
Quì Lucrezio è grande, perchè definisce il vuoto come lo spazio sterminato di una mente capace di contenere – e di toccare – ogni cosa.
la *terza natura* è la consapevolezza di questo.
Nihil est quod possis dicere ab omni corpore seiunctum secretumque esse ab inani, quod quasi tertia sit numero natura reperta.