Anteprime: Luigi Di Ruscio

Buondi’ Francesco,
sono Carlo Cannella, di SenzaPatria editore. Ti propongo un estratto di Luigi Di Ruscio per una eventuale pubblicazione su Nazione Indiana, ripreso dal libro “Memorie immaginarie e ultime volonta’” (Senzapatria)  uscito il 19 novembre. Ciao e grazie.
Carlo

immagine di Mario Bianco

 
Passaggi
di
Luigi Di Ruscio

Da bambino la catastrofe è tutta nella mia testa: mi piacerebbe vedere il colore delle mutandine della signora di sotto.
Allora mi trasformo. Divento un cervo volante, un aquilone, un drago, mi alzo altissimo e maestoso, sfido i venti minacciosi, spudoratamente tiro gomitoli continui di filo. Su qualche radar viene segnalato il mostro, oggetto non identificato nei cieli della capitale, s’innalzano per emulazione altri aquiloni spasimanti d’azzurro, intere scuderie di dragoni volanti.

Certi vecchietti ingobbiti spasimano e si commuovono fino alle lacrime nel vedere gli aquiloni quasi sparire negli sprofondi dei cieli. Poi vengono fuori storie strazianti di pentitismi, non lo faccio più, chiedo perdono, ho compiuto solo diciassette miracolosi omicidi. Fuggo inseguito da mio padre armato di cintura, tento di evitare la punizione per aver fregato lire cinque d’argento, siamo ancora sotto il fascismo, entro in associazioni segretissime e immaginarie fatte a imbuto, l’entrata è spaziosa, poi si restringe fino a farmi sbattere il muso con Dio, è tutta una storia d’infiltrati. Vedo una ragazza con una parrucca bionda distribuire manifestini sovversivi, fino a quando l’associazione non da più segni di vita, ha acquisito una dimensione metafisica, gli infiltrati non sanno più dove infiltrarsi.

Quando la guerra finisce la gente sembra rinascere. Scende in strada, si abbraccia, piange di gioia. Io di sogni non ne faccio più, ho mal  di denti e voglio morire. A casa, però, non c’è niente da mangiare, figuriamoci se i miei possono sprecar soldi per arricchire i dentisti. Alla fine riescono a farmi estrarre un molare senza anestesia, perché costa meno, ancora rivedo la tenaglia ghiacciata che mi entra in bocca, rivivo l’atroce dolore dello squarcio. Forse per aver preso coscienza del mondo mi assale il vizio di scrivere poesie, lo dice anche Montale, scrivere poesie è roba da disgraziati, bastano una matita e un pezzo di carta, vanno benissimo anche gli scarti di tipografia, con queste povere cose puoi scrivere di tutte le grandezze possibili e immaginabili. Appena si viene a sapere che scrivo poesie non fanno che domandarmi dell’origine dell’uovo. Allora mi faccio prestare un cannocchiale per scrutare i misteri lunari, del resto stanno crollando le utopie sociali, ora vanno di moda quelle minime e astrologiche. Ecco i maghi,
i mille guaritori clandestini con i loro unguenti, le pomate, pillole contro tutti i cancri del mondo, erbe  curative e cacate di pitoni, una profusione di candele colorate su candelabri dalle forme bizzarre.

Il mago Tutankamon dice di essere la reincarnazione di Cristo e si fa incensare continuamente, benedice acque e verdure a carissimo prezzo, fatture ed erbe profetiche centomila a consulto, io continuo ad ascoltare i Capricci di Paganini e sogno una poesia perpetua, epistole piene di svolazzi letterari. Il questore di Napoli è fatto d’altra pasta, ordina una carica contro un corteo della sinistra estrema. Avanti, grida, sgombriamoli, questi sono niente e nessuno, togliamoli di mezzo. Iniziano a manganellare. È vero, siamo niente per la maggior parte della nostra vita, eppure davanti ai questori e alle cariche affermiamo tutta la nostra infinita sostanzialità, improvvisamente siamo tutto,i prototipi delle future generazioni di rivoluzionari. Questo mondo va ristrutturato, puzza troppo, una rivoluzione d’ottobre bisognerà pur farla prima o poi, superiamo tutte le crisi e i disastri. A pensarci bene anche una microscopica formica è cosa meravigliosa nell’esattezza della sua anatomia, pur se rischia di rimanere schiacciata da un altro niente in ogni momento. Lungamente immersi nell’oscurità i miei occhi cominciano ad abituarsi e a distinguere i contorni degli oggetti, questa poesia in tutte le sue complesse congetture è l’anima nostra davanti al futuro e alla morte.

A Fermo è tutto immobile, il paesaggio è come pietrificato, non succede niente. C’è solo questa donna che incontro nei posti più inaspettati, e sempre con lo stesso vestito scuro, e sempre con lo stesso atteggiamento disperato, come avvolta da un grande silenzio. Non immaginatevi qualcosa di pruriginoso, basta con le trasgressioni sessuali, impegniamoci in trasgressioni di più alti livelli, incravattiamo gli scravattati, ingattiamo le gatte, rettifichiamo i ratti. Studiamo i continenti alla deriva e le eclissi solari, disordiniamo l’ordine, riduciamo in cenere l’illusione della felicità.
E per finire buttiamola in politica. La dittatura è il potere dei pochi sui molti, la democrazia è il potere dei molti sui disgraziati: gli invalidi, i disoccupati, gli emarginati, gli stranieri, gli zingari. Elenchiamo le debolezze del sistema democratico, si conceda la libertà anche a quelli che vorrebbero negarcela.

Immagino una scrittura felice, poesia come dono, forse è per questo che sono assalito dal rimorso ogni volta che faccio leggere i miei versi a un critico o a un amico. Rileggendoli trovo sempre sbagli ridicoli, parole tutte storte, eppure le lascio così come sono, solo pensare di doverci rimettere le mani mi fa star male. Per rinfrancarmi lo spirito vado in giro a pisciare, a sentir chiacchiere, a vivere la mia vita in maniera più o meno straziante, divento il matto che legge ogni cosa gli capiti a tiro, quello che chiede libri in continuazione. Quando nel letto di un ospedale un infermiere mi mette in mano il catalogo telefonico di Milano, leggo anche quello. L’infermiere mi chiede: che te ne pare di questo grosso romanzo? Bellissimo, rispondo, però ci sono troppi personaggi. Le mie poesie non le vuole nessuno, perché nessuno sa a chi venderle, che cazzo di ragionamento è?

Vorrebbero introiettarmi la mistica dell’arraffare, fare di me uno di quei ladri che rubano i denti d’oro ai cadaveri, piuttosto fatemi lavorare, dico, fatemi spazzare le strade. Nemmeno quello, vogliono ridurmi alla fame, pensano sia un pericoloso comunista autore di versi blasferici, dicono proprio così, blasferici, basta con codesto blasferismo, occupatemi alle latrine comunali, adattissime alla produzione poetica (gli addetti alle latrine non fanno che leggere il giornale dalla mattina alla sera). Non se ne parla nemmeno, anche per pulire i cessi occorre la raccomandazione dell’arcivescovo e principe di Fermo. Per giunta sono anche odiato da molti poeti marchigiani, perché nonostante certe scemenze grammaticali (gli astrologhi, i diti, le sprocedate abbondanze), sono uno che colpisce la gente al ventre, loro invece no, sono gentili e delicati. Guardatemi bene, le mani callose, i vestiti macchiati d’unto, che sia uno di quei brutti ceffi che mettono all’asta ragazzette adatte a precoci sverginamenti? Un poeta pedofilo? Fare come se non esistessero, mi dico, come fossero spariti per sempre dalla mia vita, volatilizzati in bellissime arie azzurre. Passate untori, spargete altrove i vostri fiati di morte. Nel frattempo scompare anche l’ultimo dinosauro, ecco il suo uovo assalito da un branco di ratti, non più l’orrore del nulla, è la volta degli umani, adesso. Non sempre graziosi e tranquilli nonostante siano stati partoriti dalla misericordia d’Iddio. Così almeno mi dicono.

13 COMMENTS

  1. Salve, amici,
    niente è più autentico di uno sfogo del poeta, di una messa in pubblico delle verità e iniquità sociali. il vero prezzo della poesia sta nel non essere asserviti al potere, ma in quella imprescindibile condotta che si chiama onestà e dignità. Ogni poeta onesto non può far altro che donare il suo sentire senza per questo trasmigrare nelle cattedrali delle dottrine dei saccenti. Non c’è mai e non ci sarà mai un modo per spegnere la viva intelligenza di una voce onesta. Luigi era e resta questa voce e con lui ogni poeta che custodisce questo credo di condotta civile e morale.
    Un saluto a tutti e un ringraziamento all’autore del post, Gaetano Calabrese dall’Irpinia.

  2. Dice di riferire a nome di tutti gli Accademici Inaffidabili suoi pari che finalmente Luigi Di Ruscio, privo dell’infamante bollino di qualità, gli piace. Complimenti a Carlo Cannella, di SenzaPatria editore, che manda in libreria questo pò pò di letterato senza farla tanto lunga.

    Si permette di aggiungere una riflessione: se Di Ruscio fosse stato cooptato come pulitore di cessi nelle case editrici, come compete agli scrittori minoritari secondo i canoni letterari più evoluti, come per esempio toccò al povero Bianciardi, mai avrebbe raggiunto simili capacità scrittorie, e si sarebbe suicidato molto prima di divenire uno scrittore di successo, come evidentemente meritava. Invece e per sua fortuna, facendo l’operaio e lo scrittore a avanza tempo, simpaticamente dileggiato dalla sua stessa consorte, come letto altrove, è campato fino a 81 anni, magari felicemente.

  3. Il libro si chiude cosi’:

    “Siate più lieti, leggermente più disinteressati, sorridete! Spero che concorrano alla vostra gioia le scritture più sconclusionate, anche nella situazione più insostenibile la certezza e la resistenza sono ancora possibili. Per un pubblico numeroso è necessario il ripetuto, la verità trafitta in pieno dalla poesia, il «tu» dedicato a tutti senza discriminazione alcuna. Vivere e morire senza accorgerci di niente, correndo come matti dietro improbabili onorificenze letterarie, inseguendo addetti regionali alla varie culture. Avessero ammazzato gli ebrei con l’idea di mangiarseli avrebbero pensato prima a ingrassarli, scrivo dunque un elogio al cannibalismo. Beati quelli che vivranno dopo di me. È così che capisci di andartene, gli sguardi dei tuoi cari si abbassano, le parole stentano ad esser pronunciate, i figli ammutoliscono. Divorato dalla febbre preparo la valigia per andare in ospedale. Le mani indugiano sulla cerniera, la paura è la stessa di quel giorno di maggio del 1957. Allora vi disponevo con cura i miei libri, con gli angoli delle pagine tutti arricciati; adesso i calzini, le mutande, i pigiami, perfettamente stirati e ricamati. Chiudo tutte le finestre, ripongo nella custodia la macchina da scrivere, ritorno tranquillamente nel niente da dove sono venuto. Nei miei versi è la mia resurrezione”.

  4. Potrei dire che Senzapatria pubblica solo cose notevoli… se non ci avessi pubblicato anche io :-). Un sorriso e un abbraccio, grande Carlo.

  5. Non credo nella pubblicità, nell’advertising, nella réclame, nella propaganda, nella promotion in qualunque forma esercitata (e ciò fa di me un autentico ateo moderno) e generalmente sono io che acquisto una merce; per principio non mi faccio vendere alcunché. Tuttavia detesto le persone che hanno princìpi e credo che per questo prodotto farò un’eccezione.

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017