carta st[r]amp[al]ata n.45. Febbraio, piovono libri. A milioni.
di Fabrizio Tonello
E’ domenica, la settimana è stata faticosa, uno ha voglia di poltrire a letto e tutto andrebbe bene se, improvvisamente la mia compagna, che è uscita sfidando il freddo, non scodellasse sul comodino il supplemento culturale del “Corriere della sera” di domenica 29 gennaio dove compare in grande evidenza un articolo di Richard Nash intitolato Il libro perfetto per il lettore perfetto. “Leggilo –mi dice- è pieno di dati interessanti”.
Il testo, alle pagine 12-13, inizia così: “Nel 1990 l’editoria statunitense ha pubblicato 25.000 titoli. Nel 2010 ne ha pubblicati 2.800.000. Mentre la popolazione è cresciuta del 25%, i libri sono aumentati del 2.120%. Questo enorme aumento non comprende gli ebook, riguarda solo i libri stampati”.
Fin da piccolo, mi sono sempre piaciuti i numeri, le percentuali, le frazioni. Mi sembravano utilissimi per trovare la risposta a domande del tipo: “Se ieri in spiaggia avevo dieci biglie e ne ho perse due, più un’altra che si è rotta, e ogni biglia costa 50 lire, quanto dovrò chiedere alla mamma per avere 20 biglie?”. Da tempo non gioco più però mi è rimasto un sesto senso che mi dice quando i numeri stampati su un giornale o un libro sono sospetti. Nel caso dell’articolo di Nash anche le nipotine pesaresi avrebbero fatto una sonora pernacchia prima di finire di leggere il paragrafo.
Per esempio, è possibile che un paese dove si pubblicano 25.000 titoli passi a pubblicarne 2.800.000 nel giro di vent’anni? Cioè che l’industria editoriale americana di oggi sia oltre cento volte (per la precisione 112 volte) quello che era nel 1990? A me pare difficile, a lume di buon senso, ora vedremo perché. Prima di discutere di libri, ristampe, ebook e altre diavolerie vorrei però far umilmente notare al signor Nash (“un analista della transizione al digitale dell’editoria” lo definisce il “Corriere”) che se i suoi numeri di partenza sono giusti, passare da 25.000 titoli a 2.800.000 rappresenta un aumento non del 2120% bensì dell’11200%, come qualsiasi nipotino in possesso di matita e quaderno gli potrà confermare. Quindi, delle due l’una: o i titoli del 2010 non sono 2.800.000 ma, per esempio, il 2120% di 25.000, cioè 530.000 oppure i titoli sono davvero 2.800.000 ma rappresentano un aumento dell’11200% rispetto al dato di partenza del 1990 e allora bisogna spiegare il mistero di questa incredibile crescita.
Una rapida indagine in Rete (45 secondi circa) permette di scoprire che la seconda ipotesi è quella giusta: in un certo senso i libri pubblicati negli Stati Uniti due anni fa sono circa 2.800.000, come si può accertare qui. Ma questa cifra cosa include? Nash implica che si tratti di libri nuovi (“10 mila nuovi titoli alla settimana sono una valanga” scrive più avanti nell’articolo) e in particolare romanzi, che “contengono tante informazioni ambigue da confondere qualsiasi metodo predittivo”. Infine, Nash conclude: “Dopo aver trascorso dieci anni a scoprire gli scrittori trascurati del XX secolo, sto ora cercando di aiutare tutti gli scrittori, pubblicati da qualsiasi editore, a farsi scoprire dai lettori” (facendo capire che sono “due milioni”).
Purtroppo le cose non stanno proprio così.
I 2.800.000 titoli citati da Nash esistono realmente ma non sono affatto “nuovi” libri se non nel senso che, appena usciti dalla legatoria, hanno un buon odore di carta, inchiostro e colla. Come scrive l’autorità mondiale nel campo del mercato librario americano, si tratta prevalentemente di libri “print on-demand” prodotti da aziende specializzate in titoli per i quali il copyright è scaduto. Quindi si pubblica un sacco di Shakespeare, Harriet Beecher Stowe, Dante e Platone in piccolissime tirature perché non ci sono avidi eredi da soddisfare e occhiuti avvocati pronti a chiedere il pagamento dei diritti d’autore. Il fatto che si ripubblichino Amleto e la Divina Commedia o La capanna dello zio Tom fa certamente piacere, ma di lì a sostenere che il mercato editoriale è cresciuto dell’11200% in vent’anni ce ne corre.
Come scrive il sito Bowker.com, “These books, marketed almost exclusively on the web, are largely on-demand titles produced by reprint houses specializing in public domain works and by presses catering to self-publishers”. Traduzione: quando non si tratta di testi del passato molto passato, i titoli sono quelli stampati dalle cosiddette vanity presses, cioè tipografie mascherate da case editrici che stampano 300 copie delle poesie adolescenziali del signor Smith per permettergli di presentarsi come “poeta” ai cocktail della sua città. Magari ci sono anche i trattati di fisica che dimostrano come Einstein avesse torto, i romanzi erotici scritti da presidi in pensione e altri simili capolavori. Se non vado errato, Umberto Eco scrisse circa 40 anni fa (ovvero assai prima di Internet, dello Web 2, delle piattaforme di condivisione on line ecc.) della “editoria della quarta dimensione”, cioè di quei prodotti che non avevano i requisiti minimi di professionalità per stare sul mercato editoriale normale ma trovavano una loro circolazione sotterranea tra i familiari, gli amici e i sodali dei maestri di montagna, dei farmacisti di paese e dei commercialisti con velleità letterarie.
Ecco, adesso abbiamo la nuova editoria della quarta dimensione, che viene pudicamente definita “non-traditional sector” e rappresenta circa il 90% dei libri pubblicati, (per la precisione 2.776.260 contro i 316.480 dell’editoria tradizionale). Come si diceva, il “non-traditional sector” è composto prevalentemente da ristampe di opere fuori diritti e ciò che rimane non sono “nuovi scrittori” in attesa di essere scoperti (visto che le grandi case editrici sarebbero ben felici di accaparrarsi l’autore del prossimo bestseller) bensì i dilettanti allo sbaraglio che nessuno pubblicherebbe se non sborsassero di tasca loro i soldi necessari alle microtirature da inviare a parenti e amici. La differenza rispetto a 40 anni fa è soltanto che il volume di spazzatura è aumentato di oltre cento volte.
E’ comprensibile che Nash, che cerca di vendere i servizi della sua società Small Demons, inventi attraenti favolette per dare l’impressione al lettore che proprio lui potrebbe essere il prossimo scrittore scoperto da milioni di entusiasti della letteratura underground ma non necessariamente il “Corriere” ha interesse a stampare i numeri in libertà dell’intraprendente americano.
Quando leggo articoli come questo mi stupisce sempre una cosa: data la facilità con cui, grazie a internet, si potrebbe verificare la veridicità (o la verosimiglianza) di una notizia, come mai, invece, queste notizie continuano a imperversare? La pigrizia dei lettori, che leggono, annuiscono e voltano pagina, potrebbe essere una spiegazione. Ma perché chi è responsabile della correttezza di quanto viene stampato in un giornale (ammesso che questo responsabile esista), non si prende la briga di controllare almeno l’esattezza dei numeri? A chi giova questo pressapochismo? A proposito, dati quei numeri (25.000 e 2.800.000) a me viene fuori un aumento dell’11.100% e non dell’11.200%, ma potrei sbagliarmi.
A me sembra che in molti articoli e documenti si diano numeri in libertà. E nessuno li controlla o si fa due calcoli. Quindi hai ragione su tutto. Non sbagli neanche sul risultato dell’operazione, che è la seguente (2800000-25000)/25000*100
Il problema è sempre la dannata velocità dei nostri tempi. Ogni non c’è parola, non c’è concetto, non c’è idea che nasca per durare più di una farfalla…
Propongo una petizione all’UNESCO per dichiarare Fabrizio Tonello Patrimonio dell’Umanità.