EDOARDO SANGUINETI Mauritshuis [agosto 1986]

 

C’è un gusto di non finito. Continua… Come non cominciano: cominciano tutte con la minuscola. I due punti, le parentesi e le virgole sono i tre strumenti più semplici con cui si può organizzare un testo. All’inizio, con Laborintus, non avevo usato affatto punteggiatura: avevo lasciato il lettore completamente libero. Anche questo mi sembra appartenere fortemente alla modernità. La parentesi, anche, ha qualcosa di vicino a questo: il discorso è carico di innesti, cresce attraverso delle sorte di microtumori, che si innestano su un discorso ancora elementare, semplice. E’ un controcanto.

Edoardo Sanguineti
Intervista di Maria Serena Palieri
L’UNITA’ – 22/11/2002

 

di Orsola Puecher

 
Mauritshuis, settetto, o settimino di brevi ecfrasi di alcuni capolavori fiamminghi ospitati dall’omonimo museo, che si trova al’Aja in Olanda, visitato da Sanguineti nell’86, è un ironico viaggio pellegrinaggio lirico. Possiamo immaginare l’ilare viso del poeta, l’occhio ampio, il sorriso gattolupesco 1 vagare per le sale spigolando dai quadri particolari curiosi, imbastendo gustose fantasticherie e illazioni sui loro protagonisti, sugli oggetti e sui paesaggi, dipinti nei minimi particolari, in punta di sottilissimi pennelli di martore e tassi, nella luce dei loro cieli nordici e cristallini. Ed eccolo allora immaginare storie, dialoghi. E quasi sempre in Sanguineti, in fondo, assistiamo al miracolo di una poesia di piccole occasioni, di concretezza quotidiana, di nomi e cose consuete, di minimi diari di viaggio dal linguaggio parodistico e sottile. L’io narrante, qui, entra ed esce dai quadri come fossero tableaux vivants che improvvisamente tornano ad animarsi, si immedesima nei loro antichi abitatori colti nell’attimo fuggente di 500 anni addietro. Rende intellegibile e vivo il loro linguaggio silenzioso e remoto.
Come il materializzarsi spirituale delle melodie silenziose nella famosa ecfrasi di John Keats ”Ode su un’urna greca”:
 

Le melodie ascoltate sono dolci, ma quelle inascoltate
Sono più dolci; su, flauti lievi, continuate;
Non per l’orecchio sensibile, ma, più accattivanti,
Suonate per lo spirito melodie silenziose
[..]
Vv 11.14

 
La parola, la scrittura resuscita con la particolare lietezza arguta di Sanguineti l’immagine.
E se fosse la scrittura stessa sempre inconsapevole ecfrasi?
Come nella descrizione omerica dello scudo di Achille forgiato da Vulcano, da cui, attraverso e con il verso, sbalzano dal metallo cerchi di immagini su immagini. Figure e figurine animate. E anche, in un punto, una simile quotidianità campestre che in quadro fiammigo starebbe a pennello:
 

In mezzo a tutti colla verga in pugno
Sovra un solco sedea del campo il sire,
Tacito e lieto della molta messe.
Sotto una quercia i suoi sergenti intanto
Imbandiscon la mensa, e i lombi curano
D’un immolato bue, mentre le donne
Intente a mescolar bianche farine,
Van preparando ai mietitor la cena.

ILIADE
LIBRO DECIMOTTAVO
vv 774-781
[ Trad. Vincenzo Monti ]

 

Mauritshuis

da Il gatto lupesco: poesie 1982-2001
ed. Feltrinelli

 

Jan Sanders van Hemessen ⇨ Allegoria: Il Musicista e la sua Musa [ 1550 ca. ]
[ sotto idealizzate spoglie di sua figlia ⇨ Catharina van Hemessen, pittrice, e del marito musicista Chrétien de Morien ]
159 x 189 cm

Jan Pieterszoon Sweelinck
[ Deventer 1562 – Amsterdam 1621]
Fantasia Chromatica

Glenn Gould – con leggero semi impercettibile canticchiare sporadico
tocco preciso e lucente – all’amato ⇨ Steinway CD318&sedia – 1959


1.
Jan Sanders van Hemessen
 
quella ragazza, tenera ma atletica, che mi schizza e mi spruzza, sputandomi gli
                                                                                                                     [alquanti
grumetti del suo latte, spremendomi il suo capezzolo sinistro, sopra la mia
                                                                                                              [flebile viola
tenore (ma che nemmeno qui, però, mi guarda), sarà una vita, a me, che mi
                                                                                                                 [perseguita
con le sue tante trecce (e con tutte quelle sue foglie, diritte lì nella sua testa,
a cresta), per toccarmi, soltanto:
                                                      e adesso ce l’ha fatta: (e mi ha interrotto,
                                                                                                                      [intanto,
questo mio povero a solo campestre): poso a terra l’archetto: e adesso è tardi:
(sarà anche bene intenzionata, quella): (ma c’è il pastore orrendo, che si agita
                                                                                                                   [nel vento,
laggiù in fondo, e mi fa, forse, una specie di segno, che
                                                                                 [mi chiama):
                                                                                                        sento il ciakciàk
delle timide gocce di quella viva cagliatina ardente: (poi, più niente di niente):


 

Pieter de Hooch ⇨ Uomo che fuma e donna che beve in un cortile [ 1658-60 ]
78 x 65 cm


2.
Pieter de Hooch
 
hai ragione, va bene, sono buffo: (le lasciamo da parte, le mie calze): e poi,
                                                                                                                    [nemmeno
so se te ne accorgi, tu, ma è da mancino che io mi reggo la pipa: (l’altra è sul
                                                                                                                      [tavolino:
e se tu insisti, e se, come si dice, è per farti contenta, io me la prendo giusta,
                                                                                                                          [quella,
con la mia destra, dopo): (per me, però, tu bevi troppo, sempre): (e me, non c’è
                                                                                                                      [nessuno,
guarda, che mi guarda): (e te, te invece, te ti guardano tutti, con quella porta
                                                                                                                         [aperta
sulla strada): (e me, seduto, me non mi vede neanche il campanile): (e adesso
                                                                                                                             [poi,
come si dice, io tolgo tutto il mio disturbo, e chiuso): (ma qui in cortile, a due
                                                                                                                            [passi
da noi, sta nostra figlia, rigida, la frigida: non capisco che cosa tiene in mano: 
è chiaro, ma però, che ci sta triste da morirci,
                                                                           [quella):
                                                                                         perché, comunque, come
si dice, dunque, io così mi consumo: ho giocato e ho perduto: (e adesso, io
                                                                                                                        [fumo):


 

Frans van Mieris ⇨ Scena in un bordello [ 1658 ]
42.8 x 33.3 cm


3.
Frans van Mieris
 
è già un invito, con pudore, all’amore, un goffo fagotto di materassi,
                                                                                                        [mollettoni, ecc.,
che pendono, a prenderci, su, l’aria, dall’alto bordo del soppalco:
                                                                                                             è un altro
invito lì all’amore, ma più giù, un appartarsi di figure (che non ci presto
                                                                                                            [l’attenzione,
proprio) eterne: (ma, in ogni caso, esterne a questo luminoso casotto): (sotto
                                                                                                                         [sotto,
mi significheranno, credo bene, accordo sordo, patetico complotto,
                                                                                                       [dolci pene):
                                                                                                                       ancora,
terzo invito all’amore, è qui una coppia canina che si accoppia (caninamente,
                                                                                                              [veramente):
(e che fu infatti censurata, e velata violata, anzi castrata):
                                                                                                 ma tu, mia grassetta
furbetta, che ti trascuri il bell’addormentato (che io ti tiro il tuo grembiule,
                                                                                                                   [apposta),
e che ti scopri, slacciandoti il corpetto, alcunché del tuo corpo (che io ti porgo,
con due mie dita fragili, alla tua brocca la mia vuota flûte, e la mia bocca
alla tua vuota bocca), lentamente curvandoti, prudente: uh, non mi sei niente, tu,
bella mia, gioia mia, un invito all’amore: sei l’amore sans phrase: (due punti, e
                                                                                                                             [via):


 

Rembrandt Harmenszoon van Rijn ⇨ Lezione di anatomia del dottor Tulp [ 1632 ]
169.5 x 216.5 cm


4.
Rembrandt van Rijn
  
il mio nome è Aris Kindt: fui un notorio criminale: (e fui molto autorevolmente
giustiziato, a suo tempo): (e, alla fine, non male riciclato): al connaisseur turista,
che si degusta, oggi, con gli occhi spalancati, il mio arto guasto (che però pare,
ahimè, un’inguantata protesi, un posticcio pasticcio plasticato), io non richiedo,
per il sapiente e calcolato scempio del mio quieto cadavere, compianto
                                                                                                             [né pietà:
                                                                                                                               a me,
può bastarmi per sempre, a mio conforto, tutto quello che è iscritto negli sguardi
di tutti quei signori bene in posa: (il perplesso e lo stolido, l’imbarazzato e il
                                                                                                                          [curioso,
l’inorridito e il distratto e l’ansioso): (ringrazio il dottor Tulp, naturalmente,
per la sua memorabile lezione, e l’avveduta gesticolazione cordiale):
                                                                                                                     vive et vale:


 

Johannes Vermeer ⇨ Veduta di Delft [ 1660-1661 ]
96.5 x 115.7 cm


5.
Johannes Vermeer
 
sono le 7 e 10, all’orologio: (riconosco la porta di Schiedam e la porta di
                                                                                                                  [Rotterdam):
(sarà scesa la pioggia, questa notte): e sto cercando, adesso, certi piccoli
                                                                                                                    [personaggi
in blu, e la sabbia in rosa: (e ho mangiato patate poco cotte): e adesso sto
                                                                                                                        [cercando
un frammentino di muro in giallo, con una tettoia: non riconosco il cielo, è
                                                                                                                            [troppo
largo: (riconosco che sto morendo, adesso):
                                                                    et c’est ainsi que j’aurais dû t’écrire:


 

Joachim Wtewael ⇨ Marte e Venere scoperti da Vulcano [ 1603-1604 ]
20.8 x 15.7 cm


6.
Joachim Wtewael
 
quanta gente interviene, mentre chiavo una signora che è tanto per bene (e che
me la sconvolgono, così): capisco ancora il marito, che mi arriva lì storto, a
                                                                                                                        [culo nudo,
per la flagranza, per pescarmi, lui:
                                                          ma quel tipo che salta sopra il letto, appeso
                                                                                                                               [sopra,
obliquo, al baldacchino, con un cappello rosso e un bastoncino (e quel ragazzo
                                                                                                                            [osceno,
alle mie spalle), e il tuffatore che mi sorvola, schiacciato lì al soffitto,
                                                                                                                    [spalancando
le braccia (e il vecchio bieco e cieco, accosciato in un angolo, con l’amichetta
                                                                                                                         [appresso,
che mi spia), e l’altro (e l’altra), e l’altro ancora:
                                                                                  [è troppo:
                                                                                                     alzo appena una mano, 
per bloccarmi, con un gesto da vero disperato, gli atleti volteggianti, che mi
                                                                                                                         [insidiano
molto immediatamente: e mi aspetto il mio peggio, da bravo malinconico
                                                                                                                          [balordo:


 

Pieter Claesz ⇨ Vanitas [ 1630 ]
39.5 x 56 cm


7.
Pieter Claesz
 
contempla intentamente, figlia mia, questo morto cronometro (con il nastro
                                                                                                                        [cilestro
e con la chiave), questo bicchiere capovolto, questo vedovo
                                                                                            [portacandela:
                                                                                                                  ho deposto,
sopra i miei scartafacci, già polverosi e corrosi, con tutto quell’ossame molto
                                                                                                                         [umano,
questa mia penna semiesausta, muta: (è un repertorio trito e obbligatorio: ma il
                                                                                                                   [suo vivace
effetto lo fa sempre): e poi è vero, certo: qui tutto
                                                                       [è niente:
                                                                                       (e questo niente è tutto):

NOTE
  1. Detto del gatto lupesco
    Anonimo [ XIII secolo ]

    Sì com’ altr’ uomini vanno,
    ki per prode e chi per danno,
    per lo mondo tuttavia,
    così m’andava l’altra dia
    per un cammino trastullando
    e d’un mio amor già pensando
    e andava a capo chino.
    Allora uscìo fuor del cammino
    ed intrai in uno sentieri
    ed incontrai duo cavalieri
    de la corte de lo re Artù,
    ke mi dissero: «Ki·sse’ tu?»
    E io rispuosi in salutare:
    «Quello k’io sono, ben mi si pare.
    Io sono uno gatto lupesco,
    ke a catuno vo dando un esco,
    ki non mi dice veritate.
    Però saper vogl[i]o ove andate,
    e voglio sapere onde sete
    e di qual parte venite».
    Quelli mi dissero: «Or intendete,
    e vi diremo ciò che volete,
    ove gimo e donde siamo;
    e vi diremo onde vegnamo.
    Cavalieri siamo di Bretagna,
    ke vegnamo de la montagna
    ke ll’omo apella Mongibello.
    Assai vi semo stati ad ostello
    per apparare ed invenire
    la veritade di nostro sire
    lo re Artù, k’avemo perduto
    e non sapemo ke·ssia venuto.
    Or ne torniamo in nostra terra,
    ne lo reame d’Inghilterra.
    A Dio siate voi, ser gatto,
    voi con tutto ’l vostro fatto».
    E io rispuosi allora insuno:
    «A Dio vi comando ciascheduno».
    Così da me si dipartiro
    li cavalieri quando ne giro.
    E io andai pur oltre addesso
    per lo sentiero ond’ iera messo,
    e tutto ’l giorno non finai
    infin a la sera, k’io albergai
    con un romito nel gran diserto,
    lungi ben trenta miglia certo;
    ed al mattino mi ne partio,
    sì acomandai lo romito a Dio.
    Ed ançi k’io mi ne partisse,
    lo romito sì mi disse
    verso qual parte io andasse:
    veritade non li celasse.
    E io li dissi: «Ben mi piace;
    non te ne serò fallace
    k’io non ti dica tutto ’l dritto.
    Io me ne vo in terra d’Egitto,
    e voi’ cercare Saracinia
    e tutta terra pagania,
    e Arabici e ’Braici e Tedeschi
    e ’l soldano e ’l Saladino
    e ’l Veglio e tutto suo dimino
    e terra Vinençium e Belleem
    e Montuliveto e Gersalem
    e l’amiraglio e ’l Massamuto,
    e l’uomo per kui Cristo è atenduto
    dall’ora in qua ke fue pigliato
    e ne la croce inchiavellato
    da li Giudei ke ’l giano frustando,
    com’ a ladrone battendo e dando.
    Allor quell’uomo li puose mente
    e sì li disse pietosamente:
    “Va’ tosto, ke non ti dean sì spesso”;
    e Cristo si rivolse adesso,
    sì li disse: “Io anderòe,
    e tu m’aspetta, k’io torneròe”;
    e poi fue messo in su la croce
    a grido di popolo ed a boce.
    Allora tremò tutta la terra:
    così·cci guardi Dio di guerra».
    A questa mi dipartìo andando
    e da lo romito acomiatando,
    a cui dicea lo mio vïag[g]io.
    Ed uscìo fuor dello rumitag[g]io
    per un sportello k’avea la porta,
    pensando trovare la via scorta
    ond’ io andasse sicuramente.
    Allor guardai e puosi mente
    e non vidi via neuna.
    L’aria era molto scura,
    e ’l tempo nero e tenebroso;
    e io com’ uomo pauroso
    ritornai ver’ lo romito,
    da cui m’iera già partito,
    e d’una boce l’appellai,
    sì li diss’ io: «Per Dio, se·ttu sai
    lo cammino, or lo m’insegna,
    k’io non soe dond’ io mi tegna».
    Quelli allora mi guardòe,
    co la mano mi mostròe
    una croce nel diserto,
    [lungi] ben diece miglia certo,
    e disse: «Colà è lo cammino
    onde va catuno pelegrino
    ke vada o vegna d’oltremare».
    A questa mi mossi ad andare
    verso la croce bellamente,
    e quasi non vedea neente
    per lo tempo ch’iera oscuro,
    e ’l diserto aspro e duro.
    E a l’andare k’io facea
    verso la croce tuttavia
    sì vidi bestie ragunate,
    ke tutte stavaro aparechiate
    per pigliare ke divorassero,
    se alcuna pastura trovassero.
    Ed io ristetti per vedere,
    per conoscere e per sapere
    ke bestie fosser tutte queste
    ke mi pareano molte alpestre;
    sì vi vidi un grande leofante
    ed un verre molto grande
    ed un orso molto superbio
    ed un leone ed un gran cerbio;
    e vidivi quattro leopardi
    e due dragoni cun rei sguardi;
    e sì vi vidi lo tigro e ’l tasso
    e una lonça e un tinasso;
    e sì vi vidi una bestia strana,
    ch’uomo appella baldivana;
    e sì vi vidi la pantera
    e la giraffa e la paupera
    e ’l gatto padule e la lea
    e la gran bestia baradinera;
    ed altre bestie vi vidi assai,
    le quali ora non vi dirai,
    ké nonn·è tempo né stagione.
    Ma·ssì vi dico, per san Simone,
    ke mi partii per maestria
    da le bestie ed anda’ via,
    e cercai tutti li paesi
    ke voi da me avete intesi,
    e tornai a lo mi’ ostello.
    Però finisco ke·ffa bello.

    Poeti del Duecento
    a c. di Gianfranco Contini
    Ricciardi, Milano-Napoli 1960
    🡅

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