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Di fronte alla legge

di Helena Janeczek

Un procuratore milanese a fine carriera viene sollecitato da una giovane giornalista a occuparsi del caso di un tunisino condannato per un fatto di sangue che non avrebbe mai commesso, mentre la macchina della giustizia e l’opinione pubblica si aspettano proprio da lui una richiesta di inasprimento della pena. Un prete con il profilo di grande teologo ripara in un seminario sull’Appennino per fuggire alla fama di essere stato tramite della risurrezione di una bambina morta per un incidente, ma una letterale corte dei miracoli arriva da Roma per stanarlo.
Per legge superiore (Sellerio, € 13,00) di Giorgio Fontana e Dopo il miracolo (Mondadori, €19,00) di Alessandro Zaccuri sono accomunati dall’origine milanese degli autori, da una scrittura più trattenuta che in altre opere, e da un ricorso libero al modello dell’indagine poliziesco-giudiziaria.
Più in là cominciano le differenze. Il romanzo di Fontana è impiantato sulla giustapposizione degli ambienti nell’odierna Milano, il centro borghese e il quartiere di Via Padova. Quello di Zaccuri si limita a un microcosmo di provincia e si svolge in un passato prossimo – il 1985- presentato come ultima propaggine della civiltà contadina e patriarcale. Per legge superiore è una narrazione lineare, centrata sul magistrato Doni; Dopo il miracolo intreccia più filoni, segue molteplici personaggi, sa virare su un grottesco teatrale senza modificare lo stile medio. Ma il discrimine essenziale sembra che uno è un romanzo laico, l’altro cattolico. Per il libro di Fontana si è fatto il nome di Sciascia, per Zaccuri viene facile pensare a Bernanos. E’ innegabile che uno insegua una domanda etica e civile, l’altro un’interrogazione metafisica.
Come mai, allora, hanno in comune quell’impianto noir usato per smentirne le premesse, e quella lingua che cerca la misura, la limpidezza, la minima ingerenza dell’espressività d’autore? L’ipotesi è che tali convergenze siano indizi di un orientamento più simile di quanto appaia, che informa le scelte stilistiche e compositive. In nessuno dei due romanzi si vuole semplicemente raccontare la storia di uno o più individui. Piuttosto vi si immerge per scandagliare un disegno che le trascende, e gli squarci nella tela – la legge nel suo confliggere con la giustizia; la sospensione della legge naturale o divina attraverso il miracolo. A prima vista, lo sfuggente don Alberto e il procuratore che riesplora la sua città amata paiono agli antipodi. Sembra guidato da una hybris luciferina il servo della Chiesa che rifiuta di riconoscersi strumento di una volontà superiore, mentre il servitore dello Stato, per richiamo della legge superiore, trasgredisce il mandato di garantirne l’approssimazione codificata nel diritto.
Eppure entrambi sono consapevoli che la legge di cui sono a servizio è un ordinamento fragile. “Eccezioni sempre, errori mai”, ripete Doni, all’incalzare della ragazza idealista che lo conduce nel mondo parallelo di Via Padova. Ma l’eccezione che in teoria ammette, la teme nella pratica: non solo perché assecondarla significa mettere a rischio la serenità della propria vita privata e pubblica.
Un giorno un collega cerca consiglio nella vicenda di un finanziere alle prime armi che gli ha confessato di aver partecipato a uno scambio di mazzette, quasi chiedendogli il placet di chiudere un occhio su quel “bravo ragazzo” roso dai rimorsi. Doni, irritatissimo, gli ritorce che eccezioni simili portano il paese alla rovina. Diverso è il caso in cui sconta una pena un innocente, come vuole provargli la giornalista, ma l’abbandono della legge in nome della giustizia può avere effetti eversivi. Doni l’ha imparato quando le Br hanno ucciso il suo più caro amico, il magistrato esemplare (e cattolico) da cui ha mutuato la sua massima preferita.
La fame di eccezioni miracolose, nel romanzo di Zaccuri, conduce davanti al seminario emiliano un circo di devozione officiata dalla madre della bambina rediviva. L’esaltazione stucchevole della neosacerdotessa contrasta con le ragioni delle brave persone che la seguono sulla spinta di tante sofferenze, come sa bene il più anziano seminarista portato alla vocazione dal confronto con una malattia incurabile. Tale congrega brancaleonesca alla ricerca di sollievo dalla legge crudele e ingiusta della vita, può rappresentare una minaccia per la fede? Forse un percorso interpretativo, il libro lo abbozza nel filone centrato su un avvenimento più drammatico. Proprio in apertura, don Alberto scopre il corpo dell’ultimogenito di un devotissimo produttore di vino, impiccato alla cancellata del seminario. Attilio Defanti ha voluto ricambiare una paternità tardiva offrendo altri undici figli alla Madonna, ma il suo Beniamino si è convinto di non rientrare nella grazia di quel voto. Il patriarca, pur distrutto, rifiuta la riconciliazione con il figlio suicida. Però quel gesto di inspiegabile disperazione non si sarebbe compiuto se la sua nascita non fosse stata interpretata come un commercio straordinario con il divino. L’eccezioni, dunque, sono pericolose, se gli uomini vi si affidano come a meccaniche esteriori. E’ solo la labile capacità di ciascuno di orientarsi con gli strumenti della coscienza e della compassione a rendere giusta la giustizia e i miracoli miracolosi. Questo è il nodo umanissimo che i due romanzi scoprono, volendolo condividere con i lettori.

pubblicato suL’Unità, 16 marzo 2012.

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