L’editore riluttante. Cartoline dalla Fiera
di Marilena Renda
Alla Fiera del Libro di Torino si va per incontrare gli editori, o almeno così dicono. Gli esperti del settore, i redattori, gli uffici stampa, gli scrittori. In ultimo si incontrano anche i libri, la cui quantità è spropositata e la cui presenza fisica, anche volendo, non è facilmente ignorabile. Alla Fiera del Libro di Torino i libri si presentano come un immenso dinosauro cartaceo che lascia sgomento anche il visitatore più volenteroso; anche solo farsi un’idea più che generale di quello che pubblica l’editoria italiana è impossibile, a meno di non interrarsi vivi dentro l’immenso dinosauro.
Ecco come sono andate le cose a me, che volevo solo comprare alcuni libri che mi interessavano e vedere alcune persone che non vedevo da tempo.
Subito dopo il mio arrivo incontro l’editore numero 1, che conosco come generoso e lungimirante, anche se non particolarmente ferrato in materia di libri (a volte sono i migliori, quelli più disponibili a rischiare). Mi siedo con lui sulla poltroncina e ci mettiamo a parlare della congiuntura economica critica che attraversa l’industria del libro, delle difficoltà dei piccoli editori nella quotidiana lotta per sopravvivere ed essere presenti sul mercato e non essere schiacciati dai grandi gruppi, e così via, come da copione. Mi viene in mente un libro che sta per uscire da loro e gli chiedo:
– Ma il libro di F., com’è?
– Eh.
– Come sarebbe: “eh”?
– “Eh” significa che ci voleva un editing. Se avesse avuto cento pagine in meno sarebbe stato un bellissimo libro. Così invece è una brodaglia noiosa che avrebbe potuto essere un bellissimo libro.
– Tu sei l’editore però. Devi importi se pensi che un libro non vada bene così com’è.
– Non importa, è andata così. Il bello è che ora lui va dicendo in giro che sarebbe stato meglio tagliare cento pagine.
– Eh, sono così gli scrittori. Non si rileggono, non hanno senso critico su quello che scrivono.
Naturalmente, la domanda sul perché neanche gli editori rileggano ed esercitino il loro senso critico resta inevasa nella mia testa almeno fino allo stand dell’editore numero 2, dove incontro lo scrittore T.
– Ciao, scrittore T.
– Ciao, M.
– Allora, come va? Ho visto il tuo ultimo libro, complimenti, bello.
– Mah, sai, io non lo volevo fare.
– Come sarebbe a dire che non lo volevi fare?
– Bah, è un libro di frammenti. Forse è rimasto un po’ sfilacciato, sai com’è. E poi il mio editore non è che mi stia sostenendo più di tanto. Cioè, sì, sono loro che hanno insistito per farlo, ma forse adesso si sono accorti che per il nostro mercato è un libro un po’ impegnativo, per cui l’hanno un po’ abbandonato al suo destino.
– Eh, ma allora perché l’avete pubblicato?
– Mah. Che vuoi che ti dica. E’ andata così.
Sul treno incontro l’editore numero 3. Mi dice che lavora tantissimo, che fanno tanti, troppi libri, che deve parlare con moltissima gente, che sono sommersi dai manoscritti, che certe volte non ce la fa più, che quasi quasi vorrebbe cambiare lavoro. Io:
– Bello il vostro nuovo libro sulle sette religiose degli atolli della Papua Nuova Guinea, quasi quasi lo compro.
– Bah. Io l’avrei fatto decisamente più apocalittico.
Basta, mi arrendo. L’anno prossimo vado alla fiera del cosmetico di Montecarlo, magari ci trovo gente che apprezza i rossetti che produce.
Direi che rendi bene l’idea di quanto poco entusiasmo, ormai, ci sia nell’editoria italiana, dopo anni passati a guardare esclusivamente al profitto, scopiazzando i successi internazionali, senza pensare che un editore fa anche cultura. Non ci sono più i segugi di storie di una volta… ;)
Grazie
Cristina
Un libro di frammenti. Mi piacciono i libri di frammenti. Se non ne parlano così, però. I frammenti sono importanti. Questi incontri mi han fatto tornare in mente l’intervista a Repetto di qualche giorno fa.
Chi ha passione per i libri, entra in una libreria piccola, in una strada un po’ allo scarto, prende il suo tempo. Il salone dei libri è un mundo dove il libro non distilla desiderio, ma forma di soffocazione. Non si incontra mai uno scrittore dispoto a dialogare, è una gara per afferrare una parola, o una firma veloce.
I libri non vanno con il tempo chiuso, la visita ogni anno come si visita una zia.
I libri vanno con il tempo rubato al lavoro. Esco dallla scuola, seguo il cammino, magari fa sole, e entro nel mio mondo, in una libreria, in un tempo segreto. Cerco il libro che mi porti nella notte, che mi promette delizio della storia e gusto della lingua, che mi promette il gusto giusto della simplicità, della bellezza, che mi augura
parentesi- vera vita.
Editare significa prendere il tempo, leggere in silenzio, sentire una voce originale, prendere libertà, difendere poesia, essere nel corrente, ma contro l’onda. Sentire quello che nasce, emerge come lettere del futuro.
Che tristezza. E la cartolina tragicomica rende benissimo l’idea (brava Marilena): non pensante negazione o muro invalicabile o chiusura, piuttosto vaga e triste rassegnazione degli uni (editori) e degli altri (scrittori). Un’alzata di spalle (italian style) che ha preso posto a quello che sarebbe un salutare impeto di rabbia, di mo(vi)mento riflessivo. Si tratterebbe forse di pubblicare meno e pubblicare meglio, e invece si fa l’opposto: c’è un eccesso di presenza, uno strabordare di pagine pentite o di limature volte ad un solo fine – un solo fine, ed un triste finale.
pubblicalo Marilena è un bel raccoonto
ciao
Margherita Rimi
Tutto ciò è, come minimo, sconcertante. Se gli editori non amano i libri che fanno, se gli scrittori non apprezzano i libri che loro stessi firmano… be’, perché gli uni e gli altri fanno libri?
Peraltro un’impressione simile a quella di Marilena Renda l’ho avuta io al salone guardando un altro fenomeno, quello dell’editoria digitale. Il punto d’osservazione deputato era la sala conferenze di «Book of the Future», cioè l’angolo del Salone in cui erano riuniti gli addetti ai lavori più abituati a trattare gli e-book.
Per dire quale fosse l’opinione prevalente, il titolo di uno dei convegni era: «Quando per fare l’editore devi cavalcare lo tsunami digitale». Tsunami, come se fosse una tempesta momentanea per quanto devastante, ma prima o poi passerà e quindi si potranno fare le cose come sempre.
C’è confusione sotto il sole, e l’editoria la registra essendo piena di confusione essa stessa.
= Grazie del post:-)
Ma quanto è bella l’ipocrita vanità?
Saluti rispettosi a tutti, Gaetano dall’Irpinia
Il massimo del minimo l’ho udito da quel noto editor che prima ci raccontò come si crea un best-seller, poi ci spiegò che la poesia editorialmente non esiste, che è anzi un genere in via di estinzione e che sparirà del tutto, come le atellane o i versi fescennini, e infine ci propinò un commosso reading dei suoi versi, dal suo ultimo libro naturellement. Mah.