Tempo degli insetti: sei sestine implose
di Andrea Raos
1.
Acqua fa frusta, cane cede voglia: voglia acqua cede, fa cane frusta. Frusta voglia cane, acqua fa e cede; cede frusta, fa voglia acqua al cane. Cane cede acqua, frusta voglia fa. Fa cane voglia, cede frusta acqua.
2.
Dove c’è carne, lì rimane tempo. Tempo dove rimane, c’è lì carne. Carne, tempo lì dove c’è, rimane. Rimane carne, c’è tempo, dove, lì. Lì rimane, dove carne al tempo c’è. C’è lì tempo, permane carne, dove.
3.
Piede dà slancio, pianto forte resta. Resta piede, forte dà pianto slancio. Slancio resta pianto, piede dà forte. Forte slancio dà, resta piede pianto. Pianto forte, piede, slancio resta, dà. Dà pianto, resta forte slancio, piede.
4.
Sa morto stelo dove fiore cade. Cade, sa, fiore morto, dove stelo. Stelo cade dove sa morto fiore. Fiore, stelo morto cade, dove sa. Sa fiore dove stelo cade morto. Morto sa, cade fiore, stelo dove.
5.
Cresce pioggia, cede viola e si spegne. Spegne, cresce sì, pioggia viola cede. Cede, spegne viola, cresce pioggia sì. Sì, cede pioggia, spegne, cresce viola. Viola sì cresce, cede, spegne pioggia. Pioggia viola spegne, si cede, cresce.
6.
Vedo che neve sta, so che tu cadi. Che cadi vedo, tu, neve sta, so. So che cadi, sta’, vedo, neve, tu. Tu, so neve, che cadi vedo, sta. Sta’, tu, che vedo, so che cadi, neve. Neve sta, cadi tu che vedo, so.
verrebbe voglia di malmenarlo, il Raos, a fronte delle sue genialate.
sarà questa sua capacità di essere sempre straziante e delicato, e insieme spregiudicato e imprevedibile (qui, oltretutto, è in campo anche un umorismo serio che coinvolge una netta critica di certe pestifere ipostasi formali), a farmi scattare in qualche modo una sinapsi caproniana? ché anche questa è poesia che sembra scritta per gioco; ma lo è piangendo: e con fuoco.
Stimo molto Raos e la sua poesia, ho letto di lui cose grandiose, Le api migratori sono un capolavoro. Questi testi invece, mi provocano solo nervosismo, ma sarà un problema mio; certo che Caproni lo lascerei riposare in pace. :)
Andrea, lo dico con affetto e stima, so che tu lo sai.
che dire, Natàlia: quando leggo i testi brevi di Raos (con le opere più ampie il discorso cambia e il riferimento a Caproni risulta riduttivo se non totalmente fuorviante), la misura e mistura di delicatezza (timbrica, “psicologica”, sensitiva) e affondo nello ‘scabro’ del dolore, di nudità e coestesa spericolatezza formale, mi coglie spesso a richiamare – impastata com’è di altrettanta sapienza musicale – certi lavori del buon Giorgio.
Ma per cavarmela con una boutade, potrei anche dire che, essendo Caproni tra i pochissimi poeti italiani del Novecento ad avere fatto mostra di migliorarsi, e indefettibilmente, di libro in libro e con crescente essenzialità man mano che invecchiava, il mio commento precedente può leggersi come un augurio al Raos di lunghissima vita e sempre più grandi scritture ;-)
Un caro saluto, a te e a tutti,
f.
To Andrea with love:
Sembra un timido rumore questo urlare, carne che risuona impercettibilmente. Tiepido tremore.
Bel lavoro!
Giorgia.
Mi piace come definizione “umorismo serio” sul Raos.
Andre’, a proposito, perché quel “permane” alla fine della seconda sestina?
perche’ me so’ sbajato…
Io non stimo per niente Raos, ma lo leggo. Sempre. Implosioni, piccole zampette di animale, il morso dell’insetto: impercettibile, si posa delicato, poi arriva l’acuto, mastica dove c’è carne , nelle zone ipersensibili dei corpi, il tu si spezzetta in particelle, si posa, cade nelle cose, poi torna persona – o forse maschera, ricade materia. Non un nervosismo ma un rumore, un ronzare di nervi, un “timido rumore questo urlare”, come scrive Giorgia. (comunque, sia chiaro, raos, io non ti stimo per niente. Sappilo ;))
Vedi, Sole, io invece lo stimo davvero come poeta, se per stima si intende non dover dire cosa si pensa, allora non lo stimo per niente; a me sta bene che ti piacciano le sue implosioni, spero altrettanto mi si passi questa défaillance di gusto su una singola cosa.
grazie per la spiegazione nervosismo=rumore, ronzare di nervi; non ci sarei arrivata. :)
Nat,era una stupidaggine per Raos quel “non ti stimo”. Spiegazioni io non ne so dare, so unicamente sentire – e spesso sento quel che c’era già internamente. L’oggettività non è mai data.
bella riuscita (anche se mi chiedo sempre questa tipologia di poesia alla 3a 4a lettura che fine fa…)
Bella domanda, Livio… Alla terza o quarta lettura fa una brutta fine, suppongo :)
Del resto, anche la vita di un insetto si concentra in poche ore. E questa, come da titolo, vorrebbe essere la scrittura non di un essere umano ma di un moscerino.
Forse così rispondo anche, almeno in parte, alle riserve di Natalia.
molto bello, questo asciutto, sintetico, discreto, continuo aggiustamento di corpo davanti al sentire, continuo assestamento davanti all’impossibilità di stare, di trovarsi, di commisurarsi, di frenare. una necessità, una compostezza quasi classica, un ritegno nel dire, e ogni frammento è ancora un intero. il ritmo è essenziale per scartare, scartare di lato, spiazzandosi, scartare le opzioni scontate e già espletate, scartare la caramella floreale. tanti insetti intorno al miele, intorno al fiore, il fiore è al centro del ronzare, il fiore c’è, è quello il punto, ma non lo si vede, il cuore c’è, sotto nervi-mangrovia, ma si vede
neurofly (il 3 settembre a bologna c’è la XIV European Drosophila Neurobiology Conference)
(‘azz, padova)
Di fronte alla poesia di Andrea Raos- meglio direi dentro la poesia, perché non si puo contemplare, vivo nella lingua sacra. Sacro quotidiano. E’ una preghiera delle parole, un rito trasmesso dell’antiquita: un ritorno delle parole di sacrificio.
Quando viva la poesia di Andrea Raos mi manca l’ironia per tradurre la sua intelligenza: la provo come dolore verticale: frusta o pioggia incarnazione della violenza per raggiungere la scène delle parole.
Una forza bellissima.
véronique
originale, ritmico.
un “eterno ritorno” poetico, sempre diverso, nella ciclicità che si compie come una danza, un disco frenetico che muove il tempo e rinnora il verso.
molto piacito. :)
rinnova* e piaciuto*(errata corrige – scusate ma sono dal cell e tutto è ridotto al minimo a livello di caratteri :)
da http://it.wikipedia.org/wiki/Gérard_Grisey
“Le sue ricerche si concentrarono soprattutto nell’esplorazione dello spettro tra i suoni armonici ed il rumore, nonché ad una nuova concezione del fattore temporale applicato alla scrittura musicale. Emblematici di queste ricerche sono, per quanto riguarda gli spettri, il brano Partiels (facente parte del ciclo Les espaces acoustiques), dove tutta la parte iniziale è l’orchestrazione degli armonici di un mi grave suonato da un trombone; per quanto riguarda il fattore temporale, invece, si noti il processo adottato nella composizione Vortex temporum, nella quale le figure musicali (in certi casi chiamate dall’autore archetipi, ne è esempio la figurazione iniziale, che ricorda l’andamento di un’onda sonora sinusoidale) possono presentarsi in forma dilatata (l’autore usava in questo caso la metafora del tempo delle balene), in forma corrente (tempo dell’uomo) o in forma estremamente compressa (tempo degli insetti).”
come tutti i discorsi sarebbe lungo, quello sul grado desiderabile di semanticità della poesia… ecco, però, come le spieghi tu ora, queste parole – pronunciate direttamente dal moscerino, un moscerino evidentemente con percezione accelerata e sintassi semplificata… o cmq dal moscerino che potrebbe essere ciascuno di noi – mi convincono di più, perchè hanno più funzione nel mondo, e alla fine anche più durata…
Non che volessi mimare nulla, intendiamoci. Come per Grisey, anche per me la metafora attiva è più quella del tempo degli insetti che degli insetti in sè.
Mi interessava studiare possibili compressioni / dilatazioni della scrittura “standard”; cosa ne farò in futuro non lo so proprio.
Del resto, la sestina è la forma “disumana” per eccellenza…
Canzone di corteggiamento della Drosophila Melanogaster
[Amante Della Rugiada Dall’Addome Nero]
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