Dell’inutilità di Kafka
di Michele Sisto
Kafka non serve, non aiuta. È questa la sentenza pronunciata dal filosofo Günther Anders a conclusione del suo saggio-processo del 1951, Kafka: pro e contro. A noi, che oggi riconosciamo l’opera di Kafka come uno dei culmini della letteratura universale, il verdetto di Anders appare spropositato, sconcertante; ma quando fu pronunciato non appariva tale, era anzi condiviso da molti, e non solo nell’ambito della critica di ispirazione marxista. Vediamo i principali capi d’accusa.
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Caro Michele,
Adorno lo definisce “il solipsismo senza ipse” …
il saggio di Anders su Kafka è una delle cose più illuminanti che abbia avuto modo di leggere sull’autore-mito di Praga. Dentro vi ho trovato tutti i motivi per cui vale la pena leggerlo e “comprenderlo a morte” (e con le sue osservazioni taglienti e puntuali, da grande pensatore, mi pare che abbia preso sul serio – davvero – le possibili conseguenze della sua opera: compresa quella, non secondaria, e paradossale, di ricevere il plauso dei “carnefici” nazisti, che si sonsideravano vittime della “burocrazia” del male).
Ti ringrazio per questa integrazione con il saggio di Bourdieu che non conoscevo.
un saluto
Questa lettura filosofica-morale-moralistica di Kafka è quanto di più stupido si possa immaginare. E’ persino peggio della lettura in chiave religiosa. Una grande opera letteraria sull’uomo viene svilita con considerazioni dettate da un Super Io ottuso e arrogante. Una ricerca tra le più interessaanti sulla lingua minore liquidata come “tedesco burocratico trasfigurato”. Che miseria!
Kafka è grottescamente mimentico. Non ha moniti da distribuire extra-testualmente. Non è pedagogico.
Però posso comprendere Anders, nel 1951.
Nel 1951 il risentimento doveva essere forte, di non aver avuto un maestro, qualcuno che gridasse dal bel mezzo del deserto prodotto dalla guerra tedesca.
Anders, cioè, è inutile, perché non si è mai accorto che era proprio questa dipendenza verso un pedagogo-che-spiegasse-come-fare ad aver prodotto, a produrre tutt’ora, gli orrori della specie.
La maturità da scrittore di Kafka è impietosa. Kafka ti conduce nell’orrore e ti lascia lì davanti alla porta laddove si scopre che tutto ciò che prima si reputava utile non lo è più e che ciò che si è sempre considerato inutile diventa fondamentale.
Nel 1951 non si era pronti ad accettare la scrittura adulta di Kafka. Il duemiladodici ha interpretazioni e valutazioni più soddisfacenti, ma inutili altrettanto.
Un saluto,
Antonio Coda
consiglio di associare questo pezzo a quest’altro http://www.minimaetmoralia.it/?p=9456 . credo che la conclusione di Michele Sisto sia abbastanza kafkiana, nel senso in cui l’intende Giorgio Fontana nel pezzo appena indicato. io leggo provocazione estrema dove altri vedono moralismo. Giorgio Fontana dice bene, lui, Kafka, è lo scarafaggio, non finge di esserlo. In questo l’elemento sacrificale è un macigno irremovibile nella sua letteratura. Molto riporta all’assurdo di Camus.
concordo con l’ottimo “mimentico” di Antonio Coda. vieppiù l’idea di misurare kafka in termini di “utile” m’appare drammatica conseguenza dei tempi economistici in cui viviamo. sarà che non ho letto kafka con profitto, ma l’allucinazione di poter dare un senso o un significato alle parole forse è in antitesi col ponte. “Quello venne, mi percosse con la punta ferrata del bastone, sollevò con essa le mie falde e me le aggiustò addosso. Infilò la punta nei miei capelli folti e ve la lasciò a lungo, probabilmente guardandosi ansiosamente intorno. Ma poi – stavo appunto seguendolo nel sogno per monti e valli – mi balzò in mezzo al corpo a piedi pari. Rabbrividii per un dolore lancinante, ignaro di tutto. Chi era? Un bambino? Un sogno? Un bandito? Un suicida? Un tentatore? Un distruttore? E mi girai per vederlo. Un ponte che si volta! Non mi ero ancora voltato che già precipitavo e già ero straziato e infilzato sui sassi aguzzi che mi avevano sempre fissato così pacifici dall’acqua impetuosa.”
comunque grazie per lo spunto di riflessione.