Matrimonio

di Franco Buffoni

In Italia in questi mesi stiamo assistendo ad uno strano, risibile e ipocrita dibattito su ciò che dice effettivamente la nostra Costituzione, promulgata il 1 gennaio 1948, sul matrimonio civile.
Da una parte c’è chi sostiene, Costituzione alla mano, che – essendo tutti i cittadini uguali dinanzi alla legge – e poiché la Repubblica promuove l’uguaglianza e le pari opportunità, anche i cittadini omosessuali devono poter stipulare tra loro il contratto denominato matrimonio civile.
Dall’altra parte si risponde che l’articolo 7 della Costituzione parla di “famiglia naturale” basata sul matrimonio.
In linguistica, si sa, non esiste il “verbo”, non esiste l’ipse dixit. E la linguistica applicata al diritto è una scienza empirica, relativistica. Perché le lingue, come le società, sono in costante trasformazione. I termini, dunque, non posseggono un significato letterale determinato. I significati letterali non sono che i significati stabiliti da una pratica interpretativa. Qualcuno potrebbe replicare che i significati coincidono con le intenzioni degli autori dei testi: in questo caso si parla di teoria intenzionalistica dell’interpretazione, contrapposta alla teoria letteralistica.
Dall’altra parte, dicevo, si risponde che l’articolo 7 della Costituzione parla di “famiglia naturale” basata sul matrimonio. A questa risposta i primi replicano che la Costituzione non parla mai di matrimonio esclusivamente tra un uomo e una donna. E a questa replica i secondi rispondono che la Costituzione lo dà per sottinteso.
Eccoci nel cuore dello scontro tra teoria intenzionalistica e teoria letteralistica dell’interpretazione. Nel caso dell’articolo 7 la lettura intenzionale è dei giuristi di area cattolica, quella letterale è dei giuristi – come Stefano Rodotà – di area laica. Ma le posizioni potrebbero scambiarsi su un altro articolo, trasformando i cattolici in letteralisti e i laici in intenzionalisti, secondo le rispettive convinzioni ed esigenze.
E’ in questi casi che occorrono sensibilità, intelligenza e capacità di guardare lontano.  Perché altrimenti non se ne esce, come è evidente ripercorrendo gli estremi del dibattito.
Dapprima, da parte cattolica, si sostenne che gli animali, che sono “naturali”, non praticano l’omosessualità. Da parte laica si è allora dimostrato scientificamente che la natura non disdegna affatto l’omosessualità; che in molte specie l’accoppiamento omosessuale è un dato di consuetudine anche in presenza di individui del sesso opposto, e non solo in cattività; e che in altre specie vicine all’homo sapiens il sesso è slegato dal ciclo riproduttivo: e che questo punto è fondamentale per i diritti degli omosessuali: la separazione tra sessualità e procreazione.
Da parte clericale si è allora replicato che, se gli animali praticano dei comportamenti “bestiali”, questo non giustifica l’uomo che li imiti.
E da parte laica: come si può negare che la pulsione omosessuale sia “naturale”? E’ forse stata creata in laboratorio?
Significativa al riguardo la mostra Against Nature?, proveniente da Oslo e ospitata dal Museo di Storia Naturale di Genova, che presentava in modo rigorosamente scientifico gli studi sui comportamenti omosessuali di oltre millecinquecento specie animali, dagli invertebrati ai mammiferi. La mostra era partita in sordina, ma venne alla ribalta quando le organizzazioni cattoliche protestarono perché il progetto era stato inserito nel catalogo didattico per le scolaresche. (Interessatissime, per altro, alle storie delle balene maschio che si comportano vistosamente da femmina per evitare i combattimenti; dei trichechi che si coinvolgono in giochi erotici omosessuali; dei pinguini reali tra i quali un maschio su cinque preferisce un partner dello stesso sesso. E dei fenicotteri, che si organizzano in coppie di maschi per allevare il doppio dei cuccioli, o dei cigni che creano coppie fedeli nel tempo sia etero che omo.) Magnus Enquist, etologo dell’Università di Oslo, per nulla turbato dalle polemiche, osservò: “Ci sono cose che vanno contro natura molto più dell’omosessualità, cose che soltanto gli umani riescono a fare, come avere una religione o dormire in pigiama”.

Come inquadrare la questione nell’ottica della sensibilità, dell’intelligenza e della capacità di guardare lontano? Per esempio, impostandola in questo modo:
I. Parlare di “omosessualità” tra gli animali è scorretto, significa antropomorfizzarli, attribuendo loro intenzioni decisamente umane.
II. Le persone omosessuali devono acquisire rispetto sociale e diritti non perché si dimostra scientificamente che i loro comportamenti esistono in natura, ma perché amano e si amano come persone.
III. Quindi, sia il ricorso da parte clericale al concetto di omosessualità contro-natura, sia la replica che si tratta di comportamenti largamente diffusi in natura, non sono argomentazioni convincenti perché il problema è interamente umano, cioè etico.
IV. E’ inutile appellarsi al non umano per giustificare l’umano. Solo la cultura ha il compito di compiere scelte etiche, cariche – per l’appunto – di una forza culturale.
V. E’ la parte più avanzata della filosofia del Novecento che considera obsoleto come categoria di pensiero il diritto naturale. Siamo ormai una specie troppo poco “naturale” per parlare di che cosa è naturale. La Sapiens-sapiens è diventata tale proprio perché si è distanziata dalla natura, dalla animalità. Per gli appartenenti alla Sapiens-sapiens, oggi, “naturale” dovrebbe essere l’accentuazione di educazione, gentilezza, civiltà: umanizzare il mondo, diceva Rilke. E che cosa è più gentile, umano, civile, di una promessa d’amore, di un patto di solidarietà, di un “contratto” stipulato solennemente tra due persone? E sottolineo persone.

38 COMMENTS

  1. Caro Franco,

    dopo aver letto il tuo libro “Il servo di Byron”, ho provato un effetto “goccia che fa traboccare il vaso” (dopo aver letto della criminale, impietosa, legislazione inglese contri i sodomiti, che prevdeva gogna, carcere e pena di morte, ancora vigente per buona parte dell’Ottocento…).
    Sono pienamente d’accordo su quanto scrivi. Non c’è bisogno di scienza, di andare a spiare i trichechi. Da eterosessuale “per lo più” quale sono, dico semplicemente: non rompeteci i coglioni, non rompetegli i coglioni. Basta. A 45 anni non vedo più la menoma traccia di un possibile dilemma. Due uomini si amano? Vogliono sposarsi? So what? La cosa riguarda esclusivamente loro. Se vogliamo discutere, facciamolo su questioni che hanno una reale complessità etica. Le madri portatrici, ad esempio. C’è un discorso giuridico e etico importante da fare, perché si tratta di proteggere più soggetti: gli aspiranti genitori, la madre naturale, il figlio o la figlia, ecc.
    Io ormai faccio davvero fatica a capire in che modo il matrimonio omossessuale pone problema. Davvero non ci riesco. Che la chiesa si sia fissata su questo, al di là di tutte le considerazioni strategiche e politiche, ci porta semplicemente al teatro dell’assurdo. Sono argomentazioni alla Jarry.

  2. Gnetile Franco Buffoni
    io penso che le parole siano soltanto parole. Importantissime ovviamente: le coltivo e le apprezzo, ma sono in ultima analisi parole, cioè etichette.
    Matrimonio è una definizione, un’etichetta.
    Se i politici (che danno spazio a chi non ne avrebbe)scelgono di farsi spaventare da questa parola, proprio questa, io suggerisco di usarne un’altra:
    Partnariato? Contratto di affidamento reciproco? Contratto di convivenza?

    L’importante è che i contenuti restino gli stessi e cioè la possibilità di poter stare amorevolmente accanto la o il partner in ospedale, la possibilità di trovarsi accanto il o la partner in qualunque istituzione e occasione in cui se ne ha bisogno; la reversibilità reciproca di un’eventuale pensione; ereditare automaticamente; usufruire dei vantaggi insieme alle responsabilità ch eanch ele coppie etero acquistano dopo aver firmato il contratto chiamato appunto matrimonio.
    Che i contenuti restino gli stessi pur con le dovute differenze, le stesse possibilità nei limiti delle possibilità intrinseche, lo stesso rispetto civile e giuridico.
    Mi sono permessa (spero non le dispiaccia)di riportare il suo post nel mio blog dedicato principalmente alle mie letture in generale ma in cui metto in evidenza anche ciò che riguarda i diritti della minoranza non eterosessuale!(etichette omosessualità, culture,lesbismo, politica).
    http://leture-e-riletture.blogspot.com

    Angela Siciliano

  3. Ringrazio Angela Siciliano per la sua gentilezza e per avere divulgato il post.
    Una postilla desidero invece fare al commento di Andrea Inglese. Il quale scrive: “Se vogliamo discutere, facciamolo su questioni che hanno una reale complessità etica. Le madri portatrici, ad esempio. C’è un discorso giuridico e etico importante da fare, perché si tratta di proteggere più soggetti: gli aspiranti genitori, la madre naturale, il figlio o la figlia, ecc.”.
    Al riguardo faccio presente a Inglese che alla maternità surrogata ricorsero per anni le copie eterosessuali non fertili; soltanto in seguito cominciarono a farvi ricorso anche quelle omosessuali. Quindi accetto la sua proposta di discussione solo se la riferisce anche alle coppie eterosessuali; altrimenti mi sa proprio di discriminazione.

    • Chiariamo di cosa parliamo, Franco. Io trovo che salvo problemi di etichetta (vedi intervento di angela siciliano), non ci sia spazio di dilemma, di dibattito, per quanto riguarda la tutela giuridica di una coppia gay. Non vedo ostacoli o difficoltà, nell’elaborare una legislazione ad hoc. Perché? Perché si tratta di due persone adulte coinvolte. La questione delle madri portatrici (e di tutte le forme di adozione etero o meno)è realmente più complessa, non a caso da luogo a legislazioni diverse secondo i paesi. Il dibattito, quindi, mi sembra ovvio dato il tenore del mio intervento, anche in questo caso non riguarda la “legittimità” di una copia gay di crescere dei figli, ma riguarda i “modi” (giuridici) più adeguati per salvaguardare tutte le soggettività in gioco, e questo vale ovviamente per le coppie eterosessuali.

  4. Condivido pienamente le argomentazioni del post di Franco Buffoni; trovo splendida l’affermazione conclusiva.
    Per far poi riferimento all’attualità di questi giorni: mi auguro che Giuliano Pisapia conservi il coraggio etico, politico e civile per portare avanti un progetto serio e concreto in merito ad unioni di fatto ed omosessuali che consentano a Milano di indicare all’Italia intera una strada di civiltà e progresso.

  5. Perfetto, Andrea, se la necessità di discutere della maternità surrogata vale anche per le coppie eterosessuali non fertili, sono pienamente d’accordo con te.
    Grazie a Angela e ad Antonio per le parole.

  6. Tirare in ballo la Natura è l’extrema ratio di una cultura bimillenaria che dell’irrazionalismo fideistico fa il suo orgoglioso baluardo, insomma l’ennesima mossetta ballerina di chi vuole decidere da solo quando è che si argomenta con le provette alla mano e quand’è che invece devono essere legate mani e piedi, e bocca, a chi le provette le sa maneggiare o molto meglio o molto più onestamente.

    Riflettendo su questi argomenti, sulla desolante disparità di diritti che causa un declassamento di fatto delle persone che non fanno pubblica dichiarazione di orientamento e comportamento e ordinamento eterosessuale – e che può essere parzialmente recuperato solo da parte di chi può provvedere economicamente da sé a se stesso o attraverso altre non democratiche situazioni di potere – mi chiedo quali saranno le conseguenze dell’aver affiancato alla fondamentale lotta culturale le vie della necessaria iniziativa politica.

    Aiuterà a capire se lo scollamento è tra la politica e la società o, ancora più infelicemente, tra la società e la realtà nella quale vive da sempre preferendo da sempre il vedere altrove o il rifugiarsi nel vedo-e-non-vedo e nel si-fa-ma-non-si-dice.

    Un saluto,
    Antonio Coda

    • Beh, ma non buttiamo il bambino con l’acqua sporca. Seppure è evidente la pretestuosità di taluni nel tirare in ballo il diritto naturale, di una concezione di come siamo fatti non potremo comunque fare a meno.
      Se fosse possibile, allora anch’io mi schiererei per ignorare la nostra natura (che poi significa che non ci siamo fatti da noi, e che il nostro DNA non lo decidiamo a tavolino noi, tutte cose su cui do per scontato che conveniamo tutti). Purtroppo, quando si tace sulla natura umana, non che così non se ne tenga conta, tutto il contrario, prevale invece un modello specifico di uomo, quello che viene fuori dal pensiero dominante, e tutto ciò mi pare finisca con l’essere un’operazione autoritaria. Al contrario, se io metto in vetrina la mia concezione dell’uomo, apro le porta al dialogo, al confronto argomentato con gli altri.

      • Vincenzo, spero di non travisare la sua osservazione, che tra me e me ho riformulato in questo modo: “non parlare di natura non significa liberarsene: significa sottomettersi al discorso dominante che se ne fa”.

        Messa così, condivido, tanto più che è un modo aggiuntivo per dire che per Natura non si può che intendere il discorso culturale che se ne fa. Da questo punto di vista, ben venga il confronto e la riflessione sul cosa sia la “natura umana”, purché la sua intenzione miri una conoscenza ulteriore e non al rafforzamento di una discriminazione, purché l’ideale a cui tenda è l’inclusività nel rispetto delle differenze e non l’esclusività fondata su concetti di normalità laddove per “persona normale” non s’intende neanche più una condotta specifica ma a una conservazione di ruoli che sono più nostagici che performativi.

        Per evitare il rischio di essere oscuro: il matrimonio tra omosessuali non è una provocazione militante: quella magari verrebbe accolta meglio; il matrimonio tra persone dello stesso sesso significa cambiare e ampliare la normalità: non per forzarla, ma per aggiornarla a uno stato di fatto.

        Ho la sensazione che i normali non lasceranno spazio ad altri normali prima di aver ben individuato chi saranno i loro prossimi diversi.

        Un saluto,
        Antonio Coda

        • Io facevo un’osservazione di carattere generale.
          Trovo tuttavia singolare che alla ricerca di una maggiore conoscenza della natura umana, si parta con scopi già predefiniti, che ricerca sarà mai questa?

          • La Natura Umana – era ed è la mia idea di partenza – è la solita Terra promessa a chi se la sente mancare sotto i piedi; perciò iniziare il viaggio avendo uno scopo – che potrei sostituire con la parola “criterio” o “cautela” se non fosse un lezioso ricorso a una epanortosi – come bussola è il mio minimo, per non limitarmi a fare crociere nel mare magno delle suggestioni, con il gusto privato di scambiare un innocuo sofisticare a ruota libera per una odissea.

            La Natura è il discorso di cultura dominante che se ne fa: ad oggi si potrebbe finalmente dire: le nature umane; e accogliere questa pluralità non fondativa con allegria invece che con angoscia.

            Per me il mio commento equivaleva a dire, ad un appassionato di snorkeling: – Ben venga andare a fare immersioni a pelo d’acqua, però prima promettimi che non sarà la solita storia, con te che ci terrai a stabilire cosa è corallo e cosa non lo è e che siccome a te piacciono di più i coralli azzurri, non pretenderai di sradicare quelli rossi per lasciargli più spazio.

            Chi ricerca – vero – non sa cosa trova: ma almeno una mezza idea di quel che cerca ce l’ha. Seppoi singolare è diventato il ricercare avendo ben in chiaro in testa lo scopo del proprio muoversi alla ricerca, sono ben contento di scoprire quanto sia eccentrico il più banale dei presupposti.

            Io avevo parlato di intenzioni, di quelle anche un laureando al suo primo anno di Erasmus ha ben chiare in testa, e che non sono strettamente di studio, se avrà la mente aperta davvero.

            Un saluto!,
            Antonio Coda

          • La ricerca non conosce in anticipo il proprio risultato, sennò dovremmo ammettere che andiamo a cercare ciò che abbiamo già in tasca.
            E’ chiaro che si ricerca qualcosa di specifico, ed appunto l’oggetto (ma non il risultato, sia chiaro) è la natura umana.
            Credere di potere prederminare il risultato di un’attività di ricerca non è banale, è semplicemente errato, dato che spesso i risultati più interessanti delle ricerche possono perfino travalicare l’oggetto iniziale della ricerca.
            Insomma, mi pare evidente che lei nutra dei pregiudizi del tutto leciti, per carità, e del resto il termine pregiudizio non è certo un insulto, ma temo che il suo atteggiamento sia poco produttivo, cercare conferme alle proprie opinioni non mi pare un progetto così stimolante.

          • Gentile Vincenzo,

            il tono della nostra non-controversia devo dire mi diverte, perché esula non solo dal tema che l’ha generata – per riconoscere il diritto al matrimonio civile degli omosessuali si deve ogni volta tornare alle origini del pensiero, rispondere alla domanda – Chi è il pensatore? e rimenarla soprattutto sulla natura-umana…; insomma: si finisce col parlare, come al solito, d’altro – ma si allontana anche da quel che probabilmente interessa l’uno e l’altro.
            Però la trovo molto civile e posata, per questo poso qui un altro tasellino che, comunque, non formerà nessun puzzle che non c’è.

            “La natura-umana (al di là di una sua versione strettamente fisiologica e che si può condurre felicemente meglio su un corpo morto che su una mente viva) intesa come qualcosa di diverso da ciò che ci si fantastica attorno, per me non vale la pena di sprecarci un pregiudizio. Quel che se ne dice, dice più cose su chi le pronuncia che dell’argomento ipso-facto.”
            Questa è la formulazione del mio pregiudizio corrente.

            “Predeterminare il risultanto di una attitivà…” Mi rileggo, fiero di aver fatto da paladino addirittura a un pregiudizio di quelli umanistici d’antan (sulla scia dei polverosi ed esterofili “libertà, uguaglianza, fratellanza”; coi pregiudizi ci vivacchio, perché mi viene difficile ridiscuture da capo quel che di fondo condivido) e verifico che la mia poca produttività speculativa si augura: conoscenza come inclusività, come cose che si aggiungono a cose, e non come discriminazione, ovvero nuovi moventi per giustificare le vecchie emarginalizzazioni.
            Conferma pre-postulata: ritrovata!; se uno vuole fare ricerche su di me, come fossi il batterio nel vetrino, dovrebbe come minimo prima presentarsi e dirmi, sì, le sue intenzioni: altrimenti non mi faccio scrutare mica. Altrimenti niente stimolo, da parte mia. Così che se io volessi fare ricerca sulla natura umana altrui, e quindi sugli altri, ci terrei a informarli del mio modus.
            Poi d’accordo: magari scopro il vicerversa di quel che mi auguro. In un umano. Ma fortuna ci sono poi tutti gli altri e ne basta uno sui sette miliardi per invalidare tutto e ripartire, perché poi passa il tempo, le persone cambiano…
            La legge dei grandi numeri vale appunto per i numeri: un due resta un due per l’eternità, un uomo nel suo arco mortale passa dai numeri “naturali” agli “immaginari”, numeri “cardinali” permettendo.

            Sarà che io nella ricerca sulla natura umana non ci vedo niente che debba rispondere ai prerequisiti minimi popperiani: se Graal deve essere, ci vuole la sospesione di credulità prima di tutto. Fosse solo perché nell’uomo può essere contemporanamente vera una cosa e il suo contrario: è la sua condizione sfiziosamente problematica: così desideroso di autodeterminarsi, per quanto così indeterminabile… di natura?

            Per questo la ricerca della naturaumana è due volte una chimera: è una chimera sia il soggetto che l’oggetto della ricerca.
            Diritto universale, però, è che ognuno possa costruirsi la sua mitologia scientifica.

            Un saluto pregiudizialmente solipsistico!,
            Antonio Coda

          • Gentile Antonio,
            lei scrive così piacevolmente che, malgrado io sia radicalmente in dissenso con molte delle cose che dice, come risulta ormai chiaramente dal suo ultimo intervento, la voglio egualmente ringraziare per le sue cortesi risposte, godibilissime, seppure dal mio punto di vista, molto ideologiche.
            Spero mi perdoni se rinuncio ad argomentare, ma è evidente che ad ogni passaggio il discorso tende a dilatarsi così tanto, che alla fine dovremmo mandarci l’un l’altro un intero testo di argomentazioni, e non mi pare sia il caso.

          • Gentile Vincenzo,

            il riuscire ad avere uno scambio così sereno con un interlocutore così radicalmente in dissenso mi ha gratificato molto, perché ricavo sempre un pizzico di ottimismo in più da un dialogo che pur non cedendo a compromessi non cede comunque a nessun bruttore nella conversazione, e nella convivenza.

            I miei grati saluti!,
            Antonio Coda

  7. Dicevo PACATEZZA.
    Che vuol dire spesso parlare meglio, parlare chiaro e forte.
    Volevo aggiungere a quel suo “sottolineo persone” che siamo anche “cittadini”
    e come tali si hanno, si avrebbero dei diritti insieme alle tante responsabilità!

  8. Le ormai logore dissertazioni filosofiche in materia mi interessano fino ad un certo punto.
    Quando si supera una certa massa critica si esce dalla classificazione di devianza e si acquisisce rilevanza politica e sociale. Quindi giuridica.
    Tutto questo ritardo nel riconoscimento dei diritti e doveri delle coppie dello stesso sesso testimonia il degrado assoluto della vita istituzionale in Italia.

  9. Mi avete poi fracassato i testicoli – fertilissimi – con questa storia della maternità surrogata. Un pretesto per affermare la sterilità delle coppie dello stesso sesso.

  10. Dal punto I al punto V, Franco, d’accordo in pieno (soprattutto sul II). Queste cinque affermazioni fanno piazza pulita di una grande quantità di discussioni inutili.
    Ho un dubbio su questo:

    E che cosa è più gentile, umano, civile, di una promessa d’amore, di un patto di solidarietà, di un “contratto” stipulato solennemente tra due persone?

    Il matrimonio è un “contratto”?
    A me pare di no, allo stato attuale.
    Sospetto che un passaggio preliminare necessario sia, quindi, una ridefinizione della nozione di matrimonio civile che ne faccia, appunto, un contratto. (Il che provocherebbe anche il definitivo “divorzio” tra matrimonio civile e matrimonio religioso).

    • Giulio, puoi dire in che cosa il matrimonio civile, allo stato attuale, non sarebbe un contratto?

        • Codice civile, articolo 1324. “Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Consiglio di leggere anche gli articoli successivi (vedi).
          La questione è, per quel che posso capire (non ho una grande attrezzatura giuridica) piuttosto dibattuta. Penso si possa dire che nella percezione universale il matrimonio viene sempre più automaticamente associato al contratto. Ma mi pare che il codice civile non sia del tutto d’accordo.
          Per questo sospetto che ridefinizione della nozione di matrimonio civile che ne faccia, appunto, un contratto, sia un passaggio preliminare.

  11. Solo uno stato confessionale provvisto di religione di stato può indurre nei propri cittadini l’attuale, pervicace con-fusione tutta italiana tra matrimonio civile e matrimonio religioso.

  12. Tra i tanti discorsi di importanti Capi di Stato che si sono tenuti ieri dinnanzi all’Assemblea dell’ONU uno è stato praticamente ignorato da tutti i media italiani più importanti, con l’eccezione di alcuni siti gay. Si tratta dell’intervento del Presidente francese François Hollande, che ha voluto sottolineare con forza l’impegno della Francia sul fronte dei diritti umani, dell’abolizione della pena di morte e della depenalizzazione universale dell’omosessualità. Quest’impegno non è una novità introdotta dal Presidente socialista, che agisce, anzi, in piena continuità con le iniziative già intraprese in tal senso dal suo predecessore. Ricorderete anche che il più fiero oppositore dell’iniziativa fu il Vaticano, che si mise alla testa di un ampio cartello di Paesi a religione islamica che considerano l’omosessualità un crimine (talvolta punibile con oltre 10 anni di carcere o persino con la pena capitale).
    Proprio per questo, in un contesto in cui l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale è concentrata sui problemi della crisi economica e finanziaria e degli scuotimenti che attraversano il mondo islamico a seguito della primavera araba e, più recentemente, per le proteste, sempre più chiaramente strumentali, a un filmetto blasfemo, trovo significativo e importante sottolineare queste parole di impegno del Presidente Hollande.
    Spero che l’Europa voglia, come in passato, impegnarsi al suo fianco su questo fronte dei diritti umani e mi spiace che la stampa italiana non abbia ritenuto interessante riferirci più estesamente su questo intervento.
    Ogni tanto sarebbe bene ricordare che l’Europa non è solo quella dell’Euro e delle banche ma anche quella del trattato di Nizza e dei diritti umani e civili. E che su quei parametri in Italia siamo persino più indietro che su quelli economici, senza che Monti se ne preoccupi più di tanto (l’IMU alla Chiesa docet).

    Dall’ intervento postato oggi da Andrea Maccarrone sul blog del Circolo Mario Mieli

  13. A mio parere la categoria “diritto naturale”, nel significato tecnico-giuridico più moderno e razionale, è da intendere come nucleo di diritti fondamentali dell’individuo, preesistenti allo Stato, che proteggono la dignità umana. Nel caso dell’ordinamento italiano parliamo dei diritti di cui all’art 2 Cost. i cosìddetti “diritti inviolabili dell’uomo”.

    In questo senso, che mi pare l’unico argomentabile, si capisce come il riferimento al diritto naturale per limitare diritti e promuovere la disuguaglianza è irragionevole. Suona come quelle argomentazioni dei secoli scorsi in cui il giusnaturalismo veniva utilizzato per giustificare la schiavitù o la negazione del diritto di voto alle donne.
    Insomma, quando Fioroni la Bindi o altri politici si appellano al diritto naturale lo fanno scorrettamente per andare nella direzione opposta a quella del riconoscimento (che implica apertura) della dignità umana, che è la vocazione dell’art 2 Costituzione.

  14. Nell’articolo c’è credo un refuso: il riferimento dovrebbe essere all’art 29 Cost.
    “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
    Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.”

  15. Un’altra osservazione.
    La “lettura intenzionale” dell’art 29 cost (cioè sui lavori preparatori), è logicamente insostenibile per un motivo molto semplice: nel 1948 non si sapeva cosa fosse l’omosessualità. Infatti è stata riconociuta come variante naturale del comportamento umano tra gli anni ottanta e novanta. E ancora più recente è il riconoscimento dell’idoneità omogenitoriale.
    Dato che i costituenti avevano un’idea prescientifica e scorretta dell’omosessualità, che senso ha dare rilievo alla loro intenzione nell’interpretare la Costituzione?

  16. Ringrazio vivamente Andrea barbieri per questi interventi. Che i costituenti – come tutti, d’altronde – avessero una visione pre-scientifica dell’omosessualità mi sembra fuori discussione. Il lato grottesco della faccenda è che quando i clericali di destra e di sinistra ci aggrediscono affermando: “Ma allora ditelo che volete cambiare la Costituzione”, lo fanno senza aggiungere dove andrebbe cambiata e con quali parole. Perché non c’è proprio niente da cambiare. Contrariamente a quanto si è dovuto fare in Spagna.

  17. Io ritengo che l’unico atteggiamento tollerabile da parte dei cattolici su questa materia sia il silenzio o l’accettazione delle norme che ogni Stato laico deve far rispettare in termini di eguaglianza dei diritti dei cittadini.

    In uno Stato che non sia dominato da logiche men che tribali (perché all’interno di buona parte delle culture tribali l’omosessualità sostanzialmente è tollerata), questi problemi non dovrebbero neppure presentarsi.

    Ogni altra presa di posizione, comunque la si argomenti, è inammissibile.

    Anche perché un connotato inamovibile della cosiddetta natura umana esiste, ed è il connotato comune che gli uomini e le donne hanno come membri paritari di una rete di parlanti-argomentati. Ogni forma di discriminazione di principio confligge con questa natura e deve essere radiata definitivamente dal consorzio civile. E se i cattolici oltranzisti non lo comprendono, ne siano radiati definitivamente anche loro, e giochino pure ai martiri, tanto dopo un millennio e passa di intolleranze e soprusi, non sono più credibili per nessuno.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Nel 2011 il romanzo noir I materiali del killer ha vinto il Premio Scerbanenco. Nel 2018 il romanzo storico Come sugli alberi le foglie ha vinto il Premio Bergamo. Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.