ONE BUT UNEQUAL
Alcune considerazioni a partire da La letteratura nell’età globale di Giuliana Benvenuti e Remo Ceserani.
di Lucia Quaquarelli
In apertura del recente e utilissimo saggio di Benvenuti e Ceserani leggiamo: «In questo libro ricostruiamo il lungo dibattito, iniziato nel Settecento, alle soglie della modernità, sulla possibile dimensione mondiale della letteratura: un dibattito che è ripreso con grande vigore negli ultimi decenni» (p. 7, corsivo mio). Dichiarazione d’intenti e promessa (ampiamente mantenuta), che ha il merito di presentare da subito la riflessione sulla letteratura mondiale in termini di «dimensione», ovvero di ordine di grandezza, di scala. Di scala di progettazione, produzione e diffusione certo, ma soprattutto (e pertanto) di scala di osservazione e analisi.
Siamo cioè tutti più o meno d’accordo nell’ammettere che quando si parla di «letteratura mondiale», oggi, non si intende un oggetto, un corpus o un campo di studio specifico («Salve, io mi occupo di letteratura mondiale, e lei?»), bensì l’elaborazione di una prospettiva di analisi letteraria che metta in conto l’impatto che le recenti trasformazioni « mondializzanti » del mondo (globalizzazione, mondializzazione dell’informazione, flussi migratori, compressioni spazio-temporali, informatizzazione e virtualizzazione dell’esperienza…) hanno avuto sulle lettere e che preveda pertanto il superamento della dimensione strettamente nazionale delle discipline letterarie. Ma non solo.
L’opportunità (l’esigenza, la necessità) di allargare a scala mondiale il campo di osservazione dei fenomeni letterari presuppone anche che si esca, per dirla con Said, dal «labirinto della testualità» (dove testualità si oppone anzitutto a storicità), ci si posizioni nel tempo e nello spazio e si rifletta, inoltre, sulle dinamiche di produzione, traduzione e circolazione dei testi letterari nel mondo, ovvero sulle relazioni (mutevoli nel tempo e nello spazio) tra centri, periferie e semiperiferie della produzione letteraria, insomma sui rapporti di forza entro i quali anche la letteratura viene prodotta e letta. Significa poi provincializzare l’Europa – il che mi pare in generale una buona cosa – e significa anche, spesso, resuscitare l’autore dalle sue ceneri, poiché, alla stregua di opere e lettori, anche gli autori, scrive sempre Said «appartengono in modo specifico a, e si articolano a partire da, circostanze locali».
La letteratura, insomma, dovrebbe essere considerata, leggiamo a pagina 74 del saggio di Benvenuti e Ceserani, come «una forma di globalità incentrata su attori localizzati facenti parti di reti transfrontaliere». Questa definizione, però, per quanto utile ed essenziale, apre su alcune questioni, talune spinose. Cerco di formularne una, che mi sta particolarmente a cuore.
Lo studio della letteratura su «scala mondiale» richiede allo studioso una capriola: mondializzare (universalizzare) la nozione di letteratura (perché si possa comparare il comparabile) per poi situarla. Voglio dire, per quanto l’approssimazione del distant reading faccia problema e per quanto ancora permanga il dubbio sulla nostra capacità di condurre uno studio della letteratura non compromesso con rapporti di forza postcoloniali, il rischio più grande che corre chi tenta di uscire dall’angustia della dimensione nazionale è quello di presupporre che la letteratura sia una nozione condivisa ai quattro angoli del mondo. Meglio, e per dirla tutta, di presupporre che la nostra nozione di letteratura valga anche per il resto del mondo.
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Molto interessante, ma mi pare solo un inizio, vorrei maggiori approfondimenti.
E ancor più: in una realizzazione della Weltliteratur, che fine fa la critica (e il suo linguaggio) se non ha più come centro del suo interesse l’opera, bensì tutto ciò che ruota attorno all’opera?
Il valore letterario sta nel contesto storico-geografico dell’opera, o nell’opera?
L’opera è un documento, o un monumento?
(niente di crociano qui: solo lecite e preoccupate osservazioni, meno reazionarie di quanto si pensi, nate dalla constatazione che, anche questo libro, il ”prodotto” più aggiornato sugli studi di comparatistica, non usa un linguaggio autonomo e si appoggia invece a quello d’ambito economico)
L’idea, in breve, è quella che le definizioni stesse di letteratura, valore letterario, specifico letterario, vadano ridefinite a partire dalla chiara consapevolezza del loro essere situate storicamente e geograficamente. Questo non significa fare tabula rasa del linguaggio e delle categorie che la critica euro-occidentale ha elaborato a partire da una specifica produzione di testi scritti che essa stessa definisce come letteraria. Significa piuttosto interrogarsi su quale operazione si compie quando queste categorie vengono a contatto con una produzione letteraria (?) che le mette in discussione. Come scrive Lorenzo, la domanda su quale letteratura e quale mondo è costitutiva di questo approccio, che si è sforzato, magari senza riuscirci, di non restare schiacciato dall’imperante linguaggio di ambito economico. Molto si parla, per questo, di planetarizzazione (in alternativa a mondializzazione e globalizzazione). Ma, è vero, molto si parla anche di come i classici non siano al di fuori di quella che Said ha definito “lotta per la geografia”.
Consiglio vivamente il libro, che è, in effetti, uno dei prodotti più aggiornati della comparatistica italiana. Non mi sembra, però, che gli interrogativi che si pongono Silvia Contarini e Heinrich nascano con la World Literature (come ammette lo stesso Heinrich). E non rischiano nemmeno di essere spazzati via da questa nuova “moda”: le declinazioni più consapevoli di questo recente tipo di ricerca tengono costantemente presenti questi dilemmi alla stregua di problemi fondativi. In altre parole, le domande: cos’è “world”, e cos’è “literature”, nella “world literature”?, sono, per così dire, costitutive della materia.
NB L’articolo da me pubblicato è di Lucia Quaquarelli; sui suoi interrogativi, interverrà Lucia se lo desidera.Ne approfitto per dire che ho trovato anch’io il libro di Benvenuti e Ceserani molto stimolante, e molto utile. Come scrivono nella prefazione, si propongono di ricostruire il lungo dibattito iniziato nel Settecento sulla possibile dimensione mondiale della letteratura. Perché se certe questioni sono aperte da tempo, il modo di formularle, le implicazioni e le risposte non possono non tener conto di un mondo che è cambiato e cambia.Tra i cambiamenti, non irrilevanti, c’è che l’Europa non è più al centro del mondo (lo è probabilmente ancora il “canone occidentale”). Altro fenomeno rilevante e non privo di conseguenze, la globalizzazione del mercato editoriale (e le politiche di traduzione). Parlavo di utilità: Benvenuti e Ceserani si sforzano di esporre con chiarezza divulgativa definizioni (ex. Letteratura mondiale, Letteratura globale, letteratura planetaria), concetti, teorie, prospettive critiche, problematizzando e fornendo strumenti di riflessione.
Mi scuso per la svista. Il mio commento si riferisce dunque al testo di Lucia Quaquarelli, e non, ovviamente, a chi l’ha postato.
ciao a tutti,
è davvero troppo stringato questo articolo per capire le questioni contenute nel saggio proposto, non ultima l’uscita dal “labirinto della testualità” per avere una maggiore comprensione dei fenomeni letterari, che detta così sembra un triplo salto nel vuoto senza rete, dato che la letteratura è fruibile e storicizzabile solo attraverso dei testi.
comunque, il problema della globalizzazione della letteratura è un problema molto serio, e vi rimando a questo articolo per comprendere meglio il fenomeno:
http://blog.edizionisur.it/30-01-2013/lo-spettacolo-della-letteratura-mondiale/
a me soprattutto questo passaggio ha dato molto da pensare, ultimamente:
“In fin dei conti non esiste nessuno scrittore mondiale. Ci sono scrittori radicati da una parte o da un’altra, influenzati da questa o quell’ideologia, vincolati a una lingua, che scrivono opere che si rivolgono ad alcuni lettori e non a tutti. Gli scrittori mondiali, quindi, devono essere prodotti; e anche rapidamente. Nelle nostre società consumistiche il mercato editoriale non può attendere che un autore si affermi da solo travalicando, a poco a poco, le frontiere locali; deve mondializzare scrittori il prima possibile. Come? Attraverso la pubblicità e lo spettacolo. Con tour promozionali, incontri internazionali e concorsi letterari il cui compito non è tanto riconoscere il lavoro di un autore quanto produrre capitale: capitale simbolico per i nuovi e vecchi autori che ricevono il premio, capitale tout-court per le imprese editoriali che organizzano tutta la giostra. Inoltre, una volta creato questo scrittore mondiale, è difficile che cada e torni là da dove è venuto. Il tipo può perpetrare le opere più atroci e i critici possono accanirsi quasi unanimemente contro di queste, eppure non succederà granché: di rado i dardi dei critici attraversano le frontiere, e ben poco possono contro il prestigio di una figura sostenuta dalle grandi case editrici e dai grandi premi.”
Non era mia intenzione recensire il volume di Benvenuti e Ceserani, che immagino molti abbiano avuto per le mani. Il riferimento al saggio era piuttosto l’occasione per riflettere su alcuni problemi aperti.
Che l’orizzonte esclusivamente nazionale non riesca più a dare conto dei (di gran parte dei) fenomeni letterari mi pare un fatto. Chi scrive oggi non scrive solo « in presenza di tutte le lingue del mondo » (Glissant), ma anche in presenza di modi e forme letterarie e culturali, immagini, temi, storie, idee… che travalicano i confini nazionali. E non solo quando chi scrive è il prodotto di un preciso progetto editoriale « mondializzante » (questo è un altro problema ancora).
Tuttavia, l’apertura dell’orizzonte critico-teorico che dovrebbe seguire il riconoscimento della simultaneità di dinamiche locali e transfrontaliere pone un certo numero di questioni. La prima, quale letteratura e quale mondo. Domanda fondativa e ricorrente, certo, la cui formulazione (semplificando) si impiglia in problemi di geografia del potere da un lato e specificità linguistico-letterarie dall’altro.
È su questo secondo ordine di problemi che, con il mio post, ho tentato di avviare la discussione. Perché la nozione di letteratura è instabile non solo nella storia, ma anche nel mondo, perché la storia non è una sola e nemmeno il mondo, mentre la nostra storia, il nostro mondo e la nostra letteratura rischiano spesso di costituire il nostro unico orizzonte epistemologico.