Due poesie
di Gilda Policastro
Inattuali
n. 1
La verità è che i quattro salti in padella
non so’ cattivi (all’oasi
della birra i due studenti, biglietto timbrato
proiezione esclusiva),
lo isolavo tra il dire senza dire
di Kircher, dei frammenti di Leopardi
tarantato
(che poi, m’interrogavo verificando la faccia,
di questo si fanno le vite, le cose:
incontri, chiamarsi, chiavare, per dirla con l’ES).
D’altronde sono tre le ipotesi: amicizia, relazione, intimità,
e delle tre nessuna (verificata
la faccia ha troppi denti
o pochi, o non saprei sceverare il teschio,
l’origine, risalire, dei frammenti, i primitivi,
di te, quell’astratto che precede la verifica),
o la prima, a condizione
che sostenga passaggi,
fluttuazioni e sfumature.
Ma se fosse ancora il tempo – la colpa, dice C. –
di sperimentare (edificare no, ch’è tardi, o presto, e
la biologia finisce dove comincia l’evoluzione
dei costumi, o le opinioni,
a ricordarsi del presente stato):
iniziare, consumare, finire
la via che riporta
alla sentenza un pezzo per volta,
senz’alternative.
Astrazioni, distrarsi dal contesto e ricalcare il fare
metaoperativo: un oggetto che serve a qualcosa cui la
forma non rimanda, lo scopo senza la funzione
(verificare la faccia, a invalidare
ciascuna delle tre obbligazioni),
di più disorientarsi, finire senza cominciare, o viceversa: tutto
scorrendo, limando solo le malattie,
proscrivendo la morte,
sconfessando il dolore (superando?),
ch’è fardello che ti accolli da troppo, e la vita,
quella degli altri, è fatta di cose piccole, leggere, buone,
di quattro salti in padella, non per dire
-
n. 2
Quanti aggettivi usano e come costruiscono le frasi:
pensieri lunghi, articolati, complessi o intorcinati
(io ci ho i compiti e tu? no, io non li ho,
eh, ma io sono più grande,
il nonno in mezzo, bambini che guardano la strada,
domande semiautonome, a voce alta).
Nell’argomentazione, usare le stesse
terne aggettivali: necessario, dialogico, sfaccettato,
oppure smontare le retoriche, sfolgorante, il mercato.
Il mercato è il luogo antagonista, confrontarsi, aveva detto Fortini,
con le sue logiche, per opporre una minoranza al dominio,
o per interloquire dalle nicchie con gli spalti
(hai detto che si può scrivere bene parlando male?),
oppure, di quel dominio, contestare la legittimità con la rivoluzione
(chi non ha niente, non si aspetta niente),
la messa in discussione,
il diritto di critica, l’imperativo
(è quando ti hanno tolto qualcosa
che ti rivolti),
il negativo adorniano
(le donne sono fatte così, sono aggressive).
Ma sentiamo cosa ne pensano i nativi digitali,
(“nelle dispute l’inferiore ha sempre ragione,
perché il superiore si è abbassato a disputare”, GD),
loro hanno nuovi strumenti di connessione,
le sinapsi formate sui byte, i giochi di
go-kart elettronici (e tu capisci “le carte”)
nell’internet disease la ps vita
(ho fatto tutto bene, lamentele?),
rapporti zero, contaminazione repressa,
contagio autoimmune
(l’altro è la forma che assumi
dove l’esterno s’incrocia), rin-
tanati dall’evento, benvenuti nel deserto
(ho un vuoto dentro: Serena che perde il compagno
in tivù, senza la tomba).
Aggressioni di default, fendenti in mostra,
(ma secondo te gli ospedali funzionano,
dice Lidia, in Palestina,
e se rispondo che in Italia nemmeno,
che paragoni cretini),
sbandando come attori sul palco
osceni, muoiono i mostri (ma puoi riprenderti le vite, se vuoi,
e ricominci: Maria, al figlio che gioca),
uno spettacolo diverso ogni volta Fingerti
(non è la wii: quando muori sei morto) è
il solo modo di riaverti
a mente, lì dal deserto,
switchando
nonostante le varie citazioni atte a render noto che a scrivere non è una povera sfigata, sono proprio una gran cagata.
ancora !
come al solito, voi del sottobosco e del poetese non capite un grillo
questa scrittura è glande
ringrazio i commentatori, che, in tutti i casi, inviterei tuttavia a considerazioni più articolate e sopratutto più argomentate rispetto al testo.
[va da sé che – come da netiquette – nuovi commenti scurrili, irrispettosi e palesemente, sommariamente o apoditticamente squalificanti (in primis per il commentatore medesimo) non verranno approvati]
«Così tanto arrivismo per arrivare a così poco»
[Dalì su Aragon]
«Non sopporto lo stile da negozio di souvenir, le navi in bottiglia e le collane di conchiglie dei suoi cliché romantici»
[Nabokov su Conrad]
«La vacca bretone della letteratura»
[Jules Renard su George Sand]
«Un fenomeno pubblicitario! Una servetta degenerata»
[Céline su Françoise Sagan]
«Riunisce in sé la povertà dello straccivendolo, il sarcasmo del mendicante e la disperazione del parassita»
[Walter Benjamin su Baudelaire]
PS: anche i commenti «scurrili, irrispettosi e palesemente, sommariamente o apoditticamente squalificanti» possono avere una loro dignità.
credo ci sia qualcosa di infinitamente più squalificante, rimanendo nello specifico letterario-poetico, di un commento dove compaiono la parola cagata o la parola glande (che, detto per inciso, potrebbe essere anche un refuso)
ad esempio: creare gruppi auto-referenziali che si auto-promuovono, si auto-recensiscono, si auto-canonizzano sui loro blog, le loro riviste e i loro editori di riferimento; guardare a tutto ciò che esiste oltre l’hortus conclusus del proprio branco come si può guardare alla merda; partecipare a premi e concorsi dove la giuria è composta dai tuoi migliori amici o presieduta da chi magari ha firmato la prefazione del libro che hai presentato
etc., etc, etc…
caro/a f.,
la stima reciproca tra autori, e tra autori e critici, in forza dei propri testi e delle proprie idee, la comunanza di poetiche e/o la condivisione di progetti culturali, sono stati e sono, da sempre e in modo del tutto naturale, alla base delle società letterarie. il resto, credo, sono dietrologie.
daccapo, mi permetto di invitare a concentrarsi sull’analisi delle poesie qui presentate, come d’uopo per post testuali di questo genere; lasciando perdere ironie sterili, polemiche altre o (@ s.l.) meri contro-commenti off topic, che per quanto “retoricamente” efficaci, arguti, ed anche garbati, sostanzialmente off topic rimangono.
Caro Alessandro Broggi, mi perdoni la parola scurrile, ovvero “cagata”, alla quale ho dimenticato di accostare con apodittica retorica civile, il termine “artista”, dunque “cagate d’artista”, innegabilmente esistenti nonostante “la stima reciproca tra autori, e tra autori e critici, in forza dei propri testi e delle proprie idee, la comunanza di poetiche e/o la condivisione di progetti culturali, sono stati e sono, da sempre e in modo del tutto naturale, alla base delle società letterarie…. “, al di là delle possibili e insostenibili dietrologie.
tanti cari saluti a lei e alle sue cordiali comunanze poetiche.
nc
Gentile Natalia,
a una commentatrice di lungo corso su Nazione Indiana come lei, commenti del genere credo non facciano molto onore.
A questo punto, chi ci legge immagino sia ancora più curioso di capire per quali ragioni – la prego di nuovo: nel dettaglio del testo – queste poesie meritino da parte sua un tale accanimento.
ma non è accanimento, ci mancherebbe!
le è mai capitato, Broggi, – sono certa di sì, è umano, peraltro – di leggere qualcosa e esclamare tra sé e sé: ma che schifezza è!?
ecco, il mio primo commento, scappò fuori così, come l’aria che smuove dall’intestino la profusione della parte più consistente dell’esternazione, quasi viscerale, del mio dire.
nell dettaglio?
So bene che la Policastro scrive in perfetto italiano, dunque mi chiedo questo scegliere volutamente un linguaggio basso, povero che cozza con la presunzione delle sminuzzate citazioni sparse nel testo, atte unicamente a far capire che il linguaggio è un “pretesto”, un’impostura, ché non appartiene, in vero, alla scrivente, a che serve? che dice? quale grandiosità aggiunge al mondo del sentire e dello scibile?
Io non conosco direttamente la Policastro, non mi interessa conoscerla e mi baso solo su due testi che qui leggo da lei presentati e, come da lungo corso di certo saprà, non mi strofino come i gatti che s’arruffianano le comunanze, ma esprimo il mio miserrimo, sincero, quanto non condivisibile parere.
Poi se vorrà illuminarmi con una disamina critica dei testi da lei presentati per farmene cogliere l’immensa grandezza, gliene sarò grata e imparerò sicuramente qualcosa che, nonostante il lungo corso, mi sfugge tuttavia
rinnovati saluti.
nc
Anch’io, senza nessun accanimento (ci mancherebbe), mi chiedo con lei, nc, quale “grandiosità aggiunga al mondo dello scibile e del sentire” (nientemeno) una poesia come questa:
c’è una pace nell’ascolto delle cose
che come l’insieme delle gocce
forma l’incalcolabile vastità del mare
quando soffia l’attesa lieve delle onde
all’increspatura della tua fronte
che arriccia in silenzio il sopracciglio
e pensa
c’è una pace nel sentirsi granello tra le cose
che non si chiede ma si perdona l’esistenza
ora che la fine dell’anno è solo un rito formale
per il computo delle nostre ossa
[E’ una pace tersa stasera
barattare al tempo il mio perdono]
Forse non è sulle impressioni personali e sulle altrettanto personali idiosincrasie che va condotto il discorso. Perché le sue notazioni di sensibilità, oltre a parermi assai ingenue, mi suscitano delle reazioni analoghe alla sua iniziale rispetto ai miei testi. Ma, ripeto, forse non è questo il piano (e il livello). Grazie.
Off topic? Ne è così certo? E se le citazioni fossero coessenziali al commento delle poesie? Magari sono una sorta di mimesi ironica dei commenti da lei stigmatizzati …
Di amici io ne ho due: uno fa il bibliografo, l’altra la fotografa. Mai stati giurati di premi letterari. In ogni caso questo è retro (siete sul retro, retro, retro, retro), e non rileva. Ho offerto i miei testi alla discussione, qui, perché quando ho pubblicato direttamente su rivista o in volume, in passato, nelle recensioni ho poi spesso trovato notazioni stilistiche, figurali, retoriche, metriche, lessicali che quei testi li avrebbero, probabilmente, migliorati, se le avessi ricevute in tempo. Voglio continuare a considerare la rete come una sorta di laboratorio, non di vetrina. Superiamo la fase dell’ostilità preventiva per la persona e ci dedichiamo alle parole e ai significati? Vi sarei grata.
di amicizie non saprei ma in effetti sembra che nessuno dei casi di conflitto di interesse enumerati da “f.” qui sopra si applichi alla policastro:
“partecipare a premi e concorsi dove la giuria è composta dai tuoi migliori amici o presieduta da chi magari ha firmato la prefazione del libro che hai presentato
etc., etc, etc…”
in effetti a giudicare dalle notizie reperibili in rete le cose sembrano stare nel modo opposto: policastro non ha vinto un premio la cui giuria fosse composta o presieduta da chi avesse firmato la prefazione del suo libro.
policastro ha vinto un premio (premio delfini 2009) la cui giuria era composta dall’autore (tommaso ottonieri) di un libro (le strade che portano al fùcino) cui la policastro aveva dedicato (nel 2007) una guida alla lettura pubblicata nella collana (fuori formato, le lettere) curata da un altro membro della giuria (andrea cortellessa).
non so se “f.” intendesse sussumere una cosa di questo tipo nel suo “etc. etc. etc.”
saluti,
lorenzo
p.s. per evitare l'”ostilità preventiva per la persona” e far sì che il lettore si concentri sui testi si potrebbe pubblicarli anonimi. è solo un’idea.
Condivido in parte quest’ultima osservazione: probabilmente ciò che lei propone attenuerebbe l’accanimento ad personam, ma non mi pare che i nostri avi (o modelli) più prossimi si siano dovuti costringere all’anonimato per esprimersi criticamente sui reciproci testi e darsi consigli o pareri anche virulenti (ma, torno a dire, sul testo non il contesto o il pre-testo). Quanto al Premio Delfini a cui mi pare lei si riferisca, per dovere di cronaca devo precisare che si tratta di un premio assegnato ad inediti, su invito, almeno nell’anno in cui vi ho concorso, il 2009 (vincendo, peraltro, assieme ad altri 5 poeti), mentre Tommaso Ottonieri ha evidentemente firmato la prefazione a un mio testo edito, “Antiprodigi e passi falsi”, uscito nel 2011 per Transeuropa. Se la può tranquillizzare posso anche aggiungere che nel mio caso l’invito a partecipare non arrivò da Ottonieri (né da Andrea Cortellessa, tanto per essere chiari e definitivi, spero), ma quand’anche così fosse stato, non vedrei comunque il problema. Esiste un sodalizio intellettuale di lungo corso, come lei sottolinea, tra me e l’autore suddetto, al quale non mi legano rapporti di parentela o di altro tipo. Ora, esaurito (spero bis) il capitolo gossip, possiamo tornare ai testi? Grazie.
credo che lei abbia letto male il mio messaggio, in quanto non c’è dubbio che io mi riferissi al premio delfini (è menzionato esplicitamente, in particolare edizione 2009) e in quanto, a tale proposito, non menzionavo affatto la prefazione di ottonieri al suo libro pubblicato successivamente (2011), bensì la sua guida di lettura al libro di ottonieri (2007) per i tipi de lettere, collana fuori formato curata da cortellessa. mi chiedevo, implicitamente, se il suo downplay dell’intervento di “f.” relativo a eventuali “conflitti di interesse” o piuttosto eccessivi “inbreeding” non fosse un po’ eccessivo.
riguardo all’idea di pubblicare anonimamente i propri testi: forse i nostri avi non hanno dovuto ricorrere a questo espediente, ma i nostri avi non pubblicavano in rete.
per quanto mi riguarda trovo che lei non scriva peggio di molti altri autori di un ambiente culturalmente e anagraficamente a lei vicino. mi sembra che lei arrivi con l’intelligenza dove altri arrivano col talento, il buon gusto, il buon senso, o l’astuzia. non vedo in questo nulla di scandaloso. riguardo alla media di tali autori, riscontro nei suoi testi una maggiore ed esplicita ambizione, e credo che questo generi fastidio tanto all’esterno quanto all’interno di ambienti che prediligono l’orizzontalità. trovo anche che la sua poesia sia decisamente più referenziale, e questo è un bene. per il momento condivido i suggerimenti di laserta qui sotto, in attesa di una più attenta lettura. non sono certo che la (evidente) mancanza di equilibrio “tra riflessione intellettuale e osservazione del reale” che lamenta laserta qui sotto non costituisca uno degli aspetti interessanti dei due testi qui sopra, piuttosto che (esclusivamente) un loro limite.
saluti,
lorenzo carlucci
“in effetti a giudicare dalle notizie reperibili in rete le cose sembrano stare nel modo opposto: policastro non ha vinto un premio la cui giuria fosse composta o presieduta da chi avesse firmato la prefazione del suo libro”.
No, avevo letto bene.
@ policastro per il messaggio qui SOTTO: a me sembra che lei leggendo si sia persa un “non” in “non ha vinto…”.
ho appunto scritto che lei NON ha vinto un premio la cui giuria comprendesse qualcuno che avesse firmato una prefazione a un suo libro. dunque NON vedo perché lei abbia tirato in ballo la prefazione di ottonieri al suo libro del 2011. ho sottolineato invece che lei HA vinto un premio la cui giuria comprendeva l’autore di un libro per cui LEI aveva scritto una postfazione (o guida alla lettura) e il curatore del libro stesso. ci siamo capiti?
io non ho attribuito un bel niente alla signora policastro
ho solo contrapposto allo “squalificante per la persona”, epiteto usato per definire l’autore di un commento sarcastico, un piccolo elenco di pratiche, quelle sì davvero “squalificanti”, e non solo della persona
della serie: broggi disprezza (squalificante) chi dice in un commento che una poesia fa cagare o che è scritta col cazzo; io, invece, tutto il mio disprezzo lo riservo a chi, nel campo delle lettere (e non solo), si muove nella logica delle pratiche che ho citato
qual è il problema?
rispondevo a carlucci
Concordo sul fatto che non bisogna mai andare sull’offesa personale, quando si parla di un commento a un testo. Una cosa scritta, molto spesso, è assolutamente distante dall’io che l’ha concepita. E quindi è sbagliato sovrapporre un’impressione estetica a un giudizio sulla persona (soprattutto quando si va giù pesanti come nei commenti qui sopra).
Cerco, da lettore mediocre, di elencare alcuni difetti che secondo me “azzoppano” i testi di Policastro:
– l’andamento dimesso, prosastico, non si accorda bene con gli “a capo”, risulta tortuoso e un po’ forzato. E’ come se le parole andassero fuori ritmo.
– la mescolanza di lessico quotidiano e di lessico “aulico” / “letterario” non è ben riuscita. Difficile dire cosa manchi. Forse andava masticata ancor di più affinché uscisse più leggera, quasi trasandata.
– manca l’equilibrio tra riflessione intellettuale e osservazione del reale. Anzi, direi che c’è un eccesso di entrambi: troppe riflessioni e troppe immagini. Si sbilancia tutto, così.
L’unico consiglio sincero che mi viene è iniziare a tagliare, tagliare, tagliare: eliminare il troppo superfluo, lasciare giusto quelle cose che ti fanno male dentro, e ripartire.
non so, farei così.
sono proprio una gran cagata e questa scrittura è glande sono entrambi riferiti ai testi
mi potresti indicare, cortesemente, dov’è l’offesa alla persona?
vabbè, non saranno “personali”, ma sono abbastanza diretti, diciamo così.
E te lo dice uno che, quando legge una composizione verbale (non lo chiamo nemmeno “scritto”) di Sartori, qui su Nazione Indiana, gli vengono degli scoramenti pazzeschi…
puoi smontare un testo, senza scadere così in basso. ne convieni?
;-)
convengo
ma, pur convenendo, rimango dell’idea che il mio conmento è quello giusto
perché: a) se sono in basso, non posso pensare di mutare status (in alto) solo per il fatto di inventarmi un’analisi che non mi conpete e che non sono in grado di articolare; b) la frasetta è talmente ambigua che, cambiando orizzonte geografico-culturale-linguistico (che so?, spostandosi in cina), il glande ti diventa subito un attributo (a.i.v.!) coi contro-fiocchi
p.s. (o.t.)
sartori è uno scrittore, in ogni caso, i.e.: anche se non ti piace
qui, mi sembra, stiamo parlando d’altro,ergo: il tuo paragone è in-congruo ;)
Impressioni pre-critiche sui testi:
• la libertà del metro è evidente incapacità di misurare;
• la sequenza dei versi non riesce a farsi musica …
• … ma neppure a raggiungere il culmine del rumore;
• a quanto «fanno le vite» manca il *lavoro*, e dunque questi versi mancano la verità;
• il passaggio tra i diversi piani del discorso (intellettuale e quotidiano) è mimetico, al di là delle intenzioni; provocatoriamente direi anti-sanguinetiano (manca il distacco, il Verfremdung, quello sguardo «da storico» che rende il discorso penetrante);
• a questi versi non appartiene «il fare metaoperativo» proclamato, e proprio perché mancano la forma (la sequenza non ha costrutto, sembra casuale) (sembra il discorso di un autistico reso con gli a-capo);
• etc., etc.
Credo che strida qui, come in altri frequenti testi provenienti da tali “gruppi auto-referenziali che si auto-promuovono, si auto-recensiscono, si auto-canonizzano sui loro blog, le loro riviste e i loro editori di riferimento” (cit. f.) una sostanziale mancanza di talento letterario-creativo alla quale sopperisce “stima reciproca tra autori, e tra autori e critici, in forza dei propri testi e delle proprie idee, la comunanza di poetiche e/o la condivisione di progetti culturali” (cit. Broggi). Credo anche che, alle latitudini di riferimento socio-politico di questo portale e in svariati altri ambiti di presenza pubblica, cio’ occorra da almeno un paio di decenni e l’impasse verso il popolo che dovrebbe recepire ed applaudire e’ ancora tutta li’.
”
Cara Poli castro, dev’essersi sforzata a trovare quel mio testo, che – a differenza sua – non ho alcuna difficoltà nel definire letterariamente ingenuo.
Dunque, così ha dimostrato due cose:
a) che è più atta all’asilo d’infanzia, che a far letteratura, non sapendo reggere il peso di una critica rivolta a due suoi testi, che non saranno in vetrina (bah!?!), ma che sono comunque qui proposti al pubblico giudizio e alla pubblica lettura; (differentemente dal mio)
b) che sa essere perfettamente scorretta, oltretutto nella mia risposta a Broggi, ho anche motivato il perché della mia critica – ripeto – ai testi e non alla persona, dunque avrebbe potuto benissimo rispondere a tono e difendere i suoi testi sulla base di quanto le ho rivolto a critica, non certo copincollando una cosa che io stessa definisco di palese irrillevanza letteraria, seppur lineare e quantomeno comprensibile.
Ora, considerata la sua risposta, direi che la tanto offensiva “cagata” di partenza, la inoltro anche alla sua puerile reazione (a scanso di equivoci anche qui, escludo la persona, ma mi rivolgo all’azione mossa dalla persona, ché son due cose distinte).
Peraltro, vista la sua buona volontà nel cercare di reperire testi miei degni della sua lettura, le consiglio cose mie nettamente superiori, non sia mai che le possano servire a migliorare oltre che letterariamente, stavolta sì, se lo merita e glielo dico: umanamente.
buona lettura.
nc
http://lacifradeigiorni.files.wordpress.com/2013/03/le-parole-che-vennero-dopo-e28093-poema-inedito-e-incompiuto-1.pdf
Gentile Natàlia Castaldi
non so perché lei definisce “letterariamente ingenuo” il suo testo, posto che l’ingenuità sia un elemento di negatività: fosse l’argomento del post, argomenterei in suo favore, per quel che vale. Me la cavo, essendo altro l’argomento del dibattere, dicendo quel che il suo testo non è e mi pare non voglia essere: non è una rimasticatura di parole già scongelate e saltate in padella da Edoardo Sanguineti, ai tempi che furono.
PS: non creda ci sia stato sforzo nel reperire quei suoi versi: essendo presenti in rete, basta googolare il suo nome e (non a quattro-a-quattro, non in padella) saltano fuori.
Mi asciugo le lacrime. Beh, se parto così ci vuole prima una brevissima cronistoria: stamattina ho letto fugacemente i testi, poco fa ho letto sconsolato i commenti, ora vengo dalla rilettura dei testi.
(Pregiudizio chiappanuvolideo: come diamine pretendete di scindere la persona scrittore dall’oggetto testo, quando e soprattutto il suddetto testo è totalmente privato di contesto, di ambiente? Ovvio che l’oggetto diventa immediatamente protesi, organo, della persona. Mi pare quindi ancora più ovvio che le simpatie e le antipatie EVENTUALMENTE possano andare ad assumere un ruolo importante. Fine)
I testi.
Premessa: primi testi che leggo della Policastro. In precedenza ho letto qua e là critica e, mi pare, qualche racconto, ma non ne sono certo, è passato del tempo. Vengo dalla lettura di Segnalibro, alla mia veneranda età (32 quasi; sì, lo so, dovevo farlo prima), di Sanguineti. So che l’autrice ha dedicato un volume al poeta. Non l’ho letto, ma ho letto quanto è stato possibile reperire su internet. So, quindi, che c’è una relazione almeno stilistica tra l’autrice e l’autore.
Postpremessa: non ho gli strumenti del critico. Il mio è puro sentire.
I testi dunque. O più esattamente il testo, il primo.
Ho fatto fatica, molta fatica a leggere e rileggere il testo. No, non è la lingua. Sono le immagini, i significati che non trovano in me legame e quindi fluire. Mi si strozza tutto e mi va di traverso. Colgo però, e quindi che non mi sento di condannare del tutto il testo, qualche sprazzo qua e là. Il principale è:
“Ma se fosse ancora il tempo – la colpa, dice C. –
di sperimentare”.
Il tempo di sperimentare, chiaro, ovvio, dovuto, non può finire mai.
Questa sperimentazione tuttavia mi risulta forzosa, stentata. Troppo tesa al come dover dire, sperimentare, e meno al come e anche perché sperimentare. Vi scorgo come un (senza offesa mi raccomando) “Sanguineti esasperato” (da premessa è quasi normale che io lo scorga). Non già un barocchismo fine a se stesso, questo no, non credo che l’autrice possa perdersi così facilmente, quanto una perdita della misura, ecco, questo sì. Come un quadro con troppo colore, e qui ci sono troppe tinte fosche.
Se la sperimentazione è bocciata, passo al senso dello scritto, al messaggio.
Quindi:
“Astrazioni, distrarsi dal contesto e ricalcare il fare
metaoperativo: un oggetto che serve a qualcosa cui la
forma non rimanda, lo scopo senza la funzione”;
qui, ecco. Il meccanismo. Ho capito. Forse. Questa è una ricetta? Non di poesia, del suo uso, forse.
Un oggetto che ha una forma che non rimanda allo scopo. Qui, proprio qui, sarei tentato di dire: “cazzo, allora mi ha fregato! questo “Frankenstein” (dico bonariamente) allora riesce nel suo intento! mi sta dicendo che è tutta una costruzione, che l’artificio tradisce sempre lo scopo, che lo scopo si è perso, che l’oggetto stesso ormai si è perso dentro la storia dell’autore, dell’uomo. Finisce con la biologia!…”
Poi però.
“(verificare la faccia, a invalidare
ciascuna delle tre obbligazioni),
di più disorientarsi, finire senza cominciare, o viceversa: tutto
scorrendo, limando solo le malattie,
proscrivendo la morte,
sconfessando il dolore (superando?),
ch’è fardello che ti accolli da troppo, e la vita,
quella degli altri, è fatta di cose piccole, leggere, buone,
di quattro salti in padella, non per dire”
Quasi mi convince, citando la morte. Che alla fine è tutto un evitare la morte. Ma quegli altri, sti 4saltinpadella…l’entusiasmo scèma, mi ritiro, mi passa la fame, proprio come davanti ai 4saltinpadella, divento triste, mi sento anche stupido, ingenuo, mi blocco. Non riesco più a leggere.
Come una spirale, un vortice che ti inghiotte e non ti porta da nessuna parte. Eppure il Maelstrom c’era, io l’ho visto, mi sta per ingoiare, forse, se guardo bene, ho pure qualche capello bianco.
–
Ciao!
Avevo moderatamente apprezzato la policastro del quaderno curato da buffoni, questi nuovi testi mi paiono brutti e forzati, esercizi narcisistici privi di qualsiasi felicità di gesto e talento. troppo derivativi (come tanti altri poeti della sua generazione), inficiati da uno sforzo che li rende pesanti, da un’ansia da performance che li fa goffi. ravvedo che policastro “ha studiato”, ma mi chiedo perché continui sulla strada della poesia, perché non dedichi il suo tempo alla critica letteraria tout court…
Policastro, però, cazzarola, sbandierare le ingenue composizioni di chi la critica per difendere i propri testi (molto brutti per altro… che le costa dire che non piacciono nemmeno a lei?)… non le sembra che così perde bellezza per strada?
Poi, mi perdoni, come fa tre quarti d’ora prima a dire:”Ora, esaurito (spero bis) il capitolo gossip, possiamo tornare ai testi? Grazie” e non solo: “Superiamo la fase dell’ostilità preventiva per la persona e ci dedichiamo alle parole e ai significati? Vi sarei grata”… e tre quarti d’ora dopo a presentare tutta saltellante alla commissione qui riunita i risultati delle sue ricerche archeologiche nei lit-blog? Non è che tra i suoi amici c’è anche qualche dottorando in speleologia internettiana?
rispetto alla postata precedente di policastro su NI, noto con piacere che non usa più il lemma *occhèi*.
Poesia praticata, pratica non ancora archiviata?
E non è questo ormai più poetese del poetese sanguinetiano? Maniera della maniera?
Sic
Intendo: “del poetese contro cui si scagliava Sanguineti”
Amici, ma soprattutto detrattori, vi invito, in conclusione (non vorremo mica passarci tutta la settimana, con quel che succede fuori da qui), a riflettere su un dato: prima di postare questi testi, mi è capitato di leggerli più volte pubblicamente, o anche di sottoporli al giudizio di lettori i più vari. Anche dopo il post, continuano ad arrivarmi, purtroppo (o per fortuna, non saprei dire: depreco l’adulazione quasi quanto la rissa) in privato, messaggi rincuoranti, sul fatto che questa lingua altra che sto cercando (né mimesi del parlato, né tentativo di far cozzare l’aulico col prosaico: è stato già fatto) sia resa efficacemente dai nuovi testi, di cui avevo offerto qui un campione. Allora: tutti ciechi ottusi e compiacenti quelli che mi scrivono in privato e solo voi che qui commentate (anonimi e acronimi, nick e troll) illuminati esegeti, lettori raffinati ed attrezzati? Posso ritenere, con qualche fondata ragione, che ci sia dell’ostilità preventiva, se prevale, anche sulla critica sacrosanta e legittima, l’attitudine al giudizio violento, al sarcasmo continuo e improduttivo, al rimestio nel retrobottega o nel dietro le quinte, infine alla solita rissa? Io non ne ho più voglia: vi ringrazio comunque per avermi letta, qualcosa in qualche modo abbiamo condiviso. E questo, alla fin fine, è lo scopo.
Lei dice, tra le tante cose, dice:
Certo che il berlusconismo dell’amore e dell’invidia vi è entrato in vena a tal punto da aver perso la capacità di incassare un colpo con umana umiltà, porca miseria!
Tutti invidiosi e detrattori, quelli pubblici, che peraltro sono troll o nick e non persone, lettori o esseri pensanti, differentemente dai tanto cari che, senza esporsi pubblicamente, l’applaudono in privato?
(chissà magari traa quelli ce ne sono alcuni che privatamente danno un colpo alla botte e uno al cerchio… ci rifletta, glielo consiglio per esperienza diretta)
Quanto al rimestio nei retrobottega, lei qui ha fatto proprio scuola
ma non trova alquanto ridicolo queste risposte?
Non sarebbe stato meglio rispondere mantenendo il suo orgoglio e la sua sacrosanta dignità una cosa così, ad esempio:
L’avrei apprezzata ed applaudita. mi creda.
In conclusione, avendo già perso fin troppo tempo, approfitto per salutare lei e le allegre comunanze con paraocchi e paraculi da qui all’eternità.
adiòs
Si firmano per esteso, ci mettono il nome, la faccia (e le competenze): è essenziale. Lei ci mette l’ “incalcolabile vastità del mare”, e ce ne faremo una ragione (a proposito, le sue, di “allegre comunanze”, approvano, plaudono, un colpo al cerchio e uno alla botte vale anche per il suo birignao? Sono domande retoriche: non mi risponda, non voglio continuare, come spiegavo). “[…] queste poetesseliriche allisciano versi solo per coprire gli artigli (spuntati, peraltro) della frustrazione”: citazione anonima, come vi piace.
io ho messo nome e cognome, cara Policastro, per il resto convengo con lei sull’inutilità di interloquire con la sordità del suo smisurato ego. a mai più, stia serena.
No, è stato Broggi a chiamarla “Natalia”. Leggendo nc in calce al suo penetrante giudizio: “queste poesie fanno cagare”, francamente non ci sarei arrivata mai. Poi ora che ho la vastità sconfinata del mare a soccorrermi, ecco, mi torna di più.
Policastro, virgoletti bene, non ho detto come da lei riportato che *queste poesie fanno cagare*, ho detto che sono esse medesime esemplare frutto del suo sforzo, dunque: “una gran cagata”.
ehm, comunque dica alle sue amiche che non mi definisco una poetessa lirica, non ho frustrazioni e vivo una vita normale, di cui l’incalcolabile vastità del mare è uno spettacolo naturale che ho sempre dinanzi agli occhi, tra due sponde che al tramonto son più belle del bosforo. Peraltro, mia cara Policastro, lei non sa il lavoro che ci vuole e quanta sperimentazione si fa nella ricerca della semplicità, non lo sa perché sa solo sforzarsi troppo, e si vede.
Ad ogni buon conto, se non altro la Findus ringrazia:
http://www.youtube.com/watch?v=2ULfi5nR3Tg
ah… per le prossime invece di dire
La verità è che i quattro salti in padella
non so’ cattivi (all’oasi
della birra i due studenti, biglietto timbrato
proiezione esclusiva),
lo isolavo tra il dire senza dire
di Kircher, dei frammenti di Leopardi
tarantato
(che poi, m’interrogavo verificando la faccia,
di questo si fanno le vite, le cose:
incontri, chiamarsi, chiavare, per dirla con l’ES).
può iniziare con
“che famo stasera de strano?
ché so me raso n’ascella sì e una no?
Dici ke s’è già visto, l’hanno già fatto?
Li mortacci loro, non lassano tempo,
te giri un momento e t’hanno già smacchiato
il leopardi ghepardato.
Ma tanto, a proposito di Wolff,
– ché tutto è la ragione del tuo Es relativo –
sai come se dice, nun te l’ha pighhia
si nun te se ca(r)pisce, no?
Sì giovina e bellella:
kant kant, kant che te passa
che se alla stazione
tanta è la gente ca nun c’era
quanno t’arricuogghi sola
te ntuocca ra chierere ‘o re
de reggérte lo strascico del Sé.”
saluti.
natàlia castaldi
mi consenta, nc, lei sta sprecando inutilmente il suo tempo
la fuoriuscita dal kindergarten è un percorso lungo e doloroso, e non tutti sono disposti a farlo
occorrerebbe, in primo luogo, mettere in un angolo ‘e pazzièll'(*) che mammà c’ha accattàt’, e che esibiamo ogni mattina a(gl)i (possibili) amici di giochi come status symbol ed elemento di distinzione, sorvolando allegramente sul fatto che quelli li ignorano (e ci ignorano) preferendo baloccarsi con piccole cose e oggettini magari creati da loro con umilissimi materiali
bisognerebbe avere il coraggio di sbarazzarsene definitivamente: ma come si fa, quando il puer/puella aeternus/a che vive e regna in noi senza quelle pazzièlle è praticamente votato/a, e naturaliter destinato/a, all’inesistenza?
(*) ‘e pazzièll’:
le riviste su cui scrivo;
le opere cartacee che ho prodotto;
le pubblicazioni e i titoli accademici che posso produrre e vantare;
il gruppo che mi ha accolto tra le sue accoglienti braccia;
i miei maestri;
il nome dei critichi e dei critichessi che si sono occupati della mia notevole e innovativa (ipsa dixit) produzione;
i tanti che mi scrivono privatamente alla mia mail (una lista esclusiva, nevvèro, perché (la mia mail) mica la do al primo/a venuto/a: piuttosto metto in chiaro quelle dei miei denigratori, operazione che mi riesce sicuramente meglio che mettere assieme parole alla cazzo di cane e fare l’alternativa insieme agli altri amichetti – critichi, poetessi e filosofessi – alternativi come me)
e via sciorinando patacche – lucenti solo agli occhi di chi si aspetta, lodandone (il)/lo (presunto) spessore/splendore, di vedersi letto/a (e ripagato/a) con le stesse (inesistenti) lenti (e con la stessa moneta fasulla)
per la serie, si può scrivere tutto ciò che si vuole e chiamarlo poesia
si può scrivere
tutto ciò che
si vuole e
chiamarlo
poesia
mah!
(Ieri avevo lasciato un commento, ma evidentemente il moderatore ha ritenuto opportuno di non pubblicarlo… Eppure non mi pare ci fosse nulla di offensivo (meno che mai all’autrice dei testi): solo un sintetico e personalissimo giudizio di valore, non lusighiero, sulle due sequenze. Forse anche stavolta bisogna pagare l’ormai prevedibilissimo tributo al vittimismo sistematico di Policastro, ultimamente molto meno in voga. Dai Novissimi ai lit-blog all’Oblio.)
f. il 6 marzo 2013 alle 15:38
Il tuo commento è in attesa di moderazione.
E’ stato censurato anche il mio, qualche giorno fa. E probabilmente lo sarà anche questo. Il primo non è passato, con tutta probabilità, perché mi esprimevo in termini non particolarmente lusinghieri sulle due poèsie. Il secondo (questo) perché ho parlato del primo. Mah
È come se “la lirica” (“di questo si fanno le vite, le cose” – “iniziare, consumare, finire/ la via che riporta/ alla sentenza un pezzo per volta”; “tutto/ scorrendo, limando solo le malattie”; “e la vita,/ quella degli altri, è fatta di cose piccole, leggere, buone” – “bambini che guardano la strada”… ) è come se questi “frammenti” (“inattuali”) si andassero a mescolare (“saltati in padella” pure loro) alla baraonda del quotidiano, dove anche “il pensiero” (il dire senza dire/ di Kircher – l’astratto che precede la verifica – fluttuazioni e sfumature – la biologia (che) finisce dove comincia l’evoluzione/ dei costumi, – il fare/ metaoperativo – lo scopo senza la funzione (quattro salti in padella, non per dire) – Il mercato è il luogo antagonista, confrontarsi, aveva detto Fortini – opporre una minoranza al dominio – il negativo adorniano…) può nulla (o quasi nulla) tanto tutto è “intorcinato” – “tarantolato”. Belle. Efficaci. Pongono una questione. Un saluto. Adelelmo Ruggieri
a me piace molto, non ho strumenti critici profondi, ma mi piace molto la prima delle due liriche. Mi piace per la ricerca del suono e del senso dentro i versi. Mi ci trovo soprattutto in questo iper-iper-realismo di salti in padella, di discorsi rubati al bar etc etc, il tutto fatto cozzare con una ricerca, severa, del ritmo.
d.
Le poesie della Policastro sono fra le cose più oneste e chiare di questo nostro panorama poetico. La Policastro supera quello che i detrattori delle avanguardie definiscono poetese, la Policastro supera le avanguardie e in questi testi fa ricorso all’ironia, che è beneniamente un gioco serio, per dire del dolore e dell’inadeguatezza di certe vite.
Se in questo 2013 Nazione Indiana riesce a far dialogare sul serio la falange burocrat-editorial-dalemiana della poesia contemporanea col movimento invasat-ingenuott-sfigato webbico, giuro che mi abbono a Murene! A voi.
Sono fra quelli che scrivono in privato a Gilda Policastro, scrittrice e autrice di critica letteraria che stimo molto e le scrivo anche pubblicamente per evitare che le scissioni plurime dei nostri tempi ci facciano perdere tempo. Entrare in questi due primi due testi ( mi auguro i primi due di una lunga serie)che Gilda su invito di Alessandro Broggi ha proposto a NI non è facile. Girarci intorno sì.
il problema è che noi, in particolare sul web, viviamo come Gilda Policastro scrive: per frammenti temporali, per improvvise mescolanze di lirica, menù e aste su e-bay, per vite parallele che illusoriamente non finiscono. a me interessa tanto questo lavoro sulla lingua della contemporaneità: così tanto che, dopo avere ascoltato questi due testi in una recente lettura al Lavatoio Contumaciale, avevo chiesto a Gilda di lasciarmi pubblicare il suo lavoro in un Cantiere su “Poesia”. Ma lei, coerentemente, ha preferito esporre questa lingua ancora viva, ancora suscettibile, al vivo di questa mobilissima lingua non-lingua fatta di bruschi commentarii e idiosincrasie. Le suggerisco di continuare la sua bella operazione di montaggio e di destrutturazione usando anche i commenti urgenti al suo lavoro. Non credo che Gilda stia adoperando una leva intellettuale, credo che intenda mettere all’opera una viva intelligenza del momento storico e culturale. Trovo che, dopo aver reso dicibile con l’aiuto dei suoi lettori un proprio quasi insopportabile lutto privato (penso in particolare a “Il farmaco” e ad alcuni “antiprodigi”), Gilda Policastro stia aprendo e ci stia aprendo gli occhi su uno pseudomondo che ci riguarda, tutti. Se in futuro avrà altre cose da darmi per il Cantiere, seguendo il suo esempio trascriverò sulla pagina questi miei primi appunti sul suo lavoro oggi in fieri. Cari saluti a tutti, Maria Grazia Calandrone
Il critichese è stato inventato apposta per supportare (soprattutto nel limbo della poesia contemporanea) testi ‘inesistenti’. Confesso di trovare alquanto suggestiva la teoria della “leva intellettuale”, secondo la quale qui si intenderebbe “mettere all’opera una viva intelligenza del momento storico e culturale” (una frase che potrebbe andare bene per qualsiasi risvolto di copertina), ma se si tratta di “mobilissima lingua-non lingua fatta di buschi commentarii e idiosicrasie” o, ancora peggio, di “operazione di montaggio e di destrutturazione”, perché accontentarsi di queste tristissime imitazioni e non (ri)leggersi, per esempio, i Novissimi?
Gentilissima o gentilissimo, non ho affermato che a me interessi il metodo in sé, bensì “questo lavoro sulla lingua della contemporaneità”. In questo senso la lingua dei Novissimi non può ovviamente essere quella di Policastro, autrice che attinge a un presente a suo modo già postumo. Quanto al critichese, mi dolgo di doverla smentire: la sola categoria critica che ho dichiarato è stata il mio interesse, profondo e personale, nei confronti di chiunque si faccia entomologo della nostra lingua e, attraverso di essa, della nostra cultura e che infine esponga il proprio lavoro ad altri entomologi che lo dissezionino, con più o meno amore, con maggiore o minore trasparenza. Ancora un saluto,
Continua a sfuggirmi – sicuramente per un mio limite – la pregnanza di alcune sue interessanti ma generiche osservazioni. Se “chiunque” può farsi entomologo della nostra lingua etc., ho l’impressione che, nella migliore delle ipotesi, quella adottata in questi testi sia un’entomologia di seconda scelta. Un saluto a lei e buona poesia.
concordo con Mariagrazia e quando dice “le suggerisco di continuare la sua bella operazione di montaggio e di destrutturazione usando anche i commenti urgenti al suo lavoro” aggiungerei anche i commentari che girano intorno ai suoi testi e che non sono letture sul suo lavoro ma spesso uno sfondo conformista che crede di coprire così la scrittura. Gilda saprebbe benissimo trasformare in una memorabile trascrizione i “produttori insignificanti di significato” in atto.
Penso che un punto di incontro fra l’approccio teorico dell’una parte e quello pratico-condiviso dell’altra possano essere alcuni testi di Gabriele Frasca: erudito e consapevole, ma anche talentuoso e scorrevole. Presentare e discuterne alcuni su questo portale potrebbe forse aiutare l’avvicinamento. Rimangono di base, a mio avviso, forti differenze di postura e di aspettative: piu’ orientate al mestiere e ai titoli gerarchici nell’ala a supporto di Policastro, piu’ orientate alla comunanza su base solidale e resistente in quella a supporto di Castaldi. Resta inteso che in questo esatto momento storico, tecnologico e sociale in Italia, i due approcci si equivalgono e che dunque possiamo permetterci di avvicinare i testi senza remore da parruccheria (ostilita’ pregresse, snobismi, ecc.). Saluti.
Mi sento in dovere di intervenire ancora una volta, l’ultima, per ringraziare Alessandro, che ha ospitato i testi, e gli amici che sono intervenuti a ristabilire la dignità non già dei testi medesimi ma della discussione come forma del confronto aperto. In questi giorni di rissa (la solita, attorno al mio nome) ho raccolto, sostanzialmente, due pareri attorno alla cosiddetta ostinazione a postare in rete e a partecipare attivamente ai thread: “sei masochista”, “quanto ti diverti”. Vorrei rispondere pubblicamente e rassicurarvi o smentirvi in via (spero) definitiva: né l’una né l’altra. La mia ostinazione si deve non tanto o non solo a tratti psicologici ma a una convinzione di tipo culturale, ovvero che la rete non debba e non possa rimanere territorio esclusivo degli aggressivi per partito preso e dei tumultuanti paroliberisti ma che possa e debba essere considerata, invece, uno spazio di dialogo per e tra tutti (dunque scrittori e critici, poeti e lettori, appassionati e dilettanti alla sbaraglio, Maria Grazia Calandrone e Pippo, Pluto e Paperino). Mi spiace che i più siano intervenuti sui miei testi in forma privata e che abbiano scelto la strada della conversazione a due, pure importante. E però la rete non è solo veicolo o vettore e dunque mezzo, ma anche luogo, a mio parere, laboratorio, come ho già detto, e spazio immediato del confronto (non a caso citavo Maria Grazia, che col suo intervento testimoniava questa mia convinzione perdurante). Chi è abituato alle sole modalità tutelate dalle gerarchie o dai contesti autorevoli di riferimento (la cattedra, la rivista accademica, il giornale) deve riprogrammarsi, certo, imparando a isolare il rumore di fondo e a glissare le maschere: e confesso in tutta serenità di aver letto, in questa discussione, solo o prevalentemente commenti firmati per esteso (o il cui anonimato fosse in qualche modo aggirato/abile): ringrazio perciò Lorenzo, Adelelmo, Maria Grazia, Lidia, Demetrio. E non perché siano amici accorsi a “difendermi dai bruti”(alcuni sì, ma Carlucci, ad esempio, non so chi sia), bensì perché ciascuno degli interventi firmati, cioè aperti, schietti (e mi scuso anzi con Carlucci per aver visto nelle sue parole un’ironia che non c’era) e sereni (più o meno: però il discorso del suddetto sull’ambizione lo trovo interessante, sebbene non lo condivida, e spero di ritornarci in un altro momento), ha aggiunto valore, ripeto, non solo alla discussione sui testi (e dunque ai testi stessi, meritevoli di discussione, se questa si è poi prodotta, in qualche modo) ma alla discussione in quanto tale. Credo che il post non sia stato del tutto fallimentare, se ci ha dato modo di confrontarci e anche di riflettere, una volta di più, sui meccanismi discorsivi della rete. Che ha bisogno, lo ribadisco, del contributo di tutti quelli che per inveterata abitudine a parlarsi altrove, in separate sedi, o inter pares, si ostinano però a lurkare e a stigmatizzare e disapprovare (o anche, sadicamente, a goderne) lo sconfortante andazzo dei commentari on line. Ecco, da parte mia continuerò, rassegnatevi, amici e detrattori, la mia battaglia solitaria e forse velleitaria, affinché un giorno chi mi scrive in privato intervenga pubblicamente senza timore degli assalti e degli insulti e, soprattutto, perché la discussione non debba mai più partire da un commento inutile e dannoso (perché dà la stura ad altra violenza gratuita e improduttiva) come “questi testi fanno cagare e stop”. Squalificante non per l’oggetto, che la sua dignità, evidentemente, la riceve (anche) altrove, ma per chi pensa che la discussione possa procedere o esaurirsi a colpi di maleparole. Mi ricorda qualcuno che partito da un vaffanculo si ritrova a condizionare o determinare pesantemente le sorti della vita pubblica italiana senza nessun tipo di competenza specifica o di formazione atta allo scopo. Poi non ci lamentiamo, se quando è il momento di opporre le parole sensate al paroliberismo scomposto ci nascondiamo nella posta privata.
confrontarsi, diceva Fortini!
c’è un bel confrontarsi nei tuoi versi, Alessandro…
mi sono molto piaciute perchè oltre a rivelare, soprattutto nella prima, l’incertezza
il punto sicuro resta sempre il palato, la conoscenza del buono
veloce e istintiva
e poi
mi piace quel tuo stile lineare che riesce
con tratti decisi e vissuti
a spiegare la quotidianità interiore e non
ciao
“che chi mi scrive in privato intervenga pubblicamente senza timore”
cara Gilda, non so se ha notato che sul web, dove tutto e tutti sono messi su di uno stesso piano, anche fra donne quando si vuol fare le “dure” si appella per cognome e si deforma il cognome, come a scuola e in caserma. Non si può pretendere che si sviluppino dinamiche virtuali diverse da quelle reali. La rete è uno specchio preciso. Anzi anamorfico per eccesso e per ramificazioni: da qui a facebook, blog personali, twitter si entra nel cortile virtuale di ciascuno, nelle idiosincrasie di gruppo, in un meccanismo del “mettere alla berlina” crudele e recidivante, che consiglia alle persone educate, colte, delicate, sensibili la fuga, la non voglia di esporsi agli insulti di entità aggressive e della loro claque, che non solo insultano a suon di “sfigate e cagate”, ma tornano poi anche a precisare la sintassi dei loro insulti, ti linkano i loro prodotti poetici mediocri e anche ti riscrivono i tuoi. Con la sottesa pervicace convinzione che loro sono migliori di te, con l’infantile “io uno più di te”. Ci vuole comprensione, detto senza un briciolo di ironia, per l’esercito dei geni incompresi, di quelli che pubblicano per le piccole case editrici a pagamento, che si recensiscono fra amici e amici degli amici, spesso riproducendo in piccolo la stessa struttura di favori e lobby che rimproverano al sistena editoriale.
L’illusione che l’arte sia qualcosa di orizzontale ha portato e porta molta sofferenza.
Trovo che la sua sia una poesia “fredda”, semanticamente calcolata, e questo è un pregio. Ironica anche. Sapendone cogliere l’ironia. Una poesia che si interroga sul fare poesia. Una poesia quindi “intellettuale” ed è questo che non viene facilmente perdonato dall’imperante appiccicoso lirismo di ritorno in ritardo.
Poesia fredda, semanticamente calcolata, poesia intellettuale, poesia che si interroga sul fare poesia, lirismo di ritorno in ritardo…
Fossi l’autrice di questi testi, mi sentirei più indignata per commenti così insulsi che per le parole dei detrattori.
Ci vuole comprensione, appunto, detto senza un briciolo di ironia.
Ma cosa dite? Tutto quanto è iniziato quando qualcuno si è azzardato a essere sincero (per quanto lo riguardava) e a usare la parola “cagata”, un termine che più che offendere forse ha la colpa di far male. Comunque pensavo, evidentemente a torto, che dopo il “la corazzata Potemkin è una cagata pazzesca!” la scatologia (sono stupefatto che qualche trombone si sia fatto sfuggire l’occasione per tirarla in ballo prima di me)fosse stata sdoganata. Quel che è certo è che il genio di Riga sentendo Fantozzi dare della cagata al proprio capolavoro (e quanti suoi contemporanei già lo avevano fatto!), si sarebbe fatto una bella risata, avrebbe disegnato la scena sul taccuino e magari avrebbe anche pensato “mah, chissà che il ragioniere non abbia ragione…”.
Forse se una cosa è davvero bella o meno ci vuole del tempo, molto tempo. Sicuramente più di quello necessario per riscaldare i 4 salti in padella
il diritto di critica, l’imperativo
(è quando ti hanno tolto qualcosa
che ti rivolti)?
“c’est dans les occasions où tout est à craindre, qu’il ne faut rien craindre; c’est lorsqu’on est environné de tous les dangers, qu’il n’en faut redouter aucun; c’est lorsqu’on est sans aucune ressource, qu’il faut compter sur toutes” (Sun Tse)
Gilda, nell’autosacrificale etimo di sua valentìa guerresca, indica la via dell’assumere i pezzi irricomponibili del Tutto, quando nulla più è aggregabile, o riaggregabile; quando ogni cosa (categoria o sia propriamente oggetto) è saltata, e sfrigola nella marea delle spazzature intermediatiche in deriva, lacere e smagliate ovunque le reti. E’ giusto che un’ars straniatoria, impietosa e detournante, non aggradi, tantopiù a portatori di voce scatolirica; sarebbe preoccupante il contrario. Alla Guerriera suggeriremmo piuttosto indulgenza persino minore, e lama anche più affilata a tagliar via colle e residui (di io, eventualmente), ad arroventare in modo infine irreversibile la padella alchemica, e detournare a vortice dentro e oltre quella forma impossibile di conoscenza e di non-sapere, che genericamente, e sempre a torto, si tenta di contenere col nome di “poesia”.
[…] di poesia sperimentale vs poesia lirica. Ne e' sortito soprattutto un duello in punta di verso fra Gilda Policastro e Natalia Castaldi, seguito da un contributo teorico di Lorenzo Carlucci. […]
il primo commento a queste due poesie è sublime nella sua sintesi.