Polittico
di Davide Orecchio
Battere un concetto, concimare un’idea
Che fine hanno fatto i filosofi? Perché neanche un post, uno status, un tweet sulla tesi e l’antitesi? E la sintesi, che fine ha fatto? La dialettica, il servo e il padrone, il superamento? Se ci siete ancora, filosofeggiate. Battete un concetto. Colmateci la mente. Ne abbiamo bisogno. Siamo stanchi del pensiero economico. Del pensiero sociologico. Della scienza politica. Battete un concetto. Versatelo nei nostri recipienti. Siamo aridi e incolpevoli. Concimate un’idea.
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Longevità del tiranno
Il tiranno muore a novant’anni. S’è goduto ogni ruga, ogni centimetro di stempiatura, i dolorosi privilegi della senilità. I privilegi. Negati. Alle sue vittime. La longevità del dittatore non sembra appartenere alla bontà del mondo. Risulta da un bieco Graal, neppure cercato, offerto in dono dalla naturalezza bendata: è la persistenza – del tiranno. Tossica. Incommestibile. Non potabile.
Sul vassoio dei suoi novant’anni di vita (la longevità è una somma), ogni giorno dei suoi novant’anni di vita (l’addizione del passato al presente), il dittatore ha mangiato l’operaio, bevuto il maestro, rosicchiato lo studente, masticato il giornalista, inghiottito lo scrittore. Il tiranno è il buco nero (è stato, è e sarà). Che si è nutrito del mondo. Ed è un miracolo che oggi lui si spenga. Com’è possibile l’estinzione? Di lui? Mi ero convinto che fosse eterno. Infatti dimagrivo, m’intristivo, andavo sparendo anch’io; mentre il dittatore viveva.
Ma quelli che non hanno avuto un solo capello bianco, né una frattura al femore. Ma i ragazzi che non sono arrivati alla piorrea. Ma le ragazze che non hanno vissuto il principio dell’osteoporosi. Non saranno contente. Per i novant’anni. Del dittatore. Per loro il risultato è sottrazione. E sappiamo cos’ha sottratto il tiranno. A loro. Alle ragazze e ai ragazzi.
Intanto – ed è un frattempo notturno, romantico, osceno – dopo il rantolo ma prima della tanatoprassi, dopo il fatto ma prima della notizia: dal corpo fuoriesce un torrente di madri, nonne, figli, nipoti, militanti, passanti, braccianti, saldatori, carpentieri, metallurgici, cronisti, giuristi, pacifisti; sgorga la melma del Noi per comporsi in una forma. Esterna. Al tiranno. Che si essicca in quel che resta, contenitore disidratato di una storia che non dimenticheremo mai. La mummia della nostra memoria.
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Un numero per cambiare vita
Uno sconosciuto, da numero sconosciuto, mi lascia un messaggio in segreteria. Una voce sconosciuta mi chiama “Giovanni”. Avvisa che è in città con Rosinella, e che ha un “immenso desiderio di rivedermi”. Anche Rosinella vuole vedermi. Per riprendere i vecchi discorsi, “rilanciare quel progetto e cambiare le nostre vite”. Una cosa che possiamo fare solo noi tre. Assieme. Per “cambiare tutto davvero”. Mi esorta a richiamare. Ma in fretta. Domani ripartono. Non telefonerò. Non ho alcun numero da chiamare. Non sono Giovanni. Oggi le vite non cambiano. Mi dispiace per lo sconosciuto, per Rosinella e per Giovanni. E anche un po’ per me. Se davvero vuoi cambiare la tua vita, fa’ il numero giusto.
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Un viaggio (John Wayne)
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Un sogno
E’ necessario leggere con il birignao?
Abbozzo uno schema di risposta al primo punto, ma non è detto che abbia fatto il numero giusto! ;-)
non so se ha fatto il numero giusto, Antonio, ma il post sul suo blog mi sembra molto lucido. L’analfabetismo potenziato dalla tecnologia, il trasferimento di complessità da noi alle macchine. C’è però una oligarchia, un’élite di esseri umani che detiene la complessità e produce modelli economici, hardware, software. A noi persone comuni trasformate in utenti/utilizzati, illuse di avere accesso a chi sa quale forma di sapere, spetterebbe forse il compito di riscattarci e recuperare il nostro diritto alla complessità e alla profondità, magari anche su un treno lento ;-)
Già, un’élite che detiene il controllo e le persone comuni che cercano / dovrebbero cercare il riscatto. Indubbiamente il discorso da me abbozzato andrebbe sviluppato, ma ho l’impressione che il riscatto delle persone comuni sia sempre più l’imitazione delle “tendenze” stabilite dalle élite e del resto entrambe le categorie sono abbastanza sfilacciate. Sì, il discorso è molto complesso, per fortuna che è solo un post! A presto ;-)
dopo i ghirigori del’inverno ho deciso di asciugarmi l’anima con lo stesso dilemma . Nell’attesa di risolverlo sono andato a ripescarmi uno scritto capace di gettare luce su qualche lato oscuro del nostro essere tetràgoni
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/04/08/bolano.html
parafrasando il grande cileno che linki: meglio un giorno da indolente, che mille da analfabeta.