Due poesie
di Rita Filomeni
Da il quarto chiodo*
scena II
. spurgatorio
ricordano ‘n un secchio le lumache
ammucchiate e a spurgare, i detenuti,
ciascuno come può suo fa ‘l padrone
all’altro, che rilancia, e affila ‘l fiato
prender o lasciare tertium non datur,
un contro a gl’altri o con i secondini
si gioca, a torto o a diritto, allo stato
ci vive ‘n tal fascio di loglio e grano
‘n cappellano senz’armi né mestiere,
prega dio sciolga nodo all’impiccato
cui piove ‘n testa, dall’ultimo piano
scena VII
. supermercato
la noia è tanta, men la necessità,
ci va al supermercato col levriero,
come per riflesso a pavlov, saliva,
va a mille il cuore suo del carrello
e imbarca coll’agnello ‘l pecorino,
non sa che questi è falso, in natura
il cacio sol si fa se muore ‘l primo
soddisfatta, a passo lesto, in cassa
cerca, cerca, ‘n un mare di tessere,
e coi punti vince pur ‘na bicicletta,
è ‘l chilometro zero del benessere
*La serie completa – otto scene comprese tra un prologo e un epilogo-sipario – sarà pubblicata sul prossimo numero della rivista “Incroci. Semestrale di letteratura e altre scritture” (numero 27, gennaio-giugno 2013), introdotta da una nota di Paolo Giovannetti.
belle. aspetterò le altre per completarne la lettura.
Gentile Natàlia, la ringrazio. E’ un lavoro, quello de “il quarto chiodo” che, come si dice da noi in toscana, avevo nelle corna da tempo.
A giorni uscirà la rivista “incroci” (al sito http://incrocionline.wordpress.com/ troverà le informazioni per contattare Adda Editore) dove potrà completare la quadratura del cerchio.
Con molti cordiali saluti,
Rita Filomeni
grazie Rita, seguirò le sue indicazioni.
bella questa levità della crudeltà – cos’è il quarto chiodo?
“il quarto chiodo” è una scrittura cerniera fra teatro e poesia. Procede dall’idea di una poesia quale luogo per le idee e le azioni, “città sociale”, in un sociale/relazionale che sempre di più sembra impossibile, “impotuto”. È un lavoro, “il quarto chiodo”, che vuole dare una rappresentazione poetica in forma scenica dei diversi modi in cui nel contemporaneo gli esseri umani vengono considerati e collocati nell’economia perversa dei rapporti di potere, come quegli stessi divengono e divergono (da se stessi), finiscono per alimentare a loro volta produzione di pensiero, linguaggio e pratiche totalitarie intorno al proprio corpo, al corpo dell’altro, al e nel corpo sociale. Un testo, “il quarto chiodo”, che dà uno spaccato (limitato) della geometria del potere, dice della metamorfosi di un segno e ne denuncia gli strumenti di cattura (ospedale, carcere, manicomio, ospizio, famiglia, supermercato etc.). Più di tutto, però, in un tempo in cui l’azione pubblica pare non contenere più il senso della vita, un appello alla libertà e all’amore per aprire ad un cammino possibile di segno opposto.
Rita Filomeni
Non credo di condividere pressoché niente delle scelte stilistiche (o meglio: linguistiche) su cui si formano questi testi, ma vorrei comunque chiedere all’autrice maggiori spiegazioni a riguardo e, di seguito, le motivazioni alla base di tali scelte, perché è possibile che non le abbia capite. Il tutto premettendo che la prima poesia mi “funziona”, in qualche modo, a prescindere da queste.
Può darsi, come spesso accade, che i risultati, anche nello sforzo maggiore, non coincidano con gli intenti, e men che meno contribuiscano, per usare le parole di Camus, a «diminuire aritmeticamente il dolore del mondo», nel nostro caso a fare chiarezza. All’inizio della mia ricerca poetica – una quindicina di anni fa – mi trovavo a ragionare su i seguenti punti. Il secolo scorso, soprattutto la seconda metà, aveva prodotto in poesia manufatti un po’ tutti somiglianti, a caratura prevalentemente lirica e antistorica, anche talvolta eccellenti ma comunque dalla caratterizzazione lirica, ermetica, figliolanza del simbolismo francese, della mammella secca montaliana. Il frammento (ormai ridotto a pezzettino di sè) e il fiato lirico, costituivano il paradigma, registravano la temperatura di una stagione (in accelerato divenire) di tolleranza per le afasie civili, i piagnistei amorosi, le idiosincrasie personali, e contribuivano ad ingrassare una cultura sociale politica ed economica della frammentazione, della disgiuntura dal reale, una cultura, che è quella in cui viviamo oggi, di drammatica e contusiva disunione dei soggetti, dei corpi, delle passioni, di agonia del significato. Si ergeva dunque la necessità di sorvegliare lo sguardo poetico e urgeva la volontà di non contribuire al discorso della fine. Mettevo sì a punto ricerca espressiva che, avendo nel cuore «l’eufonia dei significati» di Pasternak, invocava la realtà e muoveva nel senso dell’attrito, della ricucitura. I versi, allora, – in una punteggiatura talvolta visibile, talaltra invisibile – un po’ per predilezione per le asperità e i sentieri corsali, la poesia delle origini, nonché la ruvida ed espressionistica tradizione dantesca, prendevano la forma di un sonetto come castrato, “capitozzato” o “scapitozzato” (come lo ha definito Paolo Giovannetti).
Indicazioni minime di pratica poetica queste mie sopra, che valgono per “Scardinare l’acqua” (raccolta d’esordio con prefazione di Guido Oldani edita da LietoColle nel 2011), e per “il quarto chiodo” (*) che prosegue ed esaspera – se pur con una certa sottrazione di peso ed un aumento dell’elemento ironia -, la traiettoria messa a punto col primo libro, l’intento di costruire una archeologia del presente, di percorrere un tracciato di esistenza e di linguaggio di segno opposto a quello della contemporaneità.
Rita Filomeni
* “il quarto chiodo” pubblicato su “incroci”, semestrale di letteratura e altre scritture” (numero 27, gennaio-giugno 2013), è accompagnato da una nota critica di Paolo Giovannetti da oggi consultabile sul sito puntocritico.eu
Grazie, ho letto anche la nota di Giovannetti e il discorso mi sembra più chiaro. Penso di capire anche il problema della “mammella secca montaliana”, ma non lo mischierei con l’ermetismo, o in ogni caso non lo generalizzerei.
Non so se una restaurazione e stilizzazione di questo tipo, non tanto “di segno opposto a quello della contemporaneità” (cosa che in sé mi sembra solo positiva) ma così distante linguisticamente dal come si parla e si pensa (e il pensiero non può che configurarsi sulla base della lingua contemporanea), possa rappresentare o essere testimonianza del presente. O meglio, tentativi ce ne sono già stati molti, tutti diversi tra loro, ma, a parte qualche caso illustre, a parer mio hanno sempre funzionato a metà.
Aspetterò comunque di leggere la serie completa.
Simone Burratti
Simone Burratti
[…] Due poesie dalla sequenza “il quarto chiodo” sono apparse su Nazione Indiana. […]
ma il gruppo ’93 non si era sciolto?