Il negativo
di Martina Betti
1.
Non riesco ancora a vedere mia moglie.
Nella mia camera oscura sviluppo il suo volto.
Il tempo di posa è molto lungo: trent’anni di vita.
Immergo la sua immagine latente nel rivelatore.
Aspetto che sia sufficientemente definita.
Poi finalmente i cristalli d’argento si riuniscono: la bocca diventa visibile, il labbro superiore e inferiore si tratteggiano, le zone interne si riempiono e si carnificano.
I toni chiari e scuri si spostano, urtano tra loro e le ossa del viso si sollevano come colline tettoniche dai fondali marini.
Zigomi, naso e fronte si assestano.
Ora i suoi occhi sono due piccoli laghi vulcanici popolati da varie specie di luci.
Lei si porta le mani sul volto appena formato.
Poi dietro la nuca come per sorreggersi la testa.
Dice:
N o n t i a m o.
L’onda sonora indietreggia, rientra in bocca, passa tra i denti, si infrange contro la glottide, divarica le corde vocali, l’onda decresce, l’onda svanisce, e l’aria turbina nella faringe, poi discende dalla trachea ai polmoni, io appoggio le mie labbra sulle sue labbra, le lingue premono l’una contro l’altra, si colpiscono forte, in profondità, fortissimo, e per tutta la notte siamo felici, innamorati pazzi, felicissimi, pazzi, noi piangiamo anche.
Poi invece lei ridice non ti amo e piano piano midispiacedavvero tanto midispiace midispiace.
Siamo al sesto piano e dalla nostra finestra vediamo le rondini migrare quando diventa freddo.
Mi tremano le ginocchia.
Affondo le rotule nel nostro letto matrimoniale.
Siamo al sesto piano e dalla nostra finestra non si vedono più rondini.
2.
Mia moglie inizia ad annerire sotto l’azione del rivelatore.
Sul volto restano distesi i cristalli d’argento che reagiscono ancora alla luce.
Così, gradualmente, si scurisce la sua immagine: si intensifica l’alone che si estende dalle palpebre, contagia le tempie, un petalo nero trapassa lo strato osseo come un rompighiaccio, distrugge la sostanza bianca, lobotomizza e lei non è più la stessa.
D’improvviso diminuisce il flusso del sangue diretto al cervello.
La mia pelle diventa fredda, umida.
Non c’è nessuno che mi sostiene, cristosanto ?
Arrivano le ombre: proliferano attorno agli occhi e si insediano nel mio campo visivo come tante spore trasmesse da un buio organico.
Aiuto. Aiuto.
Mi siedo e metto la testa tra le ginocchia.
Spalanco la finestra perché sto per svenire.
Respira respira.
L’aria mi punge e poi mi rammenda i pori, le mie braccia restano come crocifisse sopra le due ante, le dita immobili sciolgono i cristalli di ghiaccio sopra i vetri.
Respiro respiro.
3.
Mi sporgo dalla finestra.
Nontiamo corre lungo la piattaforma della schiena, raggiunge la curva del collo e dal bordo delle spalle si dà lo slancio, l’onda di pressione si stacca dalla mia carne e il suono flesso in avanti compie il tuffo verso l’aria, esce dalla finestra, Nontiamo teso e in avvitamento gira su se stesso in volo, libero, Nontiamo si propaga nel cielo aperto.
Nontiamo viaggia ad una velocità incredibile.
Sale lungo le spire d’aria, sospinto dalle correnti ascensionali, insieme al vapore acqueo che inizia a condensare formando banchi di nubi che coprono il sole.
Sfreccia dall’alba al tramonto, dall’arancione al rosa, slittando sui filamenti traslucidi di ghiaccio sospeso, seguendo le redini del vento in quota.
In mezzo allo stormo di rondini, il suono si acutizza, lo spettro sonoro travolge e scompone la formazione in volo, la palla nera si sfrangia in poligoni e poi in lettere spezzate, gettate a caso, le rondini si disperdono, senza senso, terrorizzate.
Nontiamo sale sale.
Su fino agli ultimi cerchi dell’atmosfera dove si incendiano le stelle cadenti.
Su fin dentro il buco dell’ozono, tra gli sciami di particelle ionizzate, dalle colonne di luce vibrante dell’aurora polare al confine con il vuoto cosmico.
Più in alto si muore: il suono non si propaga nel vuoto.
4.
Nontiamo frena, svolta, discende in picchiata più veloce che può.
Ritorna giù, verso terra, sopra uno scivolo elettrico e tortuoso che conduce come un fulmine dalla nube al suolo.
La perturbazione sonora passa attraverso i muri d’acqua di Gullfoss, l’anello d’oro.
Salta il canyon.
Sorvola montagne vulcaniche, sorgenti solforose, geyser, crateri, pendii di basalto.
Poi, come un tornado, raccoglie nel suo occhio l’intero paesaggio lunare, solleva la sabbia, comincia a ruotare risucchiando le polveri argentate.
Nontiamo si muove dal cuore dell’Islanda verso il Polo Nord.
Alla deriva nel cuore spaccato dell’Oceano Artico le vibrazioni sonore si congelano, si radunano come sangue nei bracci di mare. Nella bianca desolazione sentiamo i boati spaventosi dei ghiacciai che si sciolgono, si frantumano e precipitano in mare.
Un sudario di neve ci avvolge dopo il bagno di arresto.
5.
Immergo mia moglie nell’acqua per bloccare l’azione del rivelatore.
L’ultimo bagno è quello del fissaggio, conserva il negativo nel tempo.
La spingo giù nella vasca mentre aumenta l’intensità dei neri e gli alogenuri d’argento si alterano.
Lei si dibatte, tende le braccia, picchia le mani prima sul bordo e poi in aria, stringe le labbra, le nervature si induriscono, erompono dal collo, poi la bocca si spalanca come una trappola a scatto, le increspature sull’acqua diminuiscono fino a cessare.
La dondolo dolcemente, la tengo lì sul fondo per trenta minuti.
6.
La luce trapassa il velo d’acqua, i suoi capelli si gonfiano intorno alla testa, la pelle assume tonalità calde e ingrandisce il volto della mia sposa che poco alla volta appare vivo.