Le strane rapine da morbo di Primavera ( 2)

di Pino Tripodi

Due mesi esatti dopo la rapina più bizzarra della storia del crimine, quella avvenuta a Milano in un supermercato, sembra essersi diffuso in tutto il Paese un morbo che potrebbe definirsi il morbo di Primavera. Il gesto di un uomo ancora oggi unanimamente ritenuto sconsiderato è stato emulato così tante volte che nessun tentativo di spiegazione più appare sensato.

Riunita per discutere la questione, per decidere che atteggiamento tenere, la nostra redazione ha unanimamente deciso di astenersi da qualsiasi ipotesi che potrebbe renderci il giorno dopo ridicoli agli occhi del nostro pubblico. Continueremo perciò a seguire l’evoluzione del caso con il massimo interesse, ma limitandoci a informare i nostri ascoltatori dei fatti, convinti che i fatti a volte siano ben più importanti delle spiegazioni e che in un caso come questo i tentativi di comprendere le cose le rendano più oscure, invece di aprirci la strada ci conducano in un vicolo cieco.

Dunque, ecco i fatti. Fino alle ore 13 di oggi, secondo complemese del gesto di Primo Primavera, si sono registrate cinquemilatrecentosessantacinque rapine tutte con la medesima modalità. Rapinatore singolo, pistola giocattolo, supermercato, casse derubate, spesa  pagata, arresto. Un cliché semplice che ogni rapinatore ripete a memoria senza trasgredire mai. Ma novità rilevanti esistono anche nei gesti dei più fedeli replicanti. La più importante: le rapine iniziate a Milano si sono diffuse in tutt’Italia. Nessuna regione, nessuna città capoluogo di provincia escluse. Un dato significativo, inspiegabile senza addurlo alla diavoleria del caso, è che giorno dopo giorno i rapinatori si dividono perfettamente a metà: tanti maschi  uguali femmine. Senza bisogno di quote rosa, uomini e donne si avvicendano come in presenza di un meccanismo sessuale automatico dietro le rapine.

I ladri sono persone comuni, disoccupati di varia umanità: senza lavoro dalla nascita, cronici, per convinzione, per costrizione, intermittenti o momentanei, italiani o stranieri, disoccupati tutti non si conoscono tra di loro se non  a piccoli gruppi, senza che tali gruppi abbiano nulla a che fare con gli altri.

Escluso tra di loro vi sia un unico legame politico, ideologico o di qualche altra affinità sia pure di semplice comunicazione.

Pare partecipino a un’onda, mossi da un richiamo insopprimibile, trasportati da un morbo, il morbo di Primavera.

 

A sei mesi dal suo inizio, il morbo di Primavera sembra non avere confini. Ha già varcato le Alpi, in Italia non si conosce supermercato che non sia stato rapinato. Nei primi mesi sembrava infettare solo  disoccupati, poi ha colpito i cassintegrati, quindi gli impiegati, ultimamente si sono visti all’opera, come rapinatori di Primavera, anche poliziotti, guardie carcerarie e ottuagenari in pensione. Non c’è più carcere che possa contenerli. Le autorità hanno predisposto come luoghi provvisori di detenzione tende e casette prefabbricate destinate alle emergenze calamità. Ma non sono state sufficienti. Poi hanno riempito gli stadi, requisito i palazzi sfitti e le fabbriche abbandonate. Ma l’impresa è vana. Ci sono più persone in galera che fuori. Non è più problema di carceri insufficienti. Non è più problema di polizia. Ciò che occorre fare, urgentemente, immediatamente, prima che sia troppo tardi, posto che già troppo tardi non sia, è tentare di capire. Capire cosa?

Primo. Cosa accomuna così tante persone? Ci siamo posti migliaia di volte la stessa domanda. Escluse le risposte che giorno via giorno sono state ridicolizzate dall’evolversi della situazione – sono buontemponi, fanno parte di un’organizzazione politica, vogliono incendiare le carceri, sono eteroguidati, inconsci replicanti imbottiti di droghe sintetiche, seguono una strategia nata strada facendo, si muovono senza strateghi e senza regia, sono semplicemente l’onda di un movimento di emulazione i cui risultati sono andati ben oltre le attese, tra l’altro inesistenti– occorre avere l’ardire di formualare altre ipotesi.

Secondo. Scartate le congetture ontologiche, dobbiamo optare per un’ipotesi fenomenologica. Cosa significa? Significa che dobbiamo seguire attentamente i fatti perché solo allo specchio dei fatti potremo osservare la verità.

Terzo. Se osserviamo i fatti, la verità ci appare più vicina che mai. Da che cosa sono accomunati allora tutti i rapinatori di Primavera? Non certo dalla pulsione di fare i ladri, ma da un altro desiderio, assurdo quanto si vuole,  ma evidente nella natura reale dei fatti. Tutti i ladri di Primavera, nessuno escluso, desiderano andare in galera. Questo dato di realtà ci pare incontrovertibile.

Quarto. Il problema vero allora diventa: perché mai così tante persone – così tante che potremmo azzardare di definirle non più così tante, ma le persone nella loro generalità – anziché desiderare la libertà, preferiscono finire di loro spontanea volontà in prigione?

Quinto. Da tutti i punti di vista – psicologico, sociale, giuridico, economico, filosofico – il problema vero è proprio questo: capire perché nel ventunesimo secolo la prigione è preferita alla libertà. Se e solo se riusciremo a dare risposte soddisfacenti a questo quesito potremo tentare di trovare qualche rimedio in grado di bloccare il morbo di Primavera prima di venire definitivamente sommersi.

Sesto. Noi di Telespiego, dopo innumerevoli trasmissioni sull’argomento durante le quali abbiamo ospitato il fior fiore della cultura italica, senza presumere di avere tutte le ragioni, abbiamo provato a fornire qualche spiegazione partendo sempre dalla natura fenomenologica della realtà. Ci sembra di capire che il morbo di Primavera abbia intrinseche capacità di mutazione che estendono via via le sue capacità di aggressione senza tuttavia abbandonare il campo iniziale di propagazione. Inizialmente ha afflitto solo disoccupati. Ora: un disoccupato potrebbe avere valide ragioni per preferire la galera alla libertà. In galera gli sono assicurati senz’affanno i viveri, un letto e le altre minime incombenze materiali della vita. Fuori, di questi tempi, tutto è più difficile. Poi ha afflitto i lavoratori intermittenti preoccupati più di ogni altra cosa della caducità della propria situazione, della mancanza di sicurezze che da economiche si trasformano via via in insicurezze sociali, esistenziali, addirittura sessuali. Tutto ciò è ancora facilmente spiegabile.

Ma quando a preferire la galera sono pure operai, impiegati, insegnanti, poliziotti vuol dire che il morbo di Primavera distrugge le immunità psico-sociali di quasi tutta la popolazione. Ciò significa che non è solo questione di possibilità o di lavoro. Il morbo di Primavera ci dice che la vita per le persone di questo secolo non può avere altro intrinseco connotato della prigione e che la prigione nella sua natura diretta, di punizione e insieme di protezione dei rei, è una forma di vita preferibile alle mille catene in cui siamo costretti nella nostra quotidiana, apparente libertà. Ecco degli esempi.

Quante persone vivono e lavorano in uno spazio perimetrato più angusto di una prigione? Quante persone hanno visto le proprie sicurezze sgretolarsi una dietro l’altra, senza  fine? Quante altre  credono vano qualsiasi resistenza alle difficoltà della vita? Quante persone pur abituate alla comunicazione in tempo reale con il mondo intero si sentono in verità sole, solipsisticamente più sole? Quante altre bisognose d’aiuto si vedono respingere da parenti, da amici, dalla società intera che non ha mai né tempo né soldi per loro?  Mettete tutte queste persone insieme, aggiungete le altre che vi verranno in mente a proposito, e il quadro del morbo di Primavera diventa più leggibile.

Se il gesto inconsapevole di uno sprovveduto viene emulato da un esercito infinito di soldatini deve essere successo qualcosa d’incredibile.

Un qualcosa che non ha a che fare solo con la giustizia, ma con l’interezza della vita.

Il nostro secolo ha formalmento rotto ogni barriera, le persone a noi contemporanee appaiono le più libere mai vissute sul pianeta terra, ma tutto ciò è solo una patina d’ipocrisia, una vetrina piena di superstizione. Nonostante la facciata, le persone di questo pianeta avvertono che la galera offre più certezze della vita libera, che le costrizioni della reclusione sono preferibili a quelle che ci impone il mondo di fuori o che ci imponiamo da soli noi stessi, che il mondo delle prigioni, un mondo fino all’altro ieri che in molti anelavano di distrugere,  appare oggi il più solido edificio tra le tante macerie sociali di cui siamo circondati. Per questi e tanti altri motivi, la contemporaneità  sente  il richiamo irresistibile del morbo di  Primavera, avverte che l’unica forma autentica di libertà, l’unico desiderio effettivamente esperibile è quello della galera, luogo in cui tutte le preoccupazioni, le ansie, gli affanni, le competizioni e le cooperazioni per diventare sempre qualcuno che non si  diventa mai,  vengono sopite, attutite, annichilite. Le persone di questo pianeta sembrano dirci che una prigione vera da reclusi sia preferibile all’infinita  gabbia delle persone falsamente libere.

Meglio reclusi in galera che nella prigione di tutta la vita: ecco dunque il motto del morbo di Primavera.

 

 

Decreto del Presidente della Repubblica

 

Viste le preliminari deliberazioni del Consiglio dei Ministri, adottate nelle riunioni del 16 febbraio e del 4 aprile 2014;

Sentita la Conferenza unificata ai sensi dell’art. 9, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 2014, n. 281;

Udito il parere del Consiglio di Stato espresso nella sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza generale del 29 marzo 2014;

Acquisito il parere della competente commissione della Camera dei deputati e decorso inutilmente il termine per il rilascio del parere da parte della competente commissione del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 24 gennaio 2015;

Vista l’assenza di spazio disponibile per ulteriori centri di detenzione

 

Preso atto inoltre di questo e di quello

Visti gli atti così e cosà

 

Letti i fatti colì e colà

Su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro della Giustizia, di concerto con i Ministri degli interni, della difesa e dell’economia;

E m a n a
il seguente decreto:

  • 1)  Si depenalizzano i reati di rapina e di rapina a mano armata.
  • 2) Tutte le persone coinvolte in rapine e in rapine a mano armata  non sono perseguibili né penalmente né amministrativamente.
  • 3) I processi, le denunce, le indagini e i provvedimenti giudiziari a carico di persone accusate di rapina  e di rapina a mano armata sono annullati.
  • 4) Gli Istituti di pena, le Forze dell’Ordine devono rilasciare ogni persona sottoposta a provvedimento d’arresto o di fermo con l’accusa di rapina e di rapina a mano armata.

La legge in ogni suo articolo ha valore immediato da oggi 27 Febbraio 2015 e valore retroattivo per i reati di cui oggetto nel presente decreto compiuti da Sabato 8 Febbraio 2014.

 

 

 

Per effetto del tanto atteso Decreto del Presidente della Repubblica, ieri a più di un anno dalla sua ormai storica rapina, Primo Primavera è uscito dal carcere di San Vittore.

La domanda che si pone il mondo intero è: quest’uomo è davvero com’è sembrato fin dal primo momento, come risulta dalle testimonianze sulla sua vita precedente la rapina, come attestano le informazioni trapelate sull’anno appena trascorso in galera? È davvero sufficientemente illetterato e abbastanza sprovveduto, totalmente incapace di pensare a qualsivoglia strategia, sfornito di carisma, indifferente a ciò che gli succede attorno, inconsapevole del marasma che ha causato, refrattario a qualsivoglia sensata discussione su qualsiasi argomento, interessato solo alle partite di calcio del Porta Cicca, il suo quartiere milanese, e alle novele seriali trasmesse in tv?

Per rispondere a questo quesito, una nostra troupe l’ha atteso fuori San Vittore. Abbiamo tentato d’intervistarlo, ma Primo Primavera è incapace di dire molto altro di diverso da sì, no, non lo so. Impossibilitati a capire qualcosa dalle sue parole abbiamo deciso di tentare di comprendere le sue azioni. Lo abbiamo seguito. Risultato: alla fine della giornata sappiamo esattamente solo ciò che conoscevamo già prima.

Cosa ha fatto? L’uomo si è recato al Bertarelli, la scuola che ha frequentato fino al giorno prima della rapina, è entrato nella sua classe, ha partecipato alle lezioni fino all’intervallo, poi è sceso al bar, ha preso un caffé che il barman gli ha offerto, poi è uscito, si è recato a piedi a casa, ha salutato i genitori, quindi si è recato nello stesso supermercato di quel famoso sabato 8 Febbraio. Ha rapinato le casse aiutandosi come la prima volta con  una pistola giocattolo. Ha prelevato un carrello. Ha girato per gli scaffali per riempirlo. Si è messo in fila alla cassa. Quando è arrivato il suo turno, ha allineato ordinatamente la merce sulla pedana mobile della cassa, ha riempito i sacchetti, ha atteso che la cassiera gli declinasse il conto, ha cavato fuori dai pantaloni 100 euro, ha posato il carrello lasciandovi la pistola giocattolo, ha ritirato i suoi sacchetti e ha atteso che lo andassero ad arrestare. Fuori lo attendevano i poliziotti ma per effetto del decreto firmato ieri dal Presidente della Repubblica, Primo Primavera non è stato fermato. L’uomo non ci credeva. Al momento di scarcerarlo gli avevano parlato della  nuova legge, ma non ci aveva fatto caso. I nostri giornalisti gli hanno chiesto ma adesso che nessuno potrà arrestarla cosa farà? Lui ha detto non lo so. È la prima volta che non mi arrestano dopo una rapina.

( fine)

 

 

 

1 COMMENT

Comments are closed.

articoli correlati

Il ginkgo di Tienanmen

di Romano A. Fiocchi Da sedici anni ((test nota)) me ne sto buono buono sul davanzale di una finestra in...

Il buon vicinato

di Simone Delos Traslocare è un po’ morire. L’ho fatto sei volte. Ovunque andassimo, mia madre rimaneva stanziale per un...

La polacca

di Mirfet Piccolo Le piaceva farlo così, senza guardarlo: con la gamba sottile abbracciava la coscia di lui e con...

Il dottor Willi

di Michele Mari Sono il padre dell'uomo con il mare dentro e, sebbene abbia fatto di tutto per evitarlo, sto...

Quello che c’è sotto

di Andrea Dei Castaldi È strano dirlo, per me che sono nato a pochi chilometri da qui, ma non ho mai passato...

Paesino

di Maddalena Fingerle Anche se ci sono cresciuto, questo non è il mio mondo. Mia madre è uguale a mia...