“Piazza” Gino Valle, Cleveland

parchdi Gianni Biondillo

Quand’ero bambino mio padre diceva “vado in piazza” e tutti in casa capivamo, non c’era altro da aggiungere. Andava in Piazza del Duomo, da Quarto Oggiaro. Milano, in fondo, ha sempre avuto una sola piazza, e neppure bellissima. Un progetto nato già obsoleto, incompleto, un invaso enorme che ridimensionava la mole del Duomo facendolo sembrare un modellino fuori scala. Però alla fine i milanesi si sono affezionati all’unica piazza che ancora oggi considerano davvero tale. Fino a pochi anni fa, per capirci, a Milano piazze anche belle, contenute, aggraziate nelle dimensioni e nelle fronti erano utilizzate come parcheggi. Penso a Piazza Sant’Alessandro, a Piazza Belgiojoso, a Piazza San Fedele, ancora oggi, ormai senza macchine, sistematicamente snobbate dai milanesi. Chissà perché.

Fare una piazza è una cosa seria, ha una grammatica precisa che chiede d’essere rispettata. Non basta la qualità edilizia, ci vogliono funzioni e superfici coerenti. Non capisco perciò tutto l’entusiasmo dei media di fronte all’inaugurazione della nuova “Piazza Gino Valle”. “Una piazza più grande ancora di quella del Duomo” c’è stato strombazzato sui giornali. Qualcuno dovrà spiegare a chi smercia queste (non) notizie che in architettura, come nel sesso, le dimensioni non sempre contano.

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Non basta chiamare un vuoto “Piazza” perché poi lo sia per davvero. Se non rispetta la grammatica di base è solo un coacervo di parole messe a caso, incapaci di germinare alcunché. Gino Valle, autore e “intestatario” della “piazza”, era un progettista di qualità che io ho molto amato, ma qui bisogna avere il coraggio di dire che ha palesemente toppato. Cos’è questo miscuglio di fronti incoerente, questi monoliti allineati misticamente con le stecche del QT8 che stanno oltre la circonvallazione, cos’è questo confuso spuntare sulla linea d’orizzonte di palazzi e cantieri, cos’è quest’enfasi di mostrare il fronte di uno degli edifici più pretenziosi e trash di Milano, la Fiera Portello di Bellini?

Per quanto grande, per quanto pedonalizzata, per quanto disegnata in ogni recesso, per quanto esibisca un bassorilievo di Emilio Isgrò o un restyling scherzoso della “casa Milan” di Fabio Novembre, ciò che vedo, mentre giro per questo spazio non è una piazza, è un vuoto di senso. Un ritaglio della città che raccoglie le spinte urbane senza organizzarle, lasciandole così, sconclusionate e confuse.

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Basti pensare al fronte di panchine allineate nel centro del nulla di quel vuoto, tutte orientate verso la contemplazione della Fiera. Chi mai si siederà, chi avrà voglia di prendersi un’insolazione cercando di leggere un libro o di mangiare un panino nel bel mezzo di questo invaso? Non è una piazza questa, diciamolo, in realtà è la copertura di un gigantesco parcheggio sotterraneo. L’immensa tettoia che troneggia al centro in questa “piazza” (dove mi trovo? A Milano, a Cleveland, a Shangai?) ha la sola funzione di riparare le uscite pedonali dai parcheggi. Bella questa involontaria metafora freudiana. Fingiamo di pedonalizzare, ma il represso, il sommerso, la pancia di questo luogo brulica di automobili. La ragione stessa dell’esistenza di questa “piazza” (scusate, non riesco a togliere le virgolette).

Cosa ci si può fare in questo luogo, oltre a qualche eventuale adunanza dove dichiarare guerra alla perfida Albione? Niente. Nessuno si darà mai appuntamento in un posto come questo, così annichilente, antiumano. Non ostante i divieti presenti ovunque, mi auguro che il posto venga subito colonizzato dagli skater di tutta la Lombardia. La conformazione si presta benissimo. Piani inclinati, gradini, sbalzi. Questo è un posto dove non si può stare, ma solo correre o muoversi su uno skate board.

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Oppure ci vorrebbe il coraggio di certi ironici visionari. Penso a Marco Romano che mentre gira sperduto con me in questo vuoto urbano mi suggerisce un’idea ai limiti del geniale. “Trasferiamoci la Fiera di Senigallia”. Massì, ha ragione lui. Riempiamo di bancarelle, di gente, di vita, di confusione e commercio questo nulla cittadino. Riempiamolo di significato, inventiamogli una vocazione. Troppo plebea come soluzione, troppo “low profile”? E perché no? Facciamo come nel medioevo quando ripopolavano le rovine dell’antico impero romano dando loro una nuova funzione. La  fiera di Senigallia, sì!, proprio di fronte alla Fiera Portello, come in una “città invisibile” di Calvino. Idea, sia chiaro, mica troppo bizzarra o provocatoria. Le dimensioni ci sono, i collegamenti di trasporto pubblici e i parcheggi privati pure. Potrebbe persino piacermi, in quel caso, potrebbe persino avere un senso. Diventerebbe finalmente una piazza. Senza virgolette.

*

8 COMMENTS

  1. Ci sono passato giusto ieri, essendo per lavoro in fiera; di solito cerco di evitare quella zona, la “cometa” del MiCo per come è stata realizzata (non concepita) mi fa sempre un po’ paura. Comunque essendo in fiera e dotato di una mappa degli stand, mappa che comprende anche le zone circostanti m’è cascato l’occhio su “piazza Gino Valle”… mi sono ricordato di articoli apparsi su varie testate e, masticando un po’ di architettura ho deciso. Beh, all’uscita vado a vederla. Il primo pensiero è stato “potevo tranquillamente evitare la camminata”. Ritengo Piazza Sant’Alessandro una delle più belle di Milano, anche se si può ribattezzare “Piazza del Motorino”. Un’altra piazza, che sarebbe meravigliosa non si trovasse con panettoni, auto parcheggiate alla carlona, paletti piazzati con una simmetria da 2 litri di barbera, aiuole davanti alla chiesa che sembrano quelle di un campo da calcio di periferia, è Piazza Santo Stefano. Malgrado tutti i difetti elencati e una cancellata che non ho capito per quale motivo è stata piazzata nella viuzza che passa di fianco a San Bernardino, ci sono affezionato.

  2. La fiera di bancarelle la sento più vicina ai cittadini, deve stare ad altezza cittadino, non devo salire le scale come in un centro commerciale, me la devo trovare li, per strada; poi, gli accessi per carrozzine e anziani ci sono?.
    …e se mi scappasse la pipì trovo un bar?… almeno dagli skater piscerebbero sulle colonne..

    • E’ tutta raggiungibile da bici, carrozzine, etc. Mettiamo qualche cesso chimico e pisciamo pure negli angoli, capace che si ravviva un po’… ;-)

      • Cessi chimici?, ma no che schifo, ma no, non li utilizzerebbe nessuno, forse quelli delle bancarelle, e basta; mia madre anziana, dal fazzolettino facile, a portata di mano per ogni esigenza, si arrenderebbe; è proprio concepita male questa piazza, come dice lei Biondillo, è proprio una ricopertura per parcheggi sotterranei, niente di più. Tifo per colonizzazione da parte degli skater.

  3. Bravissimo, concordo pienamente. Questa piazza (?) riunisce una pletora di segni incoerenti. Purtroppo ho il sospetto che nelle facoltà di architettura non si insegni più la grammatica urbana di base: una piazza ha certe caratteristiche, che puntualmente negli interventi recenti vengono disattese. Noi italiani amiamo vantarci dei nostri centri storici, ma evidentemente non li abbiamo compresi, perché non siamo in grado di riprodurli. Stendiamo poi un velo pietoso sui progetti degli stranieri: l’antiurbanità di Citylife è esemplare e mi fa rimpiangere il progetto di Piano tutti i giorni (eh, sì, vedo quotidianamente la povera piazza Giulio Cesare che ha perso le proporzioni originarie e manca di un fronte che la concluda).

  4. Bravissimo Gianni!
    Condivido in pieno tutto il contenuto dell’articolo.
    Credo che questa “piazza” rivaluti tutte le altre operazioni immobiliari che stanno apparendo in città, forse serve proprio a questo: non vi piace il Garibaldi-Repubblica? L’alternativa è “Piazza Valle”.
    A meno che non sia un richiamo per gli alieni/maya. Io è un po’ che ci penso, l’ho vista crescere affacciandomi dalla fiera. Edifici triangolari, un altare al centro, il deserto intorno. Se avessero rispettato i tempi sarebbe stata inaugurata nel 2012, ma un po’ di ritardo gli alieni se lo dovevano aspettare da parte nostra. Avevano anche preparato lo striscione “Veniamo in pace, amici di Cleveland”

  5. Gianni, quando un tuo intervento sulla modificazione radicale del quartiere Isola?
    Intanto grazie per questo aggiornamento sul nuovo horror milanese urbano.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Nel 2011 il romanzo noir I materiali del killer ha vinto il Premio Scerbanenco. Nel 2018 il romanzo storico Come sugli alberi le foglie ha vinto il Premio Bergamo. Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.