les nouveaux réalistes: Olga Gambari
I peli nel letto
di
Olga Gambari
Sta nel letto, è sveglia, a occhi chiusi. Lentamente, in punta di polpastrelli sfiora le lenzuola, la federa del cuscino, la lana della coperta. Ne sente le trame, gli spessori, le superfici. Poi odora, girando leggermente la testa, appoggiandovi sopra una guancia, e inspirando. Quel letto è un organismo vivente che la accoglie e la culla, la protegge, i suoi sonni, il suo corpo, il suo amore con Gabriel. È un proseguimento di lei, di lui.
Apre gli occhi, si scosta le lenzuola di dosso, le arrotola al fondo e si siede, nuda, a gambe incrociate, con i palmi sul materasso, osservando il territorio del letto aperto. È un paesaggio, fatto di grinze, onde, piccole fosse e dune. Sembra ci spiri sopra il vento.
Vede due peli, vicini al ginocchio destro. Li fissa, li studia. Non pensa a nulla, semplicemente, guarda quei due peli. Di chi saranno? Suoi o di Gabriel? Sono neri, corti, un po’ ricci. Peli che sanno di sesso, di quelli che rimangono dopo che ci si azzuffa per desiderio, urgenza e piacere. Secondo lei sono dell’uomo con cui dorme e fa l’amore in quel letto, con cui ci ride, legge, beve caffè e vino, mangia dolci e patatine. Chissà da quale parte del corpo provengono? Stanno lì, uno parallelo all’altro, uno più in alto rispetto all’altro, veramente, distanti almeno dieci centimetri. Sembrano delle frecce. Sono vettori, indicano movimenti, testimonianze di forze fisiche che si sono manifestate proprio in quel luogo ore?, giorni prima? Energie invisibili ma potenti che si sono sprigionate dalle loro masse fisiche, dai loro corpi di innamorati, di amanti. Carne animata.
Questo le dà l’idea di appartenere a un ordine, a un cosmo in cui ogni cosa ha il suo posto, il suo perché. Soggiace a leggi universali, quelle che regolano e muovono l’esistenza, dalla terra fino alla luna. Poi, al di là della nostra galassia, chi lo sa…forse le regole cambiano, ma nessuno di noi ci arriverà mai per poterlo sapere, per esserne spaventato, stupito. Per domandarsi altro…
Intanto eccoli lì quei due piccoli peli, millimetri di cheratina, ripieni di dna, che sono, che dicono.
Si sporge in avanti e scosta i cuscini, li lancia a terra, libera completamente il materasso, che ora appare un’immensa landa. Va alla ricerca di altri reperti umani, di sue, loro tracce. È a quattro zampe, come un animale in caccia, con vista e olfatto all’erta.
Trova un capello, sicuramente suo, lungo e scuro, e poi un altro, corto e corposo, nero, di Gabriel.
Si risiede, mette i quattro i reperti vicini, allineati, su un cuscino che recupera da terra. Li deposita con cura, come su un vetrino da laboratorio, su un altare.
Le fanno tenerezza, sono orfani, fragili, spersi. Moribondi. Eppure archivi eterni delle loro identità.
Prende il cuscino e con grande calma, tenendolo appoggiato sulle braccia distese, si avvicina alla finestra aperta. Si ferma, l’aria fresca la lambisce, le restituisce la percezione di tutta pelle del corpo.
Miriam soffia sopra il cuscino, un lungo soffio che è un respiro caldo, pieno di particelle di saliva polverizzata. I quattro fili organici volano via, liberi, nel vuoto. Sembrano coriandoli, ma lei non riesce più a vederli, ne sente solo già una piccola nostalgia. Come degli attimi che passano, che si sprigionano da noi e nello stesso istante sono già altrove, sono già un mai più inafferrabile. E allora meglio non provare a trattenere, ma lasciar scorrere la vita come un’emorragia inarrestabile, viva finché dura.
no dai, non ci credo. è un post autoironico, vero?
[…] Si sporge in avanti e scosta i cuscini, li lancia a terra, libera completamente il materasso, che ora appare un’immensa landa. Va alla ricerca di altri reperti umani, di sue, loro tracce. È a quattro zampe, come un animale in caccia, con vista e olfatto all’erta. segue […]